Note:
Questa è la seconda parte della fic ‘Completamente
mio’, ambientata nella puntata 1x05,
‘Lancillotto’. Scriverla è stato un
po’ complicato, per questo ci ho messo un po’,
perché volevo un Artù che provava sensi di colpa
per quello che aveva fatto, ma avevo sempre paura che snaturassi il
personaggio facendolo diventare OOC… Spero quindi di non
aver fatto un disastro completo ^^’’’.
Volevo inserire un confronto tra Artù e Lancillotto, ma
rileggendola mi è sembrato che stonasse e l’ho
lasciata così, preferendo rimandare alla volta successiva.
Acqua
e fuoco
Artù
immerse le mani a coppa nell’acqua,
l’osservò defluire all’interno e
riempirle. Pigramente le sollevò portandole alla
sommità delle spalle di Merlino, schiuse appena i palmi e
lasciò che il liquido ricadesse giù. Attentamente
studiò i rivoli trasparenti e lucidi scorrere su quella
pelle alabastrina, ridisegnandola languidamente, lasciando dietro di
sé decine di perle trasparenti ad ingioiellarla, su cui la
luce si scioglieva in infinite scintille dorate. Ne raccolse alcune con
la lingua, facendo sospirare appena più pesantemente il suo
valletto. In quel momento Merlino sembrava davvero una creatura magica,
un piccolo elfo appena emerso dalle acque del lago in cui dimorava per
soggiogarlo con la propria malia. Fragile ed etereo come un sospiro.
Con le braccia gli circondò la vita sottile e se lo strinse
contro, poggiando, poi, la fronte contro la sua spalla e chiuse gli
occhi. Immediatamente l’odore di Merlino gli
riempì i polmoni.
Frammenti
di quella giornata folle saettarono nella sua mente per poi andare a
conficcarsi con precisione chirurgica nella sua anima.
Era
iniziato tutto in modo così perfetto. Loro due soli, stretti
l’uno all’altro nell’intimità
del suo letto, baci dolci come miele e carezze che bruciavano come
fuoco. Su tutto dominava una calma irreale, che li aveva avvolti
morbidamente, rendendo quel momento unico ed irripetibile. Non si era
mai sentito bene come in quel momento. Sembrava come se tutto il resto
si fosse cancellato, come se il resto del mondo fosse svanito, come se
non ci fosse nient’altro oltre a Merlino.
Sfiorò
con la punta del naso il pezzetto di pelle che si trovava vicino alla
sua bocca. Ora che era completamente evaporata, quella furia cieca
aveva lasciato il posto solo ad un’infinita tristezza che
vibrava silenziosa nel suo petto. Come aveva potuto fare del male a
Merlino? Proprio lui che aveva giurato di rispettarlo sempre, di non
ferirlo mai. L’espressione terrorizzata in quei grandi occhi
azzurri ed il profondo dolore che aveva impregnato la sua voce,
continuavano a rimbalzare nella sua mente come un sadico, straziante
ritornello. Sarebbe mai riuscito a perdonarsi? Perché se
anche Merlino lo avesse fatto, lui non sarebbe mai riuscito a
perdonarsi di aver intaccato quel sentimento che c’era tra
loro, di avergli fatto del male.
Sollevò
appena la testa ed iniziò a cospargergli la pelle di tanti
piccoli baci.
Come
aveva potuto trattarlo in quel modo? Come aveva potuto fare del male a
quella creatura delicata? Non sarebbero mai bastate le scuse che aveva
bisbigliato sulla sua pelle, né quei baci con cui aveva
rivestito le macchie di dolore che vi aveva impresso. Aveva tentato di
soggiogarlo con la forza. Niente avrebbe mai potuto giustificarlo ed il
ricordo delle sue azioni l’avrebbe perseguitato per sempre.
Aveva
dell’incredibile il fatto che Merlino fosse ancora li con
lui, tra le sue braccia, che si lasciasse accarezzare e baciare come se
nulla fosse mai accaduto. Quando aveva ripreso possesso di se stesso ed
aveva assaporato tutto l’orrore che aveva impresso su quella
pelle candida, si era sentito infrangere in mille schegge insanguinate.
L’unica cosa che era riuscito a fare era stato rivestire il
corpo di Merlino di infiniti, morbidi baci, soffermandosi soprattutto
sui segni dolenti che intaccavano la candida perfezione di quella pelle
lattea, nel tentativo di cancellare quell’impeto di follia
con cui l’aveva investito. Poi l’aveva sollevato
tra le braccia ed era stato stupendo sentire quelle braccia sottili
stringergli il collo per paura di cadere, la sua testa mora poggiarsi
delicatamente contro la sua spalla, una creatura esile ma
così forte da cercare sostegno in lui, nella persona che gli
aveva fatto più male. Merlino aveva sollevato il proprio
sguardo nel suo, e lui si era sentito annegare in
quell’azzurro immenso e limpido, pulito, che sembrava volerlo
avvolgere con tutto l’amore che provava per lui. Sarebbe mai
più stato degno di quel sentimento? Aveva soffocato il suo
stesso pensiero baciando quelle labbra rosse, immergendosi in quel
sapore delicato ed in quel profumo d’erbe fino a smarrire se
stesso. Aveva immerso Merlino nuovamente nell’acqua, per
fortuna ancora calda (lo so che ormai avrebbe dovuto essere gelida, ma
concedetemelo per favore ^^’’’), della
tinozza, questa volta usando tutta la delicatezza di cui disponesse. Si
era spogliato a sua volta e lo aveva raggiunto. Era un miracolo che
Merlino non fosse scappato a gambe levate da lui, maledicendolo.
Per
riflesso aumentò ancora di più la stretta su di
lui, come se volesse annullare ogni spazio esistente tra loro.
Tutti
i suoi buoni discorsi sul fatto che il loro era un amore pulito, che
era diverso da tutti gli altri, che loro si appartenevano con il cuore
e l’anima e non solo con il corpo…
…
ogni cosa nella sua mente era evaporata, trascinata via dai fumi della
collera che per poco non gli aveva fatto commettere
l’irreparabile.
La
verità era che aveva avuto una paura folle di perderlo, di
vederlo schiudere le ali e volare via da sé. Per un istante
aveva provato ad immaginare la sua vita senza Merlino ed era stato uno
spettacolo straziante.
Merlino
era arrivato a Camelot ed aveva stravolto la sua vita con la forza di
una tempesta. Immerso nella solitudine più gelida, sotto il
costante esame di un padre mai soddisfatto di lui, per quanto si
impegnasse, solo anche quando era circondato da una moltitudine di
persone, Artù aveva sempre vissuto per se stesso: per chi
altri doveva vivere? Non aveva mai conosciuto un altro modo di essere
all’infuori di quello.
Sua
madre era morta nel darlo alla luce e questo suo padre non
l’aveva mai accettato. Si era immerso nel proprio dolore e
nell’odio, richiudendosi su se stesso, allontanando
l’affetto e tutte le altre persone. Viveva solo per i ricordi
della donna amata che ancora ardevano dentro di lui. Suo figlio non
valeva abbastanza lo sforzo di concentrarsi anche su di lui. Dentro di
sé, Artù era certo che suo padre avrebbe di gran
lunga preferito che fosse stata sua moglie a sopravvivere, non quel
bambino infondo sconosciuto che gli aveva strappato l’unica
persona che avesse mai amato, che aveva reso sterile e miserabile la
sua vita. Lo scorgeva ogni volta in quegli occhi gelidi che scorrevano
su di lui affilati come lame, congelandolo fin dentro
l’anima, da quell’indifferenza in cui lo aveva
cresciuto, preferendo abbandonarlo alle cure di balie ed istruttori,
piuttosto che seguirlo di persona, rifiutandosi di concedersi anche in
quei pochi, rari momenti che era libero dal protocollo reale, da
quell’intransigenza che non accettava nemmeno la
più piccola debolezza da lui. Per quanto facesse, per quanto
migliorasse, per il re non era mai abbastanza.
Uther
voleva un erede che si mostrasse all’altezza delle sue
aspettative, quasi una copia di se stesso, per compensare
l’immensa perdita che gli aveva cagionato. Disprezzava
quell’indole misericordiosa che di tanto in tanto scorgeva in
suo figlio: lo rendeva debole e per questo non sarebbe mai stato in
grado di regnare.
Poi,
improvviso come un fulmine, nella sua vita era piombato quel servitore
impertinente dai grandi occhi azzurri. Che giorno dopo giorno aveva
trasformato la sua vita, rendendola migliore, degna, finalmente, di
essere vissuta. Senza che ne fosse consapevole Merlino lo aveva
cambiato, gli aveva fatto scoprire aspetti dell’esistenza che
nemmeno credeva che potessero esistere. Quel ragazzo era stato
l’unico ad affrontarlo apertamente, a farlo sentire quasi
sciocco per il proprio comportamento altezzoso. Quella creatura
luminosa gli aveva teso una mano nel buio in cui era relegato, e lui
l’aveva afferrata affamato di calore senza nemmeno fermarsi a
riflettere sulle conseguenze. Con il suo valletto niente era da dare
per scontato. Indifferente al suo titolo non perdeva occasione per
contestarlo, per dirgli quanto stupide fossero le sue idee, quanto
stupido fosse lui, e cercare di farlo ragionare. Eppure più
volte, quando credeva di non essere visto, aveva scorto quegli stupendi
occhi azzurri riempirsi di sollievo quando usciva vincitore
dall’ennesimo guaio in cui si era cacciato per dimostrare di
essere il più forte di tutti, un degno erede per il trono di
Camelot.
Con
il passare del tempo aveva finito per apprezzare quella presenza
insolita nella sua vita, a desiderare quegli occhi sempre su di
sé, ad avere quel sorriso sempre per sé. E
quell’improbabile legame che si era venuto a creare tra loro
era mutato nell’amicizia più strana che avesse mai
visto.
L’orgoglio
che leggeva ogni volta più forte su quel volto appuntito gli
era diventato necessario come l’aria, rapidamente, quasi
senza che se ne potesse rendere conto, l’approvazione di
Merlino era diventata molto più importante e necessaria di
quella che avrebbe potuto leggere sul volto austero di suo padre. Si
era ritrovato a desiderare che Merlino fosse sempre fiero di lui, di
non deluderlo mai.
Passo
dopo passo, pericolo dopo pericolo, si erano avvicinati sempre
più l’uno all’altro, il limite
invalicabile tra padrone e servo era diventato sempre più
sfumato e fili invisibili li stavano legando indissolubilmente
l’uno all’altro. Quando si era reso conto di quello
che stava accadendo era ormai troppo tardi per tentare di sfuggirgli,
era stato impigliato definitivamente dai suoi sentimenti e desideri.
Aveva
temuto, odiato quel sentimento perché sapeva quanto fosse
irrealizzabile, quale baratro sociale ci fosse tra loro a dividerli.
Intuiva quanto dolore avrebbe dovuto sopportare a causa di quel
sentimento e per questo lo temeva. Eppure più tentava di
scappare più, di contro, si legava a Merlino. Si sentiva
soffocare al solo pensiero di essere lontano da lui. E quando aveva
compreso di non avere altra scelta si era abbandonato completamente a
quei sentimenti sconosciuti ed indomabili, accettandoli ed accettandosi.
Arthur
si era aggrappato disperatamente a quel sentimento inaspettato. Un
sentimento che gli riempiva il corpo di un denso e dolce calore, che
faceva pulsare piacevolmente la sua anima. Un calore che gli faceva
battere il cuore, facendolo sentire vivo come mai prima d’ora
era stato.
Da
quando avevano iniziato a dividere il letto, le giornate del principe
avevano assunto uno strano sapore onirico. Si trascinavano lente in
attesa che giungesse la notte e con essa l’occasione di poter
finalmente stringere nuovamente a sé Merlino. Sprazzi delle
loro notti apparivano alla sua mente rapidi come frecce, tramutandogli
il sangue in fuoco liquido.
Merlino
era come un liquore dolce ed estremamente alcoolico, così
pregiato da valere tanto oro quanto ne pesava, che lo aveva reso
dipendente fin dal primo assaggio, che aveva impregnato il suo corpo
avvelenandolo. Un fuoco che ardeva senza bruciare, che lo aveva avvolto
in un calore risanatore.
Il
regno, la corona ed i suoi cavalieri, niente più aveva senso
per lui. Quel ragazzino fragile dagli immensi occhi azzurri era
diventato la cosa più importante per lui.
Ridisegnò
con le labbra l’avvallamento delle scapole e poi
poggiò il viso contro la sua schiena. La realtà
delle cose lo aveva investito con la stessa forza di una bufera,
sbattendogli in faccia una verità a cui poteva soltanto
sottomettersi.
Semplicemente
non poteva più vivere senza avere Merlino accanto a
sé!
-
Artù?- lo chiamò la voce preoccupata del suo
servo.
Aveva
intuito che qualcosa non andasse, che c’era qualcosa che
turbava profondamente il suo principe. Lo aveva visto così
pensieroso e silenzioso solo quando il peso del suo ruolo arrivava a
gravare pesantemente sulle sue giovani spalle. Non ottenendo alcuna
risposta provò a richiamarlo, intrecciando le proprie mani
con quelle che l’altro teneva ferme sul suo addome.
-
Sto bene, non preoccuparti!- rispose il principe con un sussurro stanco
soffiato direttamente sulla sua pelle umida, facendola increspare.
La
sua stessa affermazione fu smentita dal fatto che la presa di
Artù su di lui si fece più serrata, quasi temesse
che potesse sfuggirgli dalle mani da un momento all’altro. Un
debole sorriso sfiorò le labbra dal mago: a lui piaceva il
suo principe arrogante ed un po’ stupido, sicuro di
sé fino alla sfrontatezza, ma nobile e leale fino al
sacrificio, che lo guardava con quegli occhi blu profondi come il mare
e gli scoccava quei sorrisi sghembi che gli facevano tremare il cuore;
quel comportamento ombroso non gli si addiceva. Lentamente, cercando di
forzare la stretta delle braccia di Artù sulle sua vita, si
girò mettendosi di lato, poggiando il fianco destro contro
il busto dell’altro e piegando le lunghe gambe nello spazio
ristretto. Scrutò a lungo quegli occhi di un blu cupo ed
impenetrabile, sollevando una mano per passare la punta delle dita sui
suoi lineamenti tesi, scendendo lungo il collo fino a fermarsi sulle
spalle. Il mago allungò il collo, corteggiando le labbra
dell’altro con le proprie. Era la prima volta che prendeva
l’iniziativa, che lo cercava senza essere prima stato
stuzzicato fino all’esasperazione. Era eccitato, si, ma anche
timoroso della reazione dell’altro. Le labbra di
Artù restavano inerti sotto le sue, vibrando appena contro
il respiro accelerato. Come se avesse paura di lasciarsi andare, come
se avesse paura di fargli ancora del male. Eppure il mago
continuò la sua opera, carezzando quel corpo statuario con
tanti tocchi tentatori, lambendo quelle labbra carnose e morbide fino a
che il suo principe non si sciolse tra le sue mani. Il bacio che ne
seguì fu un lento e languido assaporarsi, come se avessero
tutto il tempo del mondo a disposizione, come se nient’altro
avesse importanza, un bacio pieno di una profonda dolcezza che
scioglieva le membra e la ragione e che non avevano mai sperimentato
prima. Le mani intrecciate si stringevano forte, i corpi si cercavano e
avvicinavano con passione crescente. Artù si
allontanò dalle labbra del suo servitore, poggiando la
propria fronte contro la sua, riempiendosi la mente del volto arrossato
e rilassato del suo valletto.
Lo
amava!
Oh,
si lo amava con la stessa disperazione di un folle!
Lo
amava per quel suo saper naturalmente rapportarsi a lui,
perché sapeva sempre cosa fare per lui, per farlo sentire
bene, per placare la sua anima; un corso d’acqua che scorreva
calmo e dolce nel deserto ardente della sua anima, rinfrescandola. Lo
amava per quell’aspetto fragile ed esile, che istillava in
lui il desiderio profondo di proteggerlo. Lo amava per quel corpo
alabastrino che sembrava essere stato fatto apposta per congiungersi al
proprio, come se l’uno fosse il completamento
dall’altro. Lo amava per quei grandi occhi azzurri innocenti
e limpidi, che lo fissavano sempre, seguendolo sempre e discretamente.
Lo amava per…
Le
ragioni per cui Artù amava Merlino erano troppe. A quelle
che già conosceva se ne aggiungevano sempre delle nuove.
Piccoli particolari che risaltavano ai suoi occhi rendendolo ogni volta
sempre più attraente.
Merlino
sostenne lo sguardo del principe, cercando di seguire il filo di quei
pensieri che vedeva scorrere impetuosi contro il blu marino delle
iridi, di leggeri nel tentativo di cogliere cosa stesse provando.
C’era una sola cosa che poteva dirgli per rassicurarlo, per
far scomparire quelle nubi temporalesche che oscurava i suoi occhi blu.
Un qualcosa che era nato in lui da tanto tempo, forse dal loro primo
incontro, forse da prima ancora che nascessero, come un tassello di
quel destino che gli esseri magici si erano divertiti a tracciare per
loro, e che stava diventando sempre più forte dentro di lui.
Inizialmente non aveva saputo riconoscerlo, ma ora aveva capito e
poteva dargli un nome.
Poteva
affidarsi tranquillamente ad Artù perché lui era
il suo destino!
Riportò
le mani a circondare il volto del principe ed un piccolo, imbarazzato
sorriso gli stirò le labbra. Senza mai allontanare il
proprio sguardo da quello dell’altro, avvicinò il
proprio volto fino a che le loro labbra non si sfiorarono. Era una
confessione privata quella, qualcosa che apparteneva solo a loro e che
nessun altro poteva sentire. Un sentimento troppo sacro
perché qualcun altro potesse esserne messo a parte. Una
confessione che sarebbe sfumata perdendo d’importanza se
fosse stata pronunciata con un tono di voce appena più alto.
-
Artù io ti a…- un dito del principe, premuto
sulle sue labbra, interruppe la sua confessione.
Il
principe poggiò il proprio volto contro quello del suo
valletto, carezzandolo, assaporando la consistenza serica di quella
pelle candida, il suo misterioso profumo d’erbe.
-
Non oggi. Non dopo quello che ti ho fatto.- sussurrò prima
di baciarlo.
Il
rintocco delle campane del castello si infranse nell’aria,
frantumando la bolla dorata in cui si immergevano ogni volta che le
loro labbra si toccavano, che escludeva ogni cosa che non erano loro
stessi, riportandoli bruscamente alla realtà dei propri
impegni. Mezzogiorno.
-
Dovete pranzare con vostro padre oggi.- gli ricordò Merlino
dando voce ai pensieri di entrambi.
Dopo
le selezioni per i nuovi cavalieri, Artù era scomparso nel
nulla, disertando molti dei suoi doveri istituzionali. Sicuramente il
re era già al corrente dell’accaduto ed ovviamente
non l’aveva gradito. La cosa più saggia sa fare
era evitare di insospettirlo ancora di più: il principe
doveva presentarsi al cospetto del re senza ulteriori ritardi, magari
preparandosi una risposa credibile per ognuna delle domande che
inevitabilmente gli avrebbe posto.
Di
malavoglia uscirono dalla tinozza, asciugandosi a vicenda
l’acqua che scorreva luminescente sulle loro epidermidi.
Celermente il mago raccolse i propri vestiti che il principe aveva
sparso sul pavimento, prima di aiutare l’altro a rivestirsi.
Artù
avrebbe dato qualsiasi cosa in quel momento per non doversi separare da
lui, per poter protrarre all’infinito quel momento. Tutta la
paura che l’aveva dilaniato in quelle ore, aveva destato in
lui il profondo desiderio di non allontanare mai le mani da lui, di
tenerlo sempre tra le proprie braccia. La lontananza di Merlino
diventava un dolore fisico insopportabile.
Gli
strinse i fianchi con le mani e si avvicinò per baciarlo
ancora, tocchi brevi e rapidi, troppo frustranti per entrambi: se lo
avesse baciato seriamente, probabilmente non sarebbero più
riusciti ad uscire da quella stanza, lo avrebbe stretto a sé
e trascinato sul letto.
-
Forse è meglio che stanotte tu non venga.- disse il
più deciso possibile Artù.
Il
volto del suo valletto divenne una maschera frantumata:
perché lo allontanava così? Provò ad
aprire la bocca per ribattere, ma la voce non riuscì a
venire fuori: le iridi di Artù erano un oceano in tempesta,
sconvolto da venti di burrasca violentissimi, erano campi di battaglia
sterminati in cui tutti i suoi tormenti si combattevano sotto le
sembianze di guerrieri impalpabili, straziando la sua anima. Era una
caratteristica del principe quella di chiudersi a riccio su se stesso
quando qualcosa lo tormentava, rimuginandoci continuamente su,
isolandosi completamente dagli altri, rifiutando ogni aiuto. Per questo
il mago richiuse le labbra rinunciando a qualsiasi protesta:
Artù in quel momento non gli avrebbe dato retta, troppo
preso a seguire la linea tracciata dal suo codice cavalleresco. Avrebbe
dovuto rimandare a quando l’altro fosse stato maggiormente
pronto.
Artù
gli accarezzò una guancia con il dorso della mano,
allontanandosi da lui prima che potesse dirgli qualsiasi cosa che lo
facesse tornare sui suoi passi.
Il
tonfo della porta che aveva chiuso alle sue spalle
riecheggiò cupo nel silenzio.
Artù
osservava i rivoli sinuosi che la pioggia disegnava sul vetro della
finestra, solo le fiamme che ruggivano nel camino illuminavano con la
loro luce rossa il buio in cui era immersa la stanza. Il letto era
intatto, non aveva nemmeno provato a dormire, sapeva che senza il corpo
di Merlino disteso accanto al proprio non sarebbe mai riuscito a
prendere sonno. Era una presenza che lo rassicurava, che scacciava
tutte le inquietudini che di notte si svegliavano animando la sua mente
con indescrivibili incubi. Da quando dormivano insieme Artù
non aveva più fatto brutti sogni, come se Merlino in qualche
modo vegliasse su di lui allontanandoli.
Era
stata una sua decisione. Aveva deciso lui di stare lontani per quella
notte, eppure ora l’inquietudine aveva iniziato a serpeggiare
sotto la sua pelle, facendo fremere il suo corpo di
un’incontrollabile ansia.
Suo
padre era stato più duro del solito: aveva preteso di sapere
cosa avesse fatto quella mattina invece di adempiere ai suoi doveri.
Non sarebbe mai stato un buon re se non avesse imparato a rispettare il
titolo che portava con tutto il suo peso. Lo aveva umiliato con quel
suo silenzio carico di indignata superiorità, con quelle
iridi di vetro che lo fissavano come si guarda un oggetto inutile.
Eppure niente di quella consolidata routine lo aveva ferito come le
altre volte, la sua mente era completamente occupata dal volto gentile
e dolce di Merlino. Un pensiero così potente da scacciare
tutto il resto, come uno scudo a difesa della sua anima. Aveva chinato
il capo in un gesto contrito, annuendo meccanicamente ad ogni
rimprovero del padre, mentre rincorreva ricordi e desideri che
pizzicavano piacevolmente il suo corpo.
Quella
notte avrebbe voluto avere Merlino con sé, fare sua ancora
una volta quella pelle mentre fuori infuriava il temporale. Ma dopo
l’inqualificabile modo in cui l’aveva trattato non
se l’era sentita. Quanto tempo sarebbe dovuto passare prima
che il suo onore di cavaliere gli concedesse ancora una volta la
possibilità di poter toccare di nuovo Merlino? Averlo
accanto senza poter fare altro che guardarlo e desiderarlo era la
punizione peggiore che potesse toccargli, l’unica possibile,
come gettarlo vivo tra le fiamme dell’inferno.
Dei
lievi tocchi sulla superficie di legno della porta lo distrassero dai
suoi pensieri. Non riuscendo ad immaginare chi potesse essere a
quell’ora, concesse il permesso di entrare. Nella luce
sfumata del fuoco comparve la figura filiforme di Merlino, gli abiti
fradici di pioggia gli si erano incollati al corpo ridisegnandolo
impietosamente. Artù passò su di lui uno sguardo
affamato, appropriandosi di ogni centimetro di quella visione per
poterla assaporare nei momenti più solitari.
Incrociò le braccia al petto, stringendo forte i pugni, come
per trattenersi.
-
Non ti avevo detto di restare nella tua stanza stanotte?- chiese
sperando che la sua voce risultasse abbastanza ferma.
Merlino
sollevò lo sguardo su di lui, le fiamme danzavano sulla
superficie azzurra delle sue iridi in delicate fusciacche ambrate.
Quando aveva lasciato il proprio giaciglio ed era sgattaiolato fuori
dagli appartamenti di Gaius sapeva di non trovare un Artù
disponibile nei suoi confronti, ancora troppo imbrigliato nei sensi di
colpa verso di lui, ma ugualmente sapeva che doveva dirglielo, prima
che fosse troppo tardi, prima che quella situazione creasse una crepa
tra loro che non sarebbero mai più riusciti a risanare.
Prima che le ferite diventassero un baratro insormontabile tra loro,
che li avrebbe allontanati l’uno dall’altro giorno
dopo giorno, senza che loro potessero fare nulla.
-
Devo dirvi una cosa, poi me ne andrò.- rispose chinando
appena la testa.
Artù
gli fece cenno di proseguire, il mago prese un sospiro profondo e poi
rimise se stesso alla decisione del suo principe: una sua sola parole
avrebbe potuto condannarlo o salvarlo quella notte.
-
Ti amo!- esclamò deciso, scandendo lettera per lettera,
senza mai distogliere il proprio sguardo da quello
dell’altro, mettendoci tutto il sentimento che provava per
lui.
Tutto
Artù si sarebbe aspettato di sentire, tranne che quello, ma
ormai avrebbe dovuto comprendere quanto il suo valletto potesse essere
testardo. Per un lungo istante rimase a fissarlo immobile, lasciando
che quelle cinque lettere si infiltrassero sotto la sua pelle,
riempiendogli il corpo e l’anima, infrangendo tutti i suoi
dubbi e le sue convinzioni.
Si
rese conto di essersi mosso solo quando le proprie labbra trovarono
quelle di Merlino, quando quelle braccia sottili ed ossute si
intrecciarono contro il suo collo, e le proprie mani premettero sulla
sua schiena, stringendoselo contro, ignorando i propri abiti bagnarsi a
contatto con quelli fradici dell’altro.
-
Fai ancora in tempo ad andare via…- mormorò sulle
sue labbra per nulla convinto.
La
risposta del mago fu un bacio denso e passionale. Sapeva cosa volesse
dire rimanere con Artù quella notte e lo desiderava con
tutto se stesso. Artù era il suo destino, non soltanto per
quanto riguardassero le faccende magiche, era qualcosa di
più profondo e sfumato, complicato, che li avrebbe legati
per sempre, ora lo aveva compreso ed accettato. Lui e la propria magia
appartenevano ad Artù, in modi che nemmeno il Grande Drago
avrebbe mai potuto contemplare, molto più grandi e perfetti
di quanto potesse immaginare.
In
breve si ritrovarono distesi sulla pelliccia davanti il camino, la luce
delle fiamme colorava di affascinanti riflessi rossi la pelle di
Merlino. Artù percorse più volte con lo sguardo
scurito dal desiderio quel corpo esile steso sotto il suo, facendo
avvampare il mago che si sentiva come se l’altro lo stesse
realmente toccando con quel blu scuro e denso, incandescente.
-
Artù per favore…- miagolò imbarazzato,
girando la testa di lato.
Ma
si rendeva conto dell’effetto devastante che aveva su di lui?
Si rendeva minimamente conto di quanto fosse sensuale
nell’aspetto e nei modi di fare?
Artù
si distese su di lui, facendo attenzione a non gravare troppo con il
proprio peso sul fisico esile dell’altro. I baci sembravano
morsi mentre le mani vagavano febbrili sul corpo dell’altro.
Ogni centimetro di pelle che veniva scoperto, ora brunito ora eburneo,
veniva ricoperto di baci delicati, rapide lappate e morsi licenziosi,
da suzioni che arrossavano la pelle, facendoli esaltare del sapore
forte del proprio compagno. Sospiri e gemiti risuonavano tra le pareti
di pietra della stanza, infiltrandosi in ogni angolo e vibrando
intensamente. Il sudore scorreva in perle ambrate che rilucevano del
rosso riverbero delle fiamme.
Artù
lo baciò ancora ed ancora, percorrendo, poi, quel corpo
esile e delicato, assaporando la sua epidermide lattea. Baci che
trasformarono il corpo del mago in un ammasso vibrante. Il calore umido
della bocca di Artù su di lui fece tremare ogni suo centro
nervoso, riversandogli scariche di piacere direttamente nel cervello,
distruggendo definitivamente quel poco di autocontrollo che ancora gli
era rimasto. Le sue anche avevano iniziato a danzare, rincorrendo le
ondate di piacere che avevano iniziate a dilagare dentro di lui, sempre
più ampie e prepotenti. E quando quella bocca era scesa per
prepararlo, si era sentito esplodere ed implodere, frantumarsi in mille
schegge infuocate, mentre miriadi di luci iridescenti danzavano contro
le sue palpebre serrate.
Quando
il mago fu in grado di riaprire gli occhi, ritrovò
Artù inginocchiato tra le sue gambe che lo fissava con quei
suoi occhi di un blu così denso da sembrare nero, la sua
pelle sudata era percorsa da decine di scintille dorate, la piega delle
labbra era schiusa contro il respiro ansante, mentre i capelli biondi
gli ricadevano in ciuffi disordinati sulla fronte e sul collo.
Così
bello da togliere il fiato, da frantumare la ragione!
Con
le mani strette sui suoi glutei, Artù gli aveva sollevato il
bacino. Si fermò un istante, chinandosi sul volto di Merlino
teso, preoccupato per l’ignoto.
-
Ti amo!- la voce del principe era stata niente più di un
sussurro sulle sue labbra, ma dolce come miele.
Con
una rapida spinta entrò nella sua carne vergine, facendolo
urlare di dolore e piacere. E Merlino urlò ancora ed ancora,
sentendosi aprire e squassare sempre più a fondo, in
sussulti sempre più violenti e frenetici che lo portarono ad
aggrapparsi disperatamente a quelle spalle forti, ad avvinghiarsi con
le gambe ai suoi fianchi, come tante volte il giovane Pendragon aveva
desiderato. Inarcandosi ed urlando sempre più forte, fino a
sentire la gola in fiamme.
Si
erano sentiti strappare dal proprio corpo e trascinare via, in un
violento vortice spumeggiante che li aveva frullati e stritolati, per
poi scagliarli di nuovo indietro, scaraventandoli senza troppa
delicatezza nei loro corpi.
Ancora
sdraiato sulla morbida pelliccia che gli solleticava piacevolmente la
nuca e la schiena, Merlino osservava il rosseggiare delle braci
morenti. Artù dormiva placidamente, disteso su di lui, la
testa abbandonata sul suo addome ed i fianchi stretti tra le sue
braccia. Distrattamente passava le mani tra le lisce ciocche dorate dei
suoi capelli. Un sorriso tranquillo accompagnava il battito placido del
suo cuore. Per la prima volta nella sua vita non si sentiva come una
foglia sbattuta qua e la dal vento, trascinata dalla corrente senza che
possa opporsi. Per la prima volta nella sua vita si sentiva come se
fosse riuscito a prendere in mano le redini della sua esistenza ed a
condurla nella direzione desiderata, come se, scegliendo di legarsi
definitivamente ad Artù, fosse diventato consapevole di se
stesso e delle sue capacità. Non si sentiva più
spaurito davanti al baratro nero del suo futuro, ma forte e
determinato, deciso ad affrontarlo ed a combattere per non lasciarsi
travolgere ancora, per non perderlo. Si sentiva adulto nel vero senso
della parola, pronto ad abbracciare il suo destino, qualsiasi esso
fosse, ed a portarlo avanti a qualsiasi costo. A difendere il suo
principe da qualunque pericolo fosse gravato su di lui, usando tutta la
forza della sua magia. Si sentiva come se quella notte Artù
lo avesse scomposto e riplasmato, dandogli un’essenza ancora
più vigorosa di quella che possedeva prima, come se un
po’ del coraggio del suo principe fosse penetrato fin nei
meandri della anima.
Artù
era la sua forza, lo scopo della sua vita, quello che gli permetteva di
andare avanti senza paura.