Note: Questa è la seconda parte della fic ‘Completamente mio’, ambientata nella puntata 1x05, ‘Lancillotto’. Scriverla è stato un po’ complicato, per questo ci ho messo un po’, perché volevo un Artù che provava sensi di colpa per quello che aveva fatto, ma avevo sempre paura che snaturassi il personaggio facendolo diventare OOC… Spero quindi di non aver fatto un disastro completo ^^’’’. Volevo inserire un confronto tra Artù e Lancillotto, ma rileggendola mi è sembrato che stonasse e l’ho lasciata così, preferendo rimandare alla volta successiva.

Acqua e fuoco


Artù immerse le mani a coppa nell’acqua, l’osservò defluire all’interno e riempirle. Pigramente le sollevò portandole alla sommità delle spalle di Merlino, schiuse appena i palmi e lasciò che il liquido ricadesse giù. Attentamente studiò i rivoli trasparenti e lucidi scorrere su quella pelle alabastrina, ridisegnandola languidamente, lasciando dietro di sé decine di perle trasparenti ad ingioiellarla, su cui la luce si scioglieva in infinite scintille dorate. Ne raccolse alcune con la lingua, facendo sospirare appena più pesantemente il suo valletto. In quel momento Merlino sembrava davvero una creatura magica, un piccolo elfo appena emerso dalle acque del lago in cui dimorava per soggiogarlo con la propria malia. Fragile ed etereo come un sospiro. Con le braccia gli circondò la vita sottile e se lo strinse contro, poggiando, poi, la fronte contro la sua spalla e chiuse gli occhi. Immediatamente l’odore di Merlino gli riempì i polmoni.
Frammenti di quella giornata folle saettarono nella sua mente per poi andare a conficcarsi con precisione chirurgica nella sua anima.
Era iniziato tutto in modo così perfetto. Loro due soli, stretti l’uno all’altro nell’intimità del suo letto, baci dolci come miele e carezze che bruciavano come fuoco. Su tutto dominava una calma irreale, che li aveva avvolti morbidamente, rendendo quel momento unico ed irripetibile. Non si era mai sentito bene come in quel momento. Sembrava come se tutto il resto si fosse cancellato, come se il resto del mondo fosse svanito, come se non ci fosse nient’altro oltre a Merlino.
Sfiorò con la punta del naso il pezzetto di pelle che si trovava vicino alla sua bocca. Ora che era completamente evaporata, quella furia cieca aveva lasciato il posto solo ad un’infinita tristezza che vibrava silenziosa nel suo petto. Come aveva potuto fare del male a Merlino? Proprio lui che aveva giurato di rispettarlo sempre, di non ferirlo mai. L’espressione terrorizzata in quei grandi occhi azzurri ed il profondo dolore che aveva impregnato la sua voce, continuavano a rimbalzare nella sua mente come un sadico, straziante ritornello. Sarebbe mai riuscito a perdonarsi? Perché se anche Merlino lo avesse fatto, lui non sarebbe mai riuscito a perdonarsi di aver intaccato quel sentimento che c’era tra loro, di avergli fatto del male.
Sollevò appena la testa ed iniziò a cospargergli la pelle di tanti piccoli baci.
Come aveva potuto trattarlo in quel modo? Come aveva potuto fare del male a quella creatura delicata? Non sarebbero mai bastate le scuse che aveva bisbigliato sulla sua pelle, né quei baci con cui aveva rivestito le macchie di dolore che vi aveva impresso. Aveva tentato di soggiogarlo con la forza. Niente avrebbe mai potuto giustificarlo ed il ricordo delle sue azioni l’avrebbe perseguitato per sempre.
Aveva dell’incredibile il fatto che Merlino fosse ancora li con lui, tra le sue braccia, che si lasciasse accarezzare e baciare come se nulla fosse mai accaduto. Quando aveva ripreso possesso di se stesso ed aveva assaporato tutto l’orrore che aveva impresso su quella pelle candida, si era sentito infrangere in mille schegge insanguinate. L’unica cosa che era riuscito a fare era stato rivestire il corpo di Merlino di infiniti, morbidi baci, soffermandosi soprattutto sui segni dolenti che intaccavano la candida perfezione di quella pelle lattea, nel tentativo di cancellare quell’impeto di follia con cui l’aveva investito. Poi l’aveva sollevato tra le braccia ed era stato stupendo sentire quelle braccia sottili stringergli il collo per paura di cadere, la sua testa mora poggiarsi delicatamente contro la sua spalla, una creatura esile ma così forte da cercare sostegno in lui, nella persona che gli aveva fatto più male. Merlino aveva sollevato il proprio sguardo nel suo, e lui si era sentito annegare in quell’azzurro immenso e limpido, pulito, che sembrava volerlo avvolgere con tutto l’amore che provava per lui. Sarebbe mai più stato degno di quel sentimento? Aveva soffocato il suo stesso pensiero baciando quelle labbra rosse, immergendosi in quel sapore delicato ed in quel profumo d’erbe fino a smarrire se stesso. Aveva immerso Merlino nuovamente nell’acqua, per fortuna ancora calda (lo so che ormai avrebbe dovuto essere gelida, ma concedetemelo per favore ^^’’’), della tinozza, questa volta usando tutta la delicatezza di cui disponesse. Si era spogliato a sua volta e lo aveva raggiunto. Era un miracolo che Merlino non fosse scappato a gambe levate da lui, maledicendolo.
Per riflesso aumentò ancora di più la stretta su di lui, come se volesse annullare ogni spazio esistente tra loro.
Tutti i suoi buoni discorsi sul fatto che il loro era un amore pulito, che era diverso da tutti gli altri, che loro si appartenevano con il cuore e l’anima e non solo con il corpo…
… ogni cosa nella sua mente era evaporata, trascinata via dai fumi della collera che per poco non gli aveva fatto commettere l’irreparabile.
La verità era che aveva avuto una paura folle di perderlo, di vederlo schiudere le ali e volare via da sé. Per un istante aveva provato ad immaginare la sua vita senza Merlino ed era stato uno spettacolo straziante.
Merlino era arrivato a Camelot ed aveva stravolto la sua vita con la forza di una tempesta. Immerso nella solitudine più gelida, sotto il costante esame di un padre mai soddisfatto di lui, per quanto si impegnasse, solo anche quando era circondato da una moltitudine di persone, Artù aveva sempre vissuto per se stesso: per chi altri doveva vivere? Non aveva mai conosciuto un altro modo di essere all’infuori di quello.
Sua madre era morta nel darlo alla luce e questo suo padre non l’aveva mai accettato. Si era immerso nel proprio dolore e nell’odio, richiudendosi su se stesso, allontanando l’affetto e tutte le altre persone. Viveva solo per i ricordi della donna amata che ancora ardevano dentro di lui. Suo figlio non valeva abbastanza lo sforzo di concentrarsi anche su di lui. Dentro di sé, Artù era certo che suo padre avrebbe di gran lunga preferito che fosse stata sua moglie a sopravvivere, non quel bambino infondo sconosciuto che gli aveva strappato l’unica persona che avesse mai amato, che aveva reso sterile e miserabile la sua vita. Lo scorgeva ogni volta in quegli occhi gelidi che scorrevano su di lui affilati come lame, congelandolo fin dentro l’anima, da quell’indifferenza in cui lo aveva cresciuto, preferendo abbandonarlo alle cure di balie ed istruttori, piuttosto che seguirlo di persona, rifiutandosi di concedersi anche in quei pochi, rari momenti che era libero dal protocollo reale, da quell’intransigenza che non accettava nemmeno la più piccola debolezza da lui. Per quanto facesse, per quanto migliorasse, per il re non era mai abbastanza.
Uther voleva un erede che si mostrasse all’altezza delle sue aspettative, quasi una copia di se stesso, per compensare l’immensa perdita che gli aveva cagionato. Disprezzava quell’indole misericordiosa che di tanto in tanto scorgeva in suo figlio: lo rendeva debole e per questo non sarebbe mai stato in grado di regnare.
Poi, improvviso come un fulmine, nella sua vita era piombato quel servitore impertinente dai grandi occhi azzurri. Che giorno dopo giorno aveva trasformato la sua vita, rendendola migliore, degna, finalmente, di essere vissuta. Senza che ne fosse consapevole Merlino lo aveva cambiato, gli aveva fatto scoprire aspetti dell’esistenza che nemmeno credeva che potessero esistere. Quel ragazzo era stato l’unico ad affrontarlo apertamente, a farlo sentire quasi sciocco per il proprio comportamento altezzoso. Quella creatura luminosa gli aveva teso una mano nel buio in cui era relegato, e lui l’aveva afferrata affamato di calore senza nemmeno fermarsi a riflettere sulle conseguenze. Con il suo valletto niente era da dare per scontato. Indifferente al suo titolo non perdeva occasione per contestarlo, per dirgli quanto stupide fossero le sue idee, quanto stupido fosse lui, e cercare di farlo ragionare. Eppure più volte, quando credeva di non essere visto, aveva scorto quegli stupendi occhi azzurri riempirsi di sollievo quando usciva vincitore dall’ennesimo guaio in cui si era cacciato per dimostrare di essere il più forte di tutti, un degno erede per il trono di Camelot.
Con il passare del tempo aveva finito per apprezzare quella presenza insolita nella sua vita, a desiderare quegli occhi sempre su di sé, ad avere quel sorriso sempre per sé. E quell’improbabile legame che si era venuto a creare tra loro era mutato nell’amicizia più strana che avesse mai visto.
L’orgoglio che leggeva ogni volta più forte su quel volto appuntito gli era diventato necessario come l’aria, rapidamente, quasi senza che se ne potesse rendere conto, l’approvazione di Merlino era diventata molto più importante e necessaria di quella che avrebbe potuto leggere sul volto austero di suo padre. Si era ritrovato a desiderare che Merlino fosse sempre fiero di lui, di non deluderlo mai.
Passo dopo passo, pericolo dopo pericolo, si erano avvicinati sempre più l’uno all’altro, il limite invalicabile tra padrone e servo era diventato sempre più sfumato e fili invisibili li stavano legando indissolubilmente l’uno all’altro. Quando si era reso conto di quello che stava accadendo era ormai troppo tardi per tentare di sfuggirgli, era stato impigliato definitivamente dai suoi sentimenti e desideri.
Aveva temuto, odiato quel sentimento perché sapeva quanto fosse irrealizzabile, quale baratro sociale ci fosse tra loro a dividerli. Intuiva quanto dolore avrebbe dovuto sopportare a causa di quel sentimento e per questo lo temeva. Eppure più tentava di scappare più, di contro, si legava a Merlino. Si sentiva soffocare al solo pensiero di essere lontano da lui. E quando aveva compreso di non avere altra scelta si era abbandonato completamente a quei sentimenti sconosciuti ed indomabili, accettandoli ed accettandosi.
Arthur si era aggrappato disperatamente a quel sentimento inaspettato. Un sentimento che gli riempiva il corpo di un denso e dolce calore, che faceva pulsare piacevolmente la sua anima. Un calore che gli faceva battere il cuore, facendolo sentire vivo come mai prima d’ora era stato.
Da quando avevano iniziato a dividere il letto, le giornate del principe avevano assunto uno strano sapore onirico. Si trascinavano lente in attesa che giungesse la notte e con essa l’occasione di poter finalmente stringere nuovamente a sé Merlino. Sprazzi delle loro notti apparivano alla sua mente rapidi come frecce, tramutandogli il sangue in fuoco liquido.
Merlino era come un liquore dolce ed estremamente alcoolico, così pregiato da valere tanto oro quanto ne pesava, che lo aveva reso dipendente fin dal primo assaggio, che aveva impregnato il suo corpo avvelenandolo. Un fuoco che ardeva senza bruciare, che lo aveva avvolto in un calore risanatore.
Il regno, la corona ed i suoi cavalieri, niente più aveva senso per lui. Quel ragazzino fragile dagli immensi occhi azzurri era diventato la cosa più importante per lui.
Ridisegnò con le labbra l’avvallamento delle scapole e poi poggiò il viso contro la sua schiena. La realtà delle cose lo aveva investito con la stessa forza di una bufera, sbattendogli in faccia una verità a cui poteva soltanto sottomettersi.
Semplicemente non poteva più vivere senza avere Merlino accanto a sé!
- Artù?- lo chiamò la voce preoccupata del suo servo.
Aveva intuito che qualcosa non andasse, che c’era qualcosa che turbava profondamente il suo principe. Lo aveva visto così pensieroso e silenzioso solo quando il peso del suo ruolo arrivava a gravare pesantemente sulle sue giovani spalle. Non ottenendo alcuna risposta provò a richiamarlo, intrecciando le proprie mani con quelle che l’altro teneva ferme sul suo addome.
- Sto bene, non preoccuparti!- rispose il principe con un sussurro stanco soffiato direttamente sulla sua pelle umida, facendola increspare.
La sua stessa affermazione fu smentita dal fatto che la presa di Artù su di lui si fece più serrata, quasi temesse che potesse sfuggirgli dalle mani da un momento all’altro. Un debole sorriso sfiorò le labbra dal mago: a lui piaceva il suo principe arrogante ed un po’ stupido, sicuro di sé fino alla sfrontatezza, ma nobile e leale fino al sacrificio, che lo guardava con quegli occhi blu profondi come il mare e gli scoccava quei sorrisi sghembi che gli facevano tremare il cuore; quel comportamento ombroso non gli si addiceva. Lentamente, cercando di forzare la stretta delle braccia di Artù sulle sua vita, si girò mettendosi di lato, poggiando il fianco destro contro il busto dell’altro e piegando le lunghe gambe nello spazio ristretto. Scrutò a lungo quegli occhi di un blu cupo ed impenetrabile, sollevando una mano per passare la punta delle dita sui suoi lineamenti tesi, scendendo lungo il collo fino a fermarsi sulle spalle. Il mago allungò il collo, corteggiando le labbra dell’altro con le proprie. Era la prima volta che prendeva l’iniziativa, che lo cercava senza essere prima stato stuzzicato fino all’esasperazione. Era eccitato, si, ma anche timoroso della reazione dell’altro. Le labbra di Artù restavano inerti sotto le sue, vibrando appena contro il respiro accelerato. Come se avesse paura di lasciarsi andare, come se avesse paura di fargli ancora del male. Eppure il mago continuò la sua opera, carezzando quel corpo statuario con tanti tocchi tentatori, lambendo quelle labbra carnose e morbide fino a che il suo principe non si sciolse tra le sue mani. Il bacio che ne seguì fu un lento e languido assaporarsi, come se avessero tutto il tempo del mondo a disposizione, come se nient’altro avesse importanza, un bacio pieno di una profonda dolcezza che scioglieva le membra e la ragione e che non avevano mai sperimentato prima. Le mani intrecciate si stringevano forte, i corpi si cercavano e avvicinavano con passione crescente. Artù si allontanò dalle labbra del suo servitore, poggiando la propria fronte contro la sua, riempiendosi la mente del volto arrossato e rilassato del suo valletto.
Lo amava!
Oh, si lo amava con la stessa disperazione di un folle!
Lo amava per quel suo saper naturalmente rapportarsi a lui, perché sapeva sempre cosa fare per lui, per farlo sentire bene, per placare la sua anima; un corso d’acqua che scorreva calmo e dolce nel deserto ardente della sua anima, rinfrescandola. Lo amava per quell’aspetto fragile ed esile, che istillava in lui il desiderio profondo di proteggerlo. Lo amava per quel corpo alabastrino che sembrava essere stato fatto apposta per congiungersi al proprio, come se l’uno fosse il completamento dall’altro. Lo amava per quei grandi occhi azzurri innocenti e limpidi, che lo fissavano sempre, seguendolo sempre e discretamente. Lo amava per…
Le ragioni per cui Artù amava Merlino erano troppe. A quelle che già conosceva se ne aggiungevano sempre delle nuove. Piccoli particolari che risaltavano ai suoi occhi rendendolo ogni volta sempre più attraente.
Merlino sostenne lo sguardo del principe, cercando di seguire il filo di quei pensieri che vedeva scorrere impetuosi contro il blu marino delle iridi, di leggeri nel tentativo di cogliere cosa stesse provando. C’era una sola cosa che poteva dirgli per rassicurarlo, per far scomparire quelle nubi temporalesche che oscurava i suoi occhi blu. Un qualcosa che era nato in lui da tanto tempo, forse dal loro primo incontro, forse da prima ancora che nascessero, come un tassello di quel destino che gli esseri magici si erano divertiti a tracciare per loro, e che stava diventando sempre più forte dentro di lui. Inizialmente non aveva saputo riconoscerlo, ma ora aveva capito e poteva dargli un nome.
Poteva affidarsi tranquillamente ad Artù perché lui era il suo destino!
Riportò le mani a circondare il volto del principe ed un piccolo, imbarazzato sorriso gli stirò le labbra. Senza mai allontanare il proprio sguardo da quello dell’altro, avvicinò il proprio volto fino a che le loro labbra non si sfiorarono. Era una confessione privata quella, qualcosa che apparteneva solo a loro e che nessun altro poteva sentire. Un sentimento troppo sacro perché qualcun altro potesse esserne messo a parte. Una confessione che sarebbe sfumata perdendo d’importanza se fosse stata pronunciata con un tono di voce appena più alto.
- Artù io ti a…- un dito del principe, premuto sulle sue labbra, interruppe la sua confessione.
Il principe poggiò il proprio volto contro quello del suo valletto, carezzandolo, assaporando la consistenza serica di quella pelle candida, il suo misterioso profumo d’erbe.
- Non oggi. Non dopo quello che ti ho fatto.- sussurrò prima di baciarlo.
Il rintocco delle campane del castello si infranse nell’aria, frantumando la bolla dorata in cui si immergevano ogni volta che le loro labbra si toccavano, che escludeva ogni cosa che non erano loro stessi, riportandoli bruscamente alla realtà dei propri impegni. Mezzogiorno.
- Dovete pranzare con vostro padre oggi.- gli ricordò Merlino dando voce ai pensieri di entrambi.
Dopo le selezioni per i nuovi cavalieri, Artù era scomparso nel nulla, disertando molti dei suoi doveri istituzionali. Sicuramente il re era già al corrente dell’accaduto ed ovviamente non l’aveva gradito. La cosa più saggia sa fare era evitare di insospettirlo ancora di più: il principe doveva presentarsi al cospetto del re senza ulteriori ritardi, magari preparandosi una risposa credibile per ognuna delle domande che inevitabilmente gli avrebbe posto.
Di malavoglia uscirono dalla tinozza, asciugandosi a vicenda l’acqua che scorreva luminescente sulle loro epidermidi. Celermente il mago raccolse i propri vestiti che il principe aveva sparso sul pavimento, prima di aiutare l’altro a rivestirsi.
Artù avrebbe dato qualsiasi cosa in quel momento per non doversi separare da lui, per poter protrarre all’infinito quel momento. Tutta la paura che l’aveva dilaniato in quelle ore, aveva destato in lui il profondo desiderio di non allontanare mai le mani da lui, di tenerlo sempre tra le proprie braccia. La lontananza di Merlino diventava un dolore fisico insopportabile.
Gli strinse i fianchi con le mani e si avvicinò per baciarlo ancora, tocchi brevi e rapidi, troppo frustranti per entrambi: se lo avesse baciato seriamente, probabilmente non sarebbero più riusciti ad uscire da quella stanza, lo avrebbe stretto a sé e trascinato sul letto.
- Forse è meglio che stanotte tu non venga.- disse il più deciso possibile Artù.
Il volto del suo valletto divenne una maschera frantumata: perché lo allontanava così? Provò ad aprire la bocca per ribattere, ma la voce non riuscì a venire fuori: le iridi di Artù erano un oceano in tempesta, sconvolto da venti di burrasca violentissimi, erano campi di battaglia sterminati in cui tutti i suoi tormenti si combattevano sotto le sembianze di guerrieri impalpabili, straziando la sua anima. Era una caratteristica del principe quella di chiudersi a riccio su se stesso quando qualcosa lo tormentava, rimuginandoci continuamente su, isolandosi completamente dagli altri, rifiutando ogni aiuto. Per questo il mago richiuse le labbra rinunciando a qualsiasi protesta: Artù in quel momento non gli avrebbe dato retta, troppo preso a seguire la linea tracciata dal suo codice cavalleresco. Avrebbe dovuto rimandare a quando l’altro fosse stato maggiormente pronto.
Artù gli accarezzò una guancia con il dorso della mano, allontanandosi da lui prima che potesse dirgli qualsiasi cosa che lo facesse tornare sui suoi passi.
Il tonfo della porta che aveva chiuso alle sue spalle riecheggiò cupo nel silenzio.

Artù osservava i rivoli sinuosi che la pioggia disegnava sul vetro della finestra, solo le fiamme che ruggivano nel camino illuminavano con la loro luce rossa il buio in cui era immersa la stanza. Il letto era intatto, non aveva nemmeno provato a dormire, sapeva che senza il corpo di Merlino disteso accanto al proprio non sarebbe mai riuscito a prendere sonno. Era una presenza che lo rassicurava, che scacciava tutte le inquietudini che di notte si svegliavano animando la sua mente con indescrivibili incubi. Da quando dormivano insieme Artù non aveva più fatto brutti sogni, come se Merlino in qualche modo vegliasse su di lui allontanandoli.
Era stata una sua decisione. Aveva deciso lui di stare lontani per quella notte, eppure ora l’inquietudine aveva iniziato a serpeggiare sotto la sua pelle, facendo fremere il suo corpo di un’incontrollabile ansia.
Suo padre era stato più duro del solito: aveva preteso di sapere cosa avesse fatto quella mattina invece di adempiere ai suoi doveri. Non sarebbe mai stato un buon re se non avesse imparato a rispettare il titolo che portava con tutto il suo peso. Lo aveva umiliato con quel suo silenzio carico di indignata superiorità, con quelle iridi di vetro che lo fissavano come si guarda un oggetto inutile. Eppure niente di quella consolidata routine lo aveva ferito come le altre volte, la sua mente era completamente occupata dal volto gentile e dolce di Merlino. Un pensiero così potente da scacciare tutto il resto, come uno scudo a difesa della sua anima. Aveva chinato il capo in un gesto contrito, annuendo meccanicamente ad ogni rimprovero del padre, mentre rincorreva ricordi e desideri che pizzicavano piacevolmente il suo corpo.
Quella notte avrebbe voluto avere Merlino con sé, fare sua ancora una volta quella pelle mentre fuori infuriava il temporale. Ma dopo l’inqualificabile modo in cui l’aveva trattato non se l’era sentita. Quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che il suo onore di cavaliere gli concedesse ancora una volta la possibilità di poter toccare di nuovo Merlino? Averlo accanto senza poter fare altro che guardarlo e desiderarlo era la punizione peggiore che potesse toccargli, l’unica possibile, come gettarlo vivo tra le fiamme dell’inferno.
Dei lievi tocchi sulla superficie di legno della porta lo distrassero dai suoi pensieri. Non riuscendo ad immaginare chi potesse essere a quell’ora, concesse il permesso di entrare. Nella luce sfumata del fuoco comparve la figura filiforme di Merlino, gli abiti fradici di pioggia gli si erano incollati al corpo ridisegnandolo impietosamente. Artù passò su di lui uno sguardo affamato, appropriandosi di ogni centimetro di quella visione per poterla assaporare nei momenti più solitari. Incrociò le braccia al petto, stringendo forte i pugni, come per trattenersi.
- Non ti avevo detto di restare nella tua stanza stanotte?- chiese sperando che la sua voce risultasse abbastanza ferma.
Merlino sollevò lo sguardo su di lui, le fiamme danzavano sulla superficie azzurra delle sue iridi in delicate fusciacche ambrate. Quando aveva lasciato il proprio giaciglio ed era sgattaiolato fuori dagli appartamenti di Gaius sapeva di non trovare un Artù disponibile nei suoi confronti, ancora troppo imbrigliato nei sensi di colpa verso di lui, ma ugualmente sapeva che doveva dirglielo, prima che fosse troppo tardi, prima che quella situazione creasse una crepa tra loro che non sarebbero mai più riusciti a risanare. Prima che le ferite diventassero un baratro insormontabile tra loro, che li avrebbe allontanati l’uno dall’altro giorno dopo giorno, senza che loro potessero fare nulla.
- Devo dirvi una cosa, poi me ne andrò.- rispose chinando appena la testa.
Artù gli fece cenno di proseguire, il mago prese un sospiro profondo e poi rimise se stesso alla decisione del suo principe: una sua sola parole avrebbe potuto condannarlo o salvarlo quella notte.
- Ti amo!- esclamò deciso, scandendo lettera per lettera, senza mai distogliere il proprio sguardo da quello dell’altro, mettendoci tutto il sentimento che provava per lui.
Tutto Artù si sarebbe aspettato di sentire, tranne che quello, ma ormai avrebbe dovuto comprendere quanto il suo valletto potesse essere testardo. Per un lungo istante rimase a fissarlo immobile, lasciando che quelle cinque lettere si infiltrassero sotto la sua pelle, riempiendogli il corpo e l’anima, infrangendo tutti i suoi dubbi e le sue convinzioni.
Si rese conto di essersi mosso solo quando le proprie labbra trovarono quelle di Merlino, quando quelle braccia sottili ed ossute si intrecciarono contro il suo collo, e le proprie mani premettero sulla sua schiena, stringendoselo contro, ignorando i propri abiti bagnarsi a contatto con quelli fradici dell’altro.
- Fai ancora in tempo ad andare via…- mormorò sulle sue labbra per nulla convinto.
La risposta del mago fu un bacio denso e passionale. Sapeva cosa volesse dire rimanere con Artù quella notte e lo desiderava con tutto se stesso. Artù era il suo destino, non soltanto per quanto riguardassero le faccende magiche, era qualcosa di più profondo e sfumato, complicato, che li avrebbe legati per sempre, ora lo aveva compreso ed accettato. Lui e la propria magia appartenevano ad Artù, in modi che nemmeno il Grande Drago avrebbe mai potuto contemplare, molto più grandi e perfetti di quanto potesse immaginare.
In breve si ritrovarono distesi sulla pelliccia davanti il camino, la luce delle fiamme colorava di affascinanti riflessi rossi la pelle di Merlino. Artù percorse più volte con lo sguardo scurito dal desiderio quel corpo esile steso sotto il suo, facendo avvampare il mago che si sentiva come se l’altro lo stesse realmente toccando con quel blu scuro e denso, incandescente.
- Artù per favore…- miagolò imbarazzato, girando la testa di lato.
Ma si rendeva conto dell’effetto devastante che aveva su di lui? Si rendeva minimamente conto di quanto fosse sensuale nell’aspetto e nei modi di fare?
Artù si distese su di lui, facendo attenzione a non gravare troppo con il proprio peso sul fisico esile dell’altro. I baci sembravano morsi mentre le mani vagavano febbrili sul corpo dell’altro. Ogni centimetro di pelle che veniva scoperto, ora brunito ora eburneo, veniva ricoperto di baci delicati, rapide lappate e morsi licenziosi, da suzioni che arrossavano la pelle, facendoli esaltare del sapore forte del proprio compagno. Sospiri e gemiti risuonavano tra le pareti di pietra della stanza, infiltrandosi in ogni angolo e vibrando intensamente. Il sudore scorreva in perle ambrate che rilucevano del rosso riverbero delle fiamme.
Artù lo baciò ancora ed ancora, percorrendo, poi, quel corpo esile e delicato, assaporando la sua epidermide lattea. Baci che trasformarono il corpo del mago in un ammasso vibrante. Il calore umido della bocca di Artù su di lui fece tremare ogni suo centro nervoso, riversandogli scariche di piacere direttamente nel cervello, distruggendo definitivamente quel poco di autocontrollo che ancora gli era rimasto. Le sue anche avevano iniziato a danzare, rincorrendo le ondate di piacere che avevano iniziate a dilagare dentro di lui, sempre più ampie e prepotenti. E quando quella bocca era scesa per prepararlo, si era sentito esplodere ed implodere, frantumarsi in mille schegge infuocate, mentre miriadi di luci iridescenti danzavano contro le sue palpebre serrate.
Quando il mago fu in grado di riaprire gli occhi, ritrovò Artù inginocchiato tra le sue gambe che lo fissava con quei suoi occhi di un blu così denso da sembrare nero, la sua pelle sudata era percorsa da decine di scintille dorate, la piega delle labbra era schiusa contro il respiro ansante, mentre i capelli biondi gli ricadevano in ciuffi disordinati sulla fronte e sul collo.
Così bello da togliere il fiato, da frantumare la ragione!
Con le mani strette sui suoi glutei, Artù gli aveva sollevato il bacino. Si fermò un istante, chinandosi sul volto di Merlino teso, preoccupato per l’ignoto.
- Ti amo!- la voce del principe era stata niente più di un sussurro sulle sue labbra, ma dolce come miele.
Con una rapida spinta entrò nella sua carne vergine, facendolo urlare di dolore e piacere. E Merlino urlò ancora ed ancora, sentendosi aprire e squassare sempre più a fondo, in sussulti sempre più violenti e frenetici che lo portarono ad aggrapparsi disperatamente a quelle spalle forti, ad avvinghiarsi con le gambe ai suoi fianchi, come tante volte il giovane Pendragon aveva desiderato. Inarcandosi ed urlando sempre più forte, fino a sentire la gola in fiamme.
Si erano sentiti strappare dal proprio corpo e trascinare via, in un violento vortice spumeggiante che li aveva frullati e stritolati, per poi scagliarli di nuovo indietro, scaraventandoli senza troppa delicatezza nei loro corpi.

Ancora sdraiato sulla morbida pelliccia che gli solleticava piacevolmente la nuca e la schiena, Merlino osservava il rosseggiare delle braci morenti. Artù dormiva placidamente, disteso su di lui, la testa abbandonata sul suo addome ed i fianchi stretti tra le sue braccia. Distrattamente passava le mani tra le lisce ciocche dorate dei suoi capelli. Un sorriso tranquillo accompagnava il battito placido del suo cuore. Per la prima volta nella sua vita non si sentiva come una foglia sbattuta qua e la dal vento, trascinata dalla corrente senza che possa opporsi. Per la prima volta nella sua vita si sentiva come se fosse riuscito a prendere in mano le redini della sua esistenza ed a condurla nella direzione desiderata, come se, scegliendo di legarsi definitivamente ad Artù, fosse diventato consapevole di se stesso e delle sue capacità. Non si sentiva più spaurito davanti al baratro nero del suo futuro, ma forte e determinato, deciso ad affrontarlo ed a combattere per non lasciarsi travolgere ancora, per non perderlo. Si sentiva adulto nel vero senso della parola, pronto ad abbracciare il suo destino, qualsiasi esso fosse, ed a portarlo avanti a qualsiasi costo. A difendere il suo principe da qualunque pericolo fosse gravato su di lui, usando tutta la forza della sua magia. Si sentiva come se quella notte Artù lo avesse scomposto e riplasmato, dandogli un’essenza ancora più vigorosa di quella che possedeva prima, come se un po’ del coraggio del suo principe fosse penetrato fin nei meandri della anima.
Artù era la sua forza, lo scopo della sua vita, quello che gli permetteva di andare avanti senza paura.