ORIGINALITA’
Sono
rimasta incantata ed incuriosita da questa tua ambientazione, volevo
premiarla in modo particolare perché darei non so cosa per leggere
altre fic su questa tua idea dove gli angeli vengono cacciati,
rinchiusi, studiati e venduti. Angeli in carne ed ossa che soffrono ma
comunque diversi dagli umani. Bella l’idea, bello come l’hai
approfondito, bello come l’hai reso nel complesso, belli tutti i
dettagli. Complimenti.
~ ANGEL ~
Ho bisogno
di un altro posto
Là
sarò in pace
Ho
bisogno di un altro mondo
Questo
è quasi andato
Ho
ancora molti sogni
Non
ho mai visto la luce
Ho
bisogno di un altro mondo
Un
posto dove posso andare
~ Primo
Giorno ~
Amy
Coleman non aveva mai visto niente di più straordinario in vita sua.
Era
fortunata –le possibilità che un’apprendista come lei avesse
l’occasione di ammirare una creatura come quella erano praticamente
nulle. C’erano professionisti del campo che in cinquant’anni di
carriera non c’erano mai riusciti.
I
suoi occhi scuri si nutrirono della luce debole che circondava la
creatura per qualche secondo, assorbendo l’assoluta perfezione dei suoi
lineamenti e del semplice splendore che emanava.
Era
immobile, distesa sul pavimento metallico della gabbia. I capelli erano
biondi, morbidi come fili d’oro puro; la pelle del colore
dell’alabastro; e la sua altezza era almeno di due metri. Le ali
bianche e piumate erano pigiate dalle sbarre della gabbia, troppo
grandi per poter essere distese al suo interno. Amy si sentì piccola e
inerme al suo confronto.
«Cosa
sapete della creatura, dottor Stockman?» chiese, incrociando le braccia
e stringendo gli occhi per osservarla meglio.
«Poco»
rispose l’uomo anziano, burbero. «Non c’è ancora stato il tempo di fare
delle analisi. È un maschio, questo è certo.»
«Cosa
dicono i Cacciatori?» insistette la più giovane.
Si
riferiva a coloro che sfruttavano trucchi e strategie delle più infide
per catturare gli angeli e venderli ad ansiosi Angelologi disposti a
tutto per averli.
«I
Cacciatori non sono altro che mercenari ignoranti, miss Coleman» tagliò
corto Stockman, cupo. «Hanno usato strumenti che nessuno di noi aveva
approvato in precedenza … l’hanno pugnalato con un coltello satanico,
un Athame che era stato usato per compiere un sacrificio umano.»
Amy
rabbrividì.
«Almeno
ha funzionato» sospirò. «È ferito?»
«Sì,
ma non gravemente. Guarirà nel giro di poche ore, e non possiamo
permettercelo. Dovremo tenerlo sotto stretto controllo.» Stockman fece
una pausa. «Riesci a dirmi qualcosa in più su di lui?»
Amy
azzardò un passo in avanti per vedere meglio.
«Dall’apertura
alare e dall’altezza direi che fa parte del coro delle Dominazioni»
disse, forte dei suoi recentissimi studi. «Dionigi Aeropagita, primo
vescovo di Atene, dice testualmente : “Io credo che il nome rivelatore
delle sante Dominazioni ci indichi la loro forza di elevarsi, che mai
si sottomette, libera da ogni inferiore cedimento; esse non si
abbassano assolutamente a nessuna realtà discordante e tirannica,
superano ogni degradante asservimento, entrano il più possibile in
comunione con l'eterna divinità del Principio della Dominazione.”»
Stockman
annuì, soddisfatto dalla perfetta citazione dell’apprendista, estratta
da un libro tra i mille che aveva studiato in quegli anni.
«Esattamente.
Ed è per questa impossibilità a sottomettersi che negli ultimi mille
anni nessuno è mai riuscito a catturarne uno vivo. Ci sono stati
Cherubini, certo, e Serafini, e anche alcuni Troni –ma questo … no,
nessuno prima c’era riuscito.»
«Se
i Cacciatori sapessero cos’avevano tra le mani … » sussurrò Amy.
«Una
fortuna sprecata» concordò Stockman. «Buon per noi.»
L’angelo
nella gabbia non si mosse mentre i due studiosi si avvicinavano.
«Che
meraviglia» non poté fare a meno di commentare.
«Ricordati
il nostro obiettivo» sbuffò Stockman, guardando la gabbia con
disprezzo. «Cominceremo con i test domattina.»
~ Secondo
Giorno ~
Quando
Amy arrivò, la mattina dopo, non erano ancora le sei, eppure non si era
mai sentita così nervosa e attiva. Entrò nel laboratorio e il suo
stupore fu grande quando vide che l’angelo era sveglio. Esitò prima di
avvicinarsi alla gabbia.
La
creatura osservò i suoi movimenti con un’espressione indecifrabile. La
guardò mentre, tesa, sentendosi osservata, preparava l’occorrente per
gli esperimenti.
«Umana»
disse infine. La sua voce fece tremare Amy fin nel profondo. Era roca,
profonda, con un sottofondo innaturale e irreale che la fece rimbombare
in tutto il laboratorio. «Qual è il tuo nome?»
«Non
ti riguarda, angelo» replicò lei, memore delle più basilari regole
dell’Angelologia.
Conoscere
il nome di una persona equivale ad averla in suo potere.
«Sei
la mia carceriera» ribatté lui con naturalezza. «Ritengo che invece mi
riguardi.»
Le
loro voci sono melodiose e amabili; il loro scopo sempre quello di
indurvi in tentazione e far sì che li liberiate. Non ascoltateli; non
cedete.
«Tra
poco non ti importerà più» tagliò corto Amy, riempiendo una sottile
siringa con un liquido rosso, cercando di non dare peso al fatto che,
come lei ben sapeva, si trattava del sangue di un neonato innocente
morto per mano di persone crudeli.
Erano
quelli gli strumenti per ferire un angelo: dolore, morte, innocenza
calpestata.
Il
problema reale le sovvenne solo quando fu a pochi passi dalla gabbia:
come avrebbe fatto a iniettargli quel veleno?
La
sua esitazione spinse l’angelo a parlare ancora.
«Cosa
vuoi fare, piccola umana? Usare il sangue di un innocente per ferire un
nemico che non ha mai fatto nulla di male né a te, né a chiunque altro?»
Il
tono di rimprovero della sua voce conteneva una nota furente che
l’angelo non riusciva a nascondere. Amy strinse la presa sulla siringa
e, decisa, raggiunse la creatura.
Allungò
una mano e gli afferrò un braccio.
Quello
che non si aspettava era la sensazione del contatto con la sua pelle.
Era
come sfiorare un cavo elettrico nascosto in una nuvola.
Spalancò
gli occhi, ma non lasciò la presa. L’angelo la osservò, e per un
momento Amy credette che l’avrebbe colpita –ma lui non si mosse, e
lasciò inerme che lei lo pungesse e iniettasse nelle sue vene quel
liquido ignobile, limitandosi a trafiggerla con gli occhi dorati che la
accusavano in silenzio.
Un
istante dopo, era a terra, nella gabbia, e urlava per il dolore.
Amy
indietreggiò e lasciò cadere la siringa vuota sul tavolo. Prese fiato
una, due, tre volte. Quella strana sensazione che provava alla bocca
dello stomaco non era descritta in nessun manuale di Angelologia. Per
fortuna, tutto il resto lo era.
Aspettò
in silenzio che le urla cessassero. Quando l’angelo giacque a terra in
silenzio, respirando affannosamente, gli occhi serrati, allora si
permise di proseguire.
Si
avvicinò e prelevò diverse fiale di sangue, che appariva denso e
scarlatto, etichettandole una ad una e mettendole al loro posto in un
contenitore frigorifero senza che la creatura reagisse.
Quindi
se ne andò, diretta all’Accademia, le orecchie ancora torturate da
quelle grida melodiche.
~ Terzo
Giorno ~
Il
giorno seguente era più tardi quando arrivò al laboratorio. Sapeva che
Stockman ci era già stato la sera precedente e quella mattina stessa, e
quasi temeva di incontrarlo. Non sapeva esattamente da dove nascesse
questa ansia –l’uomo era stato il suo mentore per anni e incarnava il
modello di Angelologa che voleva essere una volta completata la sua
formazione.
Amy
dovette trattenere un grido sorpreso quando vide l’angelo. Profonde
ferite segnavano il suo intero corpo, evidente risultato
dell’interrogatorio che Stockman in quei due giorni.
Cercò
il coraggio di parlare ma non vi riuscì, specialmente quando l’angelo
riuscì a incontrare il suo sguardo e incatenò i suoi selvaggi occhi
dorati in quelli scuri e spaventati di lei.
«Perché
lo fate, umana?» domandò con quella voce, quella voce che Amy aveva
sognato la notte precedente.
«Vogliamo
capire» rispose lei, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo.
«Capire
che cosa?»
«Capire
voi.»
«Siete
scienziati, dunque.»
Non
c’era sprezzo né condanna nel tono della creatura, e questo spiazzò la
ragazza, che strinse più forte le dita intorno al manuale che teneva in
mano e che conteneva tutte le informazioni che pensava le sarebbero
bastate per riuscire a domare un angelo.
Ingenua.
«Angelologi»
specificò Amy.
«Pensavo
che nel vostro mondo consideraste scienza e fede totalmente
inconciliabili.»
«L’Angelologia
è mediatrice delle due.»
L’angelo
osservò con attenzione la ragazza, che deglutì, sentendosi messa a nudo.
«E
tu in cosa credi, piccola umana? Nella scienza o nella fede?»
«Credo
negli angeli.»
«E
credi in Dio?»
Amy
socchiuse gli occhi per un antico dolore risvegliato all’improvviso.
«La
fede è un dono che non ho ancora ricevuto» replicò. Quindi, dopo una
breve esitazione, domandò: «Qual è il tuo nome?»
L’angelo
non ebbe remore nel replicare:
«Ho
tanti nomi diversi, il più importante dei quali non capiresti, perché
solo quelli della mia specie lo possono ascoltare. Puoi chiamarmi
Yeratel –significa “Dio punisce gli empi”.»
Ad
Amy sfuggì uno sbuffo.
«Se
Dio esiste, punisce tutti, senza distinzioni» decretò.
Yeratel
scosse la testa, severo.
«Non
giudicare l’opera del Signore, umana. Né tu né io ne abbiamo il
diritto.»
La
ragazza non replicò, per nulla convinta. Si avvicinò ad uno dei tavoli
di metallo e afferrò un dossier compilato quella mattina da Stockman.
Lo lesse senza attenzione, distratta.
«Non
mi hai ancora rivelato il tuo, di nome. Non posso continuare a
chiamarti umana per sempre, giusto?»
Amy
si voltò e gli lanciò un’occhiata gelida.
«Non
sarà per sempre» disse, lapidaria.
Poi
si morse il labbro inferiore. Stava parlando troppo. Sapeva che quel
genere di creatura, specialmente se appartenente a una gerarchia così
elevata, poteva facilmente portare un professionista a commettere un
errore fatale.
«Avete
intenzione di uccidermi?» indagò Yeratel, il tono leggermente beffardo
di chi non crede che ciò che sta dicendo sia possibile.
Ma
Amy decise di non aggiungere altro. Compilò brevemente alcuni passi del
dossier e si allontanò dal laboratorio.
~ Quarto
Giorno ~
Amy
aveva sempre rispettato enormemente il professor Stockman e continuava
a farlo. Dopotutto era grazie a lui se in quel momento si trovava
davanti ad un angelo vero. Ma i dubbi sulla sua professionalità e sulla
sua etica si riaffacciarono prepotenti nella sua mente quando vide
Yeratel il pomeriggio seguente.
Era
ancora cosciente, gli occhi colmi di una furente sfida verso l’umanità
intera, ma entrambe le sue ali -quelle splendide, piumate ali bianche e
dorate, che l’avevano fatta restare senza fiato quando le aveva viste
la prima volta- erano state brutalmente mutilate: non restavano di esse
che due moncherini sanguinanti.
Amy
dovette combattere l’istinto di correre verso di lui. Respirò a fondo,
e l’odore metallico del sangue le entrò nelle narici, causandole
un’ondata di nausea che faticò a reprimere.
«Yeratel»
disse piano, avvicinandosi alla gabbia.
Lui
la guardò con l’intensità e la rabbia feroce di un animale selvatico
ferito e fatto prigioniero, un leone rinchiuso.
Amy,
facendo violenza su se stessa, si costrinse a camminare lentamente per
non spaventarlo né farlo infuriare. Raggiunse il tavolo e recuperò la
valigetta del primo soccorso, da cui estrasse bende e disinfettante,
pur domandandosi cupamente quanto questi potessero avere effetto su una
creatura angelica. Aveva studiato nei libri il modo di ferirli, non
quello di curarli –e per la prima volta sentì che in questo doveva
esserci qualcosa di sbagliato. Tuttavia non si fermò ad indagare.
Raggiunse
la gabbia e si trovò davanti al primo ostacolo. Non poteva certo
aprirla: doveva convincere l’angelo a voltarsi.
«Yeratel»
ripeté, sedendosi sui talloni e guardandolo con fermezza. «Ho bisogno
che tu ti giri per poterti medicare.»
L’angelo
la guardò, e Amy scorse nei suoi occhi qualcosa che interpretò come
vergogna per dover mostrare a lei l’opera orribile e blasfema del suo
carnefice.
«Voglio
solo aiutarti» insistette, ma l’angelo esitava ancora. Allora prese una
decisione. «Il mio nome è Amanda» proferì con serietà. «Puoi chiamarmi
Amy, lo fanno tutti.»
Yeratel
sospirò e annuì appena.
«Amanda»
mormorò. «Colei che deve essere amata.»
Non
aggiunse altro, ma si voltò e, in ginocchio, avvicinò la schiena
insanguinata alle sbarre di metallo.
Nel
vedere ciò che restava di quelle meravigliose ali piumate Amy non
riuscì a trattenere un gemito. Yeratel si irrigidì.
«Va
tutto bene» disse lei con voce leggermente roca. «Non ti preoccupare.»
Quando
l’angelo si rilassò, Amy imbevette di disinfettante un panno e cominciò
a passarlo sulla sua schiena con lenti movimenti circolari, le mani che
le tremavano leggermente, avendo cura di trattare con particolare
delicatezza i punti che un tempo erano stati di sostegno alle ali.
Yeratel
non si mosse né disse una sola parola finché la ragazza non ebbe
terminato e non gli ebbe circondato il petto di bende candide. Quindi
si spostò leggermente verso il centro della gabbia.
«Dici
di non avere fede» enunciò con cautela, «Ma ne vedo più in te che in
molti di coloro che si professano strenui credenti.»
«Credi?»
domandò piano lei. «Mio padre ritiene che un giorno sarò messa ad
arrostire sulle fiamme dell’Inferno per la mia mancanza di fede.»
«Io
conosco i criteri per cui gli umani vengono mandati all’Inferno, e
credimi quando ti dico che il tuo cuore è puro e non è lì che andrai …
Amanda.»
Amy
non seppe cosa replicare. Ripose gli strumenti di medicazione e tornò a
casa.
~ Quinto
Giorno ~
Amy
sapeva che non avrebbe potuto evitare Stockman per sempre, ma si sentì
enormemente sollevata quando non lo trovò in laboratorio, quella sera.
Aveva lasciato passare le ore, adducendo come scusa l’approfondimento
di alcuni studi, e quando era entrata erano ormai le dieci.
Con
suo grande sollievo, era sola con l’angelo.
Yeratel
sedeva nella gabbia, immerso nei propri pensieri. Amy notò l’assenza
delle bende che aveva usato lei il giorno precedente, e la presenza,
sul corpo un tempo perfetto dell’angelo, di nuove ferite, più o meno
profonde, di diversa natura.
Senza
dire nulla, prese i fogli che aveva lasciato Stockman e li passò
velocemente in rassegna. Aggiunse gli orari della propria visita ed
ebbe modo di notare che Stockman aveva portato alcuni altri Angelologi
nel laboratorio, quel giorno.
Si
avvicinò alla gabbia.
«Cosa
è successo?» domandò.
«Sono
stato interrogato ancora» replicò Yeratel, neutrale.
«A
quale proposito?»
«Il
mondo ultraterreno. Le schiere angeliche. Dio … »
«E
ti sei rifiutato di rispondere alle domande di Stockman?»
«Ci
sono cose che gli umani non possono sapere.»
Amy
tacque.
«Perché
tu non mi rivolgi le medesime domande? L’umano ha detto ai suoi
compagni che lo facevi. Credo lo abbia letto in quei fogli che hai
scritto.»
Amy
socchiuse gli occhi.
«Non
tutti gli umani sono uguali» rispose.
«Questo
l’avevo già capito da tempo, Amanda.»
Lei
si irrigidì istintivamente.
«Chiamami
Amy, se proprio devi usare il mio nome» lo rimproverò seccamente.
«Perché?»
«Non
sei tu a dover fare le domande» tagliò corto Amy, irritata.
«D’accordo.
Vuoi che cambiamo argomento?»
Amy
non rispose, dandogli le spalle e fingendo di controllare altri dati
mentre in realtà cercava di recuperare un minimo di autocontrollo.
«Perché
hai deciso di diventare Angelologa?»
Amy
esitò e rispose senza voltarsi.
«Perché
lo era mia madre.»
«Lo
era?»
«È
morta quando avevo quindici anni.»
Yeratel
non disse “mi dispiace” come Amy si sarebbe aspettata.
«Com’è
successo?» chiese invece.
La
gola di Amy si strinse in un nodo che le rese respirare difficoltoso.
«Perché
vuoi saperlo?» svicolò, gli occhi fissi su una pagina bianca.
«Perché
penso che tu sia stata ferita e non lo abbia ancora superato.»
Amy
si girò lentamente.
«Avevano
catturato un angelo» disse piano. «Lo stavano interrogando quando è
scappato. Nella fuga ha distrutto tutto l’edificio. Lei né è rimasta
schiacciata.»
Parlava
con frasi brevi e dolorose, e smise subito. I suoi occhi lucidi
vagarono disperatamente per la stanza fino ad incrociare quelli di
Yeratel.
«Dai
la colpa all’angelo per la sua morte?» indagò lui con calma.
«Un
tempo lo facevo» sussurrò Amy.
«E
ora?»
«Ora
non ho più certezze.»
Yeratel
la guardò con serietà.
«Io
sono certo che tu sia una brava persona, Amy. Migliore di quella fredda
e calcolatrice che fingi di essere. Hai un cuore gentile e io credo
che, da qualche parte nel profondo, tu abbia anche una fede che aspetta
solo di essere risvegliata.»
Amy
si inginocchiò accanto alla gabbia e guardò l’angelo con serietà.
«Come
puoi dire questo dopo che ti abbiamo catturato e … e fatto tutto
questo?» domandò con voce incerta, accennando alle ali strappate e alle
ferite sul petto dell’angelo.
«L’hai
detto tu stessa: non tutti gli umani sono uguali. E forse dovresti
prendere in considerazione la possibilità che neanche tutti gli angeli
lo siano.»
Amy
chiuse gli occhi.
«Forse
l’ho già accettato» mormorò.
Non
si stupì troppo per la sensazione successiva. Se sfiorare la pelle di
Yeratel era stato bello, il tocco delle sue labbra sulle proprie fu
meraviglioso. Amy perse il filo logico dei propri pensieri. Tutto
quello che contava in quel momento era il contatto tra lei e l’angelo.
L’angelo.
Amy
si ritrasse bruscamente e fissò Yeratel sotto shock.
Lui
sembrava altrettanto stupito. Si portò due dita alle labbra.
«Amanda
… » mormorò, ma lei era già scappata via.
~ Sesto
Giorno ~
Amy
sapeva di non poter essere così fortunata da evitare Stockman per
sempre, e infatti quel pomeriggio lo trovò intento a interrogare
Yeratel.
Era
chino accanto alla gabbia, in mano una lunga e sottile barra metallica
la cui punta acuminata gocciolava sangue. Esperta di quel genere di
strumenti, Amy ipotizzò che fosse stata cosparsa o imbevuta di qualche
sostanza malefica e nociva per gli angeli –probabilmente polvere di
ostie dissacrate. Si fermò sulla porta, senza osare interrompere il suo
superiore.
«Avanti,
parla» ringhiò Stockman. «Potete venire sulla Terra quando volete? O ci
sono dei limiti?»
Doveva
essere l’ennesima domanda di quel genere che rivolgeva, ne era
testimone il suo tono frustrato nei confronti dell’angelo, che tacque
ostinatamente.
Amy
sussultò quando vide Stockman, furioso, conficcare con violenza la
punta di ferro tra le costole di Yeratel, che non poté trattenere un
grido rabbioso di dolore.
«Parla!»
ruggì l’anziano professore. «Non ti è bastato che ti strappassi le ali?
Non potrai più fare ritorno a casa. Che motivo hai di tacere?
Allungherai solo la tua sofferenza!»
«E
se parlassi mi lasceresti libero? O mi uccideresti in modo indolore?»
lo provocò Yeratel, fissandolo senza timore. «No, sono una merce troppo
preziosa per te, avido umano. Mi venderai a qualcuno con ancora meno
scrupoli morali di te, non è vero?»
«Sono
io a fare le domande!» urlò Stockman, e affondò nuovamente la lancia,
con una furia che divenne un vero e proprio assalto, ripetuto più e più
volte.
Amy
non riuscì più a resistere.
«Basta
così» decretò a voce alta, raggiungendo Stockman a grandi passi e
strappandogli l’arma dalle mani.
Il
professore si voltò e strinse gli occhi.
«Miss
Coleman» disse in un sibilo sottile. «È un piacere rivederla.»
«Lasci
proseguire me» lo pregò. «Vada a riposarsi. Continuerò a interrogarlo.»
Stockman
respirò a fondo, guardandola, quindi annuì.
«Continui
pure lei» la esortò. «E mi faccia sapere se ci sono novità.»
Fece
alcuni passi verso l’uscita, ed Amy stava già per sospirare di
sollievo, quando si fermò sulla porta. Non disse nulla, limitandosi a
guardarla, in attesa.
Amy
capì in fretta. Lanciò un’occhiata a Yeratel e mormorò un “perdonami”
solo mentale prima di colpirlo al petto.
L’urlo
dell’angelo fu come una pugnalata al cuore.
Stockman
annuì, soddisfatto, e se ne andò.
Amy
aspettò di essere certa che fosse uscito prima di lasciar cadere l’arma
e inginocchiarsi a fianco della gabbia.
«Mi
dispiace, Yeratel» disse piano. «Ho dovuto farlo.»
Lui
non rispose, ma la guardò con occhi penetranti che la portarono ad
abbassare i suoi.
«Quello
che è successo ieri» proseguì Amy, facendo scendere ulteriormente la
voce, «È stato un errore. Ho perso il controllo. Non succederà più.»
Yeratel
continuò a non rispondere, limitandosi ad osservarla.
Amy
scosse la testa, sospirò e si rialzò, recuperando il disinfettante e un
panno pulito.
«Vieni»
mormorò.
L’angelo
non si oppose, avvicinandosi alle sbarre in modo che Amy potesse
ripulire le ferite.
«Non
riesco a capire» disse infine.
«Che
cosa?» chiese distrattamente Amy.
«Te.»
La guardò intensamente. «Allo stesso tempo sfuggi, fingi di mantenere
le distanze, e cedi, ti apri. Non riesco ad inquadrarti.»
Amy
si rifiutò si rispondere alla provocazione.
«Non
avevo pensato a cosa significasse per te perdere le ali» disse invece,
cambiando argomento. «Non potrai più tornare a casa.»
«E
allora?» chiese amaramente Yeratel. «In ogni caso non uscirò più da
questa prigionia.»
Amy
esitò.
«Non
perdere la speranza» mormorò.
«Quali
sono le vostre intenzioni, Amy?» indagò con serietà l’angelo. «Cosa
vuole farne di me il tuo professore?»
«Vuole
venderti a degli scienziati» dovette ammettere lei. «Si tratta solo di
ottenere il prezzo più alto possibile contrattando con loro.»
«E
loro cosa faranno?»
«Analisi,
immagino. Test … » Osservando lo sguardo schiettamente realista di
Yeratel, Amy sospirò. «Probabilmente finiranno con l’ucciderti, alla
fine.»
L’angelo
annuì quasi distrattamente mentre Amy posava sul pavimento il
disinfettante e tornava a rivolgersi verso di lui.
«Posso
aiutarti» disse.
«Non
voglio farti correre dei rischi.»
«Non
essere sciocco. Dovrei solo rubare le chiavi della gabbia al professor
Stockman.»
«E
poi? Non ho più le ali, Amy. Non posso fuggire.»
Lei
socchiuse gli occhi lucidi.
«Mi
dispiace» sussurrò. «È anche colpa mia.»
«No.
Sei un Angelologa, hai fatto il tuo lavoro.»
«Se
è questo che significa essere Angelologa, non voglio più farlo. Ti ho
procurato così tanto dolore … e per cosa? Potrai mai perdonarmi,
Yeratel?»
«L’ho
già fatto» replicò lui.
Questa
volta, quando percepì le dita dell’angelo avvicinarle la testa alla
sua, non oppose resistenza.
~ Settimo
Giorno ~
Le
poche parole vergate accuratamente da Stockman sul diario dove avevano
registrato i progressi dei test lasciarono Amy senza fiato.
Venduto per
cinque milioni e mezzo a Mrs Jane Cavendish.
Ritiro
previsto per le dieci di questa sera.
Prego
non mancare.
W.
R. Stockman
I
suoi occhi corsero al grande orologio a parete. Era quasi mezzogiorno.
Si
voltò lentamente verso Yeratel, che la osservava in silenzio. Non ebbe
bisogno di parlare perché Amy capisse che sapeva.
Rimasero
in silenzio per un po’, guardandosi, quindi Amy strinse gli occhi, la
rabbia che montava.
«Non
permetterò che accada» disse in un ringhio. «Deve esserci qualcosa che
posso fare.»
Yeratel
non replicò.
E
allora si limitarono a stringersi le mani attraverso le sbarre e a
implorare “non dimenticarmi”.
La
sera giunse troppo presto.
Quando
Stockman entrò nel laboratorio insieme a Mrs Cavendish –una donna
bionda sulla trentina, dal cui aspetto e portamento si potevano intuire
le origini nobili, radicate nella storia ereditaria dell’Angelologia-
fu sorpreso di trovarvi Amy, leggermente scarmigliata e stanca.
«Professore,
dobbiamo parlare prima di … » cominciò la ragazza in tono implorante,
facendo un passo avanti, ma Stockman ignorò completamente le sue parole.
«Mrs
Cavendish, posso presentarle Miss Amanda Coleman, la mia apprendista e
assistente? Mi ha fornito un aiuto insostituibile nel domare la
creatura.»
La
donna le concesse un’occhiata e una rapida stretta di mano.
«Coleman
come Ophelia Coleman, giusto?»
Prima
ancora che Amy potesse rispondere, o anche solo sussultare nel sentire
il nome della madre, la donna si era già lasciata distrarre da Yeratel.
«Oh,
mio Dio. È veramente un esemplare magnifico» invocò, avvicinandosi con
cautela.
«Professor
Stockman» insistette Amy, mettendogli una mano sul braccio e parlando
sottovoce perché la Cavendish non la udisse. «La prego, mi ascolti. Non
possiamo venderlo.»
«Che
sciocchezze vai blaterando, ragazza?» sbottò Stockman, guardandola
storto. Senza lasciarle il tempo di replicare, si affrettò a
raggiungere la donna.
«È
un maschio, appartiene alla schiera delle Dominazioni. Non sono
riuscito a farmi rivelare il suo nome, purtroppo –ma sono certo che,
con l’esperienza della sua famiglia, lei ci riuscirà senza problemi»
illustrò ossequioso l’anziano.
«È
un peccato per le ali» commentò la donna.
«Abbiamo
dovuto strappargliele per essere certi di impedire una fuga» spiegò
Stockman.
Rabbrividendo
per l’uso di quel plurale, Amy incrociò lo sguardo di Yeratel e si
morse un labbro.
Che
fare?
Le
sembrava di stare impazzendo mentre Stockman e Jane Cavendish
discutevano degli strumenti di tortura più adatti ai loro scopi con
perfetta naturalezza.
E
poi, la porta cadde.
Emise
un suono tremendo, di metallo contro metallo, e tutti loro
sobbalzarono, voltandosi verso l’ingresso.
Una
figura alta, pallida ed eterea si stagliava nel buio, leggermente
luminosa. Aveva lunghi capelli chiari e lineamenti evanescenti e
morbidi, chiaramente femminili. Ma l’elemento più impressionante erano
senza dubbio le ali, bianche e piumate, distese, splendide come lo
erano state quelle di Yeratel prima della mutilazione.
Stockman
e Jane Cavendish ansimarono in contemporanea. Amy tacque, gli occhi
sbarrati.
Yeratel,
invece, sorrise.
«Reiyel»
mormorò.
Il
nome bastò ad Amy, che aveva passato ore e ore a mandare a memoria
elenchi di gerarchie, per identificare l’angelo: apparteneva alla
schiera delle Dominazioni, come Yeratel, il suo nome significava “Dio
pronto a soccorrere” e il dono di cui era portatrice –che per Yeratel
era la Civiltà- era la Liberazione.
Non
stupiva perciò che fosse proprio lei a giungere in aiuto di Yeratel.
Le
sue fattezze meravigliose furono fonte d’inganno: nel giro di pochi
secondi, Reiyel aveva estratto dal nulla una spada fiammeggiante e
aveva colpito il professor Stockman.
Fu
con un moto violento di nausea che Amy vide la testa del suo vecchio
insegnante rotolare per un po’ e poi fermarsi. Si premette una mano
sulla bocca con orrore, mentre Jane Cavendish subiva lo stesso
trattamento.
E
capì immediatamente che sarebbe toccato anche a lei. Indietreggiò
istintivamente, pur consapevole dell’inutilità di quella mossa.
Vide
Reiyel sollevare la spada e chiuse gli occhi.
«No!»
urlò Yeratel, dietro di lei.
Amy
si azzardò a socchiudere le palpebre. L’angelo si era bloccato con
l’arma sollevata e fissava il compagno.
«Non
farlo» insistette questi. «Lei mi ha aiutato. Non ucciderla, Reiyel.»
Lei
inclinò la testa mentre Yeratel aggiungeva qualcosa in una lingua
sconosciuta dal suono melodioso e intenso, simile ad una canzone.
«Ma
è una loro complice» obiettò Reiyel in tono oltraggiato, la sua voce
che risuonava come un tintinnio di campanelle nel silenzio del
laboratorio.
«Lei
non c’entra» disse fermamente Yeratel.
Reiyel
abbassò lentamente la spada, quindi la rialzò bruscamente. Amy spalancò
gli occhi –ma l’arma non colpì lei, bensì le sbarre della gabbia, che
vennero tranciate di netto.
Yeratel,
finalmente, uscì, infermo sulle gambe, privo del consueto bilanciamento
delle ali sulla schiena.
«Cosa
ti hanno fatto?» gemette Reiyel, inorridita, nell’accorgersene.
«Volevano
sapere ciò che non è dato loro di sapere» tagliò corto Yeratel. «Non è
così che fanno sempre gli umani?»
«A
questo proposito … Yeratel. Ho ricevuto il preciso e insindacabile
ordine di uccidere chiunque avesse avuto a che fare con questa storia.
Il che comprende anche questa umana.»
«No.
Non posso permetterti di farlo.»
«Ma
perché? Cos’ha di speciale?»
«È
un’anima pura.»
«Yeratel,
tu non capisci. L’ordine arriva dall’alto. Non posso fare altrimenti,
lo capisci?»
Solo
allora Yeratel parve afferrare la situazione nel suo complesso. Sgranò
gli occhi, atterrito.
«Oh,
no. No … »
«Mi
dispiace, ma sai cosa significa. Non c’è possibilità di scelta.
Ribellarsi … »
Yeratel
interruppe Reiyel con un cenno secco della mano.
«Per
favore, lasciaci soli» la pregò.
Lei
annuì, guardandolo intensamente ancora una volta prima di uscire
rispettosamente.
Amy
osservò con attenzione i gesti di Yeratel, che si passò una mano sugli
occhi con un sentimento che lei non riuscì a decifrare, simile
all’angoscia.
«Amy»
disse poi lentamente, «Hai capito?»
Lei
scosse piano la testa.
«Ciò
che Reiyel è venuta a fare … l’ordine che ha ricevuto … proveniva dalla
gerarchia più alta. Capita molto di rado che Egli in persona arrivi a
dare direttive … »
«Non
puoi disobbedire?» lo interruppe Amy, iniziando a sentire la paura
farsi strada in lei, bloccandole il respiro e spronando i suoi muscoli
tesi a fuggire.
«Il
fatto è che … Amy, disobbedire ad un ordine diretto come questo
significa cadere.»
Lei
ricordò in un lampo il vero significato di angelo caduto, e capì il
dilemma che si parava di fronte a Yeratel.
«Non
hai scelta» mormorò.
«Io
… sì, ho una scelta. Posso scegliere. Egli ci ha dato il libero
arbitrio proprio per questo.»
«Ma
hai già deciso» insistette Amy.
Yeratel
confermò con un cenno del capo.
«Sì»
ammise. «Ho scelto. E … Amy, piccola umana, vorrei che fosse andata
diversamente.»
La
ragazza sentì improvvisamente il languore che provava nel trovarsi
vicino all’angelo svanire, sostituito da quel senso di autodifesa che
era profondamente insito in ogni essere vivente.
Fuggì.
Non
lo decise neanche razionalmente: le sue gambe si misero in moto da sole
e cercarono di farle raggiungere la porta, in un tentativo tanto
sciocco quanto disperato, e naturalmente vano.
Trovò
Reiyel sul suo cammino. Anche lei aveva un’espressione dispiaciuta in
volto, ma le sbarrava la strada inesorabilmente con le grandi ali
bianche che ora parevano portatrici non di liberazione, bensì di morte.
Amy
si voltò di scatto: Yeratel era dietro di lei. Le sfuggì un singhiozzo
atterrito.
«Ti
prego» sussurrò, ma sapeva con l’atroce certezza del condannato che per
lei era infine giunto l’epilogo.
Vide
distintamente una lacrima trasparente e perfetta, una sola, scivolare
dall’occhio ceruleo dell’angelo e rotolare sulla sua guancia color
dell’avorio.
Il
suo sguardo si perse in quella goccia, e il colore aranciato della
spada fiammeggiante in essa riflesso fu l’ultima cosa che le fu dato di
vedere.
Mi
mancherà il mare
Mi
mancherà la neve
Mi
mancheranno le api
Mi
mancano le cose che crescono
Mi
mancheranno gli alberi
Mi
mancherà il sole
Mi
mancano gli animali
Mi
mancherai tu