Note: Quando mi sono messa al computer non avevo alcuna idea su cosa avrei scritto, anzi, nelle mie intenzioni avrei dovuto aggiornare un’altra fic. Questa fic mi è venuta di getto, si è scritta da sola praticamente. È ambientata nella puntata 3x16, "Memoria da elefante", in cui Reid si identifica con il ragazzo che stanno cercando e rischia la vita per trarlo in salvo. Ho sempre adorato il modo discreto con cui Morgan controlla e cerca di proteggere Reid. È sempre li, pronto a difenderlo. Anche quella volta cerca di farlo ragionarlo, di stargli vicino nonostante non fosse facile. Ho descritto semplicemente quello che avrei voluto vedere in quella puntata ^^ Spero quindi che il risultato sia decente e che sia riuscita a mantenere i personaggi IC ^^’’’’
Dediche: Dedico questa fic ad Akane che oltre ad essere la mia sensei è anche la mia gemella mentale ^^ Sono contenta che ‘Fragile’ ti sia piaciuta e che sia riuscita a rispettare le nostre idee su questa coppia. Spero che ti piaccia anche questa fic ^o^ Allora ci conto per la fic che mi hai promesso, eh! ^O^

Anger



Morgan chiuse lo sportellino del cellulare con un gesto secco. Reid aveva esagerato, aveva di proposito istillato il senso di colpa nei poliziotti per non aver saputo prevenire quella carneficina, ed Hotch lo aveva allontanato, inviandolo ad aiutarlo. A lui invece aveva ordinato di tenerlo d’occhio ed impedirgli di compiere qualche stupidaggine. Quella storia non gli piaceva affatto, pensò Morgan mentre si lasciava cadere di peso sulla sponda del letto: Reid si era fatto coinvolgere troppo da quel caso, si era immedesimato con l’SI che stavano cercando e questo avrebbe procurato a lui ed a loro solo dei guai. Eppure riflettendoci non poteva essere altrimenti. Era un ragazzino prodigio, quando i suoi coetanei frequentavano le scuole medie lui affrontava già il liceo, non era mai stato sulla loro lunghezza d’onda, era semplicemente impossibile. Non doveva essere benvisto dagli altri studenti. Non solo rientrava nella appieno categoria dei secchioni, quella maggiormente disprezzata e sbeffeggiata, ma era anche una ragazzo del tutto fuori dalla norma. Conoscendo la mentalità egoista e superficiale degli adolescenti americani, sapeva che doveva essere stato vittima di scherzi brutali e vessazioni di ogni tipo. La scuola doveva essere stata un vero inferno per lui, proprio come per il ragazzo che stavano cercando.
Era stato inevitabile, quindi, che Reid si fosse schierato dalla sua parte, che lo vedesse come una vittima che stava provando a ribellarsi a tutte le prevaricazioni di cui era stato vittima, e non come un carnefice. Forse quel ragazzo rappresentava anche il desiderio represso dello stesso Reid di farsi giustizia di quanti lo avevano tormentato ingiustamente a causa di quella sua mente fuori dal comune, che lo rendeva quasi un alieno agli occhi degli altri.
Sospirò puntando i gomiti sulle cosce, poggiando le labbra ed il mento contro le mani intrecciate davanti al volto.
Era come se Reid avesse stretto un legame empatico con quel ragazzo, perché aveva provato sulla sua stessa pelle tutto quello che l’altro aveva subito, ed anche di più. Sapeva cosa si provava a venire perseguitati per la sola colpa di essere diversi dalla massa, perché non si era belli e ricchi, perché si preferivano i libri al pallone da football o ai pon pon da cheerleader. Perché la propria mente era sintonizzata su altre frequenze e si guardava al mondo da un’ottica diversa, molto più profonda e particolare.
Sapeva che in quel momento il suo piccolo genio stava provando una rabbia difficile da gestire, che stava guidando le sue azioni. Rabbia verso il sistema stesso che invece di agire e difendere coloro che erano più in difficoltà, girava il volto dall’altro lato e puntava il proprio sguardo indifferente altrove. E, per questo, si era scagliato contro i poliziotti, i rappresentanti più immediati di quel sistema, che dovrebbero vigilare e prevenire, e che spesso erano totalmente impossibilitati ad agire.
Era in momenti come quello che si rendeva conto della presenza di una zona d’ombra dentro Reid, una zona che racchiudeva tutto il suo tormento, la sua rabbia, la sua frustrazione ed il suo odio, una zona nascosta agli sguardi dei più, una zona che teneva accuratamente chiusa, ma in particolari occasioni la serratura si sbrecciava consentendo il passaggio di alcuni vapori venefici che lo intossicavano. In quei momenti il ragazzino ingenuo e candido che conosceva, lasciava il posto ad un uomo anziano, navigato ed avvelenato dalle esperienze negative che avevano costellato la sua vita. Sembrava completamente consumato dal rancore. Morgan aveva paura di quel lato di Reid, perché temeva che non sarebbe mai più riuscito a tornare indietro, che non avrebbe mai più visto quei grandi, innocenti occhi azzurri aprirsi alla vista del mondo.
Era in momenti come quello che arrivava a maledire Gideon e la sua fuga. Certo, capiva che se non ci fossero state serie ragioni di fondo non avrebbe mai lasciato la squadra ed il lavoro che tanto amava, ma sapeva anche che partendo in quel modo improvviso senza avvisare nessuno, aveva lasciato un vuoto destabilizzante dentro Reid. Gideon era l’unico di cui si fidasse veramente, l’unico a cui aveva concesso di avvicinarsi davvero a lui, ed ora che era andato via era stato come se gli avessero strappato uno dei perni attorno ai quali ruotava la sua vita. Perché Gideon era l’unico che riuscisse a farlo aprire, a penetrare un po’ più a fondo nei meandri di quell’anima tormentata, e bastava una semplice chiacchierata tra loro perché ogni tassello andasse al posto giusto.
Per quanto si sforzasse Morgan non sarebbe mai stato capace di fare altrettanto, di sostituire quella figura quasi paterna. Lui era l’amico che lo faceva ridere e rilassare, che portava a galla la sua natura di ventiquattrenne. Ma non sarebbe mai riuscito a scacciare completamente le ombre che schiacciavano il suo animo troppo delicato.
Aveva cercato di essergli vicino il più possibile, ma Reid era così complesso che spesso faticava a capire subito quale fosse la cosa giusta da fare. Anche in quel momento…
Cosa avrebbe dovuto fare per farlo sentire meglio? Per aiutarlo a contenere la rabbia ed a non fargli commettere qualche gesto irreparabile? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere Reid. L’amore che gli portava era tale da indurlo a mettere in secondo piano se stesso pur di rivedere quel sorriso ingenuo ed un po’ saccente che gli sfiorava le labbra.
Guardò i muscoli dei suoi bicipiti gonfi, sodi e perfettamente delineati per qualche istante. Forse non sarebbe stato male mettere a disposizione di Reid la propria esperienza. Erano fatti di cui non gli piaceva parlare, ma se questo avrebbe aiutato Reid allora si sarebbe aperto volentieri.
Presa la sua decisione Morgan batté forte le mani sulle ginocchia e si rimise in piedi: non avrebbe mai lasciato che il rancore gli portasse via il suo piccolo, saccente genio.

L’arrivo di Reid fu annunciato dallo sbattere violento della porta d’ingresso. Morgan considerò che doveva essere davvero furioso: era sempre stato una persona molto delicata nel compiere movimenti, che non produceva mai alcun rumore, non volontariamente almeno, e che si muoveva leggero come un sospiro.
Morgan fissò il proprio riflesso nel vetro della finestra: trasse un profondo sospiro ed annuì convinto.
Pochi istanti dopo Reid entrò nella stanza del ragazzo, il volto tirato, la linea delle labbra tesa e dura, lo sguardo nervoso, la fronte profondamente aggrottata.
- Immagino che Hotch ti abbia già avvertito del perché sono qui.- esclamò in tono duro, le mani affondate nelle tasche del pantalone, senza mai guardarlo in faccia.
- Per aiutarmi. – annuì l’altro con noncuranza – Da dove vuoi iniziare?- .
Reid si morse nervosamente il labbro inferiore e fece scorrere uno sguardo veloce per la stanza.
- Dal computer. Magari ci sono dei file che possano interessarci.- spiegò in tono cupo mentre si dirigeva verso la scrivania.
- Va bene. Io sto cercando qualsiasi indizio utile nella libreria.- .
Il dottore non replicò, si limitò a sedersi ed ad accendere il computer. Morgan lo osservò a lungo favorito dal fatto che gli dava le spalle. La postura che aveva assunto era rigida, i muscoli della schiena tesi, si muoveva a scatti, meccanicamente.
Chiuso nel suo rabbioso mutismo, Reid iniziò a leggere le e-mail archiviate nel computer. Non erano molte, quel ragazzo era quasi senza amici, l’unico contatto con il mondo esterno sembrava essere la sua fidanzata. Sotto i suoi occhi scorrevano parole su parole che descrivevano sevizie e torture psichiche esercitate con il solo intento di divertirsi, che avrebbe piegato chiunque, ma che quel ragazzo aveva sopportato per non dare ai suoi aguzzini anche la soddisfazione di vederlo crollare. Invocazioni di aiuto urlate nel silenzio di quella stanzetta e rimaste inascoltate, cadute immancabilmente nel vuoto. Parole che tratteggiavano un ragazzo condannato a subire senza mai potersi ribellare, da solo con i propri fantasmi, che alla fine era arrivato al punto di rottura ed era esploso, trascinando tutti in un vortice di cieca ed incontrollata violenza. Un desolante deserto affettivo che gli rammentava il proprio e questo, per contrasto, lo irritava maggiormente. Quel caso stava portando a galla ricordi ed emozioni che aveva creduto persi definitivamente, che aveva creduto di aver dimenticato e che invece erano incarniti dentro la sua mente, pronti a spuntare fuori alla minima occasione per tormentarlo ancora ed ancora, come se il tempo fosse fermo a quei momenti. Uno spruzzo acido gli bruciò la bocca e la gola ad ognuno di quei ricordi.
Quando sarebbe finita davvero?
Provava la sensazione che se avesse salvato quel ragazzo dalla sua squadra avrebbe in qualche modo potuto riscattare entrambi da tutti i maltrattamenti che avevano subito, salvare lui ma soprattutto se stesso. Salvare lui avrebbe in qualche modo compensato, avrebbe potuto ritrovare quell’equilibrio precario che aveva così faticosamente costruito e che strava ricominciando a sgretolarsi.
Morgan, in piedi davanti la libreria con un volume aperto tra le mani, non sopportava più quel silenzio pesante ed opprimente. Lui preferiva il Reid che sparava a raffica le sue statistiche e le sue teorie, quello che lo esasperava perché non riusciva ad esporre le cose più semplici senza fare mille giri di parole, ma che infondo lo inteneriva con la sua profonda innocenza. Il Reid che gli era entrato nella testa e nel sangue, che lo aveva fatto innamorare in un modo che nemmeno riusciva a comprendere, che lo faceva sentire follemente protettivo e per nulla obiettivo.
Chiuse il volume e lo rimise al suo posto, quindi si portò fino alle spalle di Reid, tra il letto e la scrivania.
- Reid!- lo chiamò mentre si sedeva sulla sponda.
Il dottore per alcuni istanti rimase immobile, come se stesse valutando cosa l’altro avrebbe potuto dirgli, poi ruotò la sedia e spostò lo sguardo su di lui. Morgan aveva la schiena inclinata in avanti, le braccia poggiate sulle gambe e le mani intrecciate; lo stava fissando con uno sguardo profondamente preoccupato che lo mise a disagio.
- Quando ho iniziato il liceo non ero come mi vedi adesso – esordì l’agente – Ero basso e mingherlino, arrivavo appena al metro e sessantacinque. Gli altri studenti mi prendevano in giro, mi facevano continuamente degli scherzi, anche molto pesanti. Alla fine mi sono stufato della situazione ed ho iniziato a fare palestra. Sono diventato come mi vedi ora e nessuno ha più avuto il coraggio di importunarmi. – si fermò un attimo per scegliere le parole giuste – Tutti quanti abbiamo avuto problemi a scuola. Lo so che è più facile immedesimarsi con il nostro sospettato che con le vittime, in questo caso, ma dobbiamo rimanere sempre e comunque obiettivi, o ne va della credibilità del nostro lavoro.- .
Reid lo fissò a lungo negli occhi. Quelle iridi azzurre sembrava scavare nelle sue, frugare, alla ricerca di qualcosa che vedeva solo lui. Morgan lo vide stringersi nelle spalle esili, in una postura che assumeva sempre quando era a disagio.
- Ero in biblioteca, stavo cercando un libro in uno scaffale. Mi ha avvicinato un ragazzo e mi ha detto che Alexandra mi stava aspettando dietro la palestra. Alexandra era la ragazza più bella della scuola, tutti le andavamo dietro. Così l’ho seguito.- la voce gli sfumò tra le labbra.
- Non c’era dietro la palestra?- provò ad indovinare Morgan.
Già poteva immaginare la delusione che aveva provato ed un sottile senso di rabbia iniziò a serpeggiargli nelle vene. Ancora, nonostante tutto, non riusciva a capire come ci si potesse divertire a ferire i sentimenti di quelli più deboli e fragili.
- No, lei c’era – gli rispose invece la voce asettica ed incolore del dottore – insieme a metà della scuola. Mi hanno spogliato e legato alla porta, poi hanno iniziato a deridermi, alla fine mi hanno lasciato li, legato, e se ne sono andati. Sono riuscito a liberarmi ma non ho trovato il coraggio di tornare a casa, sono rincasato solo a mezzanotte, era la prima volta che rientravo così tardi, ma mia madre aveva avuto uno dei suoi attacchi quel giorno e non si è resa conto di nulla.- .
Cosa si poteva rispondere ad una simile confessione? C’era anche una sola parola sensata, adeguata da dire? Perché, anche se ci fosse stata, Morgan davvero non era in grado di trovarla! Quanto male gli avevano fatto? Quanto? Quante ferite nascondevano quegli stupendi occhi azzurri?
- Non l’ho mai detto a nessuno, sei il primo a cui ne parlo!- aggiunse la voce di Reid, più bassa e vibrante adesso.
Le iridi di Morgan si dilatarono dalla sorpresa. Si era davvero fidato di lui a tal punto da confidargli un simile segreto, di cui doveva essersi terribilmente vergognato? Si sentì stranamente gratificato, in qualche modo importante. Poi comprese.
Quello era uno di quei momenti in cui il cervello non serviva a nulla, in cui doveva solo lasciar fare all’istinto ed al cuore. Non c’erano altri rimedi per alleviare il bruciore di simili ferite.
Allungò una mano e la strinse gentilmente attorno ad uno dei polsi dell’altro e lo tirò, insieme alla sedia, verso di sé. Reid si ritrovò a pochi centimetri dall’altro, tra le sue gambe aperte. Il contrasto tra la sua pelle lattea e quella scura dell’altro lo ipnotizzò: era come se le due epidermidi si mescolassero creando un connubio semplicemente perfetto, come se l’una fosse il complementare dell’altra. Il calore della mano di Morgan stava bruciando la sua pelle, infiltrandosi sotto, sciogliendo piacevolmente i tessuti, le ossa, le vene.
Con un gesto delicato, Morgan gli scostò la ciocca di capelli che gli ombreggiava il volto, portandola dietro l’orecchio, sfiorando con la punta delle dita la pelle della sua tempia. Quindi poggiò il palmo sulla guancia scarna dell’altra, disegnando piccoli cerchi sulla pelle dello zigomo con il pollice. Reid socchiuse gli occhi godendosi tutto il piacere che gli trasmetteva quel contatto.
- Lo sai che per te ci sono sempre, vero? – e gli sfiorò con un bacio leggero le labbra – Con me puoi parlare di tutto, lo sai?- .
Ed iniziò a cospargergli il volto di tanti piccoli baci. Reid reclinò il capo mugolando appena: non era abituato a ricevere gesti d’affetto, suo padre era andato via prima che riuscisse a capire quello che gli succedeva attorno e sua madre aveva smesso di vezzeggiarlo troppo presto come una bambina stanca del giocattolo nuovo, poi c’era stata la malattia e non c’era stato spazio per nient’altro. Per questo accoglieva quei baci con sorpresa, certo, ma soprattutto con manifesto piacere. Morgan si staccò appena dalla sua pelle ed incontrò l’espressione di Reid, un crampo gli contorse violentemente le viscere: come avrebbe fatto a resistergli se gli si mostrava con un’espressione di simile beato abbandono? Deglutì un paio di volte a vuoto nel tentativo di forzare il nodo che gli aveva stretto la gola e di ritrovare, quindi, un minimo di lucidità.
Peccato che le labbra sottili di Reid a pochi centimetri dalle sue e quel respiro lieve e tiepido che gli scivolava ritmicamente sulla pelle fossero una tentazione abbastanza forte per Morgan da cedergli.
Con un rapido gesto del capo si chinò su di lui, baciandolo. Reid si aggrappò al suo braccio con la mano libera, come se cercasse un appiglio per non cadere. Gli piaceva quando Morgan lo baciava, era un gesto che lo tranquillizzava, che gli faceva sentire immediata e tangibile la propria presenza accanto a lui, che sembrava potergli accarezzare davvero l’anima. Era una sensazione irrazionale che metteva a tacere persino il suo cervello costantemente in moto. Si sentiva come se qualcuno lo strappasse improvvisamente dal suo corpo, lasciandolo a fluttuare nel nulla cosmico.
Reid riemerse lentamente alla realtà quando quelle labbra morbide e calde si allontanarono dalle sue. Sollevò controvoglia le palpebre ritrovandosi immerso nelle iridi nere e dolci di Morgan. Fin da quando era entrato nell’Unità di Analisi Comportamentale l’altro agente gli era sempre stato accanto, aveva sempre cercato di difenderlo, lo aveva sempre trattato come un fratellino minore da proteggere. Si rese conto che era un punto fermo della sua esistenza. Poggiò la fronte contro quella di Morgan e gli sorrise.
- Credo che sia meglio tornare a lavoro!- gli sussurrò l’altro un po’ divertito ed un po’ dispiaciuto sulle labbra.
- Perché?- chiese Reid ancora un po’ intontito.
Morgan ridacchiò prima di rispondergli.
- Perché se continuiamo così finirò per divorarti in un sol boccone – e, per sottolineare meglio quel concetto, gli morse appena il labbro inferiore - e non sarebbe carino se qualcuno entrasse e ci trovasse in una situazione imbarazzante, non credi?- gli spiegò con un tono volutamente malizioso.
Chiazze di un tenue rossore colorarono immediatamente le guance pallide di Reid. Quello del sesso era un argomento che avevano cercato di affrontare in quei mesi che erano insieme, ma non erano mai riusciti a passare dalla teoria alla pratica. Morgan per non sovraccaricarlo di quelle sensazioni che non aveva mai sperimentato in prima persona e che lo avrebbero sicuramente mandato in tilt e spaventato, aveva deciso di procedere un passo alla volta, facendogli scoprire i piaceri della fisicità un po’ per volta. Il lavoro che stava facendo su di lui era talmente buono che Reid in breve tempo aveva iniziato a reagire alla sua presenza, a desideralo al punto di stare male. Purtroppo non riusciva mai a trovare le parole per dirglielo.
Un altro bacio e poi Morgan spinse la sedia su cui era seduto al suo posto, davanti la scrivania.
- Al lavoro cervellone: prima troviamo qualche elemento utile prima chiudiamo questa storia!- lo esortò scoccandogli poi un bacio sulla guancia.
Reid mugugnò sentendo il suo cervello risvegliarsi e rimettersi in moto.

Morgan in piedi sulla pista d’atterraggio, appena illuminato dalle luci di posizione, osservava Reid scendere dalla scaletta dell’aereo. La figura filiforme e gracile appena incurvata, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni ed il suo fedele tascapane a tracolla. Esattamente come quella mattina. Il volto però ora era disteso, rilassato, come se il tormento che si agitava sotto la sottile porcellana dei suoi tratti, si fosse quietato, come se quel fuoco che lo stava divorando si fosse magicamente spento.
Sembrava che ora andava tutto bene!
Serrò la mascella e strinse i pugni contro le costole. Quel giorno lo aveva quasi fatto morire di paura! Ancora non si spiegava come gli fosse venuto in mente di compiere un’azione così stupida! Andare incontro ad un SI quasi privo di controllo senza pistola e scambiare quattro chiacchiere con lui! Per ognuno di quei pochi minuti che Reid si era frapposto tra loro ed il ragazzo, aveva temuto che quello perdesse il controllo e gli sparasse contro. Era stato un miracolo che Hotch si fosse limitato ad avvertirlo, invece di licenziarlo in tronco.
Reid incrociò il suo sguardo e gli sorrise, quel sorriso ingenuo e saccente tipicamente suo. Un sorriso che aveva il potere di far evaporare istantaneamente il malumore di Morgan.
Attese che il ragazzo gli si affiancasse e poi si avviarono insieme verso il parcheggio. Improvvisamente l’agente ricordò un piccolo particolare di quella mattina in ufficio, prima che partissero.
- E se andassimo a vedere quel film che non sei riuscito a guardare ieri sera?- gli propose.
Reid lo fissò perplesso per qualche istante, poi rammentò la bugia che aveva detto loro per nascondere che era tornato ai gruppi di sostegno perché il problema con la sua dipendenza non era ancora del tutto chiuso. Morgan increspò le labbra in una smorfia: quella reazione era la conferma ai suoi sospetti. Una sottile gelosia iniziò a pulsargli dentro: aveva mentito, dov’era stato allora? Ma quello che gli bruciava maggiormente era il fatto che non volesse parlargliene, che volesse tenerlo volontariamente fuori.
- Sono troppo stanco. Dvd a casa tua?- .
Tutte le risposte si sarebbe atteso Morgan, tranne quella. Un’occasione più unica che rara, da non lasciarsi scappare! Sogghignò mentre raggiungeva una delle due auto che metteva loro a disposizione l’ufficio.
- Prendiamo un paio di pizze, allora!- annuì contento.
Era strano che Reid si comportasse in quel modo. Era molto geloso della sua intimità e raramente accettava di dividere le sere in cui tornavano dopo aver risolto un caso con qualcun altro. Preferiva rinchiudersi nel suo appartamento e riflettere su tutti gli avvenimenti accaduti in giornata, osservarli da angolazioni differenti, scomporli e ricomporli fino a quando non li aveva assimilati e compresi. Per non essere un facile bersaglio a causa della sua emotività. Perché quindi aveva cambiato abitudini quella sera? Non che gli dispiacesse, ma detestava quando non riusciva a seguire i cambiamenti che avvenivano in Reid, lo destabilizzavano nell'intimo e nemmeno la sua abilità da profiler riusciva ad aiutarlo a decifrarli.

- I dvd sono nella colonna accanto al televisore. Scegli pure.- disse Morgan mentre chiudeva la porta di casa ed entrava in cucina per appoggiare le pizze sul tavolo.
Quando si volse si ritrovò davanti Reid che lo guardava con un’espressione profondamente imbarazzata ed ansiosa. Lo vide aprire un paio di volte le labbra come per dire qualcosa, ma nessun suono ne fuoriuscì. Allora le richiuse con uno scatto secco e distolse lo sguardo arrabbiato. Morgan rimase in paziente attesa: quello che stava per dirgli doveva essere decisamente importante se per tirarlo fuori stava impiegando tutta quella fatica, e lui aveva tutta l’intenzione di ascoltarlo.
Alla fine di una lunga lotta psicologica con se stesso, Reid riportò lo sguardo su di lui, finalmente fermo e determinato.
- Ieri sera ero ad una seduta del gruppo di sostegno per tossicodipendenti.- confessò alla fine, tutto d’un fiato, come se temesse che se si fosse fermato non sarebbe più riuscito a proseguire.
Si sentì come se si fosse tolto un peso da sopra il cuore: poteva fidarsi di lui, confidargli cose che non avrebbe mai detto a nessuno senza il timore di essere deriso ed allontanato. C'era voluto fucile puntato contro di lui per farglielo capire. Morgan rimase, invece, a guardarlo mentre nella sua mente si riversavano senza un ordine sospetti mai confermati, paure mai sopite.
- Hai ricominciato?- chiese sperando che la voce fosse abbastanza ferma.
- No. Pensavo che fosse una storia chiusa da mesi, invece, ultimamente, il suo richiamo ha ricominciato a farsi sentire.- .
Morgan gli si avvicinò e lo abbracciò, forte, avvertendo tutta la sua fragilità. Le mani sottili di Reid gli artigliarono la stoffa della maglia sulla schiena.
- Come posso aiutarti?- gli chiese all’orecchio.
- Stammi vicino.- un miagolio basso che fece vibrare Morgan fin dentro le viscere.
Lo tenne a lungo così, carezzandogli la schiena con i palmi delle mani e baciandogli il volto di tanto in tanto, almeno fino a quando non fu consapevole che andava meglio. Gli sollevò il viso tenendolo per il mento e lo fissò nei suoi occhi azzurri, che lo fissavano spauriti e liquidi. Il bacio che ne seguì fu carico di una dolcezza e di una tenerezza mai sperimentata, come se Morgan volesse abbracciare anche la sua anima, oltre che il suo corpo.
- Hai scelto un dvd?- gli chiese poi sorridendo, per cambiare argomento.
- Non ne capisco molto di film moderni!- rispose con una smorfia deliziosa.
- Immaginavo! – ridacchiò l’altro – Tu porta le pizze in salotto, al film penso io!- e gli diede un bacio scherzoso sulla punta del naso.
Il film che scelse era una commedia, per nulla impegnativa, ma molto piacevole. Morgan si divertì ad osservare le espressioni che sfrecciavano sul volto di Reid, quando cercava di comprendere le battute che non aveva afferrato. Sembrava un bambino in quei momenti.
Stava per allungarsi a prendere la sua lattina di birra dal tavolinetto, quando avvertì un peso contro la sua spalla. Il suo piccolo genio era crollato. Dormiva con una bella espressione rilassata sul volto. Cercando di fare più piano possibile, spense il televisore e si caricò il ragazzo sulle spalle: il suo letto era abbastanza grande per entrambi.