ALI DI CRISTALLO
Prima parte
La difficoltà
di volare al di sopra degli uomini è evidente in ogni istante
della nostra
esistenza. A volte ci sembra di spiccare il volo… ma poi? Come
si finisce
questo esorbitante viaggio nei cieli della storia? Proprio lì,
nel punto più
alto del nostro percorso, scopriamo di aver volato con ali di
cristallo ormai
talmente incrinato da finire in mille pezzi ad ogni
successivo
battito.
La nostra
storia ebbe inizio quando compii il mio personale tredicesimo anno
di età. Avevo
sempre pensato di essere diverso dagli altri bambini. Il modo
in cui guardavo
gli altri, i miei personali passatempi, lo studio, la
scrittura, la
lettura di saggi storici, mi rendevano normalmente diverso da
tutti gli
altri. Mi permettevano di vivere solo ed esclusivamente ai margini
di una società
fatta di muscoli e forza bruta.
Il Santuario
era una pietra dura scolpita, incastrata in una di quelle
magiche palle
di vetro e acqua vendute nei bazar a turisti disattenti.
Attraverso
quella sfera trasparente potevo intuire i colori macerati dal
tempo, i sapori
di altre ere, tutto in quel luogo, da bambino, mi era
sembrato
incredibilmente mio.
Peccavo di
presunzione, forse, quando osservavo da lontano le fila di
guardie che si
allenavano e di Saint senza armatura che mitizzavano l’era in
cui la terra
era calpestata da giovani guerrieri il cui Cloth brillava più
che i diamanti
puri di una collana preziosa. Io mi sentivo diverso da loro e
facevo di tutto
per dimostrarglielo. Non mi mescolavo alla gente comune, non
partecipavo
alle scorribande notturne nel villaggio di Rodario dove, in gran
segreto, si
scoprivano i piaceri della vita degli uomini adulti.
Ero uno strano
ragazzo che, spesso, si ritrovava ad affondare il proprio
naso nei
polverosi volumi della biblioteca adiacente al Grande Tempio,
oppure nelle
vecchie pergamene delle sale di studio degli storici e politici
di Rodario a
cui avevo libero accesso in quanto Saint senza armatura. Non mi
piaceva
fantasticare su questo o quell’aspetto dell’esistenza, preferivo
vivere che
subire la vita altrui, preferivo studiare le sfaccettature della
realtà e
applicare alla mia realtà gli studi, piuttosto che lacerarmi in
vagheggiamenti
insensati.
Quando
incontrai il mio primo amico era già troppo difficile per me
comprendere la
sua presenza al mio fianco. Non avevo mai pensato di poter
avere altri
compagni a parte gli studiosi con i quali disquisivo
sull’origine
dei Saints, sulla storia degli stessi e sulla legge di Athena.
Sicuramente,
non avevo mai pensato di poter essere avvicinato da un ragazzo
così diverso da
me.
Ammetto che,
come prima cosa, mi aveva colpito la sua stravaganza. Le
guardie
portavano solo corti gonnellini grezzi il cui colore variava dal
bianco al nero
a seconda delle sfumature di polvere e sabbia che vi si erano
depositate
sopra. Egli, invece, indossava, con una certa non chalance un
corto mantello
rosso e una tunica arancio. Non so perché, ma il suo spirito
estroverso
conquistò subito la mia attenzione.
Era nuovo del
Santuario, forse si era allenato ed era divenuto Saint in una
delle scuole
segrete sparse sulle isole del mediterraneo. Anche lui, come me
non aveva un
Cloth.
In realtà
questo era un bene per la maggior parte delle persone. Il fatto
che ancora non
fossero comparsi in Terra Santa Saint in armatura voleva
significare che
la Terra non stava attraversando nessun momento buio e che
la Dea non
sarebbe tornata. Non c’era il rischio immediato di una guerra e,
questo,
permetteva a molti di noi di sospirare di sollievo. Non tutti gli
uomini che si
ritrovano a dover proteggere il mondo con la propria vita
riescono ad
accettare di doversi sacrificare in nome di Athena…
Il Grande
Sacerdote aveva predetto che, ormai, la lunga epoca di
tranquillità
stava per giungere al termine, ma nessuna delle guardie né dei
Saint sperava
di assistere al nuovo ritorno dei difensori del globo.
Agathangelos,
così si chiamava il ragazzo che sorrideva a tutti cercando di
trovare una
chiave di lettura per il nuovo mondo in cui si era ritrovato,
suo malgrado,
immerso, sfoggiava quell’insolito abbigliamento camminando con
il naso al
cielo, meravigliato di tutto e tutti, con una innocenza che mal
si addiceva ad
un giovane di tredici anni cresciuto gomito a gomito con la
realtà del
Santuario.
Proprio in
questo atteggiamento insolito albergava il suo strano fascino:
era un
eccentrico e io non ne avevo mai incontrato uno prima di allora.
Non fui il
primo ad essere disturbato dal suo cicaleccio. Poco distante un
ragazzo alto e
slanciato, dai capelli biondissimi, gli occhi di un azzurro
cielo
spaventoso, si stava allenando da solo, eseguendo esercizi al corpo
libero
piuttosto semplici. Lo conoscevo solo di vista fino a quel momento,
sarebbe stato
poi Agathangelos a presentarci veramente e a farmi scoprire la
profondità di
quel giovane straniero.
Agathangelos,
gli occhi scuri e i ricci lanosi abbondanti che incoronavano
completamente
il suo viso, ridendo si avvicinò al nordico.
“Pensavo che
qui ci fossero solo negretti!! Invece... salve!”
Avevo alzato lo
sguardo dal foglio di carta in cui trascrivevo schemi sulla
struttura del
Santuario tratta dai vecchi libri. Ero seduto sui gradini
dell’arena e la
scena si svolgeva a pochi passi da me.
Il ragazzo
biondo, che poi avrei conosciuto come Nikolaj, aveva fermato la
serie di
flessioni per squadrarlo dal basso, rimanendo fermo a mezzaria, le
braccia tese e
il capo rivolto verso l’alto.
“Cosa vuoi?”
non avevo mai percepito tanta freddezza in vita mia; quel
ragazzo mi fece
pena.
“Sei
scorbutico. Cerco il Grande Sacerdote... mi dici dov’è?”
Il ragazzo
biondo si levò in un attimo, fermandosi in piedi di fronte ad
Agathangelos
mise in evidenza la loro differenza di altezza, si e no il
bruno arrivava
alle sue spalle.
“Credi di
essere qualcuno a cui ha senso dare retta? Potresti essere
qualsiasi
essere vivente con intenzioni maligne nei confronti del nostro
Grande
Sacerdote, perché dovrei indicarti la strada del Grande Tempio
rendendomi così
complice dei tuoi dubbi intenti?”
Agathangelos
aveva piegato la testa di lato e l’aveva guardato meglio: “Ho
chiesto alla
persona sbagliata... ehi tu!”
Si era già
voltato verso di me.
Nikolaj lo
prese per la collottola e gli chiese, sibilando appena le parole:
“Chi sei?”
“Calma! Calma…
” bofonchiò Agathangelos cercando disperatamente di togliersi
di dosso le
mani del ragazzo molto più imponente di lui.
Io intervenni
quasi subito, senza neanche rendermene conto. Per un attimo
avevo lasciato
da parte tutti i miei pericolosi pregiudizi nei confronti
degli abitanti
del Mondo.
“E’ un Saint...
non te ne rendi conto?!” avevo abbandonato le mie carte al
vento leggero
di primavera e mi ero fermato lì, tra di loro, liberando con
decisione
Agathangelos.
Nikolaj fece un
passo indietro e mi scrutò più intensamente. Il suo sguardo
gelido era
vagamente infiammato di rabbia, ma poi si calmò e scrollò le
spalle. “Se
persino uno come te lo difende, vuol dire che si tratta o un
genio... o di
un imbecille che ti procura una forte compassione!”
Fino a quel
momento non avevo mai notato come la gente mi conoscesse meglio
di quanto
pensassi. Per la prima volta avevo percepito l’interesse di
qualcuno verso
la mia persona. Quasi mi dimenticai del nuovo venuto e seguii
con lo sguardo
Nikolaj che si allontanava. Io ero qualcuno per qualcun altro
..
“Ehi...”
uggiolò il bruno a pochi passi da me “... la pianti di sbavare
dietro al
tovarich? Io mi chiamo Agathangelos! Tu?”
Lo osservai,
quel suo aspetto bizzarro e i suoi occhi color ebano prezioso
mi
trasmettevano una forte curiosità. Non riuscivo a non sentirmi legato a
lui, anche solo
come amico; per un attimo desiderai essere meno introverso,
potermi aprire
a lui, trovare in lui un compagno di sventura.
“Meride...”
risposi, continuando a fissarlo “... sono greco”
“Che fortuna!
Anche io!!” mi mise una mano sulla spalla e passò
automaticamente
il suo braccio intorno al mio collo. Mi sentivo in imbarazzo
un po’ incerto
su come reagire a quel contatto “Allora, compagno! Mi guidi
oltre il dedalo
fino al Grande Sacerdote???”
Non saprei
spiegare come accadde, ma Agathangelos si istallò a casa mia.
Aveva abitudini
poco sane, ma mi ci abituai presto. Io avevo diviso con il
mio maestro una
sobria dimora, bassa, colorata di bianco fuori, mentre
dentro era
grigia e tetra. Io e il mio vecchio compagno di vita non avevamo
mai pensato a
rinnovarla. Non aveva senso, per noi che prediligevamo lo
studio, perdere
tempo dietro vezzose ristrutturazioni.
Il mio maestro
mi aveva lasciato da quasi tre mesi e la casa era veramente
vuota, per
questo accettai la presenza di Agathangelos in quelle quattro
mura che aveva
poco senso chiamare “mie”. Il mio compagno si istallò nella
stanza del mio
tutore, mentre io ritornai alle mie vecchie abitudini.
Agathangelos
amava parlare di sé e di ciò che aveva conosciuto nel mondo.
Non ci misi poi
molto a comprendere che le sue conoscenze superficiali
venivano dalla
vita e non dall’applicazione negli studi. Era ignorante, un
po’ rozzo,
molto volgare a volte. Le sue abitudini erano a dir poco
disdicevoli.
Nonostante la
sua età era un grande conoscitore di vini e liquori, amava
sedurre le
donne e non rientrava in casa prima del mattino. Dormiva tutto il
giorno e spesso
si prendeva gioco anche degli ordini che ci venivano
impartiti
dall’alto: arrivava in ritardo alle riunioni tra Saint senza
armatura, la
prima volta che gli fu affidato un incarico importante ebbe il
barbaro
coraggio di non arrivare affatto! Quando il Grande Sacerdote lo ebbe
rimbrottato per
il comportamento disdicevole che tendeva costantemente ad
avere,
Agathangelos mi raccontò l’accaduto ridendo e scherzando, con il suo
solito sorriso
di giocattolo stampato in un volto sbarazzino.
Io tendevo, da
parte mia, ad ascoltare le sue storie senza commentare. Per
me era una
novità avere qualcuno con cui parlare, una persona che mi
presentava
tutti i suoi conoscenti, una persona che, con una certa
disperazione,
tentava di aprire il mio cuore al mondo.
Gli sforzi di
Agathangelos a volte mi spazientivano, altre volte mi
trasmettevano
ondate di profonda tenerezza. Fu grazie a lui se approfondii
la mia amicizia
con Nikolaj, anch’egli Saint senza Cloth, che aveva
dimostrato sin
da subito scarsissimo interesse per il mio amico e
grandissimo
interesse per me e le mie conoscenze.
Spesso
studiavamo insieme, io e Niki, ci intendevamo bene e anche lui era un
grande
appassionato di storia. Entrambi sognavamo di risalire agli albori
del mito,
ripulir le cronache dalla mano umana, e ricostruire l’originale
culto di Athena
puro e intonso, così come era stato voluto dalla dea nei
primi anni in
cui fondò l’immenso e complesso apparato di difesa che era il
Sanctuary.
Erano sogni, ora lo ammetto senza problema.
… e mentre io e
Niki studiavamo, Agathangelos ci girava intorno,
disturbandoci
continuamente.
Tutto questo
durò quasi tre anni.
Il nostro
sedicesimo anno di vita ci colse del tutto impreparati.
Un giorno come
tanti Nikolaj venne da me, pergamene della tredicesima
cronaca alla
mano, chiese in prestito dalla biblioteca del Santuario. Come
fosse riuscito
ad ottenerle per me fu un puro mistero. Spesso avevo chiesto
al vecchio che
si occupava della conservazione della memoria quelle pagine,
ma non aveva
mai voluto farmele neppure vedere. Niki aveva sempre avuto
delle doti
nascoste, una capacità diplomatica senza eguali, nonostante la
sua relativa
giovane età. Sapevo bene che la mia curiosità non sarebbe mai
stata placata
perché mai il mio biondo amico si sarebbe confidato con me
sulla sua
segreta tecnica di seduzione, così mi limitai a gioire di fronte a
quei vecchi
manoscritti. Ero talmente fuori di me che buttai tra di noi una
di quelle frasi
banali, semplici che, con pochissimo stile, si dicono quando
si è tronfi di
gioia:
“Se tu lo
volessi ti bacerei!”
Nikolaj mi
aveva lasciato tra le mani le pergamene consunte, io ero andato a
poggiarle sul
tavolo, facendo spazio tra la miriade di fogli vecchi e
appunti nuovi.
Mi ero seduto di fronte al tesoro senza neanche ringraziarlo,
avevo
cominciato a sfogliare, eccitato, e a leggere qualche brano qui e lì.
Il greco
antico... era un piacere affondar le mani nel passato. Non avevo
cognizione di
ciò che stava accadendo intorno a me.
Il mio amico si
era, infatti, seduto dall’altra parte del tavolo occupato da
me e mi
osservava, in silenzio, ero talmente felice di quell’ulteriore
arricchimento
dei miei appunti che non notai il suo sguardo fino a che non
si fece tanto
insistente da trapassarmi.
Sollevai il
naso dai vecchi fogli. Nikolaj mi guardava con un sorriso tenero
sulle labbra,
uno strano sorriso per un viso sempre teso e serio come il suo
Teneva il capo
poggiato sulla mano destra aperta, il gomito puntellato
contro il
tavolo di legno.
Ci guardammo
per qualche istante poi arrossii, mi sentii fortemente a
disagio. I suoi
denti bianchissimi risaltavano contro il suo volto mentre
pronunciava
parole per me insolite:
“Non ti ho
detto che non lo vorrei…”
Nell’attimo che
mi portò ad aggrondare le sopracciglia, egli mi prese la
mano nella sua
sinistra e si sporse un poco verso di me, senza che io
potessi capire
cosa volesse fare.
Agathangelos
entrò come una furia nella stanza urlando come solo lui sapeva
fare, era
uscito un’ora prima per scendere fino al mercato di Rodario.
“L’ho
trovato!!! Guarda, Meride, ho trovato il colore adatto a me! Che te ne
pare???”
Come se le
nostre mani si fossero date la scossa, Nikolaj si stacco da me e
tornò a
prendere quell’espressione dura e distante sul viso giovane. Tenni
lo sguardo
basso per un attimo, assicurandomi di aver ripreso tutto il mio
autocontrollo,
quindi alzai il capo verso il mio giullare personale che si
pavoneggiava
nel mantello nuovo, la sua folta chioma scura si perdeva sul
verde macchiato
di rosso dell’indumento.
Scaricando la
tensione che avevo inspiegabilmente accumulato pochi istanti
prima, scoppiai
a ridere. Non riuscendo comunque a tenere a freno la lingua,
balbettai tra
le risa: “Sei... sei... orrendo!”
In un attimo fu
al mio fianco, pronto a scombinarmi i capelli, afferrandomi
stretto con il
braccio destro. Essere scompigliato così da lui era nella
norma; lo aveva
sempre fatto, anche davanti a Niki. Eppure quel giorno
Nikolaj si alzò
di scatto, ponendo fine con uno sguardo gelido ai nostri
scherzi
goliardici.
Lo osservammo.
Sembrava
furioso e al tempo stesso triste.
“Ti avevo
portato solo i manoscritti. Cerca di non farli rovinare dalla
scimmia,
altrimenti il vecchio potrebbe prendersela con me. Ora ho da fare,
vedrò di
tornare stasera”
Mi aveva
guardato fisso negli occhi e mi aveva congelato, non mi aveva
neanche dato il
tempo di comprendere ciò che ci aveva unito pochi attimi
prima. Uscì
dalla casa senza aggiungere altro. Io e Agathangelos, ancora
avvinghiati, ci
guardammo senza comprendere.
“Come sempre ha
la luna storta, quello!” sentenziò rabbiosamente il mio
amico, rompendo
il silenzio per primo.
Non sapevo cosa
ribattere. Per un attimo, poco prima, Niki mi era sembrato
così... caldo.
Scimmia,
idiota, stupido... erano solo gli epiteti più gentili che Niki
usava per
indirizzarsi ad Agathangelos. Non riuscii subito a comprendere il
motivo di tanto
astio, ma Nikolaj da quel giorno fu sempre meno propenso a
nascondere la
propria antipatia verso il mio compagno di stanza.
Prima
dell’istante in cui Agathangelos aveva rotto il nostro raccoglimento
spirituale, il
loro rapporto si basava su una reciproca indifferenza,
periodicamente
rotta dai tentativi disperati di Agathangelos di attirare la
sua attenzione;
dopo quell’istante Niki trasformò la propria indifferenza in
aperto scontro.
Quando il mio
compagno di stanza tornava a casa, Nikolaj si allontanava
bruscamente con
una scusa, il più delle volte, poco credibile. A volte mi
sentivo in
imbarazzo di fronte all’antipatia reciproca che i loro occhi
stillavano a
gocce, altre volte... la situazione appariva quasi comica.
Spiritualmente
parlando, mi sentivo molto più affine al biondo Saint freddo
e distaccato,
il nostro modo di intenderci rasentava l’assurdo: a volte
finivamo col
giungere alle stesse conclusioni, dopo un lungo studio su un
passo
difficile, finivamo con il sollevare entrambi il capo dalle carte
nello stesso
istante, mentre le nostre risposte si accavallavano
bizzarramente,
fino ai limiti dell’imbarazzo che ci costringeva a tacere e a
giocare il
vecchio gioco della cortesia dovuta del “parla prima tu!”.
Altre volte
scoprivamo di aver analizzato, da soli, gli stessi paragrafi di
un’antica
cronaca, senza esserci neanche consultati. Se non era empatia la
nostra, non
avrei proprio saputo come chiamarla.
Eppure,
nonostante tutte queste affinità elettive che ci rendevano veramente
compagni,
finivo col preferire le serate scanzonate insieme ad Agathangelos
e, purtroppo,
spesso Nikolaj se ne rendeva conto.
Era più forte
di me.
Quando Niki era
al mio fianco, prima o poi ci trovavamo in una situazione di
stallo, di
imbarazzo, di dispiacere e di incomprensione, con Agathangelos,
liberamente
portato all’istinto, era tutto più semplice e sbrigativo. Le
nostre voci non
si sovrapponevano mai, anzi la sua mi costringeva
costantemente
al silenzio, mentre mi raccontava di questo o quel gesto; gli
unici studi che
coltivavamo insieme erano quelli legati alla lotta libera in
cui c’era ben
poco da capire.
Ogni tanto
tentavo di trasmettergli un po’ di passione per la lettura, gli
regalavo libri,
ma invano. Non sono mai riuscito veramente a farlo
appassionare
alla storia, ne lui ha mai tentato di spingermi in quelle che
io chiamavo
“indecenti scorribande notturne”. I momenti in cui avevo più
difficoltà a
seguirlo era proprio quando decantava le proprie abilità
amatorie,
argomenti che, sinceramente, annullavano il mio interesse
nell’arco di
qualche minuto.
Non capivo come
un Saint potesse dedicarsi con così tanta insistenza ad un
arte così
indecente come l’andare a puttane. Io comprendevo l’amore, il mio
maestro, da
bravo insegnante, me ne aveva parlato fino a farmi comprendere
le
sfaccettature dello stesso. Sapevo, quindi, cosa significasse
corteggiare
una donna per
renderla felice, quanto fosse importante mantenere un
atteggiamento
da cavaliere per farla sentire una vera principessa; mai, fino
a quel momento,
avevo pensato che una donna potesse essere maltrattata fino
al punto da
comperare il suo corpo perché, per me, la figura della Donna
tendeva a
coincidere con quella della Dea.
Agathangelos
non la pensava come me. Non solo disprezzava le donne con le
quali
intratteneva relazioni più o meno profonde, ma le tradiva
costantemente,
quando non usava il denaro per abbindolarle... e non faceva
questo solo con
le donne. Amava i giovani quasi quanto il gentil sesso, se
di amore poteva
trattarsi.
Io, da parte
mia, non amavo ne uomini, ne donne, considerando comunque il
sesso come una
pesante perdita di tempo e l’amore come un’alchimia speciale
di cui ancora
non avevo compreso bene il meccanismo.
Una sera,
tornando da Rodario, Agathangelos portò con se una donna truccata
pesantemente,
bella sì, ma di quella bellezza artificiale che quasi disturba
l’animo
dell’esteta. Avevo passato la giornata a compilare un capitolo
particolarmente
difficile di quelle che, nella mia mente giovane e
sognatrice,
dovevano essere le cronache del Santuario di Athena più complete
in assoluto.
Ero stanco e gli occhi mi si chiudevano da soli.
Entrò nella mia
camera, senza prendere il minimo accorgimento, mi saltò al
collo e urlò
nelle mie orecchie, destandomi di soprassalto.
“Sveglia!”
cincischiò “Io... guarda... una bella donna proprio per te!”
La ragazza,
poteva avere vent’anni, mi guardò, annoiata, o almeno fu questo
quello che
apparve ai miei occhi annebbiati. Osservai solo un attimo
Agathangelos
prima di scrollarmelo di dosso e di urlare ad entrambi di
uscire fuori
dalla mia camera.
Lo spinsi via,
tremando di rabbia, è sempre un rischio svegliare qualcuno
improvvisamente
per delle stupide idiozie. La testa mi girava e gli occhi
avevano
cominciato orrendamente a lacrimare, era la stanchezza e il troppo
leggere e la
depressione che ogni tanto ci aggredisce quando non riusciamo a
capire le
persone alle quali, nostro malgrado, vogliamo bene.
Poggiai le
spalle alla porta per qualche istante, sospirai a fondo,
graffiando
l’uscio di legno con le unghie sporche di inchiostro. Quando ebbi
ritrovata la
calma, riuscii anche a muovermi fino a letto, e vi crollai,
prono, sperando
di riuscire a farmi qualche ora di sonno senza problemi.
La candela sul
tavolo brillava fioca, tremolando; si stava forse per
spegnere. La
cera si era ormai trasformata quasi tutta in una pozza calda e
lucida.
Attraverso i miei pensieri fiochi riuscii a mettere a fuoco uno
delle idee più
indecenti che mi fosse stato dato di pensare fino a quel
momento.
Infilandomi sotto le coperte, lo scacciai quasi subito,
dimenticandolo
fino al giorno dopo.
Agathangelos mi
svegliò con un bacio. Non era affatto uno di quegli
amichevoli
bacetti che si scambiano gli amici, no. Era un bacio di quelli
veri, sulle
labbra, con tanto di violenza fisica annessa. Quando si sollevò,
rimanendo
seduto sul bordo del mio letto, mi osservò seriamente, dall’alto,
mentre io,
ancora incredulo, avevo gli occhi sbarrati e il fiato corto.
“La femmina di
ieri sera era una scusa e un incentivo!” disse, senza
vergogna “Sei
eccitato? Io sì... voglio venire a letto con te!”
Mi mise le mani
addosso, con la sua solita irruenza. Sentii la sua mano
destra
afferrarmi il braccio destro e la sinistra correre a bloccarmi la
mascella;
costringendomi a voltare il capo verso di lui, premette di nuovo
le sue labbra
sulle mie, ma ebbi abbastanza forza da respingerlo con un
pugno.
Volò al di là
del letto, cadde a terra, ma non si arrese. Sollevò uno
sguardo gonfio
di divertimento, sulle sue labbra un sorriso che non pensavo
potesse
appartenergli, sadico e provocante. Si riavviò i capelli scuri che,
nella caduta,
gli avevano coperto la fronte e gli occhi. Fu più veloce di me
tornò a
premermi contro il materasso, ridendo quasi:
“Andiamo... sei
eccitato quanto me! Non puoi dirmi di no... non VUOI dirmi
di no!”
Mi bloccai
tremando. Aveva ragione... il calore che sentivo, quella strana
forma di
eccitazione dovuta all’evento insolito che ci stava legando... il
mio corpo che
agiva indipendentemente da me... quando sentii il tremore
della
rassegnazione nelle mie membra rigide, compresi che qualcosa si era
rotto.
“Meride...”
Ringhiai nel
colore grigiastro della stanza, nel crepuscolo artificiale
delle persiane.
“Meride, io ti
amo...”
Non risposi, ma
mi mossi un poco per staccarmi dalle sue membra accaldate,
mi soffocava,
il mio corpo era ancora scosso da tremori e sentivo il suo
respiro troppo
vicino al mio.
“Non sto
scherzando...”
La prima parola
che mi venne in mente fu “ipocrisia” e poi, subito dopo,
“immaturità”.
Due termini che ben si addicevano alla sua persona.