Note: Ma quanto mi erano mancati questi tesori!!! Finalmente sono riuscita a
tornare con questa fic che è una mia personalissima rivisitazione della puntata
1x05, “Lancillotto”. In questa fic Artù scopre la gelosia (vi lascio indovinare
il nome della pietra dello scandalo ^^’’): dato il caratterino che si ritrova,
lo immagino come uno che carica a testa basta senza nemmeno chiedere prima cos’è
accaduto veramente, un tipo che perde subito la calma e da in escandescenza.
Vedo Artù come un tipo molto possessivo. Ma almeno si sa fare perdonare (oppure
è Merlino che è troppo buono?) -.- Solitamente non lo faccio perché non sono
molto esperta di musica (il mio mp3 è un’accozzaglia di generi che non c’entrano
nulla l’uno con l’altro) ma mentre rileggevo questa fic stavo ascoltando ‘Carry’
degli Europe e devo dire che ci stava decisamente bene, quindi, se potete, vi
consiglio di leggerla ascoltando questa canzone.
Ringraziamenti: Ringrazio
Antote sono contenta che ti sia piaciuta ‘Cacciatore e preda’, spero ti
piaccia anche questa \^o^/ Suicidal_Love addirittura? Ti ringrazio!
Comunque sono contenta che la fic abbia rispettato le premesse ^o^ Arwen
Woodbane Sono arrossita ^//^ Ho già iniziato a progettare la parte in cui
Artù scopre i poteri di Merlino, ma ci vorrà ancora un po’ prima di poterla
postare ^^’’’ Steffa Grazie mille, ho sempre il terrore di scadere nel
volgare -.- Mentre scrivevo ho immaginato Artù nelle vesti di un ragno che
tesseva una ragnatela ^^’’’ Purtroppo, non si sa perché, Merlino soffre di
questo complesso d’inferiorità senza rendersi conto di quanto sia carino *.* ma
forse è anche questo che fa parte del suo fascino, no? -_^ Grinpow Grazie
mille anche a te e spero che questa fic ti piaccia
Harderbetterfasterstronger Anch’io mi sono innamorata delle tue fic e
spero di poterne leggere presto tantissime ^O^ Per la lemon… Non uccidermi per
favore!!!!!
Ringrazio Chocholate-Starfish, DarkRose86,
Giukysan, Grinpow, Harderbetterfasterstronger,
HPalessandra, Millannia Angel, Rosalie_ e Steffa che
hanno inserito ‘Cacciatore e Preda’ tra i loro preferito e tutti coloro che
hanno anche solo letto ( me tanto, tanto commossa *^*). Ringrazio tutti coloro
che leggeranno e commenteranno.
Ok, adesso la smetto e vi lascio alla
lettura. Alla prossima gente -_^
Completamente mio!
Quella
mattina Artù si svegliò bizzarramente contento,
un lieve sorriso a sfiorargli le labbra. Non gli capitava mai di
sentirsi in quel modo inusuale, odiava svegliarsi presto e solitamente
brontolava a lungo rifiutandosi di lasciare il dolce tepore delle
coperte, arrivando anche a nascondere la testa sotto il cuscino, come
un bambino capriccioso, per sfuggire alla luce del sole che invadeva la
sua camera. Merlino doveva faticare non poco per costringerlo ad
alzarsi ed a vestirsi.
Ma
quella mattina c’era qualcosa di particolare che aveva
infiammato il suo corpo e concentrato su di sé la sua
attenzione. Era la sensazione di avere qualcun’altro nel
proprio letto, di un corpo raggomitolato contro il proprio fianco, di
capelli morbidi che gli solleticavano il mento, di mani sottili e calde
abbandonate mollemente sul suo addome.
Ancora
ad occhi chiusi ascoltò a lungo il suono ritmico di un
respiro profondo e regolare, tranquillo come quello di un bambino, che
si miscelava perfettamente al suo. Era un suono che aveva scoperto di
adorare! Una melodia dolce e familiare che riempiva piacevolmente il
gelido silenzio di quella stanza, scivolando in ogni angolo, scacciando
la solitudine ed il dolore.
La
testa poggiata contro la sua spalla si mosse appena, strofinando la
guancia contro la sua pelle. Il sorriso sulle labbra di Artù
si ampliò. Era una sensazione di folle esultanza quella che
gli impregnava il corpo in quel momento! Sollevò la mano che
fino a quel momento aveva stretto possessivamente il fianco di Merlino,
e la sollevò iniziando ad accarezzargli la schiena, premendo
appena con la punta delle dita, sentendo le ossa sotto il leggero
strato di pelle, disegnando ampi archi su quel dorso stretto e fragile.
Una forte sensazione di tenerezza iniziò a pulsargli nel
petto davanti la fragilità di quel corpo. Istintivamente il
suo valletto, ancora addormentato, si strinse maggiormente a lui,
spingendo il volto contro il suo collo, soffiandogli il respiro
direttamente sulla pelle.
Artù
avvertì distintamente il desiderio iniziare a serpeggiargli
nelle vene, ma non voleva svegliarlo, non ancora: desiderava, invece,
riempirsi la mente ed il cuore dell’immagine di quel visetto
abbandonato all’oblio del sonno. Socchiuse le palpebre e la
prima cosa che vide fu una matassa di corti capelli neri aggrovigliati
disordinatamente, più sotto spuntava la linea bianca e nuda
della spalla appuntita a cui era attaccato un braccio sottile ed
ossuto. Sollevò la testa dal cuscino quel tanto che gli
permettesse di scorgere la linea dei fianchi e quella delle gambe
lunghe e snelle, che il lenzuolo leggero copriva e disegnava
impietosamente.
Riportò
la testa sul guanciale sospirando di desiderio. Non aveva mai permesso
a nessuna delle sue amanti di restare nel proprio letto fino alla
mattina successiva. Appena soddisfatti i suoi bisogni la dama di turno
perdeva tutta la sua attrattiva, diventando quasi un fastidio di cui
liberarsi istantaneamente, che metteva alla porta senza tanti
complimenti; il mattino successivo nemmeno la notava più,
preferendo dedicarsi ad altre conquiste.
Con
Merlino invece aveva provato quasi del dolore fisico al pensiero di
separarsi da lui, di vederlo lasciare quel letto, tra le cui lenzuola
si erano rigirati fino a poco prima. Aveva odiato profondamente il
pensiero di rimanere da solo in quel letto impregnato del suo odore, in
quella stanza immersa nel buio sui cui muri strisciavano ancora i
gemiti ed i sospiri del suo valletto.
Per
questo, quando era crollato sfinito sul materasso, non lo aveva scosso
ordinandogli seccato di andarsene, ma, anzi, lo aveva raccolto tra le
braccia e se l’era stretto contro, facendogli poggiare la
testa sulla propria spalla. Subito Merlino gli si era rannicchiato
contro, stringendolo mollemente con le braccia magre e sospirando di
piacere. Artù si era ritrovato avvolto in un caldo bozzolo
impregnato di quel misterioso odore di erbe che sembrava emanare
direttamente dal velluto di quella pelle.
A
nessuna delle sue amanti aveva mai concesso di toccarlo in quel modo,
soprattutto dopo i loro amplessi, ma con quel valletto così
fragile era venuto tutto naturalmente, istintivamente, come se ormai
facesse parte di una routine ormai collaudata tra loro.
E
gli era piaciuto sentirselo contro, pelle contro pelle, in un abbraccio
che non aveva nulla di erotico. Per uno come lui poco avvezzo
all’affetto, cresciuto senza madre e con un padre che
considerava il massimo dell’affetto quelle rapide pacche
sulle spalle che gli elargiva di tanto in tanto, un abbraccio era un
gesto intimo quasi come il fare l’amore, che gli accendeva
strane emozioni dentro, complicate e dense che ancora non aveva
compreso pienamente.
Artù
si guardò intorno curioso, come se vedesse quella stanza per
la prima volta. Considerava la camera da letto come la propria tana, un
luogo in cui rifugiarsi alla fine della giornata, in cui potersi
finalmente liberare della maschera che indossava quotidianamente e
riprendere a respirare normalmente, senza quel peso che gli gravava sul
petto. Era un luogo inaccessibile quello, quasi un tempio alla sua
persona, in cui i servi dovevano sostare solo lo stretto necessario per
svolgere le loro mansioni, e le sue amanti solo quello necessario a
soddisfare la propria libidine. Eppure fin dalla prima volta che aveva
visto quel ragazzo ossuto dai grandi occhi azzurri affaccendarsi nella
sua camera da letto, aveva sentito la sensazione che non fosse un qualcosa
in più, un elemento estraneo, di disturbo, ma che
fosse parte integrante dell’ambiente, che si amalgamasse alla
perfezione con l’interno, una presenza gradita e familiare
come se avesse sempre vissuto tra quei mobili.
Aveva
immediatamente sentito Merlino come una parte integrante di
sé, una sensazione che non aveva mai provato prima
d’allora e che, nel fondo della sua anima, sapeva che non
l’avrebbe abbandonato mai.
Sembrava
tutto così diverso ora che l’aveva divisa con
Merlino. Aveva sempre vissuto in un silenzio gelido ed astioso, che
sembrava rivestire ogni cosa e congelarlo fin dentro le ossa; per la
prima volta quel silenzio che lo avvolgeva non gli sembrava
più ostile, ma intimo e morbido. Sorrise divertito davanti
tutte quelle emozioni nuove e sconosciute che gli riempivano
l’anima, sconvolgendolo in un modo piacevole e mai
sperimentato prima. Tutto merito di quel servo pasticcione che aveva
avuto il potere di schiudere per lui tutto un modo, che avrebbe
esplorato e cercato di comprendere per tutta la vita. Quel ragazzo
aveva qualcosa si misterioso dentro di sé, qualcosa che
rendeva scialbo ed insignificante tutto ciò che si muoveva
attorno a lui, tutto ciò che cercava di avvicinarsi a lui,
di agguantarlo e farlo suo.
Poggiò
la guancia sulla morbida zazzera nera del suo valletto, stringendo le
braccia attorno alle sue spalle magre ed alla sua vita sottile in un
moto di profondo possesso: Merlino era suo. Solamente suo.
Un
mugolio basso e roco infranse il silenzio in cui erano immersi. Il
principe si scostò sentendo la testa del suo valletto
muoversi contro la sua spalla. Un brivido gli attraversò il
corpo quando le labbra di Merlino stamparono un bacio sulla pelle della
gola. Poi il mago si sollevò sorreggendosi sui gomiti
piantati ai lati del corpo dell’altro; i suoi occhi azzurri,
liquidi di sonno, si fissarono in quelli blu cupo e ben svegli del
principe.
-
Buongiorno.- mugugnò il mago con un tono di voce basso e
roco, dannatamente sensuale.
Artù
rimase a bocca aperta: non aveva mai sentito la sua voce
così, e si addiceva perfettamente a quell’aspetto
felino che stava sfoderando in quel momento! Il desiderio di quel corpo
alabastrino e flessuoso sopra il suo divenne improvvisamene prepotente,
tutto il resto del mondo sfumò rapidamente lasciando come
unica cosa reale i riflessi perlacei della luce su quella pelle lattea.
Nessuna dama di corte era mai riuscita ad infiammargli i sensi in quel
modo, ad instillargli nel ventre quella fame insaziabile, che non
lasciava spazio a nient’altro. Se queste erano le conseguenze
per aver solo assaggiato quelle membra delicate e quella pelle
nivea…
…
si chiese seriamente cosa sarebbe accaduto quando avrebbe goduto veramente
di lui, quando sarebbero finalmente arrivati fino in fondo…
Sarebbe mai più riuscito a resistere alla sua malia?
Sorrise
appena nella penombra e scacciò quei pensieri oziosi: in
quel momento aveva cose migliori a cui dedicarsi.
Sollevò
le mani e le ancorò a quei fianchi acerbi, premendo
così tanto da lasciare dei segni rossi sulla pelle.
-
Buongiorno a te!- rispose Artù facendogli segno di
avvicinarsi.
Poggiando
una mano sul guanciale, al lato della testa del principe, Merlino
chinò il proprio volto su quello dell’altro. Il
giovane Pendragon fu lesto ad annullare ogni distanza tra loro ed a
prendere le labbra dell’altro tra le proprie. Ogni suo senso
iniziò a vibrare entusiasta quando avvertì il
sapore di Merlino mescolarsi al proprio.
Le
sue mani risalirono lungo quella schiena magra e stretta, accarezzando
quanta più pelle possibile, portandole ad intrecciarsi ad
alcune ciocche di capelli neri: adorava sentirli scorrere tra le dita
morbidi e lisci come il più pregiato raso.
Le
mani del mago scivolarono lungo le braccia muscolose e le ampie spalle
del principe, grattando la pelle con le unghie e lasciando lunghi
graffi rossi sulla sua trama brunita. Inebriato dalle sensazioni che
quel bacio gli stava scaricando nel cervello, Merlino spingeva il volto
contro quello dell’altro, cercando di trasmettergli tutta la
passione che sentiva vorticargli nelle vene ed incendiargli il ventre.
-
Accidenti!- esclamò sorpreso ed eccitato Artù
quando dovette allontanarsi da quelle labbra.
Merlino,
come ogni volta, arrossì violentemente e spostò
lo sguardo da quegli occhi blu che ribollivano di desiderio. Per caso i
suoi occhi si posarono sul pezzetto di cielo che si intravedeva dagli
scuri che la sera prima era riuscito solo ad accostare: era di un
azzurro leggermente pallido, il sole doveva essere sorto già
da qualche ora. Improvvisamente ricordò di aver promesso a
Gaius di andare a raccogliere lui le erbe necessarie per i suoi
medicamenti, quella mattina. Artù aveva preso a baciargli il
mento e la mandibola, mentre le mani scorrevano invitanti sulla pelle
dei suoi fianchi.
-
Devo andare…- sospirò per nulla desideroso di
lasciare il tepore di quel corpo che abbracciava completamente il
proprio.
-
Dove?- chiese distrattamente il principe con la bocca piena della sua
pelle.
A
fatica, lottando contro i sospiri che gli salivano fino alle labbra, il
mago gli spiegò del suo lavoro per Gaius.
-
… Dopo…- obbiettò l’altro
affondando il volto nel suo collo per morderne l’epidermide.
Merlino
inarcò la schiena gemendo forte, premendo di conseguenza il
proprio corpo contro quello del principe. Il ricordo dei reciproci
impegni stava velocemente evaporando dalla sua mente annebbiata, tutto
quello che riusciva a comprendere era il desiderio di abbandonarsi
completamente a quelle mani.
Il
giovane mago serrò le palpebre cercando, nel buio della sua
mente, di riannodare i fili della sua ragione che i baci roventi del
principe avevano irrimediabilmente sciolto.
Piantò
le mani bene aperte sul torace di Artù e, facendo leve sulle
braccia, si sciolse dalla piacevole stretta di quelle braccia
muscolose; respirò a fatica ampie boccate d’aria
nel tentativo di schiarirsi la mente. Gli occhi blu del giovane
Pendragon lo fissarono come un mare in tempesta.
-
Sono nelle vostre stesse condizioni – ribatté
Merlino alla muta accusa – ma tra poco arriveranno gli altri
servitori e poi oggi dovrete scegliere i nuovi cavalieri per Camelot!-
parlò a denti stretti cercando di ignorare le mani grandi e
ruvide del suo asino che stavano ridisegnando i suoi glutei.
Con
uno scatto di reni il principe si rigirò sul materasso,
ritrovandosi disteso sul corpo del proprio valletto, che, nonostante i
suoi buoni propositi, gli strinse saldamente le spalle e la vita;
Artù ricambiò l’abbraccio,
stringendoselo delicatamente contro, nascondendo nuovamente il volto
contro il suo collo.
Merlino
non avrebbe mai saputo dire quanto tempo il principe lo tenne in quella
posizione, sapeva soltanto che la poca luce che riusciva ad entrare
nella stanza diventava man mano sempre più forte.
Artù aveva spesso di quelle reazioni così strane
per una persona come lui: spesso, quando ancora i loro sensi
pizzicavano piacevolmente, il giovane principe amava abbandonarsi a
momenti come quello, di cui sembrava nutrirsi avidamente. In momenti
come quello sembrava tanto un bambino cresciuto troppo in fretta, che
aveva ancora paura del buio e cercava la sicurezza in un abbraccio.
Quando si stringeva a lui in quel modo, Merlino sentiva il petto
dolergli, perché era allora che comprendeva quanta
solitudine e quanto dolore, quante speranze disilluse ferocemente,
quanta disperata fragilità ci fossero dietro gli occhi di
ghiaccio del suo principe. Ed era per quelle piccole finestre sul vero
Artù che si stava innamorando di lui, di quel ragazzo in cui
forza e fragilità si mescolavano in una miscela straziante.
Strinse maggiormente la stretta su di lui e poggiò la testa
su quella dell’altro, cercando di fargli sentire la propria
presenza: se poteva fare qualcosa, qualsiasi cosa per lui, allora
l’avrebbe fatta! Si sarebbe lasciato dilaniare se gli fosse
servito!
-
Guastafeste!- borbottò Artù contro il suo collo
prima si sollevarsi da lui.
In
ginocchio tra le sue gambe osservò quel corpo filiforme
ancora per qualche istante, disteso sulla schiena con le braccia aperte
abbandonate sulle coperte e le gambe piegate con i piedi puntati sul
materasso; ridisegnò con lo sguardo ogni pezzetto di quel
corpo che la notte appena trascorsa aveva ricoperto di baci e carezze.
Fissò a lungo quelle labbra rosse di baci, appena schiuse
contro il respiro leggero, e quegli occhi azzurri che lo fissavano
limpidi come polle d’acqua dolce. Un violento crampo di
desiderio gli contorse le viscere a quella vista, e represse a fatica
un gemito contro le labbra serrate.
-
Rivestiti altrimenti non garantirò più le mie
azioni!- lo avvertì con un le labbra piegate in un piccolo
ghigno, divertito e serio insieme.
Merlino
avvampò e, sotto la luce canzonatoria di quello sguardo,
scivolò immediatamente fuori dal letto ed iniziò
a raccattare gli abiti che quell’asino di un principe aveva
gettato dappertutto la sera prima. Artù ridacchiò
perfidamente divertito mentre lo osservava correre mezzo nudo da una
parte all’altra della stanza, lanciandogli lunghe occhiatacce
di rimprovero.
-
Idiota non stai dimenticando qualcosa?- il principe lo
richiamò quando lo vide avvicinarsi alla porta.
-
Cosa?- chiese il mago perplesso.
Artù
gli fece semplicemente di avvicinarsi. Mentre copriva i pochi passi che
lo separavano dal baldacchino su cui il principe era ancora mollemente
sdraiato, Merlino si concesse di guardare quel
corpo bellissimo che si offriva nudo, eccezion fatta per un piccolo
lembo di lenzuolo che gli copriva appena il ventre, al suo sguardo,
come non gli era stato concesso di fare dai suoi sensi in fibrillazione
in quelle volte in cui avevano diviso il letto. L’erede al
trono di Camelot era sdraiato supino tra le lenzuola sfatte ed
aggrovigliate, il cui candore faceva risaltare il color miele di quelle
palle serica che si stendeva, priva di ogni più piccola
imperfezione, su quei muscoli perfettamente allenati e definiti,
compatti e sempre pronti allo scatto, che gli conferivano
un’aura di potenza simile a quella di una belva feroce sul
punto di attaccare la sua preda, le mani grandi e calde abbandonate ai
lati del corpo, che avevano disegnato decine di percorsi immaginari sul
suo corpo; osservò attentamente quel bel volto dai
lineamenti decisi ma eleganti, quegli occhi blu profondi come il mare,
i capelli biondi arruffati e sparsi disordinatamente sul guanciale. Il
ghigno ferino sulle labbra di Artù si ampliò
cogliendo la scintilla di eccitazione che aveva illuminato lo sguardo
del suo valletto, una scintilla molto simile a quella che aveva acceso
lui alla vista di quei movimenti languidi ed inconsapevolmente sensuali.
-
Cosa avrei dimenticato?- chiese ancora Merlino, ormai in piedi accanto
al letto.
Il
principe fu così veloce che il mago comprese quello che era
accaduto solo quando si ritrovò disteso su quel corpo nudo,
una mano di Artù che gli attraversava la schiena e gli
stringeva le spalle e l’altra che gli premeva sulla nuca, la
bocca dell’altro che lavorava sulla sua.
-
Stasera!- gli ordinò il giovane Pendragon fissandolo dritto
negli occhi, le labbra che sfioravano ad ogni lettera quelle del mago.
Merlino
annuì confusamente prima che Artù lo lasciasse
definitivamente andare ai propri doveri.
-
Farò di tutto per aiutarti a realizzare il tuo sogno!-
asserì Merlino mentre fissava deciso le iridi nere di
Lancillotto.
L’aspirante
cavaliere sorrise poco convinto: cosa poteva fare quel giovane servo
per lui?
-
Parlerò con Artù, lo convincerò a
farti provare e quando vedrà la tua bravura non
potrà non accettarti tra i cavalieri di Camelot!- sorrise
entusiasta mentre metteva a punto il suo piano.
-
Tu conosci il principe Artù?- chiese Lancillotto sbalordito.
Merlino
sorrise furbescamente, prima di invitarlo a seguirlo. Gli piaceva
Lancillotto: era schietto ed affabile, gentile e con il sorriso sempre
pronto. Sarebbe stato bello poter fare qualcosa per lui, per ripagarlo
almeno di averlo salvato da quel grifone. Guidando l’amico
attraverso i vicoli ampi e ben curati della città alta e
quelli stretti e malandati della parte bassa, Merlino lo condusse al
campo di addestramento dei cavalieri, appena fuori le mura.
Artù quel giorno avrebbe iniziato la selezione per scegliere
i nuovi cavalieri che avrebbero difeso la città. Appoggiato,
insieme a Lancillotto, alla staccionata che recintava il campo, Merlino
osservò incantato il principe che avanzava altero e glaciale
sul prato. Sotto la luce del sole di metà mattina le maglie
metalliche dell’usbergo scintillavano come argento liquido,
gli stessi riflessi minacciosi la luce riusciva a strapparli anche al
filo della spada che stringeva in pungo, ma niente poteva competere con
lo sfavillio dorato di quei capelli mossi appena dalla lieve brezza che
scivolava sullo spiazzo e con il blu profondo di quegli occhi che
scrutavano severi i candidati. Artù si fermò al
centro del campo, la figura possente ben piantata al suolo, ed
arringò gli uomini schierati ordinatamente davanti a lui, la
sua voce vibrò forte e decisa nell’aria.
-
Difendere Camelot è il più grande onore e
privilegio che vi possa venire accordato e per essere nominati
cavalieri dovrete mostrate la vostra abilità ed il vostro
coraggio affrontando la più letale macchina da guerra
esistente. Me. Se riuscirete a resistere per un giro di clessidra
avrete la vostra nomina.- concluse infilando l’elmo sul capo.
-
Modesto come sempre!- borbottò Merlino sconsolato mentre
sollevava gli occhi al cielo.
Eppure
era stata proprio quell’irritante spavalderia, quella
profonda conoscenza di se stesso e delle proprie capacità ad
attrarre immediatamente la sua attenzione: per uno come lui sempre
insicuro, goffo ed impacciato, quella sfrontatezza aveva un qualcosa di
irresistibile.
Con
un piccolo sorriso divertito sulle labbra, il mago osservò
Artù battere il primo avversario in tre sole mosse. Era a
quel corpo solido che si era aggrappato ferocemente la notte
precedente. Erano quelle spalle che aveva stretto affannosamente. Erano
quelle le braccia muscolose che lo avevano cinto intimamente, senza
lasciargli alcuna via d’uscita. Un crampo di desiderio a quei
pensieri gli contorse il corpo.
Lancillotto,
preoccupato per l’abilità e la forza che stava
mostrando il principe, si volse verso il mago in cerca di sostegno
morale e quello che vide lo paralizzò per la sorpresa: il
volto delicato di Merlino era illuminato da una profonda dolcezza che
ingentiliva maggiormente i suoi tratti, gli occhi osservavano limpidi e
caldi la figura del principe, mentre quelle labbra piene erano stese
nel sorriso più bello che avesse mai visto. Non sapeva
spiegarsi perché ma vederlo in quel modo lo faceva sentire
bene e male insieme.
-
Merlino…- sospirò estasiato da quella visione.
Il
mago, sentendosi chiamare, spostò il suo sguardo su
Lancillotto che continuava a fissarlo con una strana espressione.
-
Tranquillo: Artù non è poi così
terribile come sembra!- ridacchiò divertito credendo che il
pallore sul volto dell’altro fosse dovuto alla paura di dover
affrontare il principe.
L’aspirante
cavaliere si riscosse a quelle parole.
-
Credi che andrà bene?- chiese preferendo continuare con quel
discorso.
-
Andrà benissimo!- annuì il mago battendogli
amichevolmente una mano sulla spalla.
In
quel momento Artù girò la testa nella loro
direzione, i capelli che danzavano elegantemente nel sospiro del vento,
e per un istante i loro sguardi si intrecciarono. Un lampo
illuminò pericolosamente quegli occhi blu e Merlino si
ritrovò a deglutire a vuoto: qualcosa non doveva essere
piaciuto al principe e temeva di doverne pagare lo scotto.
Artù
riportò la propria attenzione sui candidati che attendevano
di affrontarlo, cercando di reprimere l’ondata di furia
gelida che l’aveva scosso quando aveva visto il suo servitore
in compagnia di quello straniero. Con un gesto secco ordinò
al successivo aspirante cavaliere di farsi avanti. Sentiva qualcosa
dibattersi furiosamente dentro di sé, una rabbia sconosciuta
risalirgli dalle viscere al cervello. Si sentiva instabile, preda di
pulsioni che non aveva mai provato prima, così dolorose da
disorientarlo. Provava un violento istinto omicida nei confronti di
quel forestiero che aveva osato avvicinarsi tanto a Merlino. Non
riusciva a distogliere il proprio pensiero dal suo servo, ad
allontanare quelle emozioni negative dalla sua mente e concentrarsi
completamente sullo scontro, e questo lo incattiviva sempre
più. Quel sorriso era solamente suo. Quel corpo, quella
pelle, quegli occhi completamente suoi. Quel valletto idiota che finiva
sempre per cacciarsi nei guai peggiori era unicamente suo. Strinse la
presa sull’elsa della spada fino a farsi sbiancare le nocche,
sollevò la lama fino a portare la guardia
all’altezza del volto e, quando l’attendente
voltò la clessidra dando inizio al duello, la
calò rapidamente incrociando quella del suo avversario.
Duellò ferocemente per sfogare sui candidati tutta la furia
che sentiva vorticargli nel corpo. Gli spettatori si guardarono
l’un l’altro chiedendosi se non fosse il caso di
abbandonare la contesa prima di essere spezzati da quella furia.
Pochi
furono quelli in grado di resistere ai suoi assalti e questo
riuscì solo a peggiorare il suo umore già nero:
come poteva assicurare la difesa di Camelot se nessuno era
all’altezza del compito? Sentiva i polmoni infiammati dallo
sforzo fisico, i muscoli urlare di dolore, la pelle umida di sudore ed
il fiato corto che inghiottiva ripetutamente l’aria viziata
all’interno dell’elmo.
Lanciò
la sua spada ad uno dei servi che incaricati di riordinare le armi
usate, quindi con un gesto furioso si liberò
dell’elmo sospirando di piacere quando avvertì la
brezza rinfrescare la sua pelle bollente ed asciugarne il sudore. Prese
a scandagliare con lo sguardo lo spiazzo ancora affollato alla ricerca
di Merlino: dov’era quando il suo compito era svestirlo delle
armi e trasportarle nell’armeria? Il pensiero che fosse da
qualche altra parte in compagnia dello straniero gli fece ribollire il
sangue nelle vene. Digrignando i denti si diresse verso il castello,
progettando terribili punizioni per quel servitore inutile e
perdigiorno, quando lo scorse, pochi passi avanti a sé, che
chiacchierava allegramente con quello sconosciuto con cui si era
presentato al campo. Stava per farsi avanti quando vide
l’altro uomo abbracciare il suo valletto, che rideva
fragorosamente, per la vita e trascinarlo contro di sé,
chinare la testa e dirgli qualcosa all’orecchio.
Tutto
divenne di colore rosso per Artù, l’intenso
chiacchiericcio ed ogni altro rumore che saturava l’aria in
quel vicolo, venne coperto dal ruggito del sangue nelle orecchie. Non
capiva più niente, sapeva soltanto che doveva portare
Merlino via di la e fargli comprendere una volta e per sempre a chi
appartenesse! Con un paio di rapide falcate raggiunse il suo servitore,
che intanto si era sciolto dalla stretta dell’amico.
-
Merlino!- ruggì alle sue spalle facendolo sussultare.
Il
giovane mago si volse verso il principe, un leggero sorriso entusiasta
ancora a stirargli le labbra, che si spense quando incrociò
l’espressione furibonda del principe. L’ultima
volta che lo aveva visto in quelle condizioni era stato quando Lord
Valiant aveva confutato tutte le sue accuse davanti al re, facendo fare
ad entrambi la figura degli idioti. Deglutì a vuoto: che
aveva fatto quella volta per averlo fatto infuriare in quel modo?
-
Principe!- lo salutò con deferenza chinando appena il capo.
Stava
per presentargli Lancillotto, quando Merlino si sentì
afferrare per un braccio e trascinare via. Il mago arrancava
faticosamente dietro il suo signore che procedeva a passo di marcia, e
per non rischiare di restare indietro e di venire, quindi, trascinato
doveva quasi saltellare accanto a lui. Artù con
un’espressione di gelida furia stampata sul volto gli stava
stritolando il braccio per condurlo al castello attraverso il labirinto
di quei vicoli. Troppo preso dai suoi oscuri pensieri il principe non
lo aveva più guardata né gli aveva rivolto la
parola, impegnato soltanto a condurlo nella sua stanza. Merlino
osservava angosciato il profilo rigido dell’altro,
l’ombra cupa che gli oscurava lo sguardo, chiedendosi cosa
gli fosse accaduto ma non osando domandarglielo direttamente per paura
di non disturbarlo.
Quando
arrivarono davanti la sua camera da letto, Artù spinse
bruscamente dentro il suo valletto, per poi chiudere la porta a chiave
alle loro spalle. Sempre con malagrazia lo trascinò nella
stanza adiacente al centro delle quale c’era già
pronta una tinozza colma d’acqua calda. Il principe
ringraziò mentalmente la solerzia dei suoi servitori,
sviluppata dal carattere particolarmente incline alle punizioni
corporali del padre. Quando furono davanti la tinozza, Artù
cominciò a strappargli gli abiti di dosso, per poi spingerlo
nella tinozza.
-
Ma sire! – provò a protestare appena
sentì l’acqua calda lambirgli le gambe –
Cosa state…?- .
-
Sta zitto!- un sibilo basso e pericoloso che gli fece morire il resto
della frase sulle labbra.
Merlino
si sentì spingere bruscamente giù, fino a sedere
sul fondo. Artù prese un panno ed iniziò a
sfregarlo sulla sua pelle, così forte da lasciarvi impresse
grosse macchie rosse. Voleva ripulire quel corpo, togliere tutto il
sudiciume che quel bastardo aveva lasciato su di esso. Nessuno,
all’infuori di lui stesso, avrebbe mai dovuto avere
l’ardire di toccarlo. Odiava tutti coloro che potevano
avvicinarsi a lui, che potevano guardarlo e parlargli a piacimento; era
arrivato perfino a detestare anche il pensiero di Gaius che divideva la
casa con lui, quando a lui, Artù Pendragon, era concesso
stare con Merlino soltanto nel segreto della notte, lontano da ogni
sguardo. Desiderava rinchiuderlo in un luogo inaccessibile, in modo che
nessun’altro avrebbe mai potuto anche solo guardare
quell’essere perfetto. Nemmeno vedere il biancore di quella
pelle macchiato dagli aloni rossi dei suoi baci riuscì a
calmarlo.
Provava
la fastidiosa, destabilizzante sensazione che Merlino sarebbe potuto
sfuggire dalle sue mani come sabbia da un momento all’altro,
che qualcun altro avrebbe potuto frapporsi tra loro e portarglielo via,
se solo avesse distolto lo sguardo da lui. Il ricordo di
quell’incauto forestiero che abbracciava alle spalle il suo
servitore tornò ad affacciarsi alla sua mente, piantandogli
l’ennesima stilettata nel petto, alla quale reagì
con una nuova esplosione di furia.
Lanciò
lo straccio da qualche parte sul pavimento, poi afferrò
Merlino nuovamente per il braccio, intaccando la delicata perfezione di
quella pelle con nuovi lividi, e lo sollevò di peso
costringendolo ad uscire dalla tinozza. Il giovane mago
provò ancora a protestare, a fermarlo, ma il principe
restava sordo alle sue invocazioni, continuando a sbatacchiarlo.
Tornati nella stanza principale Artù lo
scaraventò sul suo letto. Merlino intimorito da quel
comportamento fissava il suo principe senza sapere cosa fare: non
avrebbe mai usato la magia contro di lui, non avrebbe mai avuto il
coraggio di ferirlo, ma doveva difendersi in qualche modo.
Sollevò lo sguardo incontrando il volto di Artù:
ogni tratto tirato trasmetteva una furia a stento trattenuta.
Con
uno scatto improvviso il principe si avventò su di lui,
inchiodandogli i polsi al materasso, tenendogli le gambe aperte con il
proprio corpo.
-
Cosa hai fatto con lui?- chiese in un basso ringhio.
-
Niente! Io…- provò ad obbiettare Merlino ma venne
bruscamente interrotto.
-
Confessa!- ordinò il principe mordendogli la pelle del collo
fino a sentire scorrere il sangue.
Il
mago si inarcò urlando e scuotendo la testa, dibattendosi
furiosamente perché quel dolore terminasse. Gemette quando
sentì i denti dell’altro scorrere via dalla sua
pelle dilaniata.
-
Come ti toccava?- chiese ancora Artù fissandolo con i suoi
occhi animati da collera gelida.
Merlino
non aveva mai avuto così tanta paura come in quel momento:
dov’era finito il giovane uomo che la notte precedente aveva
accarezzato il suo corpo come se fosse stato di fragile vetro?
Dov’erano andati a nascondersi quegli occhi blu che lo
avevano fissato con una dolcezza struggente?
-
Artù… ti prego… basta…
basta…- gemette la voce strozzata di Merlino.
Ormai
privo di ogni controllo il principe lo voltò prono,
bloccandogli i polsi sopra la testa in un’unica mano.
-
Chissà come ti dimenavi tra le sue braccia!-
commentò crudelmente incurante delle proteste
dell’altro.
L’altra
mano di Artù scivolò verso il basso, portandosi
tra i suoi glutei, che penetrò violentemente senza alcuna
delicatezza. Merlino urlò furiosamente, divincolandosi nel
tentativo di sottrarsi a quel dolore che pareva averlo squarciato a
metà. Premette il volto sul materasso, stringendo forte le
lenzuola tra le dita. All’ennesimo, straziante contorcersi di
quelle dita dentro di lui, invocò il nome di Artù
come se fosse la sua unica ancora per sopravvivere, l’unico
elisir in grado di riportarlo in sé.
E
quell’invocazione disperata, impregnata di profonda
sofferenza, raggiunse finalmente Artù nel limbo di dolore in
cui si era rinchiuso. Ansimando batté più volte
le palpebre come se fosse appena emerso da un incubo, e si rese conto
di quello che stava facendo a quella creatura fragile ed indifesa, che
singhiozzava spaventata sotto di sé. Vide quei polsi
affusolati ancora stretti nella sua presa ferrea, il collo sottile
macchiato da rivoli di sangue, le sue dita ancora piantate dentro di
lui ed il corpo nudo che tremava senza controllo. Piano, cercando di
non procurargli altro dolore, lo liberò dalla sua presa, ma
macchie violacee sparse qua e la restavano a testimonianza della sua
furia ingiustificata.
Merlino
lo rendeva così furioso e protettivo da compromettere la sua
razionalità. Almeno con se stesso poteva ammetterlo: era
stato terrore allo stato puro ad invadergli il corpo, il terrore di
essere abbandonato anche da lui, che anche quella volta i suoi
sentimenti sarebbero stati calpestati e gettati via con la massima
indifferenza, che si sarebbe ritrovato ancora una volta da solo in
quella stanza gelida. Il terrore di non essere più guardato
da quei grandi occhi azzurri, di non sentire più quella voce
sottile pronunciare il suo nome, di non poter più vantare un
posto nel suo cuore. Per la prima volta nella sua vita si era ritrovato
geloso di qualcuno, per la prima volta aveva assaporato quel sentimento
molto più violento ed irrazionale di quello che avrebbe
creduto. E la sua inesperienza e la sua innata possessività,
mescolate insieme, avevano dato vita a quell’ira che aveva
investito Merlino. Serrò i denti fino a farsi sanguinare le
gengive alla vista dei lividi che macchiavano il candore di quella
pelle. Il senso di colpa iniziò a roderlo impietosamente.
Poggiò
la fronte alla base del collo dell’altro per alcuni istanti,
inspirando a fondo l’odore di quella pelle che aveva sempre
il potere di calmarlo, poi delicatamente cosparse quella schiena acerba
di piccoli baci, l’unico modo che aveva per dirgli tutte le
scuse che sentiva di dovergli e che sapeva che mai sarebbero riuscite a
risalire fino alle sue labbra. Sentendo quei tocchi leggeri e dolci su
di sé, Merlino sospirò di sollievo: il suo asino
era tornato, era tutto passato.
Con
le labbra Artù risalì lungo le spalle ed il
collo, ripulendo la pelle delle strisce di sangue che vi erano colate e
lambendo la dolorosa chiazza violacea del morso, dedicandole alcuni
morbidi baci, fino a raggiungere l’orecchio.
-
Ho visto che lui ti abbracciava ed ho perso la
testa. Ti prego non farmi più impazzire così!-
bisbigliò dolorosamente, stringendogli delicatamente la vita.
Ascoltando
quelle parole, Merlino avvertì il proprio cuore battere
impazzito nel petto. Ignorando il dolore fisico si rigirò in
quel morbido abbraccio per poter osservare gli occhi limpidi di
Artù. Quindi sollevò le mani ed iniziò
ad accarezzargli le spalle e le braccia.
-
Stamattina sono stato attaccato da un grifone e Lancillotto mi ha
salvato la vita. È venuto a Camelot perché
desidera diventare un cavaliere. Per sdebitarmi ho pensato di
presentartelo e di chiederti di lasciarlo sostenere la prova. Per
questo l’ho portato al campo.- spiegò.
Come
faceva ad essere arrabbiato con lui se lo guardava con quel musetto
imbarazzato ed imbronciato?
-
Sei solo un idiota, l’ho sempre detto!- ridacchiò
Artù con il cuore leggero, iniziando già a
mettere a punto qualche piano per rendere difficile la vita a quel
Lancillotto.
Merlino
corrugò la fronte non riuscendo a capire perché
gli avesse dato dell’idiota in quel momento. Ma gli importava
davvero ora che le labbra di Artù erano ritornate a baciare
le sue?