Lose Yourself
/Dopo
tutto è solo un altro mattone nel muro/
Quel
maledetto sole splendeva lassù, scaldava rendendo l'intera giornata serena come
tutta la gente che camminava indaffarata con il sorriso sulle labbra, e per i
gusti di Kinkaid era decisamente troppo luminoso, troppo bello e afoso… Come
osava quella stupida palla gialla dare tanta allegria a quegli inutili esseri
umani?!
Così
gli rendeva l'allenamento più faticoso ed insopportabile…
Sudava
copiosamente, le goccioline minuscole e salate che gli fuoriuscivano dal corpo
cadevano correndo lungo la pelle abbronzata, seguendo le linee perfette dei
muscoli in tensione per gli sforzi a cui si sottoponeva; il torace e la schiena
nudi, quest'ultima attraversata da diverse piccole e lievi cicatrici vecchie,
che erano lucide grazie al sudore che bagnava anche il volto concentrato e i
pantaloni neri e comodi.
I
capelli color mogano raccolti in una piccola coda lasciavano scappare mille
ciocche ricce che si appiccicavano al viso in modo molto fastidioso, mentre gli
occhi dorati dalle pupille assottigliate, che ricordano quelle di un corvo,
sembravano guardare niente e nessuno.
I
movimenti sicuri e decisi fendevano l'aria provocando dei fischi secchi, gli
unici rumori che facevano compagnia al ragazzo e ai suoi allenamenti solitari e
silenziosi.
I
piedi scalzi erano piacevolmente solleticati dall'erba verde e curata del
giardino nascosto, a sua volta, dalle siepi dell'enorme villa in modo da isolare
gli abitanti della casa, questo per Kinkaid era il lato migliore del vivere lì,
con quel fifone e la sua famiglia stramba, poteva esercitarsi al meglio nelle
sue arti del combattimento.
La
mattinata era quasi finita e lui avrebbe invece preferito che continuasse, a
momenti sarebbe arrivata quella specie di sanguisuga a lamentarsi della sua
giornata scolastica e la sua pace sarebbe finita per il resto del pomeriggio.
Anche
se era mille volte meglio quel rompiscatole piuttosto che stare con la sua gente
dalla mente chiusa e limitata, che lo accusava di tutti i mali del mondo… e
forse non avevano tutti i torti, se non fosse stato per lui suo fratello ci
sarebbe stato ancora… infondo lui sapeva di non essere migliore di nessuno e
non aveva mai sostenuto il contrario; la sua razza, quella degli Osservatori,
invece si credeva al di sopra delle altre e loro lo volevano solamente per
difenderli dagli eterni nemici, i Cacciatori.
A
lui non importava nulla della loro vita, se li difendeva era solo per combattere
i veri assassini del suo gemello perito anni fa.
Non
gli importava nulla, nemmeno del destino di quel mondo schifoso che stava
andando allo scatafascio senza che nessuno dei veri interessati se ne
accorgesse, anzi, si divertiva ad aiutarla a morire meglio quella terra inutile.
Sì,
perchè anche se facevano di tutto per sostenere il contrario è questo che
erano tutti quanti, ogni razza ed essere: inutili. Un semplice mattone
nell'enorme muro infinito.
Un
mattone che non serviva a niente, e lui era solo uno dei tanti, uno che cercava
la sua vendetta e nient'altro, uno pieno di odio verso tutto e tutti, uno che
conosceva solo quel sentimento. Un minuscolo mattone che non si sentiva al suo
posto, che prendeva in giro gli altri e che non aveva paura della morte, ma si
divertiva nel regalarla agli altri.
Gli
avevano sempre detto di essere cattivo, la sua famiglia fu la prima quando portò
a casa suo fratello morto, lo accusarono della sua morte facendo sì che il
cambiamento di carattere fosse inevitabile; gli avevano solo trasmesso l'odio e
lui l'unica salvezza che aveva ricevuto era l'arte della lotta; in questo modo
aveva finito per convincersi che lui stesso era veramente cattivo e non poteva
fare a meno di piacergli questa situazione.
Lui
era la bestia malefica e quindi lui era il più forte, quello con la protezione
del fuoco che nessuno poteva sconfiggere, lui poteva fare quello che voleva… e
la prima cosa che voleva era la vendetta, prima verso i Cacciatori, poi verso la
sua stessa razza tanto odiata, forse più dei nemici.
Fino
a quel giorno aveva vissuto così, combattendo ed allenandosi, odiando e
maltrattando gli altri, rifiutando chiunque gli si avvicinava prima di essere
rifiutato lui stesso.
Non
gli importava nulla di quello che era, tanto alla fine dimostravano tutti di
essere semplici mattoni senza senso che una volta compiuta la loro ragione di
vita non sapevano che fare del resto della loro esistenza.
L'odio
che l’aveva cresciuto aveva portato a questo, aveva creato una creatura
incapace di amare che provava sollievo solo a far soffrire gli altri per
dimostrare che non aveva bisogno di nessuno per andare avanti.
Il
cancello del portone alto si aprì facendo spuntare la testa di un ragazzo
minuto e magrolino, moro dai capelli arruffati e spettinati, basso e sottopeso,
sembrava che avesse 10 anni invece che 17. Inoltre per come si vestiva faceva la
figura dello spaventapasseri vivente… pantaloni di tuta rossa e camicia di
jeans blu… abbinamento di stoffa e colori orribili.
Dopo
essere entrato con passi silenziosi e leggeri, con molta attenzione quasi non
volesse farsi notare da nessuno, disse timidamente e con voce tremante:
-
Kinkaid… perchè non sei venuto quando ti ho chiamato mentalmente? Ed io che
mi alleno con i miei poteri solo per poterti chiamare con il pensiero affinchè
tu accorra in mio aiuto… ma mi avevi almeno sentito?-
Il
ragazzo dai capelli mogano si interruppe e lanciandogli uno sguardo vagamente
seccato rispose poco gentilmente:
-
Certo che ti ho sentito, ma mica vengo per ogni cagata per cui tu chiami!
Che sono, un cane? Arrangiati!-
Sull'orlo
delle lacrime, l'altro continuò:
-
Ma… ma io oggi ho rischiato veramente la vita… non essere così cattivo con
me… c'era una persona alta e grossa che mi guardava male e più io mi
nascondevo, più lui mi guardava… stavo morendo di paura… -
Notando
che colui che dovrebbe essere considerato suo amico non lo ascoltava più, anzi,
si stava dirigendo in casa con un asciugamano intorno al collo strofinandosi il
volto e i capelli ribelli, scoppiò in lacrime piangendo come di consueto
davanti all'indifferenza del compagno.
-
KIIIIIIN!!! MA PERCHE' FAI COSììì…
SEI CRUDELE… ED IO CHE TI FACCIO ANCHE VIVERE A CASA MIA CON LA MIA CARA
MAMMINA… NON VOGLIO PIU' ESSERE TUO AMICO… MI TOLGO LA MIA META’ DA
OSSERVATORE E DIVENTO UMANO PER INTERO, COSI' TU IMPARI A TRATTARMI MALE!!!
ECCO!!! SNIFF, SNIFF, SNIFF!!!-
Kinkaid
era ormai abituato a queste sue scenate di crisi isteriche, ne aveva una ogni 5
minuti… non gli importava nemmeno che gridasse in quel modo le loro vere
origini facendo sentire a tutti chi erano in realtà… tanto nessuno avrebbe
mai osato rivolgergli la parola con la paura che incuteva! E poi si divertiva
troppo a farlo piangere… era una sua esclusiva, guai a chi altri lo faceva, ma
il divertimento era divertimento!
-
STEHPAN! FINISCILA, FIGLIO INUTILE! NON TORMENTARE PIU' QUEL POVERETTO O GLI DO
IL PERMESSO DI UCCIDERTI CON I SUOI POTERI BRUCIANTI!!!-
Ecco
che come da copione entrava in scena la madre… era uno spasso sentirla
sgridare il figlio, eccentrica e strana com'era non si rendeva mai conto delle
castronate che sparava… come in quel momento… le pareva forse possibile che
uno come Kinkaid chiedesse il permesso per usare i suoi poteri su Stephan o
qualunque altro essere vivente?
Senza
ascoltare oltre, l'interessato tirato in ballo si infilò nella doccia bollente
rilassandosi sotto il getto caldo dell'acqua che in quei momenti gli ricordava
tanto il suo fuoco che, scorrendogli nelle vene insieme al sangue, era sempre
pronto a fuoriuscire dal suo corpo per difenderlo o attaccare chiunque lui gli
chiedesse.
Quando
era stanco, bastava pensasse alle sue meravigliose fiamme per sentirsi subito
meglio, rinato con nuove energie.
Oltre
alla fortissima e devastante protezione del fuoco che solo lui riceveva, anche
se avesse avuto solo questo come potere sarebbe stato temibile ugualmente,
comunque di certo non rifiutava gli altri che possedeva, come la lettura del
pensiero e l'invisibilità.
Con
la mente rivolta ad essi si passò le mani sul corpo bagnato sciacquandosi bene
dalla schiuma, avrebbe desiderato prolungare ancora quel momento in cui acqua e
fuoco si univano magicamente senza prevalere l'uno sull'altra, ma la voce
squillante della madre di Stephan lo aveva chiamato per il pranzo e sapeva
benissimo che se non sarebbe arrivato subito si sarebbe a dir poco infuriata ed
allora sì che bisognava aver paura!
Uscì
dalla doccia e, senza bisogno di passarsi l'asciugamano sul corpo si ritrovò,
come ogni volta che si bagnava, immediatamente
asciutto, come si può immaginare anche questo era dovuto all'elemento che
scorreva in lui.
Si
rivestì e senza dire mezza parola scese per mangiare con gli altri due.
Infondo
anche se sapeva benissimo di essere solo un mattone nel muro gli andava bene così,
la sua vendetta sarebbe stata più assaporata.
A
differenza di quella mattinata uggiosa, a mezzogiorno il sole brillava imponente
e bruciante nel limpido cielo quasi arrogantemente. I ragazzi camminavano in
gruppetti sorpassandola velocemente, tutti erano sorridenti ed entusiasti che
finalmente le lezioni si erano concluse e che aspettava loro la prospettiva di
un fine settimana da passare con amici, famiglia e partner anche occasionali.
Talvolta, qualcuno di quegli spensierati liceali si bloccava per qualche secondo
a guardarla, per poi ridacchiare e tornare dagli altri del gruppo. Questo loro
atteggiamento la infastidiva? Non più di tanto, infondo non le importava
assolutamente nulla del parere altrui, soprattutto se si trattava di quello di
immaturi coetanei come quelli, con i quali si era ritrovata ad avere a che fare.
Sbuffò pesantemente, ignorando l'ennesimo commento provocatorio di una
dell'ultimo anno. Solo una cosa la irritava terribilmente: perchè diavolo non
glielo dicevano in faccia quello che tanto in loro suscitava scalpore o quella
ridarella continua e insopportabile?! Tsk, come se non lo sapesse già. Era dai
tempi dell'asilo che tutti la evitavano, neanche fosse stata la peste in
persona. I motivi, certo, erano svariati attualmente: in primo luogo il suo
caratteraccio suscettibile, arrogante, aggressivo e violento. Ma più che
quello, perchè succedeva spesso che ragazze con un simile temperamento
divenissero capo banda o cose del genere, c'era il suo aspetto esteriore. Fiera,
sfacciata, ribelle. Quello che era all'apparenza la danneggiava da sempre. Anche
a lei talvolta capitava di fissare la sua immagine allo specchio e chiedersi 'Da
dove vieni, scherzo della natura?'. Neppure quell'uomo che aveva imparato a
chiamare padre, talvolta solo per farlo contento, le aveva dato una risposta.
Sapeva solo di essere stata trovata ai margini del bosco appena fuori città, in
periferia, dalla defunta moglie del suo patrigno. Le
mancava Judith? Un pochino, perchè era stata l'unica ad accettarla per
come era, a disprezzo delle apparenze.
Con
un gesto secco del capo spostò un ciuffo di quei suoi lunghissimi capelli, che
aveva tinto rosso fuoco, dal viso. Le piaceva il rosso e non perchè
rappresentasse il colore dell'amore, della vita. Ma perchè era caldo, perchè
bruciava. Perché il rosso era il colore del fuoco. Bellissimo, impressionante,
letale. Guardò il sole per un attimo, facendosi scudo con la mano. Le piaceva
fissare il fuoco, era come una droga. Entrava in estasi per le fiamme e i suoi
occhi brillavano ulteriormente. Già, i suoi disgraziati occhi. Erano loro la
fonte di tutti i suoi guai. Nella sua epoca era normale che qualche individuo
nascesse con occhi di colore diverso uno dall'altro, ma non nel suo modo.
Nessuno al mondo aveva occhi come i suoi, dove quelli di colore dorato avevano
una strana e sottilissima pupilla verticale e assomigliante in un modo
spropositato a quella di un corvo o di un serpente, e l'altro era di un azzurro
talmente intenso da parere fatto di vetro, dove qui la pupilla non si
manifestava neppure. ‘Al diavolo tutto!’ pensò la ragazza guardandosi
intorno circospetta. Infondo a lei piacevano i suoi occhi. Erano particolari,
bellissimi e poi erano i suoi. Di certo non sarebbe mai andata in giro con delle
lenti a contatto solo per far piacere a quei snob figli di papà. La fama di
lupo solitario e pericoloso se l’era guadagnata con anni di sforzi e
isolazioni (anche se probabilmente l’idea di rimanere da sola non dipendeva da
lei, quanto dall’odio che tutti provavano nei suoi confronti), per non parlare
delle prese in giro e delle accuse infondate, ma le erano sempre andate bene così.
Di certo lei non sarebbe mai andata a chiedere implorante amicizia a qualcuno.
-
Ehi, Astrid, i vestiti te li sei comprati o ricevi donazioni dalla caritas? –
la ragazza che aveva parlato (probabilmente una delle cheer-leaders, almeno
stando dal davanzale artigianale e l’intelligenza da ameba) si ritrovò ben
presto fulminata da uno sguardo carico di ostilità e uno sfacciato dito medio
piantato in fronte. FUCK!
I
suoi abiti non piacevano di certo a quelle come la
bionda-ho-un-futuro-come-porno-star, ma lei li adorava. Abiti scuri, spesso
borchiati, rovinati e larghi. Gli anfibi ai piedi erano di certo più comodi di
un paio di trampoli e le svariate prese d’aria (come le chiamava il suo
patrigno), le davano un’ aria trasandata. Ma almeno lei era a suo agio.
Si
sistemò meglio la cartella sulla spalla e continuò a camminare a testa alta
per la sua strada, schivando di tanto in tanto compagni che cercavano di
spintonarla solo per darle fastidio. Che comportamento infantile! E non era
finita. Quella sera avrebbe avuto lezione di ballo da Cole (l’unica insegnante
di danza che l’aveva accettata come sua allieva senza badare al suo modo di
essere) e sicuramente le altre ragazze l’avrebbero infastidita. Aveva oramai
però smesso di badare ai loro commenti. Come diceva Cole, erano solo invidiose
del suo talento. Probabilmente era strano lei fosse capace di danzare su un
qualunque tipo di musica (nonostante lei ascoltasse principalmente note ribelli
con testi che parlavano di rabbia e ribellione) senza una coreografia già
stabilita, ma era quello il suo talento migliore. Cole diceva che avrebbe fatto
strada, se solo avesse migliorato un po’ il suo atteggiamento rabbioso con il
mondo intero. Figurarsi se mutava il suo carattere per fare carriera! A lei
bastava solo poter mettere insieme due passi di ballo qualche volta e
migliorarsi sempre di più. Cole diceva che era al limite, che più perfetta di
così non poteva diventare, ma lei non ci credeva. Beh, di certo Astrid non era
un tipo umile. Era perfettamente consapevole della sua innata bravura e non lo
celava, ma amava essere la migliore, anche solo per poter prendersi una
rivincita su tutti e poter dire ridendo trionfalmente ‘sono il meglio, brutte
merde!’. Succedeva spesso che lei fosse la numero uno (a parte negli studi,
proprio non aveva voglia di conoscere vita, morte e miracoli di ogni povero
sfigato nato in questa merda di mondo) come in tutti gli sport, dove primeggiava
indiscussa, o anche semplicemente per il suo aspetto esteriore. Era talmente
eccentrica da essere unica. Solo una volta nella sua vita un ragazzo, quando
frequentava le medie aveva provato a mettersi con lei ma, poiché si era beccato
un calcio come risposta, nessun’altro ci aveva più provato con lei. Era il
suo carattere e quei suoi maledettissimi occhi a renderla strana. Ma era
divertente, talvolta! Aveva un bel viso, un fisico perfetto e lunghissimi
capelli che formavano morbidi boccoli alle punte che attiravano spesso
l’attenzione di ragazzi. Ma ovviamente poi tutti la guardavano negli occhi e
scappavano. Se poi le rivolgevano la parola si dileguavano a gambe levate, se
prima non erano stati riempiti di botte. Avere un ragazzo non entrava neppure
alla fine della sua lista delle cose da fare. A lei bastava se stessa. E basta.
Non aveva amici, non ne aveva bisogno. Men che meno di un fidanzato, anche se
bello.
Occhi
grigi come l’acciaio, ma caldi come il sole la fissavano allegri, venendo
nella sua direzione.
Il
vento leggero scompigliava appena i biondi capelli un po’ lunghi che teneva
fermi con un po’ di gel.
La
pelle bronzea luccicava sotto i raggi solari e uno smagliante sorriso era
dipinto su delle labbra perfettamente disegnate. Un sorriso che quel giovane
ragazzo regalava a tutti quelli che lo salutavano, nel cortile.
Indossava
un paio di jeans un po’ larghi, tenuti bassi in vita e una canotta stretta che
metteva in mostra un fisico d’atleta perfettamente scolpito.
Teneva
a tracollo un borsone del club di football, la cui squadra avrebbe disputato la
finale nazionale quella domenica. E lui ne era il trascinatore, la stella.
Tutti
lo salutavano calorosamente, lanciandogli sguardi colmi di ammirazione e
affetto, mentre lui continuava ad avvicinarsi alla rossa.
Eccolo
lì, Zefiro. Non c’erano dubbi su chi fosse il migliore della scuola. Zefiro,
mago in tutti gli sport, individuali e di squadra. Zefiro, dal quoziente
intellettivo superiore al centonovanta. Zefiro, quello simpatico, cordiale,
affettuoso e disponibile con tutti. Zefiro, figlio di un ricco imprenditore e di
una modella. Zefiro, il ragazzo più bello non solo della scuola, ma
probabilmente dell’intera città. Il miglior partito al quale una ragazza
potesse ambire. Zefiro, la sua ombra!
-
EHILA’, ASTRID! SEMPRE DI BUON UMORE, VEDO! – disse lui, attanagliandola con
un braccio sulle spalle, che lei tolse subito, spostandosi di lato. Quanto non
sopportava la perpetua allegria e l’ottimismo di quell’odioso riccone! Dio,
e tutti dicevano che era perfetto… ma dove?! Ci avevano mai parlato per più
di cinque minuti? Lui parlava, parlava… parlava sempre! E poi, cosa ancora
peggiore, sorrideva troppo! Glielo avevano stampato su quella faccia da Ken
quell’espressione da ‘vivere è bello’?! – BEH, CHE C’E’? – insisté
lui, senza badare allo sguardo ostile di Astrid. Anzi, sorrise ancora di più.
Ci era abituato a tutti gli atteggiamenti di lei. Si conoscevano dall’asilo e
da sempre, da quando tutti la evitavano lui le si era appiccicato addosso senza
mollarla più. Trovava che Astrid fosse un tipo incredibilmente divertente!
-
C’è che sei arrivato qui! Dio, mi fai venire l’orticaria… -
-
Dài, che esagerata! Mica sono una malattia! -
-
PEGGIO!!! – lo guardò con lo sguardo più cattivo che era in grado di
elaborare, ma niente! Lui non se ne andava. Anzi, probabilmente adesso
l’avrebbe seguita fino a casa, le avrebbe scroccato il pranzo, sarebbe stato
con lei anche a quel suo lavoro pomeridiano (cioè l’unica cosa con cui si
manteneva) e probabilmente l’avrebbe anche pedinata a lezione, quella sera! Già,
dopotutto succedeva così tutti i giorni! Esisteva al mondo una appendice più
fastidiosa?! Ovviamente la risposta era NO!
-
Stasera, dopo ballo, usciamo un po’? –. Ah, già, le pareva strano di avere
almeno la nottata da passare libera!
-
Ma tu altri amici non li hai?-
-
Tu mi piaci di più!-
Sempre
la solita risposta. Oramai non ci badava più. La prima volta che glielo aveva
detto era in prima elementare, lui in seconda. Pensava fermamente Zefiro non
fosse che un bambino chiuso in un fascio di muscoli e cervello troppo grande.
Ancora
imprecò ad alta voce e proseguì per la sua strada, seguita a ruota da offese
per lei e apprezzamenti su Zefiro, al suo fianco.
Infondo
non erano che entrambi solo altri due mattoni dentro il muro della vita. Grande,
sconfinato.
Lei:
un mattone nero, piccolo, solo.
Lui:
un mattone dorato, bello, importante per reggere tutto il muro.
Ma,
tutto sommato solo altri due mattoni…