CAPITOLO XVI:
PRENDI LE MIE MANI

/Dammi la tua fiducia e guarda nel mio cuore /


Non mi è mai importato nulla degli altri, men che meno di me stessa. Andavo dritta per la mia strada, senza voltarmi e badare alle opinioni altrui. A testa alta latravo insulti e non mi facevo problemi a prendere a pugni chi mi infastidiva. Aveva visto bene, Zefiro: ero più un cane randagio e con la rabbia che una ragazza. Anche della mia femminilità non mi ero mai curata e i miei modi e il mio aspetto ne erano la conferma. Però a lui sono andata bene anche così. Rozza, violenta, sfacciata e probabilmente stronza. Non ho mai avuto fiducia in me e in nessun’altro, neanche in Zefiro, ma ora forse mi fido un po’ di più di chi sono. Come mi fido di chi mi circonda al momento. Zefiro fra tutti … e forse mi fido veramente solo di lui. Dopo tutto gli altri che cazzo ne sanno di me e di quel che ho passato? Cosa sanno cosa si prova a sentirsi deboli in mezzo ad un sacco di gente invincibile con i poteri?
Già, comunque ho qualcuno di cui fidarmi. Qualcos’altro importa?
Mi rendo conto che sono cresciuta credendomi sola e lo sono anche stata finché non ho incontrato quel cervellone, dopo aver saggiato quel periodo della mia vita ho capito una cosa importante, so cosa voglio fare con certezza.
Da sola non voglio più rimanerci, mai più.
È difficile essere certi di qualcosa, quando ero sola mi sentivo così insicura. Ora ho capito che l'amore, così distante e oscuro, è l'unica cura e che ci sono tanti tipi di amore, questo me l’ha insegnato sempre il cervellone.
Da sola non ho mai, mai, mai avuto bisogno di qualcuno. Era questo che credevo finché non mi sono trovata fra i piedi lui … e tutto mi è cambiato.
Ormai è fatta, non posso farci nulla. Pace!
Lo ricordo bene quel maledetto periodo della mia vita. Quel che non ricordo bene è come mai sono finita in questo posto buio e deserto. È per questo che mi sono messa a pensare alla mia stupida infanzia dove tutti mi prendevano in giro. Solo per questo. Perché questo posto è identico a ciò che vedevo quando ero bambina, a quando chiudevo gli occhi per dormire.
Mi sento come mi sentivo da allora, additata da tutti, chiamata strega e mostro, quando mi spintonavano per farmi i dispetti più disparati, ed ero sola a difendermi, Robert non aveva la minima intenzione di aiutarmi a cavarmela, come potevo sopravvivere? Mi sono data da fare, ho inventato la forza che non credevo di avere utilizzando gli unici mezzi a mia disposizione: le stesse carte che avevano loro, occhio per occhio e dente per dente. Solo che poi mi hanno isolato del tutto perché ero veramente pericolosa, non come quei bulletti che avevano tentato di calpestarmi, tutto fumo e niente arrosto. Io il fumo l’avevo, eccome. Ero maligna e non mi va di nascondermi dietro il fatto di: è colpa di come mi hanno cresciuta, di chi mi faceva del male, perché nessuno mi accettava … palle! Ognuno diventa quel che vuole diventare, io ho capito che così ero lasciata in pace e mi è stato bene, non ho cercato altri modi per venir rispettata.
Mi divertivo a seminare il terrore in chi incrociava il mio sguardo, pensavano che li maledissi coi miei occhi uno azzurro senza pupilla ed uno dorato con il nero a fessura verticale!
Lentamente ho scoperto che potevo capire cosa pensavano di me le persone, quindi il mio carattere ha subito un notevole peggioramento; successivamente sentendomi sola, per non impazzire, mi rifugiavo in un mondo tutto mio, dove diventavo chi immaginavo di essere. Pensavo solo di essere la protagonista di una fiaba dei fratelli Grimm, quelle macabre storie che finiscono tutte male.
Poi dopo un po’ ho semplicemente smesso di pensare, poiché mi si è piazzato addosso la zecca e non ho più sentito il bisogno di nascondermi in nessun aspetto non mio.
La mia vita ha cominciato a cambiare, o meglio ho scoperto che in compagnia si vive meglio, solo che non ho trovato altri masochisti disposti a star con me … fino a qualche mese fa, quando quella pulce paurosa non ha tirato fuori le palle venendo a romperle a me! Non so, si deve essere messo in testa che mi voleva come amica e non mi ha più mollato, come ha fatto Zefiro … in fondo si somigliano in qualcosa, incredibile, pensavo che non l’avrei mai detto!
Lui poi con gran testardaggine che mostra solo quando si tratta di stressare gli innocenti, ha portato a noi anche la vera rovina della mia vita. L’unico da cui se tornassi indietro scapperei. Né da Jago, né da quegli altri uomini di altre razze, scapperei. Solo da Kinkaid.
Jago mi fa paura, lo ammetto, ma non temo per la mia vita in sua presenza.
Kinkaid è un animale e basta, una bestia, un buzzurro che mi rovinerà la vita, lo sento come se avessi il dono della chiaroveggenza.
È una cosa a pelle, penso, non saprei spiegarla. Kinkaid sarà la mia rovina, dovrei stargli alla larga invece ne sono attirata come le mosche con la merda! Lui è la merda, ovviamente!
Lo odio e al contempo lo voglio, lo desidero fisicamente e non si tratta dei muscoli che ha, Zefiro non ne è da meno ed è più classicamente bello, un angelo. Kinkaid è un diavolo e lo desiderò perché come i diavoli ha quel tipo di forza che attirano i maledetti come me.
Io sono maledetta.
Sopravvissi ad un incendio in cui la mia unica amica di asilo morì. Sono queste fiamme che rivedo ora, le stesse che escono dal corpo di quella scimmia, ad avermi segnato.
Fu allora che cominciai a pensare di essere maledetta e queste due creature straniere mi hanno confermato la mia idea.
Faccio parte di due razze oscene. Non so perché sono oscene ma ne sono sicura, da come hanno fatto incazzare Kinkaid devono esserlo (a parte che quello si incazza facilmente … )!
Ero piccola, l’unica mia amica era anche l’unica che si cacciava nei guai, mi metteva in ogni situazione più pericolosa. Lei era sicuramente umana. Però si accese un incendio innaturale proprio intorno a noi due che giocavamo, inspiegabile, ancora ora non so dirne la causa. Ricordo che i miei occhi erano attratti da quelle fiamme rosse e calde, come se fossero il segreto della vita. Pensavo che lì in mezzo si nascondessero gli angeli, volevo vederli … anche se non ho mai capito cosa fossero di preciso quelle creature, e tuttora non lo so bene.
La mia amica piangeva e gridava stringendosi addosso a me, io nemmeno la sentivo, come se non esistesse. Ero piccola, come faccio a ricordarlo così chiaramente solo ora, dopo tutti questi anni in cui nemmeno sforzandomi con tutte le mie scarse risorse mentali sono mai riuscita a tornarmelo a memoria? È ora che lo so, prima era buio assoluto!
Ricordo bene che non provavo caldo e il fumo non mi intossicava. Ora che ci penso sembravo protetta da una membrana di ghiaccio impermeabile al fuoco ma era solo intorno alla mia pelle. Non arrivava alla mia amica.
Ecco perché lei cominciò a bruciare ed io la vidi contorcersi ed urlare, piangeva e mi chiedeva di aiutarla, io ci provai. Dio, se ci provai. Ma non riuscii a fare nulla.
Nulla.
Ecco perché quando mi trovai viva mentre lei ormai era fuoco, capii che ero maledetta, una vera strega, come tutti dicevano.
Mi convinsi di esserlo, quindi agii di conseguenza, immagino. In realtà non so se le streghe si comportano così.
Chi appiccò il fuoco?
Quel fuoco innaturale.
Chi?
Il nostro paese è al limite del bosco di quelle razze, lo stesso dove Robert mi trovò in fasce subito dopo aver perduto la sua defunta moglie che in grembo portava sua figlia.
Ora come ora posso supporre che fu uno di quei sadici, forse proprio un cacciatore visto che sembrano i più cattivi … anche se l’apparenza inganna sempre!
La vera domanda è COSA mi permise di salvarmi?
CHI?
Chi scelse me e condannò la mia piccola amica?
Vissi col rimorso e la colpa.
Mi oscurai molto dopo quell’evento.
Ricordo però un vento gelido che spense il fuoco cristallizzando ogni cosa intorno, la stessa cosa che succede quando arriva Jago.
Chissà, forse è per questo che non mi sento in pericolo con lui. In cuor mio sento qualcosa collegato a quel mio periodo, quell’evento così crudele.
Svenni e solo nell’istante in cui i sensi mi abbandonavano vidi due occhi azzurro gelo, non semplici occhi cacciatori, erano occhi di chi in corpo porta il ghiaccio.
Fu Jago a salvarmi ma non sempre lui a cercare di uccidermi.
Devo ringraziarlo appena lo rivedo, la pulce ha ragione, Jago è buono … certo non è detto che basti salvare una come la sottoscritta per esserlo ma lasciamo perdere l’argomento troppo complesso per me, sarà lo stesso che mi sparerà il rossino!
Quando mi ripresi ero a casa mia, in piene forze e senza memoria di quanto era accaduto.
Dimenticai ogni cosa, volli farlo perché mi sentivo in colpa, perché le realizzazioni che fui costretta a prendermi sulle spalle erano troppo gravi, troppo grandi per una bambina così piccola.
Però una cosa la sapevo, una cosa che non riuscii mai a rivelare a nessuno. Ero SICURA che fosse colpa mia, quando mi chiesero dove fosse la mia amica perché non la trovavano più, io non avevo la minima idea di cosa era accaduto, risposi che non lo sapevo e nessuno si spiegò come potevo non piangere alla notizia della sua sparizione, non dissi che era colpa mia e che ricordavo solo d’aver visto la sua vita sfuggire dalle mie mani.
Cazzo, perché mi è tornato alla memoria ora, tutto questo?
Non credevo fosse così, non credevo che le cose si fossero svolte a quel modo assurdo … perché ora le ricordo? Perché?
Pensavo di poter rimanere per sempre nell’ignoranza.
Forse l’ho ricordato per causa di Jago, l’avevo dimenticato ed era giunto il momento di realizzare che invece l’avevo già visto, che già da allora mi teneva d’occhio.
per tutto questo tempo lui … lui mi ha spiato, mi ha guardato, mi ha … protetto … come un angelo della morte che invece di uccidere, trasgredisce alle regole e decide di salvare un anima che gli sta a cuore. Un anima a lui cara e speciale. Cosa c’è in me di così speciale da spingerlo a proteggermi? Colpisce sempre e solo Kinkaid, quando si degna di farlo, me, invece, sembra ci tenga a ‘conservarmi intatta’, l’ha detto e questo mi ha turbato. Mi vuole. Ora lo capisco, mi vuole dalla sua parte, non nel senso che è innamorato di me come forse quei due scemi hanno supposto, mi vuole per questo … per lo stesso motivo per cui mi salvò da piccola.
Un brivido mi fa tremare fino a non smettere più, sono anima in questo istante, eppure sento che anche il mio corpo, in qualunque stato si trovi, ora trema.
Ho paura e non ho paura di ammetterlo. Ho paura di ciò che si cela in me di così importante da voler essere protetto da una creatura come lui.
Perché l’ho ricordato?
Non voglio.
Non voglio.
Eppure ora lo ricordo. Ora l’ho capito, in parte. Ora so cosa c’è che non va in me.
Sono pericolosa per Zefiro eppure non posso allontanarlo.
Non esiste forza per riuscirci.
Non la possiedo nemmeno se diventassi l’unione di Kinkaid e Jago.
Tanto lo sapeva già da prima, sono una creatura egoista, mi prendo questa libertà.
Da sola non voglio più esserlo.”

Quando Zefiro era arrivato con Astrid in braccio fino a casa di Stephan, tutta la maglia era coperta di sangue, aveva un’aria sconvolta e non se ne curava affatto, l’aspetto era pietoso, era irriconoscibile. Prima di realizzare qualunque cosa, Stephan rabbrividì vedendo il suo viso, successivamente le pulsazioni cardiache ebbero una netta accelerazione.
Qualcosa è andato storto … “
Riuscì a pensare solo questo mentre si metteva le mani sulla bocca per non urlare, sarebbe svenuto alla vista di tutto quel sangue se non avesse imparato a controllare certi istinti di paura grazie alle meditazioni obbligate di quell’ultimo periodo.
- Cosa … -
Mormorò con un filo di voce, istintivamente cercò con lo sguardo Kinkaid dietro di loro ma non lo vide, da lì iniziò la vera preoccupazione, il cuore riprese a battere e lo fece sempre più forte tanto da assordarlo, da impedirgli di ragionare e captare a fatica la forte aura di fuoco del compagno, non riusciva a sentire nulla, era immobile ed impietrito.
- E’ stata ferita … -
Se ne sarebbe sollevato sapendo che il sangue non era di Zefiro però non era tipo da rallegrarsi su disgrazie altrui, a star male era Astrid. Ma Kinkaid?
Se fosse stato lucido avrebbe realizzato subito che Nathan, il padre, l’avrebbe guarita subito. Ciò che realizzava era solo una cosa:
Astrid è ferita e Kinkaid non c’è … una volta morto non può venir resuscitato, fa che sia vivo … “
Pensava solo questo, poi il caos l’avvolse.
Zefiro gli passò avanti portandola nella camera del moro, sporcò tutte le lenzuola di sangue come anche il pavimento che aveva la scia di gocce rosso vivo, riprese a premere sulla ferita al fianco, rivolta alla schiena, cercava di fermare come poteva l’emorragia e l’espressione tirata era carica di preoccupazione e agitazione, sembrava che fra le mani avesse la sua, di vita, e che combattesse per non lasciarla andare, si mordeva convulsamente le labbra e nemmeno quando Stephan tornò accanto a lui per vedere come stava, dopo essere uscito di casa nella speranza di vedere l’amico arrivare, lui si riscosse.
- Zefiro … Kin? –
Aveva veramente un filo di voce, non gli chiese: portiamo all’ospedale, che ci fai qua, morirà in questo modo, come si sono svolti i fatti, chi è stato … non disse nulla di tutto questo ma lucidamente si sarebbe immaginato che avrebbe potuto chiedere solo un’unica cosa, col suo filo di voce quasi inudibile.
Kinkaid?
Non notò lo sguardo che si indurì, qualcosa di pericoloso trattenuto solo dalla preoccupazione che al momento superava ogni altro stato d’animo.
- Quello … è andato a cercare tuo padre. Ha detto di portarla qua che ci raggiunge subito. –
Era riuscito a fare una frase di senso compiuto senza essere indelicato o fuori luogo. Anche se a dire il vero insultare l’essere colpevole di tutto ciò, al momento era molto appropriato!
Stephan riprese a respirare e con l’ossigeno anche il colore della pelle tornò più rosea.
- Dio, ti ringrazio … sta bene … -
Non avrebbe dovuto dirlo, in effetti era una frase che a chi non sapeva certi dettagli risultava motivo di profondo non controllo.
La testa di Zefiro scattò rivolta verso l’amico accanto che indietreggiò, lo guardò con del fuoco pericoloso nello sguardo d’argento e si intravide una luce antica che cercava di fuoriuscire, non esplose e non si spiegò nemmeno lui come, ancora una volta ce la fece a far tornare tutto dentro di sé limitandosi ad avere un piccolo sfogo:
- Grazie a Dio? Grazie al tuo caro amico, vorrai dire … è colpa sua se lei sta così! Dovrai maledirlo, quel tuo Dio, se lei non si salva … perché io trovo il modo di uccidere quel dannato! –
Stephan ebbe l’ennesimo brivido, gli occhi gli divennero lucidi e si morse la lingua per non piangere, sentiva il nodo salirgli, era il nodo dei sentimenti di tempesta di Zefiro. La testa cominciò a dolergli a causa del dolore portato da ciò che il biondo si teneva dentro. La sua empatia l’avrebbe ucciso.
Provare tutto ciò che provavano gli altri, le cose più devastanti, e non dover piangere per essere forti, per imparare a canalizzare ogni cosa, perché se piangeva si faceva detestare dagli altri e lui non voleva essere detestato, non voleva essere di peso, non voleva essere sempre consolato, non voleva essere passato per la palla al piede frignona di turno. Lui non piangeva per hobby, come molti pensavano, piangeva per gli altri … solo che sin da piccolo aveva abusato di questo sfogo esteriore ed ora non riusciva più a farne a meno o ad utilizzarne altri. Uno come Kinkaid avrebbe fatto a pezzi tutto, ogni volta che avrebbe sentito emozioni altrui, lui piangeva.
Ora stava facendo violenza su sé stesso, considerando la portata di quanto aveva Zefiro in corpo.
- No, Zefiro … finchè è viva va bene, mio padre la guarisce subito! Non devi preoccuparti … -
Sospese la frase cercando di capire cosa potesse dire ancora, poi sentendo il suo sollievo interiore, continuò:
- Vedi … la mia preoccupazione nasce dal fatto che so una cosa con certezza. Quando Kinkaid non tornerà più dalle sue missioni punitive, sarà solo perché l’hanno ucciso … ed io temo quel giorno. So che non accadrà necessariamente, però io sono mezzo umano e non riesco a smettere di avere paura di perdere una persona a me così cara. Come tu ora hai paura che lei non ce la faccia nonostante io ti dica di stare tranquillo perché non è come pensi. Non posso convincerti a cambiare la tua preoccupazione ma posso farti capire perché parlo così … -
Rimase un po’ in silenzio, sembrava viaggiasse nella ferita che Astrid aveva aperta sulla carne viva, intravista fra la maglia rotta, poi con un espressione sempre immersa altrove, rispose con un fondo di stanchezza:
- Sai, in un film il protagonista diceva questa frase: siamo i figli di mezzo della storia, senza scopo né posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. A mio avviso spiega alla perfezione il punto di vista mio, un semplice umano … e di colei che credeva esserlo fino a qualche tempo fa, poco in realtà. –
Stephan sospirò senza saper cosa dire, si rendeva conto che erano in una brutta situazione, li avevano buttati a forza in un mondo sconosciuto e pericoloso ma non per scelta di qualcuno, le cose erano semplicemente andate così ed ora dovevano fare i conti con qualcosa di decisamente più grande di loro.
Non avevano scelta, come non ne aveva avuta lui, Kinkaid e tutti gli altri implicati in quella storia assurda e macabra. Nemmeno Jago aveva avuto scelta.
La vita li aveva portati in quella storia, loro non potevano far altro che viverla.
In un modo o nell’altro.
In risposta preferì inginocchiarsi vicino a lui e con un inspiegabile senso di sicurezza e calma, come se sapesse che tutto si sarebbe sistemato presto, portò con grande coraggio le mani accanto alle sue, tremava ed era impallidito, era atroce per lui toccare tutto quel sangue, vide come le sue dita candide si confusero presto in tutto quel rosso e l’odore dello stesso gli fece girare la testa. Avrebbe voluto mollare ed andare a vomitare ma si sforzò, per Zefiro era importante, lo era lei e lo era sentirsi sostenuto in qualunque modo da qualcuno.
Lo fece senza dire niente, troppo concentrato per lasciarsi andare in qualche altro discorso. Voleva fargli sentire il suo calore, che gli era vicino, che ci teneva.
Zefiro lo capì ed avrebbe sorriso in condizioni normali ma a parte l’occhiata di gratitudine che gli aveva lanciato, non aveva concesso altro, riprendendo a guardare l’amica priva di sensi, aveva una brutta cera e il volto coperto dai capelli rossi scomposti, era impressionante, la fronte imperlata di sudore. Tutto in lei indicava molta sofferenza e questo gli bruciava. Veramente se avesse avuto dei poteri come loro, avrebbe voluto essere un guaritore, l’unico potere veramente utile, a suo avviso.
Avrebbe voluto lasciarsi andare e notare il gran cambiamento di Stephan, tuttavia non ne ebbe la forza, tutto di lui era completamente concentrato sulla ragazza.

Se muore che faccio? Fa bene lui a dire che suo padre la guarisce subito, che non c’è da preoccuparsi e tutto il resto … ma razionalmente sta male e sta morendo … come faccio a stare qua ad aspettare? Cosa? Un miracolo in cui non ho mai creduto? Che assurdità … Astrid, ti prego, ascoltami. Sei telepatica, no? Me l’hai detto, non negarlo … allora ascolta questa mia richiesta, è l’unica seria che ti faccio. Torna da me, te ne supplico. O io muoio con te.”

“ – Chi sei? –
- Nessuno … -
- Allora cosa vuoi? –
- Rispondere alle tue domande. –
- Perché? –
- Perché concluderò con un avvertimento e non è giusto dartelo senza farti sapere altro … -
- Allora? –
- Allora, si alla tua domanda. –
- Quale? –
- Sei una bambina, non una sciocca. –
- Sono una bambina ed ho tante domande in testa. –
- Ce n’è una in particolare che ti assilla … -
- Io … non saprei … -
- Pensaci, c’è una domanda che ti fai spesso, specie quando torni a casa da scuola, dopo essere stata coi tuoi compagni … -
- I miei compagni mi deridono … -
- E ti dicono una cosa che ti fa pensare … -
- Sono un mostro? –
- Ti ho risposto. –
- Come fai a dirlo? Perché? Chi sei? –
- Io sono uno dei capi delle tue razze, devo sapere tutto. Mi chiamo Gabriel. –
- Cosa vuoi farmi? –
- Avvertirti. Stai lontano dal mio popolo, cresci nell’ignoranza e non ti accadrà nulla. –
Un fruscio e l’uomo dall’oro nei capelli come negli occhi, gli stessi uguali ad uno dei miei, sparì. Io mi ero sentita un po’ uguale a lui come anche un po’ uguale all’altro che mi aveva salvata in quell’incendio.
Ecco chi era quell’uomo che mi parlò così crudelmente quando ero piccola … il capo di una delle due razze, come diavolo era? Osservatori … l’avevo del tutto messo da parte, piansi in realtà. Mi sentivo un mostro e lui che sembrava essere un po’ come me, me lo confermò. Atroce. Fu atroce per una mocciosa quale ero. Come mi sollevai? Non accadde, arrivò Zefiro a convincermi di non essere un mostro, facendomi dimenticare quell’odiata creatura molto bella.
Perché mi torna tutto alla mente solo ora? Perché?
Odio ricordare così, avevo già incontrato Jago e quell’osservatore, Gabriel … e anche quello che tentò di uccidermi senza riuscirci. Fiamme … forse era Kinkaid, chissà … ma non penso, il suo fuoco mi ricorda la furia, quello era solo cattiveria pura.
Non credo di aver fatto altri incontri assurdi nella mia vita. A parte, ovviamente, il più pazzesco di tutti … Zefiro!
Lo incontrai in non so quale anno di scuola, mi vide e mi sorrise radioso. L’ho ancora in mente il suo sorriso, mi stordì. Pensai se non fosse scemo a sorridere alla più emarginata, glielo dissi:
Che cazzo hai da ridere?”
Lui non se ne mortificò e nemmeno ci rimase male, si avvicinò e mi allungò la mano per farsela stringere, poi si presentò:
Sono Zefiro, piacere! Hai degli occhi splendidi!”
L’unico. L’unico in tutta la mia vita che mi disse mai una cosa simile. Nessuno si rivolse più a me in quel modo. Non gliela strinsi la mano, non dissi nemmeno il mio nome. Me ne andai e basta. Il giorno dopo ritentò di nuovo presentandosi, nemmeno allora gli strinsi la mano. Ogni giorno fece uguale finché nonostante ormai sapesse già il mio nome, io non cedetti capendo che doveva essere importante per insistere tanto.
Non sapevo perché, cosa gli passasse per la testa ma nemmeno gli altri lo capivano di me, per questo mi stavano lontano, lui invece non lo capiva e voleva rimediare, fregandosene di cosa facevano o dicevano gli altri. Per lui contava solo conoscermi. Così un giorno lo sentii difendermi davanti a tutti in mensa, si era creata una specie di congresso contro di me, tutti in accordo nel spalarmi merda alle spalle, io arrivai mentre lui senza timore alcuno si era alzato in piedi e facendosi ascoltare da tutti, già si faceva valere e notare, mi difese. Non so che disse di preciso, non l’ho mai ascoltato, ma so che mi difese, ecco perché poi pur essendo lì davanti a tutti, con mille occhi puntati, lui mi tese la mano presentandosi per la millesima volta. Cosa potevo fare se non prendergliela e rispondere col mio nome?
Amata da Dio!”
Rispose quindi, si era preparato, forse era andato a studiarsi il mio nome per dirmi qualcosa che potesse colpirmi, o chissà … era un cervellone già da allora.
Io dissi solo spontaneamente brusca:
Amata un cazzo!”
Lui rise, di gusto, mentre mi prendeva la mano anche con l’altra, fui io a chiedergli se poteva restituirmela, non era convinto di ridarmela ma lo fece, disse qualcos’altro di scherzoso poi … bè, poi non mi mollò veramente più!
Fu la mia condanna dirgli il mio nome, solo che mi pareva il minimo dopo tutto quello che aveva fatto. Rischiava di inimicarsi la scuola, ebbi pena per lui. Penso fu quello o magari ammirazione!
/Torna da me, te ne supplico, o muoio con te. /
Morire? È la sua voce ma che cazzo spara? Perché dovrei morire? È scemo, forse il suo QI si è stufato di stare da solo in alto e se ne è andato! Perché dovrei morire?
Non mi è successo nulla, non provo dolore, non provo altro che … freddo … sono sola nel buio però sento un calore lontano che lentamente mi raggiunge, sono due calori diversi, tenui ed ora che ci faccio caso il buio non è proprio così nero ma più grigio.
No, non sono sola. Anche se ora non vedo niente l’idea di esserlo, ciò che mi ha fatto ricordare tutto il mio passato di solitudine, è solo un inganno, un illusione. Non sono mica sola.
Ho lui e anche se non lo ammetterei mai, c’è l’altra tragedia, la pulce … e pur ora io non lo senta accanto a me, sicuramente arriva anche il rompiscatole, la rovina delle rovine … Il Dio del fuoco, lo stesso fuoco che voglio in me.
Kinkaid, arriva a scaldarmi, basta tu mi prenda la mano e mi infonderai le tue fiamme brucianti, il necessario per riportarmi in vita. Fallo, prendimi la mano, chiama il mio nome e riportami alla luce. Aspetto il tuo fuoco. “

La porta dell’entrata si aprì sbattendo, tutti sentirono l’arrivo di due persone.
- Sono arrivati! –
Stephan scattò in piedi veloce precipitandosi giù per le scale, sentiva quasi un moto di felicità poiché era sicuro che ora suo padre avrebbe sistemato tutto, li vide che in tutta fretta salivano a loro volta, davanti a tutti c’era Kinkaid con un aria truce da far paura, aveva ancora il fuoco negli occhi ma non più nella pelle e nei capelli, non aveva un graffio, qualche piccola ammaccatura ma nulla di serio. Fu un lampo dorato quello che sorpassò Stephan, si sentì solo afferrare per una spalla, mettere da parte e il vento gli passò innanzi. Lo stesso poi colpì Kinkaid con un pugno, un pugno di enorme forza considerato che era di un umano, si stupì. ;’aveva fermato e non solo. Non era normale che il pugno di un ragazzo umano fermasse la sua corsa.
Non lo era.
Spalancò gli occhi rossi dalle pupille a fessura quasi invisibili, avrebbe voluto dargli fuoco ma aveva compreso il motivo di quel gesto, Zefiro fronteggiò il suo sguardo guardando il punto colpito che ora era sporco di sangue, non il loro sangue, quello di Astrid. Non parlarono, non dissero nulla, sapevano che in quel colpo il ragazzo ci aveva messo tutta la sua ira, il suo sfogo del momento. Prima si era trattenuto per soccorrere la ragazza ma ora dopo aver ponderato di chi era la colpa, aveva avuto modo di provare un profondo odio per la causa di tanto dolore.
Ad interromperli fu Nathan, il padre di Stephan che dietro il giovane dai ricci rossi, si era fermato per assistere alla scena:
- Ragazzi, fatemi passare e potrete continuare i vostri litigi! –
Non era uno che si intrometteva negli affari altrui, così dicendo li superò facendoli mettere da parte, mentre lui saliva gli ultimi scalini, i due continuarono a guardarsi e il piccolo moro rimase lì per assicurarsi che non accadesse l’inevitabile, temeva che si scatenassero e non voleva che Zefiro morisse. Così non fu, si limitarono ad uno scambio di sguardi di fuoco che fecero rabbrividire lo spettatore, poi il biondo salì inseguendo l’uomo più adulto.
Stephan scese altri due gradini arrivando davanti all’amico e assicurandosi che stesse fisicamente bene, disse:
- E’ molto in pensiero, non è ancora pratico di questa gente … ho cercato di dirgli che ora mio padre sistema tutto ma … scusalo. Di solito è calmo, lo sai … -
Kinkaid lo guardò senza vederlo, alzò le spalle e si premette la mano sulla guancia, non l’avrebbe mai ammesso che gli faceva male, questo lo turbò. Com’era possibile?
- Kin, tutto bene? –
Si riscosse e senza rispondere salì sorpassandolo a sua volta, non gli importava nulla di Zefiro e cosa pensasse, a chi desse la colpa di tutto e cose simili, lui sapeva come erano andate le cose, gli aveva ordinato in partenza di andarsene a casa ma l’odiosa strega aveva insistito per venire poiché si sentiva già forte. Una stupida, solo una stupida sarebbe potuta finire così. Zefiro che fra tutti era il più debole poiché umano, era intatto e lei che era metà di una razza e metà di un’altra era in fin di vita. Era una creatura assurda, le avrebbe sentite quando si sarebbe ripresa … se non sarebbe morta lì, l’avrebbe uccisa lui e anche se amava avere ragione e rinfacciarlo, in quel momento non se ne faceva più nulla della ragione se doveva averla a scapito della vita di Astrid. Non di altri. Di Astrid.
Quando entrarono in stanza si trovò Nathan che li sbatteva tutti fuori chiudendosi dentro.
- Aria e spazio! –
Aveva asserito così con un’espressione seria. Kinkaid non riuscì a chiedergli come sarebbe andata, le parole sembravano essergli scappate del tutto, così insieme agli altri due che camminavano nervosi su e giù, non poté far altro che aspettare.
Aspettare che lei morisse o vivesse.
- Pensi di diventare migliore ogni giorno, facendo queste cose? –
Aveva detto a bruciapelo Zefiro rivolto a lui, si era fermato dal camminare nervoso e stringendo forte i pugni delle mani insanguinate, lo fissava sperando di riuscire a colpirlo con qualche potere sovrannaturale, come facevano tutti gli altri! Non ci riuscì. Kinkaid alzò lo sguardo su di lui diretto, era ancora rosso fuoco, solo un istante e rispose basso e penetrante, la voce era roca, come quella di uno che aveva gridato per ore. In realtà non aveva detto una parola dal momento in cui lei era rimasta ferita.
- No, io penso solo di essere di due passi più vicino alla mia tomba. –
Disse solo questo, una cosa che colpì l’interlocutore, lì per lì non sapeva cosa dire, in realtà sapeva ben poco della sua vita, non gli era mai importato nulla di lui quindi non se ne era mai interessato, sapeva a stralci cosa gli era circa capitato … i suoi genitori non lo volevano, era morto il gemello e che altro? Era odiato da tutte le razze e lui odiava loro … forse si sentiva solo e per questo combatteva il vuoto a quel modo. Pensava di capirlo, a volte pensava veramente di comprendere i suoi gesti assurdi, a volte non lo sapeva ma ci andava vicinissimo, spesso era l’unico a capirlo veramente eppure c’era sempre la sensazione, nel biondo, che gli sfuggisse qualcosa di lui.
- Penso che non posso giudicare la vita degli altri perchè comunque non ne so un cazzo, però posso giudicare la tua azione di oggi. Sei stato un imbecille! –
- Io non te l’ho chiesta la tua opinione di merda! –
Era astioso, non più basso e controllato, voleva esplodere, di nuovo, fare una strage eppure sapeva dentro di sé che ormai non avrebbe più potuto. Si avvicinarono petto contro petto, si guardarono sempre più vicino e con i volti di pietra si sfidarono con lo sguardo, nessuno avrebbe ceduto per primo.
- Ecco perchè in ogni scontro perdi sempre qualcosa, perché non ascolti nessuno, nemico o amico che sia. Si può sempre imparare qualcosa dagli altri, persino dai nemici. –
Era una frase che gli entrò dentro ma non l’avrebbe mai dimostrato.
- Non me ne faccio niente delle parole degli altri, a me servono fatti e gli unici utili a me stesso sono derivati dalla forza. La forza la trovo solo in me. Non posso contare su nessun’altro e se mi metto a fare da baby sitter a chi crede di andare a giocare alla guerra, non ottengo quello che voglio. –
- Ma ogni azione comporta una responsabilità, non esiste nessuno che non abbia conseguenze per altri. Oggi l’avevi appresso, contro la tua volontà ma c’era e dovevi agire di conseguenza! –
- Non sono io che agisco di conseguenza agli altri, ma gli altri che lo fanno di conseguenza a ciò che decido di fare! Io oggi avevo deciso di andare a fare una determinata cosa pericolosa, vi avevo avvisati, voi siete venuti lo stesso. Vi avevo avvisati, Zefiro. Non so perché ha voluto venire ma lo sapeva. È lei che si deve prendere le sue responsabilità, non io per lei … o per tutti voi! Ho iniziato questa guerra da solo e non ho mai voluto altri in mezzo che mi aiutassero, so bene che chiunque mi è d’intralcio. Io non ho mai chiesto nulla! Non puoi incolparmi del fatto che ho agito in modo sconsiderato e pericoloso sapendo che avevo voi due. Noi non c’entriamo niente l’uno con l’altro, le nostre guerre sono diverse. –
Zefiro si morse la lingua ma dall’esterno rimase intatto, non si mosse però avrebbe voluto mettersi ad urlare, aveva bisogno di uno sfogo vero e proprio, qualcosa che non si concedeva mai perché era sempre pronto a considerare ogni cosa, ad essere oggettivo … ed ora era stufo di esserlo anche con lui. Tuttavia non aveva tutti i torti anche se il suo discorso era veramente troppo egoistico ed infantile.
- Comodo così. Molto comodo. Ma ricorda una cosa, volente o nolente hai instaurato dei rapporti. A me non me ne fotte nulla di te a lei invece si, quindi prendi atto di questo fatto increscioso avvenuto contro la tua volontà. Dato che ci sono ti do un'altra dritta su Astrid, visto che la conosco. Quando si lega a qualcuno non esiste forza al mondo in grado di staccarla. Nemmeno la morte. Tu non la volevi, lei si. Prendi atto ed agisci di conseguenza. Le cose accadono e noi non possiamo farci nulla ma possiamo modificarci in modo da evitare il disastro la volta successiva. Volevi combattere la tua fottutissima guerra da solo ma ormai non puoi perché lei vuole starti appresso. Accettala e vedi di utilizzarla nel migliore dei modi. – Si interruppe e avvicinandosi ulteriormente fino a toccarsi coi visi, disse incisivo e penetrante, quasi inudibile, come una minaccia di un dio superiore impossibile da ignorare. Aggiunse quindi: - E di aver cura di lei!-
Avrebbe voluto dire che non la voleva, non l’aveva chiesta, era d’intralcio, gli impediva di agire come meglio voleva però sentiva in sé già le risposte, risposte inattaccabili. Lui non aveva voluto nulla di tutto quello ma era accaduto, lei c’era e doveva solo prenderne atto e agire di conseguenza, anche se questo avrebbe significato perdere più tempo del previsto, della forza e quant’altro potesse perdere in una situazione simile. Cosa ci guadagnava? Se lo chiese ma non volle condividere questa domanda personale con Zefiro che sembrava di un altro pianeta. Lui in quanto Kinkaid cosa ci guadagnava a stare con Astrid? Ci perdeva molto ma aveva qualcosa in cambio?
La sensazione di quella passata giornata di mare avrebbe dovuto dargli la risposta che cercava. Se a guadagnarci c’era la consapevolezza d’appartenenza a qualcosa – qualcuno – allora forse avrebbe potuto fare lo sforzo. Anche se era sempre stato convinto che oltre a Thomas, Oscar e Stephan nessun altro avrebbe mai potuto provare sentimenti positivi per lui. Nessuno avrebbe potuto amarlo.
Ne era sicuro però la sensazione di quell’ultimo periodo cominciava a gettarlo nell’incertezza di quelle sue convinzioni.
Questo lo fece zittire. Finché non avrebbe capito quelle cose non sarebbe progredito.
Fu Stephan a parlare per loro, aveva una voce sforzata e poco chiara:
- Kinkaid, cambiare non è sempre un male, spesso è bene, accresce la tua forza interiore e fisica. È necessario cambiare, non rifiutarlo. Se rimani così non guadagnerai mai ciò che cerchi disperatamente. –
Non disse nulla a proposito di cosa cercasse poiché era chiaro che il nebuloso era proprio su quel particolare. Il rosso non sapeva più cosa cercava esattamente al momento.
- E ricorda anche che per rendere felici bisogna prima esserlo … -
Non seppe perché sentì il bisogno di dirlo ma qualcuno passò per la sua mente lasciando quella frase, così semplicemente la disse.
Entrambi pensarono molto su quella frase rivolti proprio ad Astrid. Nessuno dei due si sentiva in grado di renderla felice come in fondo volevano o cercavano e il problema era proprio quello. Non erano felici.
La voce di Nathan arrivò alle loro spalle.
- Ho fatto tutto quello che ho potuto … -
Iniziando così il cuore andò loro in gola e per un attimo le articolazioni si sciolsero facendoli sentire gelatina, Stephan prese un lungo respiro e con la testa che cominciava a pulsargli poiché sentiva l’emozione di Zefiro e di Kinkaid, chiese con un filo di voce:
- E …? –
- No, avete frainteso, è salva, le ho curato le ferite e fisicamente è intatta ma ha una febbre molto alta e più di quanto ho già fatto non posso … ora dipende da lei, se passa la notte è fuori pericolo … -
Non si pronunciò oltre, i tre sapevano cosa significava e non riuscirono a sentirsi sollevati. Subito il moro e il biondo entrarono per vedere lo stato dell’amica, era coperta dalle lenzuola ma nuda, i vestiti erano stati tagliati e tolti .
Dormiva, aveva la pelle imperlata di sudore e il pallore innaturale accompagnato da occhiaie profonde le dava un aspetto sommario impressionante, Stephan deglutì indietreggiando, non reggeva oltre la vista di quella ragazza che stava così male, tremava, la si vedeva tremare ma non dal freddo. Tremava per altri motivi, chissà quanto soffriva, si chiese. Stava per uscire dalla stanza quando entrò Kinkaid, rimase fermo con le mani nelle tasche ed i muscoli in tensione, dopo un attimo disse laconico:
- Lasciatemi solo … -
Era una richiesta egoistica, l’ennesima, per Zefiro. Come poteva chiedergli una cosa simile? Voleva litigare? Eppure non l’aveva chiesto come ordine, l’aveva chiesto come un bisogno impellente. Kinkaid DOVEVA stare solo con Astrid. Bruciore, un bruciore al petto l’invase mentre il cuore gli si stringeva in una morsa pericolosa, cosa poteva fare? Si alzò e gli lanciò uno sguardo per assicurarsi sulle sue intenzioni, per capire se se lo meritasse. Non gliel’avrebbe mai lasciata anche se … anche se non gliela aveva forse appena affidata, in un modo molto strano e indiretto?
Quando lo vide negli occhi si convinse mentre un brivido lo percorreva.
Kinkaid aveva le iridi degli occhi completamente nere.
Stephan non lo vide, vide solo Zefiro uscire senza dire mezza parola, si richiuse la porta alle spalle e notando la domanda nel volto effeminato del compagno, disse:
- Cosa significa quando a quell’alieno gli vengono gli occhi del tutto neri? –
Stephan spalancò i suoi con un moto di preoccupazione chiaro e netto.
- Ecco … dorati quando è normale … rossi quando è infuriato e … neri quando è in crisi … -

E’ passato solo un istante ma io sono sicuro che tu sei morta quando ti ho lasciata qua dentro da sola. Proprio come un carro funebre. E ti sento ancora così lontana come se lo fossi ancora, morta … so che Nathan non ha questa capacità, resuscitare i morti. Però non ti sentivo, veramente. Quando ti ho visto a terra nel bosco mi sono detto: è morta. Ho corso come avessi il diavolo in corpo dopo aver ucciso all’istante quelli con cui combattevo. Non credo di aver fatto così molte volte, il mio pensiero era rivolto a te e mi dicevo che se fossi veramente morta non me lo sarei mai perdonato. Perché mi hai fatto sentire in colpa? Poi ragionandoci dopo, davanti al tuo amico, mi sono detto che in realtà io non c’entravo eppure … che sia veramente come dice lui?
Bruciamo entrambi, ognuno a modo suo, tu ti accendi proprio come un fiammifero, per incenerire la vita di tutti quelli che conosci e il peggio è che prendi sempre qualcosa da ogni cuore e lo spezzi, come una spada macchi chi incontri. Qual è il tuo obiettivo? Perché hai voluto affiancarmi, quest’oggi? Sei così incosciente e sconsiderata, io non capisco. Pensavi veramente che fossi io a morire? Beh, questa volta ho tenuto duro, come tutte le altre. Qual è la cosa peggiore che potrei dire, a questo punto?
Posso solo star qui accanto a te, non so perché ne sento il bisogno, io e te soli come quando ci alleniamo in quella cella. Quando siamo soli sembra come se le cose andassero meglio, così resto a lungo e posso solo augurarti, per questa volta, una buona notte. Una notte che tu possa superare.
Io non ti conosco molto bene come quel tipo là fuori, però percepisco ciò che stai sognando, come se un filo ci collegasse e mi trasmettesse oltre che i tuoi pensieri anche i tuoi sogni. C’è stato un tempo, per te, che ti ha fatto piangere molto, un tempo che ha sepolto le stesse insieme al tuo cuore e alla tua fiducia. Molti te l’hanno chiesta, ne sono certo, ma tu non hai saputo vederli. Siamo diversi … a me nessuno mi ha mai chiesto fiducia oltre che quel pazzo ancora in vita, Stephan. Sei tu la ferita eppure penso proprio che i veri feriti che hai provocato, siamo proprio noi che aspettiamo il tuo risveglio.
Astrid, mi senti?
Ti sono vicino. Mi sento in colpa e lo posso ammettere veramente solo a te addormentata. Dovrei lasciarti nella tua vita, allontanarmi da te. Questo sarebbe l’unico modo reale per proteggerti. Quello là non capisce niente anche se ogni tanto ne spara di sane. Non posso semplicemente modificarmi per proteggerti solo perché vuoi star con me.
(O vogliamo?)
Dovrei solo farti andare, sparire dalla tua vita. Eppure sento che anche se ci lasciamo poi finiremmo per incontrarci ancora e quando questo accadrebbe, quando queste nostre macchine si scontrerebbero, ci sarebbe ancora quel botto, fingeremmo di odiarci per poi ammettere che quel che vogliamo l’uno dall’altro non è vederlo morire ma solo vederlo vivere.
Nathan ha pulito ogni cosa e la stanza sa di medicine. Un odore nauseante. Apro la finestra e lascio entrare l’aria notturna fresca poi mi avvicino al tuo letto e mi inginocchio davanti, continuo a guardarti e pensare come se mi sentissi. Perché anche tu sei telepatica e senti sempre ogni mio pensiero, sei fastidiosa.
Però se è così allora se io ti toccassi la pelle, mi potresti dire a cosa stai pensando in questo istante.
Se ti prendessi la mano mi diresti anche dove stai andando, potrei chiederti di portarti con me. Appoggio la testa al materasso, sopra il braccio piegato, la mano si congiunge con la tua. Te la prendo e chiudo gli occhi immaginando di essere sdraiato con te, immagino tu mi guardi negli occhi. Allora ti chiederei cosa vedi poiché sento che sei l’unica in grado di leggerci qualcosa che sia diverso dal marcio che vedo io in me stesso.
Tu vuoi starmi vicino a costo della vita, è possibile?
Cosa hai visto in me da avvicinarti tanto?
Sarai seduta in cima al mondo, starai insultando come un camionista tutti e proprio lì dove io so il vento soffia poiché ci sono stato, dimmi come ti senti. Ti senti come mi sentivo io?
Stringo la tua mano gelida in contrasto con il resto del corpo bollente, sentiresti se ti mento?
Se muori so che rimarrei per sempre solo, però è una percezione infame perché non è vero. C’è almeno una zecca che continuerà sempre a starmi attaccata, quel Stephan … eppure vedendo con la mente i tuoi occhi, occhi che portano il riflesso di ciò che hai dentro, sono convinto che dopo di te mi ridurrei a pezzi cacciando tutti … fino ad essere veramente solo. Puoi vedermi? Guarda i miei occhi, le mie labbra parlano, ascolta cosa dicono …
- Dammi la tua fiducia, guardami dentro … -
Cazzo, che bisogno ho che qualcuno mi guardi dentro? Che qualcuno mi capisca nell’intimo? Sono sempre stato attento, ho sempre cacciato Stephan in tempo, poi mi chiedo anche come mai in momenti come questi si diventa così sinceri? Sinceri con sé stessi, fino a dire un sacco di merdate che mai normalmente si direbbero, cose nauseati.
Voglio sapere cosa stai facendo seduta in cima a quel mondo, in mezzo al vento e al buio, come ti senti?
Ti sto tenendo la mano, lo senti? Voglio che ti svegli per poterti ricoprire di botte fino a farti scorrere ancora il tuo ibrido sangue maledetto, perché mi stai facendo sentire una merda, io odio essere una merda.
Senti la mia mano? Se ti sto mentendo rimarrò per sempre solo. Prenditi il tuo tempo, ok, te lo concedo. Lassù dove stai ora c’è posto per i ricordi e le ammissioni più segrete. Ascolta le voci che ti sussurrano quelle dannate verità, ma ascolta solo la mia alla fine. Credimi, segui il caldo che ti porto mentre alzo la temperatura della mia mano per infonderti la mia energia, lo senti?
Voglio che ti svegli perché devo dirti di tutto, so che non sei una ragazza ma solo un demonio, mi prenderò la libertà di picchiarti fino a farti a pezzi perché non hai fatto quel che ti ho detto e avresti dovuto.
Sei solo una strega, cosa mi hai fatto? L’hai fatto a posta a farti ridurre in fin di vita, volevi vedere tutti i tuoi uomini ai tuoi piedi, distrutti per te … ebbene come ti sembro? Patetico, un idiota, un nauseante qualunquista che vuole vendicarsi per lo stato in cui è stato gettato dall’unica donna che abbia osato mettergli i bastoni fra le ruote ed avvicinarsi a lui.
L’unica che sia sopravvissuta dopo avermi rotto le palle.
Tu non sei una qualunque, ecco perché devi ascoltarmi e riaprire gli occhi, quei tuoi occhi osceni.
Stai danzando, in quel posto solitario?
Coi tuoi passi aggraziati provochi il mio dolore, mi uccidi piano. Immagino che balli bene anche questa volta, so che hai stile, così divento tuo spettatore, impossibilitato a far altro che non questo. Sono un estraneo, in fondo. Hai tuoi occhi devo apparire così, non c’entro nulla con te. Tu sai muoverti nell’arte, io nella guerra eppure sai combattere … ma io non so essere delicato e creare qualcosa di bello come fai tu. Non siamo uguali come pensavamo, non siamo attirati l’uno dall’altro per questo. Cosa c’entro io con te? Sono la tua rovina, è per seguirmi che ti sei ridotta così.
Ecco perché mi sentivo in colpa.
Sono colpevole di averti attirato nella mia tela, ho usato il mio fuoco come esca e tu come una falena, io sapevo tu lo eri, sei venuta.
Ti sento avvampare di febbre, come se fossi imbarazzata a causa delle mie parole, quali? Quelle che ti dicono attratta da me? Quelle che ti mostrano come una falena bruciata dal fuoco?
Lo sapevi, sapevi che sarebbe accaduto prima o poi, ti avevo detto di fermarti invece continuasti. Di chi sarà la colpa?
Quando tutto questo sarà finito di chi sarà la colpa?
Dipende da come finirà … e come finirà dipende da te.
Solo una cosa …
- Astrid, svegliati! –
So che mi senti, obbedisci per una volta, porco cane! “

Kinkaid non staccò nemmeno un istante gli occhi dal corpo della ragazza, come non separò mai la mano dalla sua.
Preoccupazione, era questo che provava per la prima volta in vita sua. Preoccupazione e timore di perdere ancora una volta qualcuno a cui teneva.
Il punto era solo questo.
Lui teneva spasmodicamente ad Astrid.
Questo lo sbatteva completamente fuori di testa, tanto da non riuscire più a fare a pezzi nulla, tanto da riuscire solo a stare al suo capezzale senza staccarsi un istante dalla sua mano.

E’ come il vento tra gli alberi, cavalcare la notte al suo fianco, farmi condurre attraverso il chiarore di luna solo per bruciarmi con il fuoco puro.
E’ una voce eppure la percepisco a questo modo in un posto buio e freddo come questo. Pensavo di essere sola coi miei ricordi del cavolo eppure no. Eppure c’è questa voce prepotente e chiara che non mi abbandona, parla e parla … e mi dà ordini come se fosse il mio re. L’unica cosa di cui mi rendo conto è che mi sta prendendo il cuore e non se ne rende conto.
Sento il suo respiro sul mio viso, improvvisamente comincio a sentire questo, il suo corpo vicino a me, mi chiede di guardarlo negli occhi e capire se mente dicendo che mi vuole sveglia ma non posso ancora vederlo, vorrei, non ci riesco, non é alla mia portata.
Solo un pazzo può credere che io ho qualcosa di cui lui ha bisogno.
Per ora è solo una voce che mi comanda, la percepisco come il vento e mi chiede di guardare … bè, tutto ciò che vedo é un giovane uomo che cerca di crescere ed ha solo un sogno, un sogno che si confonde e non sa più percepire chiaramente. Prima era un sogno di morte, ora non sa più di preciso quale sia. Ora non ne è sicuro. Ora vacilla e chiede a me quella sicurezza che non ha più. Con che coraggio? Proprio a me che non so nulla di me stessa … chiede di fermare la sua sofferenza, non lo fa con queste parole ma capisco che il senso è questo. Come faccio a capirlo? Sembra mi stia insultando, in fondo. Sono certa che la traduzione sia questa.
Vivere senza di me lo farebbe impazzire.
Vivere senza lui mi farebbe impazzire.
Dopo che ho assaggiato il fuoco facendomi bruciare a questo modo non riesco a farne a meno, non riesco a cercare il gelo o qualunque altro elemento. Io voglio solo il fuoco, il suo. Fino in fondo, fino ad averlo dentro, fino a farmi uccidere completamente.
L’ho assaggiato da poco però non posso più farne a meno, senza uscirei di testa anche se non ne avessi più una fisica.
Lui mi chiede di tornare da lui ed io non voglio altro che questo. Tornare da lui.
E dagli altri.
Ma da lui soprattutto … perché voglio vedere come va a finire, chi si uccide prima, chi vince nelle nostre lotte giornaliere. Chi vincerà la guerra.
Sarà lui ad avere me o io ad avere lui?
Voglio aprire gli occhi però a mancarmi è solo la forza. Fisicamente non riesco più a comandare il mio corpo perché non lo percepisco, non lo sento. Come faccio a farmi sentire? Io lo sento è lui che non sente me. Fammi aprire gli occhi, chiama il mio nome e salvami. Svegliami. Riportami in vita.
Kinkaid, non lasciarmi, non arrenderti, non pensare sia tutto finito. Non sento nulla, solo la tua voce come il vento. Voglio il tuo fuoco, bruciami. “

Una folata di vento gelido fece rabbrividire il caloroso Kinkaid la cui temperatura si abbassò di colpo, come quella della stanza, alzò la testa interrompendo il contatto d’anima che aveva instaurato con Astrid, si girò verso la finestra e quando vide dalla sua bocca fuoriuscire il fumo per il freddo, capì subito cosa stava per succedere.
Fu solo uno scatto velocissimo quello che fece e subito si trovò davanti al letto, fra lei e la finestra, era in posizione d’attacco e la temperatura corporea stava salendo, stava richiamando il suo fuoco, era pronto ad attaccare chiunque fosse entrato dalla finestra. L’odio stava violentando gli occhi di Kinkaid che tornarono dorati e non più neri. Il dorato in fretta divenne arancio rosso e le pupille sempre più sottili. A guarirlo era stata una sola idea. Un’idea che divenne subito certezza.
Stava arrivando Jago, la sua ossessione.
I muscoli del corpo erano già tesi e la mente rivolta ad un unico obiettivo, impedirgli di avvicinarsi a lei, qualunque fosse il suo intento non gli avrebbe permesso di compierlo quella sera, non era proprio dell’umore. Come anche non aveva intenzione di battersi con lui, non seriamente.
Si chiese se non fosse del tutto rimbecillito, era tutta la giornata che lo cercava per misurarsi eppure ora che ce l’aveva davanti non gli interessava, non lo voleva. Voleva rimandare il loro scontro. Non voleva battersi per ucciderlo ma solo per difendere lei.
Stava cambiando, il punto era: andava bene o no?
Poteva permetterlo?
Non ebbe tempo di darsi risposte, arrivò il culmine del freddo e un lupo nero saltò dentro la camera, proprio davanti a lui vestito di pantaloni neri e una canottiera sempre dello stesso colore.
Gli occhi di quel lupo meraviglioso erano innegabilmente cacciatori, innegabilmente suoi.
- Jago … -
Mormorò a denti stretti. Aveva solo deciso una cosa. Non avrebbe scatenato il suo fuoco. Non quella sera. Con quello avrebbe solo difeso ciò che riteneva importante.
Il lupo non ringhiava, aveva un aria perfettamente calma, non avrebbe attaccato eppure il rosso si chiese perché fosse venuto. Lo vide trasformarsi lentamente in uomo, mentre il pelo spariva lasciando solo la pelle bianca, le fattezze divenivano umane e la forma di un uomo in piene forze, accovacciato a terra, apparve. Lunghi capelli neri coprivano la schiena nuda, come il resto del corpo. Quando tornava normale dopo essere stato trasformato in qualcosa, era ovviamente senza vestiti, non parve preoccuparsene. Si alzò mostrandosi com’era, non avrebbe mai dovuto vergognarsene, in fondo. Delle cicatrici si vedevano su ogni parte, rivelazione di ogni combattimento dei suoi lunghi anni. Si guardarono negli occhi, occhi gelidi in occhi di fuoco. Erano sguardi diversi eppure uguali, entrambi non avrebbero mollato ma nemmeno attaccato.
- Cosa vuoi? –
Chiese Kinkaid accusatorio.
Jago non rispose subito, lo studiò un attimo cercando di capire cosa avesse dentro, trovò solo un tornado di fuoco impazzito, un caos apocalittico, avrebbe vinto facilmente, nonostante la forza aumentata e lo stato d’animo in subbuglio, il non controllo, ce l’avrebbe fatta. Solo perché aveva la testa completamente da un’altra parte. Non lo vedeva veramente, non era veramente lì davanti a lui a fronteggiarlo. Pensava a lei.
Non si sarebbe mai immaginato una cosa simile da lui.
Stava crescendo e fino ad un attimo prima era stato sicuro che non sarebbe mai avvenuto.
Qualcosa in Kinkaid stava accadendo, qualcosa di mai successo.
- La morte sorride a tutti noi. Non possiamo fare altro che sorridergli di rimando. –
Voleva solo provocarlo un po’? Vedere il grado di maturazione? Tastare il livello?
Qualunque cosa fosse lo fece consapevole che non avrebbe alzato un dito quella sera e questo di per sé era un fatto sconvolgente.
- Non ho paura di morire, non me ne frega nulla! –
- No? – Disse quindi Jago con il suo tono indecifrabile e suadente, calmo, freddo, inarrivabile. Nemmeno con quanto più sforzo possibile Kinkaid avrebbe potuto leggergli nel pensiero ma non era sua intenzione farlo. – Di cosa hai paura, allora? –
Non gli interessava veramente, voleva vedere la sua risposta ed il motivo poteva saperlo solo lui.
- Che te ne frega? –
Sorrise enigmatico il moro, poi fece:
- Noi veniamo dal nulla e finiremmo nel nulla ma nel mezzo facciamo di tutto per divenire qualcuno. Tu hai paura di non riuscirci se ora la perdi. –
Kinkaid si morse il labbro stringendo i pugni, cosa ne sapeva quell’uomo di cosa provava? Che gli importava di analizzarlo a quel modo? Perché lo faceva? Lo tormentava in quel modo sottile e psicologico, voleva farlo innervosire ma non se ne spiegava il motivo, lo distoglieva dal suo bisogno primario, Astrid. Così continuò:
- Hai paura che muoia. Hai paura della morte. –
Ebbe un ringhio, fu con quello che rispose, gli muoveva una tale rabbia dentro, come se qualcuno lo graffiasse ad ogni parola di quell’uomo odiato. Aveva impresso ogni umiliazione inflittagli ma ancor più aveva impresso quel giorno in cui aveva detto di volere Astrid. Non gliel’avrebbe mai lasciata. Mai.
Ecco perché l’odiava. L’aveva sconfitto e voleva portargli via lei. Chi era lei per lui? Perché gli bruciava anche quello, fra le tante cose? Tutto quello lo gettava nel caos ma non si sarebbe fatto prendere dalla crisi, non quella volta. Quella volta c’era bisogno di fermezza per mandare via Jago.
Allora perché semplicemente non lo combatteva?
Ci parlava.
Impossibile e assurdo.
- Ho bisogno di sentirla veramente vicina a me per scordare la paura di rimanere solo. –
Credeva di averlo solo pensato ed invece l’aveva detto. Era stato istintivo per lui cercare la risposta reale alla sua domanda, eppure non avrebbe mai voluto dargliela. Invece l’aveva fatto. Che fossero suoi poteri?
- Non sei solo, non mi risulta. –
Avrebbe anche voluto dire che non conosceva la vera solitudine rapportata alla sua, ma sarebbe stato solo uno scoprirsi, non era da lui. Quindi si limitò a questo.
- Tu hai solo paura che senza di lei, nessuno sarà in grado di amarti. –
- Siamo creature degli inferi, non ci è permesso amare. –
Disse con amarezza ricordando la fine del fratello e dell’amico d’infanzia. Era rimasto del gruppo solo Stephan e testardamente continuava a stargli accanto pur sapendo che avrebbe fatto la loro stessa fine. Già … non era solo. Allora era vero. Aveva solo paura di veder morire l’amore.
Perché, però, improvvisamente abbinava l’amore ad Astrid? Quando aveva fatto quel passo?
Aveva capito da poco che stava bene vicino a lei, che il contatto con lei lo sollevava, lo faceva sentire vivo … da lì era giunto a quel tipo di sentimenti? Aveva amato solo una persona in vita sua, ed era morta. Aveva giurato di non concedersi a nessun’altro. Ora bastava una violenta come Astrid e lui ricapitolava?
Mai come in quel momento si era posto tante domande, tutto questo lo mandava in bestia. Aveva bisogno di urlare, di fare a pezzi qualcosa. Eppure ciò che lo faceva infuriare era che tutto questo era messo sempre in secondo piano poiché voleva per prima cosa vederla risvegliarsi.
- Però ami. –
- Che ne sai tu dell’amore? Non ne so nulla io, come fai a conoscerlo tu, che l’unica persona di cui hai bisogno è te stesso? –
- Non si tratta di amare ma di natura. –
Non si muovevano, continuavano immobili a guardarsi negli occhi, l’uno studiava l’altro eppure apparivano così diversi. Kinkaid non era toccato dal fatto di avere il suo nemico primario nudo davanti a sé, era più toccato dalle sue parole, lo provocava sapendo che non sarebbe riuscito ad alzare un dito. Il tono divenne sempre più aggressivo, mentre Jago diventava sempre più insinuante.
- L’unica cosa che è nella nostra natura fare, e parlo di te e di me, è uccidere. -
Anche questo colpì Jago anche se non lo rivelò apertamente, era solo un lungo percorso quello che portava da lui a Kinkaid, sarebbero stati piccoli i passi ed il metodo di cammino era conosciuto solo dal moro.
- Ogni mio lembo di carne ha avuto del sangue su di sé. –
- Siamo più simili di quel che siamo disposti a credere … -
Mentre parlava con lui si trovava come in una strana condizione obbligatoria di rivalutazione dell’avversario. Non avrebbe mai voluto farlo, continuava a provare profondo rancore, ad incolparlo di molte cose che non gli andavano bene. Continuava a desiderare di ucciderlo e credere fermamente nel fatto che non v’era posto per entrambi in quel mondo.
Però quella era la prima volta che ci parlava e che lo ascoltava. Era vero, in fondo non erano così diversi e forse proprio per questo non sarebbero mai potuti andare d’accordo. Non avrebbero mai potuto convivere.
Quando pensò questo Jago mosse dei passi, lentamente prese ad aggirare sia lui che il letto, Kinkaid lo guardò e quando capì che voleva arrivare ad Astrid allungò un braccio col fuoco che l’avvolgeva, gli si parò davanti, lo sfiorava e si fermò. Guardò il braccio, poi Astrid stesa ed infine di nuovo il ragazzo che senza un minimo di gentilezza nel volto, lo minacciava. Non disse: ‘non toccarla’, era ovvio.
Certe persona potevano cambiare profondamente altre apparentemente incambiabili.
- Fammi passare. –
- Dimmi perché. –
Il tono di entrambi era cambiato, era finito il tempo dei discorsi.
- Solo io posso salvarla ora. –
Non ci volle un genio per capirlo ma arrivò solo fino ad un certo punto, più in là di lì nessuno sarebbe potuto arrivare.
- Perché hai sangue cacciatore come lei? –
Jago ebbe un altro dei suoi sorrisi enigmatici, poi vago disse:
- Puoi metterla così … voi osservatori avete agito sulla sua parte osservatrice, ora tocca a noi … -
- Cosa ti interessa di salvarla? –
Aggressivo, si trattava di Astrid.
- Più di quanto pensi. –
Non avrebbe detto altro. Si fronteggiarono ancora con lo sguardo, senza dirsi più altro, Kinkaid cercò di capire cosa intendesse, se potesse fidarsi, se … ma non trovò altro che: ‘rimane solo questo!’.
L’idea che potesse ingannarlo lo tormentò dal primo istante in cui si fece da parte per farlo passare fino all’ultimo, non si fidava di nessuno per partito preso, però il suo istinto prese il sopravvento, come ogni volta che agiva. La sua vita era istinto, i suoi pensieri erano istinto, i suoi sentimenti erano istinto.
Fallo andare!”
Se questa voce era il suo istinto, però, allora era molto femminile!
Sembri Astrid ma non lo sei e se ti sbagli, giuro che ti trovo e ti ammazzo, chiunque tu sia … “
Quel che accadde successivamente fu un gesto semplice. Jago giunse al letto, allungò una mano e la posò sulla fronte della ragazza in agitazione. Lo sguardo con cui la guardò fece capire a Kinkaid che non si era sbagliato a lasciarlo fare, però non lo comprese. Non comprese nulla di quel che accadde e della luce diversa dalla solita di tenebra che aveva. Comprese solo che gli passava la sua energia vitale.
Solo questo.
Il centro dell’azione.
- Sei bella e preziosa; sei nascita e vita; sei essenziale per gli artisti e elemento naturale doloroso per gli avidi e i ladri... –
Poi si chinò su di lei, quando lo fece si videro entrambi i loro profili l’uno vicino all’altro, solo allora notò di sfuggita la straordinaria somiglianza dei due. Questo rimase solo un lampo poiché gli arrivò l’istante prima al soffio dell’uomo sulla ragazza, un aria gelida entrò fra le labbra schiuse e il petto si gonfiò come se respirasse veramente solo in quel momento.
- Astrid, svegliati. –
Mormorò infine.
Quando si rialzò le lasciò un lungo sguardo carezzevole, non osò toccarla.
Infine si voltò allontanandosi dal letto, aggirò ancora una volta Kinkaid immobile, impietrito che continuava a porsi domande e priorità. L’idea di sentirsi un imbecille che si faceva sfuggire la sua preda lo divorava immensamente, a compensare quella sensazione sgradevole c’era la consapevolezza che Astrid si sarebbe ripresa. Perché aveva sentito la sua voce prometterglielo.
Jago arrivò alla finestra, guardò fuori, in alto la luna era piena e illuminava la stanza buia con la luce argentata, la stessa che aveva permesso ai due uomini di vedersi, il rosso vedeva la schiena dai capelli corvini, sembravano seta pura. Era un uomo attraente però anche quel pensiero sicuramente non era il suo. Sicuramente era la coscienza di quel qualcuno femminile che poco prima gli aveva suggerito di lasciarlo fare, una voce di coscienza simile a quella di Astrid. Non volle proprio indagare su chi potesse essere, non gli interessava minimamente la storia di quel lupo che prima di trasformarsi in tale, si era girato per metà donandogli il suo sguardo gelido ed indecifrabile. Mille segreti e misteri si portava dentro.
- Ora si sveglia … porgile i miei saluti. –
Kinkaid capì che tutto stava finendo, che presto le cose sarebbero tornate a posto, come anche il suo istinto omicida senza pietà.
Sapeva che la prossima volta che si sarebbero rivisti nessun pericolo maggiore l’avrebbe fermato.
- La prossima volta non sarà così. Quando ci rivedremo sarà per combattere e lo farò con ogni forza possibile. –
Jago sorrise ancora, fu solo un cenno glaciale, il sorriso dei morti.
- Aspetterò il momento. –
Detto ciò si lasciò cadere dalla finestra, avvolgendosi nella notte.
Rimase un attimo a guardare la finestra e ripensare che lo sapevano. Lo sapevano tutti e due che quella volta erano stati salvati da Astrid e dal fatto che per entrambi lei era più importante di qualunque conto in sospeso.
Con questa considerazione il giovane tornò ad accovacciarsi su di lei, non osò riprenderle la mano, sentiva che lo sfogo era passato ed il momento di bisogno superato come anche l’istante di magia, l’atmosfera interrotta.
- Svegliati, però … svegliati, su … cosa aspetti, scema? Svegliati, svegliati, svegliati … -
Prese a ripeterlo all’infinito con fare arrogante e prepotente, nulla che spingesse all’effettivo risveglio. Aveva solo esaurito le parole, al momento tutto ciò che gli consentiva il suo animo erano quelle parole imperative.
Svegliati.
Una sola parola.
Aprire gli occhi.
Un solo gesto.
- Ma che cazzo … -
Si udì la frase dalla voce impastata femminile.
Un sussulto.
Gli occhi di corvo si spalancarono e il fiato si trattenne e fu ancora una volta l’istinto a muoverlo.
Lo stesso che l’aveva tenuto in vita fino a quel giorno.
Era giusto seguirlo. Sempre?
A questa domanda avrebbe risposto in un altro momento.
Ora solo una cosa contava.
Che lei avesse veramente riaperto gli occhi e se avesse sentito i pensieri di poco prima … bè, quello era un dettaglio. Un dettaglio a cui Kinkaid sperò la risposta fosse negativa.
Una speranza non realizzata.
A muoverlo però fu l’istinto e si trovò ad abbracciarla pur lei rimanesse dolorante stesa a letto, con la testa pesante e il corpo sudato. Sentì arrivarle addosso un corpo forte maschile dal forte odore di fatica, non profumava ma nemmeno lei, in realtà anche i loro odori si somigliavano. Odori che l’uno apprezzava morbosamente nell’altro.
Inspiegabile come il sentimento che li legava e che facevano fatica ad ammettere.
Ancora.
Lei non seppe cosa dire lì per lì, cercò di capire cosa fosse successo e perché proprio lui l’abbracciasse, quando lo fece cominciò a ricordare solo una cosa. Solo una.
La voce che sapeva di vento che gli aveva sussurrato tutte quelle frasi così strane, che nessuno gli aveva detto a quel modo, in quel tono di comando. Un modo per risvegliare qualcuno molto personale, poco gentile ed invitante. Molto disperato.
Sicuramente da Kinkaid.
Quando si alzò rendendosi conto di star abbracciando colei che normalmente chiamava ‘strega’, rimase a mezz’aria, vicino a lei, chinato per vedere se si era veramente ripresa, se pensasse che lui fosse impazzito, se ci fosse qualcosa da guardare …
- Se l’universo fosse nei tuoi occhi avrei la certezza che è infinito … è quello che penso guardandoti, me l’avevi chiesto. –
Sussurrò con poche forze. Lui trattenne il fiato e quando realizzò che l’aveva sentito arrossì violentemente spezzando la poesia. Non era pronto, era sicuro, ora lo sapeva. Non era assolutamente pronto per procedere più in là di quel momento. Era stata una serata lunga e faticosa, dove molte ammissioni erano sorte in lui a forza, troppi cambiamenti, troppe situazioni da mandar giù.
Troppo su cui riflettere.
Doveva capire ancora delle cose, cose troppo importanti da poter lasciare all’istinto.
- Oh … -
Riuscì a dire solo questo con tono imbarazzato, la guardò a sua volta negli occhi, uno azzurro ed uno dorato. Erano belli, come potevano spaventare gli altri? Perché starne lontani? Non lo capì. Era la sua natura. Per lui, quegli occhi erano la sua natura ed erano proprio come minuti fa li aveva immaginati.
Andava bene così.
Andava tutto bene così.
- Dicevi la verità, non mentivi. –
L’unica risposta che mancava era quella, del resto gliela doveva dopo tutto il tormento che gli aveva dato senza farla ‘riposare’ in pace!
Pensando di andare del tutto a fuoco e ucciderla in altro modo, si alzò di scatto, non riusciva più a starle così vicino, completamente impacciato in quelle situazioni capì in un istante solo una cosa devastante e shockante:
Mi piace. Astrid mi piace!”
Questo bastò a rigettarlo nel caos. Ecco perché si affrettò ad uscire senza aggiungere nulla.
Aprì la porta della camera e vide Zefiro e Stephan lì seduti che aspettavano di sapere qualcosa, era passato molto tempo ed avevano anche pensato che ad ucciderla fosse stato proprio Kinkaid, quando lo videro uscire si alzarono di scatto aspettando spasmodicamente una sua parola.
- Allora? –
Gli chiese ansioso Stephan, se non glielo avrebbe chiesto non avrebbe risposto, con la testa completamente da un'altra parte. Aveva un espressione cupa e pensierosa.
- Eh? –
Distratto.
- Astrid, come sta? –
- Oh, si è svegliata … -
Stephan sospirò ma Zefiro proseguì apprensivo e sospettoso:
- Abbiamo sentito voci … -
Kinkaid portò lo sguardo sull’altro, continuava a non vederlo, era altrove, dovette ripetere e lui finalmente disse vago:
- Si, è arrivato Jago … -
Stephan quasi si strozzò con la saliva, Zefiro non sapeva come interpretare tutto quello.
- Che è successo? Non abbiamo sentito rumori di lotta … -
Scontato che avessero combattuto.
- No, abbiamo solo parlato … -
Non avrebbe detto altro ma questo bastò a stordire completamente i due che dimenticarono i vari pensieri precedenti.
- COSA?! TU E JAGO AVETE PARLATO? –
Urlò Stephan non credendo a quanto udiva, Zefiro aggiunse più calmo ma ugualmente stupito:
- Cioè TU hai solo parlato con LUI? Senza combatterlo, insultarlo, gridargli contro? –
Annuì. Solo questo. Non li aveva nemmeno sentiti veramente. Improvvisamente i problemi di comunicazione che aveva con Zefiro gli parvero bazzecole confronto ai problemi che l’assillavano in quel momento, quindi non li calcolò più del dovuto.
- Questo implica che hai dovuto anche ASCOLTARLO. –
Di nuovo annuì senza far caso alle insinuazioni.
- Ma parliamo di QUEL Jago? –
- Si, si, di quel Jago, che rottura! Avete finito di rompere? La strega si è svegliata, ho pagato il mio debito, ammesso che ne avessi, ora via, largo. Scassate a lei e non a me! –
Alla fine seccato li liquidò a quel modo, tranquillizzandoli un po’ … di fondo rimaneva il solito Kinkaid!
Eppure … eppure mentre lo vedevano chiudersi in camera sua capirono che qualcosa era cambiato in lui, merito di Astrid, di Jago o di chissà chi altri, nessuno di loro avrebbe mai potuto saperlo.
Sarebbe sempre rimasto un mistero su cosa era accaduto lì dentro in quei minuti, fra Kinkaid, Jago e, in effetti, anche Astrid.
Nessuno l’avrebbe saputo ma sarebbe rimasta traccia in un rossino focoso profondamente scosso e di pessimo umore, più del solito.
I cambiamenti … che male possono fare? Dipende da chi cambia, non da chi l’assiste.
In effetti le paure maggiori derivano proprio da questo. Dall’ignoto cambiamento personale.