CAPITOLO
XVI:
PRENDI
LE MIE MANI
/Dammi
la tua fiducia e guarda nel mio cuore
/
“
Non
mi è mai importato nulla degli altri, men che meno di me
stessa. Andavo dritta per la mia strada, senza voltarmi e badare alle
opinioni altrui. A testa alta latravo insulti e non mi facevo
problemi a prendere a pugni chi mi infastidiva. Aveva visto bene,
Zefiro: ero più un cane randagio e con la rabbia che una
ragazza. Anche della mia femminilità non mi ero mai curata e
i
miei modi e il mio aspetto ne erano la conferma. Però a lui
sono andata bene anche così. Rozza, violenta, sfacciata e
probabilmente stronza. Non ho mai avuto fiducia in me e in
nessun’altro, neanche in Zefiro, ma ora forse mi fido un
po’ di
più di chi sono. Come mi fido di chi mi circonda al momento.
Zefiro fra tutti … e forse mi fido veramente solo di lui.
Dopo
tutto gli altri che cazzo ne sanno di me e di quel che ho passato?
Cosa sanno cosa si prova a sentirsi deboli in mezzo ad un sacco di
gente invincibile con i poteri?
Già,
comunque ho qualcuno di cui fidarmi. Qualcos’altro importa?
Mi
rendo conto che sono cresciuta credendomi sola e lo sono anche stata
finché non ho incontrato quel cervellone, dopo aver saggiato
quel periodo della mia vita ho capito una cosa importante, so cosa
voglio fare con certezza.
Da
sola non voglio più rimanerci, mai più.
È
difficile essere certi di qualcosa, quando ero sola mi sentivo
così
insicura. Ora ho capito che l'amore, così distante e oscuro,
è
l'unica cura e che ci sono tanti tipi di amore, questo me
l’ha
insegnato sempre il cervellone.
Da
sola non ho mai, mai, mai avuto bisogno di qualcuno. Era questo che
credevo finché non mi sono trovata fra i piedi lui
… e tutto
mi è cambiato.
Ormai
è fatta, non posso farci nulla. Pace!
Lo
ricordo bene quel maledetto periodo della mia vita. Quel che non
ricordo bene è come mai sono finita in questo posto buio e
deserto. È per questo che mi sono messa a pensare alla mia
stupida infanzia dove tutti mi prendevano in giro. Solo per questo.
Perché questo posto è identico a ciò
che vedevo
quando ero bambina, a quando chiudevo gli occhi per dormire.
Mi
sento come mi sentivo da allora, additata da tutti, chiamata strega e
mostro, quando mi spintonavano per farmi i dispetti più
disparati, ed ero sola a difendermi, Robert non aveva la minima
intenzione di aiutarmi a cavarmela, come potevo sopravvivere? Mi sono
data da fare, ho inventato la forza che non credevo di avere
utilizzando gli unici mezzi a mia disposizione: le stesse carte che
avevano loro, occhio per occhio e dente per dente. Solo che poi mi
hanno isolato del tutto perché ero veramente pericolosa, non
come quei bulletti che avevano tentato di calpestarmi, tutto fumo e
niente arrosto. Io il fumo l’avevo, eccome. Ero maligna e non
mi va
di nascondermi dietro il fatto di: è colpa di come mi hanno
cresciuta, di chi mi faceva del male, perché nessuno mi
accettava … palle! Ognuno diventa quel che vuole diventare,
io ho
capito che così ero lasciata in pace e mi è stato
bene,
non ho cercato altri modi per venir rispettata.
Mi
divertivo a seminare il terrore in chi incrociava il mio sguardo,
pensavano che li maledissi coi miei occhi uno azzurro senza pupilla
ed uno dorato con il nero a fessura verticale!
Lentamente
ho scoperto che potevo capire cosa pensavano di me le persone, quindi
il mio carattere ha subito un notevole peggioramento; successivamente
sentendomi sola, per non impazzire, mi rifugiavo in un mondo tutto
mio, dove diventavo chi immaginavo di essere. Pensavo solo di essere
la protagonista di una fiaba dei fratelli Grimm, quelle macabre
storie che finiscono tutte male.
Poi
dopo un po’ ho semplicemente smesso di pensare,
poiché mi si
è piazzato addosso la zecca e non ho più sentito
il
bisogno di nascondermi in nessun aspetto non mio.
La
mia vita ha cominciato a cambiare, o meglio ho scoperto che in
compagnia si vive meglio, solo che non ho trovato altri masochisti
disposti a star con me … fino a qualche mese fa, quando
quella
pulce paurosa non ha tirato fuori le palle venendo a romperle a me!
Non so, si deve essere messo in testa che mi voleva come amica e non
mi ha più mollato, come ha fatto Zefiro … in
fondo si
somigliano in qualcosa, incredibile, pensavo che non l’avrei
mai
detto!
Lui
poi con gran testardaggine che mostra solo quando si tratta di
stressare gli innocenti, ha portato a noi anche la vera rovina della
mia vita. L’unico da cui se tornassi indietro scapperei.
Né
da Jago, né da quegli altri uomini di altre razze,
scapperei.
Solo da Kinkaid.
Jago
mi fa paura, lo ammetto, ma non temo per la mia vita in sua presenza.
Kinkaid
è un animale e basta, una bestia, un buzzurro che mi
rovinerà
la vita, lo sento come se avessi il dono della chiaroveggenza.
È
una cosa a pelle, penso, non saprei spiegarla. Kinkaid sarà
la
mia rovina, dovrei stargli alla larga invece ne sono attirata come le
mosche con la merda! Lui è la merda, ovviamente!
Lo
odio e al contempo lo voglio, lo desidero fisicamente e non si tratta
dei muscoli che ha, Zefiro non ne è da meno ed è
più
classicamente bello, un angelo. Kinkaid è un diavolo e lo
desiderò perché come i diavoli ha quel tipo di
forza
che attirano i maledetti come me.
Io
sono maledetta.
Sopravvissi
ad un incendio in cui la mia unica amica di asilo morì. Sono
queste fiamme che rivedo ora, le stesse che escono dal corpo di
quella scimmia, ad avermi segnato.
Fu
allora che cominciai a pensare di essere maledetta e queste due
creature straniere mi hanno confermato la mia idea.
Faccio
parte di due razze oscene. Non so perché sono oscene ma ne
sono sicura, da come hanno fatto incazzare Kinkaid devono esserlo (a
parte che quello si incazza facilmente … )!
Ero
piccola, l’unica mia amica era anche l’unica che si
cacciava nei
guai, mi metteva in ogni situazione più pericolosa. Lei era
sicuramente umana. Però si accese un incendio innaturale
proprio intorno a noi due che giocavamo, inspiegabile, ancora ora non
so dirne la causa. Ricordo che i miei occhi erano attratti da quelle
fiamme rosse e calde, come se fossero il segreto della vita. Pensavo
che lì in mezzo si nascondessero gli angeli, volevo vederli
…
anche se non ho mai capito cosa fossero di preciso quelle creature, e
tuttora non lo so bene.
La
mia amica piangeva e gridava stringendosi addosso a me, io nemmeno la
sentivo, come se non esistesse. Ero piccola, come faccio a ricordarlo
così chiaramente solo ora, dopo tutti questi anni in cui
nemmeno sforzandomi con tutte le mie scarse risorse mentali sono mai
riuscita a tornarmelo a memoria? È ora che lo so, prima era
buio assoluto!
Ricordo
bene che non provavo caldo e il fumo non mi intossicava. Ora che ci
penso sembravo protetta da una membrana di ghiaccio impermeabile al
fuoco ma era solo intorno alla mia pelle. Non arrivava alla mia
amica.
Ecco
perché lei cominciò a bruciare ed io la vidi
contorcersi ed urlare, piangeva e mi chiedeva di aiutarla, io ci
provai. Dio, se ci provai. Ma non riuscii a fare nulla.
Nulla.
Ecco
perché quando mi trovai viva mentre lei ormai era fuoco,
capii
che ero maledetta, una vera strega, come tutti dicevano.
Mi
convinsi di esserlo, quindi agii di conseguenza, immagino. In
realtà
non so se le streghe si comportano così.
Chi
appiccò il fuoco?
Quel
fuoco innaturale.
Chi?
Il
nostro paese è al limite del bosco di quelle razze, lo
stesso
dove Robert mi trovò in fasce subito dopo aver perduto la
sua
defunta moglie che in grembo portava sua figlia.
Ora
come ora posso supporre che fu uno di quei sadici, forse proprio un
cacciatore visto che sembrano i più cattivi …
anche se
l’apparenza inganna sempre!
La
vera domanda è COSA mi permise di salvarmi?
CHI?
Chi
scelse me e condannò la mia piccola amica?
Vissi
col rimorso e la colpa.
Mi
oscurai molto dopo quell’evento.
Ricordo
però un vento gelido che spense il fuoco cristallizzando
ogni
cosa intorno, la stessa cosa che succede quando arriva Jago.
Chissà,
forse è per questo che non mi sento in pericolo con lui. In
cuor mio sento qualcosa collegato a quel mio periodo,
quell’evento
così crudele.
Svenni
e solo nell’istante in cui i sensi mi abbandonavano vidi due
occhi
azzurro gelo, non semplici occhi cacciatori, erano occhi di chi in
corpo porta il ghiaccio.
Fu
Jago a salvarmi ma non sempre lui a cercare di uccidermi.
Devo
ringraziarlo appena lo rivedo, la pulce ha ragione, Jago è
buono … certo non è detto che basti salvare una
come la
sottoscritta per esserlo ma lasciamo perdere l’argomento
troppo
complesso per me, sarà lo stesso che mi sparerà
il
rossino!
Quando
mi ripresi ero a casa mia, in piene forze e senza memoria di quanto
era accaduto.
Dimenticai
ogni cosa, volli farlo perché mi sentivo in colpa,
perché
le realizzazioni che fui costretta a prendermi sulle spalle erano
troppo gravi, troppo grandi per una bambina così piccola.
Però
una cosa la sapevo, una cosa che non riuscii mai a rivelare a
nessuno. Ero SICURA che fosse colpa mia, quando mi chiesero dove
fosse la mia amica perché non la trovavano più,
io non
avevo la minima idea di cosa era accaduto, risposi che non lo sapevo
e nessuno si spiegò come potevo non piangere alla notizia
della sua sparizione, non dissi che era colpa mia e che ricordavo
solo d’aver visto la sua vita sfuggire dalle mie mani.
Cazzo,
perché mi è tornato alla memoria ora, tutto
questo?
Non
credevo fosse così, non credevo che le cose si fossero
svolte
a quel modo assurdo … perché ora le ricordo?
Perché?
Pensavo
di poter rimanere per sempre nell’ignoranza.
Forse
l’ho ricordato per causa di Jago, l’avevo
dimenticato ed era
giunto il momento di realizzare che invece l’avevo
già
visto, che già da allora mi teneva d’occhio.
…
per
tutto questo tempo lui … lui mi ha spiato, mi ha guardato,
mi ha …
protetto … come un angelo della morte che invece di
uccidere,
trasgredisce alle regole e decide di salvare un anima che gli sta a
cuore. Un anima a lui cara e speciale. Cosa c’è in
me di
così speciale da spingerlo a proteggermi? Colpisce sempre e
solo Kinkaid, quando si degna di farlo, me, invece, sembra ci tenga a
‘conservarmi intatta’, l’ha detto e
questo mi ha turbato. Mi
vuole. Ora lo capisco, mi vuole dalla sua parte, non nel senso che
è
innamorato di me come forse quei due scemi hanno supposto, mi vuole
per questo … per lo stesso motivo per cui mi
salvò da
piccola.
Un
brivido mi fa tremare fino a non smettere più, sono anima in
questo istante, eppure sento che anche il mio corpo, in qualunque
stato si trovi, ora trema.
Ho
paura e non ho paura di ammetterlo. Ho paura di ciò che si
cela in me di così importante da voler essere protetto da
una
creatura come lui.
Perché
l’ho ricordato?
Non
voglio.
Non
voglio.
Eppure
ora lo ricordo. Ora l’ho capito, in parte. Ora so cosa
c’è
che non va in me.
Sono
pericolosa per Zefiro eppure non posso allontanarlo.
Non
esiste forza per riuscirci.
Non
la possiedo nemmeno se diventassi l’unione di Kinkaid e Jago.
Tanto
lo sapeva già da prima, sono una creatura egoista, mi prendo
questa libertà.
Da
sola non voglio più esserlo.”
Quando
Zefiro era arrivato con Astrid in braccio fino a casa di Stephan,
tutta la maglia era coperta di sangue, aveva un’aria
sconvolta e
non se ne curava affatto, l’aspetto era pietoso, era
irriconoscibile. Prima di realizzare qualunque cosa, Stephan
rabbrividì vedendo il suo viso, successivamente le
pulsazioni
cardiache ebbero una netta accelerazione.
“Qualcosa
è andato storto … “
Riuscì
a pensare solo questo mentre si metteva le mani sulla bocca per non
urlare, sarebbe svenuto alla vista di tutto quel sangue se non avesse
imparato a controllare certi istinti di paura grazie alle meditazioni
obbligate di quell’ultimo periodo.
-
Cosa … -
Mormorò
con un filo di voce, istintivamente cercò con lo sguardo
Kinkaid dietro di loro ma non lo vide, da lì
iniziò la
vera preoccupazione, il cuore riprese a battere e lo fece sempre
più
forte tanto da assordarlo, da impedirgli di ragionare e captare a
fatica la forte aura di fuoco del compagno, non riusciva a sentire
nulla, era immobile ed impietrito.
-
E’ stata ferita … -
Se
ne sarebbe sollevato sapendo che il sangue non era di Zefiro
però
non era tipo da rallegrarsi su disgrazie altrui, a star male era
Astrid. Ma Kinkaid?
Se
fosse stato lucido avrebbe realizzato subito che Nathan, il padre,
l’avrebbe guarita subito. Ciò che realizzava era
solo una
cosa:
“Astrid
è ferita e Kinkaid non c’è …
una volta morto non
può venir resuscitato, fa che sia vivo …
“
Pensava
solo questo, poi il caos l’avvolse.
Zefiro
gli passò avanti portandola nella camera del moro,
sporcò
tutte le lenzuola di sangue come anche il pavimento che aveva la scia
di gocce rosso vivo, riprese a premere sulla ferita al fianco,
rivolta alla schiena, cercava di fermare come poteva
l’emorragia e
l’espressione tirata era carica di preoccupazione e
agitazione,
sembrava che fra le mani avesse la sua, di vita, e che combattesse
per non lasciarla andare, si mordeva convulsamente le labbra e
nemmeno quando Stephan tornò accanto a lui per vedere come
stava, dopo essere uscito di casa nella speranza di vedere
l’amico
arrivare, lui si riscosse.
-
Zefiro … Kin? –
Aveva
veramente un filo di voce, non gli chiese: portiamo
all’ospedale,
che ci fai qua, morirà in questo modo, come si sono svolti i
fatti, chi è stato … non disse nulla di tutto
questo ma
lucidamente si sarebbe immaginato che avrebbe potuto chiedere solo
un’unica cosa, col suo filo di voce quasi inudibile.
Kinkaid?
Non
notò lo sguardo che si indurì, qualcosa di
pericoloso
trattenuto solo dalla preoccupazione che al momento superava ogni
altro stato d’animo.
-
Quello … è andato a cercare tuo padre. Ha detto
di portarla
qua che ci raggiunge subito. –
Era
riuscito a fare una frase di senso compiuto senza essere indelicato o
fuori luogo. Anche se a dire il vero insultare l’essere
colpevole
di tutto ciò, al momento era molto appropriato!
Stephan
riprese a respirare e con l’ossigeno anche il colore della
pelle
tornò più rosea.
-
Dio, ti ringrazio … sta bene … -
Non
avrebbe dovuto dirlo, in effetti era una frase che a chi non sapeva
certi dettagli risultava motivo di profondo non controllo.
La
testa di Zefiro scattò rivolta verso l’amico
accanto che
indietreggiò, lo guardò con del fuoco pericoloso
nello
sguardo d’argento e si intravide una luce antica che cercava
di
fuoriuscire, non esplose e non si spiegò nemmeno lui come,
ancora una volta ce la fece a far tornare tutto dentro di sé
limitandosi ad avere un piccolo sfogo:
-
Grazie a Dio? Grazie al tuo caro amico, vorrai dire …
è
colpa sua se lei sta così! Dovrai maledirlo, quel tuo Dio,
se
lei non si salva … perché io trovo il modo di
uccidere quel
dannato! –
Stephan
ebbe l’ennesimo brivido, gli occhi gli divennero lucidi e si
morse
la lingua per non piangere, sentiva il nodo salirgli, era il nodo dei
sentimenti di tempesta di Zefiro. La testa cominciò a
dolergli
a causa del dolore portato da ciò che il biondo si teneva
dentro. La sua empatia l’avrebbe ucciso.
Provare
tutto ciò che provavano gli altri, le cose più
devastanti, e non dover piangere per essere forti, per imparare a
canalizzare ogni cosa, perché se piangeva si faceva
detestare
dagli altri e lui non voleva essere detestato, non voleva essere di
peso, non voleva essere sempre consolato, non voleva essere passato
per la palla al piede frignona di turno. Lui non piangeva per hobby,
come molti pensavano, piangeva per gli altri … solo che sin
da
piccolo aveva abusato di questo sfogo esteriore ed ora non riusciva
più a farne a meno o ad utilizzarne altri. Uno come Kinkaid
avrebbe fatto a pezzi tutto, ogni volta che avrebbe sentito emozioni
altrui, lui piangeva.
Ora
stava facendo violenza su sé stesso, considerando la portata
di quanto aveva Zefiro in corpo.
-
No, Zefiro … finchè è viva va bene,
mio padre la
guarisce subito! Non devi preoccuparti … -
Sospese
la frase cercando di capire cosa potesse dire ancora, poi sentendo il
suo sollievo interiore, continuò:
-
Vedi … la mia preoccupazione nasce dal fatto che so una cosa
con
certezza. Quando Kinkaid non tornerà più dalle
sue
missioni punitive, sarà solo perché
l’hanno ucciso …
ed io temo quel giorno. So che non accadrà necessariamente,
però io sono mezzo umano e non riesco a smettere di avere
paura di perdere una persona a me così cara. Come tu ora hai
paura che lei non ce la faccia nonostante io ti dica di stare
tranquillo perché non è come pensi. Non posso
convincerti a cambiare la tua preoccupazione ma posso farti capire
perché parlo così … -
Rimase
un po’ in silenzio, sembrava viaggiasse nella ferita che
Astrid
aveva aperta sulla carne viva, intravista fra la maglia rotta, poi
con un espressione sempre immersa altrove, rispose con un fondo di
stanchezza:
-
Sai, in un film il protagonista diceva questa frase: siamo i figli di
mezzo della storia, senza scopo né posto. Non abbiamo la
grande guerra né la grande depressione. La nostra grande
guerra è spirituale, la nostra grande depressione
è la
nostra vita. A mio avviso spiega alla perfezione il punto di vista
mio, un semplice umano … e di colei che credeva esserlo fino
a
qualche tempo fa, poco in realtà. –
Stephan
sospirò senza saper cosa dire, si rendeva conto che erano in
una brutta situazione, li avevano buttati a forza in un mondo
sconosciuto e pericoloso ma non per scelta di qualcuno, le cose erano
semplicemente andate così ed ora dovevano fare i conti con
qualcosa di decisamente più grande di loro.
Non
avevano scelta, come non ne aveva avuta lui, Kinkaid e tutti gli
altri implicati in quella storia assurda e macabra. Nemmeno Jago
aveva avuto scelta.
La
vita li aveva portati in quella storia, loro non potevano far altro
che viverla.
In
un modo o nell’altro.
In
risposta preferì inginocchiarsi vicino a lui e con un
inspiegabile senso di sicurezza e calma, come se sapesse che tutto si
sarebbe sistemato presto, portò con grande coraggio le mani
accanto alle sue, tremava ed era impallidito, era atroce per lui
toccare tutto quel sangue, vide come le sue dita candide si confusero
presto in tutto quel rosso e l’odore dello stesso gli fece
girare
la testa. Avrebbe voluto mollare ed andare a vomitare ma si
sforzò,
per Zefiro era importante, lo era lei e lo era sentirsi sostenuto in
qualunque modo da qualcuno.
Lo
fece senza dire niente, troppo concentrato per lasciarsi andare in
qualche altro discorso. Voleva fargli sentire il suo calore, che gli
era vicino, che ci teneva.
Zefiro
lo capì ed avrebbe sorriso in condizioni normali ma a parte
l’occhiata di gratitudine che gli aveva lanciato, non aveva
concesso altro, riprendendo a guardare l’amica priva di
sensi,
aveva una brutta cera e il volto coperto dai capelli rossi scomposti,
era impressionante, la fronte imperlata di sudore. Tutto in lei
indicava molta sofferenza e questo gli bruciava. Veramente se avesse
avuto dei poteri come loro, avrebbe voluto essere un guaritore,
l’unico potere veramente utile, a suo avviso.
Avrebbe
voluto lasciarsi andare e notare il gran cambiamento di Stephan,
tuttavia non ne ebbe la forza, tutto di lui era completamente
concentrato sulla ragazza.
“Se
muore che faccio? Fa bene lui a dire che suo padre la guarisce
subito, che non c’è da preoccuparsi e tutto il
resto … ma
razionalmente sta male e sta morendo … come faccio a stare
qua ad
aspettare? Cosa? Un miracolo in cui non ho mai creduto? Che
assurdità
… Astrid, ti prego, ascoltami. Sei telepatica, no? Me
l’hai
detto, non negarlo … allora ascolta questa mia richiesta,
è
l’unica seria che ti faccio. Torna da me, te ne supplico. O
io
muoio con te.”
“
– Chi
sei? –
-
Nessuno … -
-
Allora cosa vuoi? –
-
Rispondere alle tue domande. –
-
Perché? –
-
Perché concluderò con un avvertimento e non
è
giusto dartelo senza farti sapere altro … -
-
Allora? –
-
Allora, si alla tua domanda. –
-
Quale? –
-
Sei una bambina, non una sciocca. –
-
Sono una bambina ed ho tante domande in testa. –
-
Ce n’è una in particolare che ti assilla
… -
-
Io … non saprei … -
-
Pensaci, c’è una domanda che ti fai spesso, specie
quando
torni a casa da scuola, dopo essere stata coi tuoi compagni
… -
-
I miei compagni mi deridono … -
-
E ti dicono una cosa che ti fa pensare … -
-
Sono un mostro? –
-
Ti ho risposto. –
-
Come fai a dirlo? Perché? Chi sei? –
-
Io sono uno dei capi delle tue razze, devo sapere tutto. Mi chiamo
Gabriel. –
-
Cosa vuoi farmi? –
-
Avvertirti. Stai lontano dal mio popolo, cresci
nell’ignoranza e
non ti accadrà nulla. –
Un
fruscio e l’uomo dall’oro nei capelli come negli
occhi, gli
stessi uguali ad uno dei miei, sparì. Io mi ero sentita un
po’
uguale a lui come anche un po’ uguale all’altro che
mi aveva
salvata in quell’incendio.
Ecco
chi era quell’uomo che mi parlò così
crudelmente
quando ero piccola … il capo di una delle due razze, come
diavolo
era? Osservatori … l’avevo del tutto messo da
parte, piansi in
realtà. Mi sentivo un mostro e lui che sembrava essere un
po’
come me, me lo confermò. Atroce. Fu atroce per una mocciosa
quale ero. Come mi sollevai? Non accadde, arrivò Zefiro a
convincermi di non essere un mostro, facendomi dimenticare
quell’odiata creatura molto bella.
Perché
mi torna tutto alla mente solo ora? Perché?
Odio
ricordare così, avevo già incontrato Jago e
quell’osservatore, Gabriel … e anche quello che
tentò di
uccidermi senza riuscirci. Fiamme … forse era Kinkaid,
chissà
… ma non penso, il suo fuoco mi ricorda la furia, quello era
solo
cattiveria pura.
Non
credo di aver fatto altri incontri assurdi nella mia vita. A parte,
ovviamente, il più pazzesco di tutti … Zefiro!
Lo
incontrai in non so quale anno di scuola, mi vide e mi sorrise
radioso. L’ho ancora in mente il suo sorriso, mi
stordì.
Pensai se non fosse scemo a sorridere alla più emarginata,
glielo dissi:
“Che
cazzo hai da ridere?”
Lui
non se ne mortificò e nemmeno ci rimase male, si
avvicinò
e mi allungò la mano per farsela stringere, poi si
presentò:
“Sono
Zefiro, piacere! Hai degli occhi splendidi!”
L’unico.
L’unico in tutta la mia vita che mi disse mai una cosa
simile.
Nessuno si rivolse più a me in quel modo. Non gliela strinsi
la mano, non dissi nemmeno il mio nome. Me ne andai e basta. Il
giorno dopo ritentò di nuovo presentandosi, nemmeno allora
gli
strinsi la mano. Ogni giorno fece uguale finché nonostante
ormai sapesse già il mio nome, io non cedetti capendo che
doveva essere importante per insistere tanto.
Non
sapevo perché, cosa gli passasse per la testa ma nemmeno gli
altri lo capivano di me, per questo mi stavano lontano, lui invece
non lo capiva e voleva rimediare, fregandosene di cosa facevano o
dicevano gli altri. Per lui contava solo conoscermi. Così un
giorno lo sentii difendermi davanti a tutti in mensa, si era creata
una specie di congresso contro di me, tutti in accordo nel spalarmi
merda alle spalle, io arrivai mentre lui senza timore alcuno si era
alzato in piedi e facendosi ascoltare da tutti, già si
faceva
valere e notare, mi difese. Non so che disse di preciso, non
l’ho
mai ascoltato, ma so che mi difese, ecco perché poi pur
essendo lì davanti a tutti, con mille occhi puntati, lui mi
tese la mano presentandosi per la millesima volta. Cosa potevo fare
se non prendergliela e rispondere col mio nome?
“Amata
da Dio!”
Rispose
quindi, si era preparato, forse era andato a studiarsi il mio nome
per dirmi qualcosa che potesse colpirmi, o chissà
… era un
cervellone già da allora.
Io
dissi solo spontaneamente brusca:
“Amata
un cazzo!”
Lui
rise, di gusto, mentre mi prendeva la mano anche con l’altra,
fui
io a chiedergli se poteva restituirmela, non era convinto di
ridarmela ma lo fece, disse qualcos’altro di scherzoso poi
… bè,
poi non mi mollò veramente più!
Fu
la mia condanna dirgli il mio nome, solo che mi pareva il minimo dopo
tutto quello che aveva fatto. Rischiava di inimicarsi la scuola, ebbi
pena per lui. Penso fu quello o magari ammirazione!
/Torna
da me, te ne supplico, o muoio con te. /
Morire?
È la sua voce ma che cazzo spara? Perché dovrei
morire?
È scemo, forse il suo QI si è stufato di stare da
solo
in alto e se ne è andato! Perché dovrei morire?
Non
mi è successo nulla, non provo dolore, non provo altro che
…
freddo … sono sola nel buio però sento un calore
lontano che
lentamente mi raggiunge, sono due calori diversi, tenui ed ora che ci
faccio caso il buio non è proprio così nero ma
più
grigio.
No,
non sono sola. Anche se ora non vedo niente l’idea di
esserlo, ciò
che mi ha fatto ricordare tutto il mio passato di solitudine,
è
solo un inganno, un illusione. Non sono mica sola.
Ho
lui e anche se non lo ammetterei mai, c’è
l’altra
tragedia, la pulce … e pur ora io non lo senta accanto a me,
sicuramente arriva anche il rompiscatole, la rovina delle rovine
…
Il Dio del fuoco, lo stesso fuoco che voglio in me.
Kinkaid,
arriva a scaldarmi, basta tu mi prenda la mano e mi infonderai le tue
fiamme brucianti, il necessario per riportarmi in vita. Fallo,
prendimi la mano, chiama il mio nome e riportami alla luce. Aspetto
il tuo fuoco. “
La
porta dell’entrata si aprì sbattendo, tutti
sentirono
l’arrivo di due persone.
-
Sono arrivati! –
Stephan
scattò in piedi veloce precipitandosi giù per le
scale,
sentiva quasi un moto di felicità poiché era
sicuro che
ora suo padre avrebbe sistemato tutto, li vide che in tutta fretta
salivano a loro volta, davanti a tutti c’era Kinkaid con un
aria
truce da far paura, aveva ancora il fuoco negli occhi ma non
più
nella pelle e nei capelli, non aveva un graffio, qualche piccola
ammaccatura ma nulla di serio. Fu un lampo dorato quello che
sorpassò
Stephan, si sentì solo afferrare per una spalla, mettere da
parte e il vento gli passò innanzi. Lo stesso poi
colpì
Kinkaid con un pugno, un pugno di enorme forza considerato che era di
un umano, si stupì. ;’aveva fermato e non solo.
Non era
normale che il pugno di un ragazzo umano fermasse la sua corsa.
Non
lo era.
Spalancò
gli occhi rossi dalle pupille a fessura quasi invisibili, avrebbe
voluto dargli fuoco ma aveva compreso il motivo di quel gesto, Zefiro
fronteggiò il suo sguardo guardando il punto colpito che ora
era sporco di sangue, non il loro sangue, quello di Astrid. Non
parlarono, non dissero nulla, sapevano che in quel colpo il ragazzo
ci aveva messo tutta la sua ira, il suo sfogo del momento. Prima si
era trattenuto per soccorrere la ragazza ma ora dopo aver ponderato
di chi era la colpa, aveva avuto modo di provare un profondo odio per
la causa di tanto dolore.
Ad
interromperli fu Nathan, il padre di Stephan che dietro il giovane
dai ricci rossi, si era fermato per assistere alla scena:
-
Ragazzi, fatemi passare e potrete continuare i vostri litigi!
–
Non
era uno che si intrometteva negli affari altrui, così
dicendo
li superò facendoli mettere da parte, mentre lui saliva gli
ultimi scalini, i due continuarono a guardarsi e il piccolo moro
rimase lì per assicurarsi che non accadesse
l’inevitabile,
temeva che si scatenassero e non voleva che Zefiro morisse.
Così
non fu, si limitarono ad uno scambio di sguardi di fuoco che fecero
rabbrividire lo spettatore, poi il biondo salì inseguendo
l’uomo più adulto.
Stephan
scese altri due gradini arrivando davanti all’amico e
assicurandosi
che stesse fisicamente bene, disse:
-
E’ molto in pensiero, non è ancora pratico di
questa gente …
ho cercato di dirgli che ora mio padre sistema tutto ma …
scusalo.
Di solito è calmo, lo sai … -
Kinkaid
lo guardò senza vederlo, alzò le spalle e si
premette
la mano sulla guancia, non l’avrebbe mai ammesso che gli
faceva
male, questo lo turbò. Com’era possibile?
-
Kin, tutto bene? –
Si
riscosse e senza rispondere salì sorpassandolo a sua volta,
non gli importava nulla di Zefiro e cosa pensasse, a chi desse la
colpa di tutto e cose simili, lui sapeva come erano andate le cose,
gli aveva ordinato in partenza di andarsene a casa ma
l’odiosa
strega aveva insistito per venire poiché si sentiva
già
forte. Una stupida, solo una stupida sarebbe potuta finire
così.
Zefiro che fra tutti era il più debole poiché
umano,
era intatto e lei che era metà di una razza e
metà di
un’altra era in fin di vita. Era una creatura assurda, le
avrebbe
sentite quando si sarebbe ripresa … se non sarebbe morta
lì,
l’avrebbe uccisa lui e anche se amava avere ragione e
rinfacciarlo,
in quel momento non se ne faceva più nulla della ragione se
doveva averla a scapito della vita di Astrid. Non di altri. Di
Astrid.
Quando
entrarono in stanza si trovò Nathan che li sbatteva tutti
fuori chiudendosi dentro.
-
Aria e spazio! –
Aveva
asserito così con un’espressione seria. Kinkaid
non riuscì
a chiedergli come sarebbe andata, le parole sembravano essergli
scappate del tutto, così insieme agli altri due che
camminavano nervosi su e giù, non poté far altro
che
aspettare.
Aspettare
che lei morisse o vivesse.
-
Pensi di diventare migliore ogni giorno, facendo queste cose?
–
Aveva
detto a bruciapelo Zefiro rivolto a lui, si era fermato dal camminare
nervoso e stringendo forte i pugni delle mani insanguinate, lo
fissava sperando di riuscire a colpirlo con qualche potere
sovrannaturale, come facevano tutti gli altri! Non ci
riuscì.
Kinkaid alzò lo sguardo su di lui diretto, era ancora rosso
fuoco, solo un istante e rispose basso e penetrante, la voce era
roca, come quella di uno che aveva gridato per ore. In
realtà
non aveva detto una parola dal momento in cui lei era rimasta ferita.
-
No, io penso solo di essere di due passi più vicino alla mia
tomba. –
Disse
solo questo, una cosa che colpì l’interlocutore,
lì
per lì non sapeva cosa dire, in realtà sapeva ben
poco
della sua vita, non gli era mai importato nulla di lui quindi non se
ne era mai interessato, sapeva a stralci cosa gli era circa capitato
… i suoi genitori non lo volevano, era morto il gemello e
che
altro? Era odiato da tutte le razze e lui odiava loro …
forse si
sentiva solo e per questo combatteva il vuoto a quel modo. Pensava di
capirlo, a volte pensava veramente di comprendere i suoi gesti
assurdi, a volte non lo sapeva ma ci andava vicinissimo, spesso era
l’unico a capirlo veramente eppure c’era sempre la
sensazione,
nel biondo, che gli sfuggisse qualcosa di lui.
-
Penso che non posso giudicare la vita degli altri perchè
comunque non ne so un cazzo, però posso giudicare la tua
azione di oggi. Sei stato un imbecille! –
-
Io non te l’ho chiesta la tua opinione di merda! –
Era
astioso, non più basso e controllato, voleva esplodere, di
nuovo, fare una strage eppure sapeva dentro di sé che ormai
non avrebbe più potuto. Si avvicinarono petto contro petto,
si
guardarono sempre più vicino e con i volti di pietra si
sfidarono con lo sguardo, nessuno avrebbe ceduto per primo.
-
Ecco perchè in ogni scontro perdi sempre qualcosa,
perché
non ascolti nessuno, nemico o amico che sia. Si può sempre
imparare qualcosa dagli altri, persino dai nemici. –
Era
una frase che gli entrò dentro ma non l’avrebbe
mai
dimostrato.
-
Non me ne faccio niente delle parole degli altri, a me servono fatti
e gli unici utili a me stesso sono derivati dalla forza. La forza la
trovo solo in me. Non posso contare su nessun’altro e se mi
metto a
fare da baby sitter a chi crede di andare a giocare alla guerra, non
ottengo quello che voglio. –
-
Ma ogni azione comporta una responsabilità, non esiste
nessuno
che non abbia conseguenze per altri. Oggi l’avevi appresso,
contro
la tua volontà ma c’era e dovevi agire di
conseguenza! –
-
Non sono io che agisco di conseguenza agli altri, ma gli altri che lo
fanno di conseguenza a ciò che decido di fare! Io oggi avevo
deciso di andare a fare una determinata cosa pericolosa, vi avevo
avvisati, voi siete venuti lo stesso. Vi avevo avvisati, Zefiro. Non
so perché ha voluto venire ma lo sapeva. È lei
che si
deve prendere le sue responsabilità, non io per lei
… o per
tutti voi! Ho iniziato questa guerra da solo e non ho mai voluto
altri in mezzo che mi aiutassero, so bene che chiunque mi è
d’intralcio. Io non ho mai chiesto nulla! Non puoi incolparmi
del
fatto che ho agito in modo sconsiderato e pericoloso sapendo che
avevo voi due. Noi non c’entriamo niente l’uno con
l’altro, le
nostre guerre sono diverse. –
Zefiro
si morse la lingua ma dall’esterno rimase intatto, non si
mosse
però avrebbe voluto mettersi ad urlare, aveva bisogno di uno
sfogo vero e proprio, qualcosa che non si concedeva mai
perché
era sempre pronto a considerare ogni cosa, ad essere oggettivo
… ed
ora era stufo di esserlo anche con lui. Tuttavia non aveva tutti i
torti anche se il suo discorso era veramente troppo egoistico ed
infantile.
-
Comodo così. Molto comodo. Ma ricorda una cosa, volente o
nolente hai instaurato dei rapporti. A me non me ne fotte nulla di te
a lei invece si, quindi prendi atto di questo fatto increscioso
avvenuto contro la tua volontà. Dato che ci sono ti do
un'altra dritta su Astrid, visto che la conosco. Quando si lega a
qualcuno non esiste forza al mondo in grado di staccarla. Nemmeno la
morte. Tu non la volevi, lei si. Prendi atto ed agisci di
conseguenza. Le cose accadono e noi non possiamo farci nulla ma
possiamo modificarci in modo da evitare il disastro la volta
successiva. Volevi combattere la tua fottutissima guerra da solo ma
ormai non puoi perché lei vuole starti appresso. Accettala e
vedi di utilizzarla nel migliore dei modi. – Si interruppe e
avvicinandosi ulteriormente fino a toccarsi coi visi, disse incisivo
e penetrante, quasi inudibile, come una minaccia di un dio superiore
impossibile da ignorare. Aggiunse quindi: - E di aver cura di lei!-
Avrebbe
voluto dire che non la voleva, non l’aveva chiesta, era
d’intralcio, gli impediva di agire come meglio voleva
però
sentiva in sé già le risposte, risposte
inattaccabili.
Lui non aveva voluto nulla di tutto quello ma era accaduto, lei
c’era
e doveva solo prenderne atto e agire di conseguenza, anche se questo
avrebbe significato perdere più tempo del previsto, della
forza e quant’altro potesse perdere in una situazione simile.
Cosa
ci guadagnava? Se lo chiese ma non volle condividere questa domanda
personale con Zefiro che sembrava di un altro pianeta. Lui in quanto
Kinkaid cosa ci guadagnava a stare con Astrid? Ci perdeva molto ma
aveva qualcosa in cambio?
La
sensazione di quella passata giornata di mare avrebbe dovuto dargli
la risposta che cercava. Se a guadagnarci c’era la
consapevolezza
d’appartenenza a qualcosa – qualcuno –
allora forse avrebbe
potuto fare lo sforzo. Anche se era sempre stato convinto che oltre a
Thomas, Oscar e Stephan nessun altro avrebbe mai potuto provare
sentimenti positivi per lui. Nessuno avrebbe potuto amarlo.
Ne
era sicuro però la sensazione di quell’ultimo
periodo
cominciava a gettarlo nell’incertezza di quelle sue
convinzioni.
Questo
lo fece zittire. Finché non avrebbe capito quelle cose non
sarebbe progredito.
Fu
Stephan a parlare per loro, aveva una voce sforzata e poco chiara:
-
Kinkaid, cambiare non è sempre un male, spesso è
bene,
accresce la tua forza interiore e fisica. È necessario
cambiare, non rifiutarlo. Se rimani così non guadagnerai mai
ciò che cerchi disperatamente. –
Non
disse nulla a proposito di cosa cercasse poiché era chiaro
che
il nebuloso era proprio su quel particolare. Il rosso non sapeva
più
cosa cercava esattamente al momento.
-
E ricorda anche che per rendere felici bisogna prima esserlo
… -
Non
seppe perché sentì il bisogno di dirlo ma
qualcuno
passò per la sua mente lasciando quella frase,
così
semplicemente la disse.
Entrambi
pensarono molto su quella frase rivolti proprio ad Astrid. Nessuno
dei due si sentiva in grado di renderla felice come in fondo volevano
o cercavano e il problema era proprio quello. Non erano felici.
La
voce di Nathan arrivò alle loro spalle.
-
Ho fatto tutto quello che ho potuto … -
Iniziando
così il cuore andò loro in gola e per un attimo
le
articolazioni si sciolsero facendoli sentire gelatina, Stephan prese
un lungo respiro e con la testa che cominciava a pulsargli
poiché
sentiva l’emozione di Zefiro e di Kinkaid, chiese con un filo
di
voce:
-
E …? –
-
No, avete frainteso, è salva, le ho curato le ferite e
fisicamente è intatta ma ha una febbre molto alta e
più
di quanto ho già fatto non posso … ora dipende da
lei, se
passa la notte è fuori pericolo … -
Non
si pronunciò oltre, i tre sapevano cosa significava e non
riuscirono a sentirsi sollevati. Subito il moro e il biondo entrarono
per vedere lo stato dell’amica, era coperta dalle lenzuola ma
nuda,
i vestiti erano stati tagliati e tolti .
Dormiva,
aveva la pelle imperlata di sudore e il pallore innaturale
accompagnato da occhiaie profonde le dava un aspetto sommario
impressionante, Stephan deglutì indietreggiando, non reggeva
oltre la vista di quella ragazza che stava così male,
tremava,
la si vedeva tremare ma non dal freddo. Tremava per altri motivi,
chissà quanto soffriva, si chiese. Stava per uscire dalla
stanza quando entrò Kinkaid, rimase fermo con le mani nelle
tasche ed i muscoli in tensione, dopo un attimo disse laconico:
-
Lasciatemi solo … -
Era
una richiesta egoistica, l’ennesima, per Zefiro. Come poteva
chiedergli una cosa simile? Voleva litigare? Eppure non
l’aveva
chiesto come ordine, l’aveva chiesto come un bisogno
impellente.
Kinkaid DOVEVA stare solo con Astrid. Bruciore, un bruciore al petto
l’invase mentre il cuore gli si stringeva in una morsa
pericolosa,
cosa poteva fare? Si alzò e gli lanciò uno
sguardo per
assicurarsi sulle sue intenzioni, per capire se se lo meritasse. Non
gliel’avrebbe mai lasciata anche se … anche se non
gliela aveva
forse appena affidata, in un modo molto strano e indiretto?
Quando
lo vide negli occhi si convinse mentre un brivido lo percorreva.
Kinkaid
aveva le iridi degli occhi completamente nere.
Stephan
non lo vide, vide solo Zefiro uscire senza dire mezza parola, si
richiuse la porta alle spalle e notando la domanda nel volto
effeminato del compagno, disse:
-
Cosa significa quando a quell’alieno gli vengono gli occhi
del
tutto neri? –
Stephan
spalancò i suoi con un moto di preoccupazione chiaro e
netto.
-
Ecco … dorati quando è normale … rossi
quando è
infuriato e … neri quando è in crisi …
-
“
E’
passato solo un istante ma io sono sicuro che tu sei morta quando ti
ho lasciata qua dentro da sola. Proprio come un carro funebre. E ti
sento ancora così lontana come se lo fossi ancora, morta
…
so che Nathan non ha questa capacità, resuscitare i morti.
Però non ti sentivo, veramente. Quando ti ho visto a terra
nel
bosco mi sono detto: è morta. Ho corso come avessi il
diavolo
in corpo dopo aver ucciso all’istante quelli con cui
combattevo.
Non credo di aver fatto così molte volte, il mio pensiero
era
rivolto a te e mi dicevo che se fossi veramente morta non me lo sarei
mai perdonato. Perché mi hai fatto sentire in colpa? Poi
ragionandoci dopo, davanti al tuo amico, mi sono detto che in
realtà
io non c’entravo eppure … che sia veramente come
dice lui?
Bruciamo
entrambi, ognuno a modo suo, tu ti accendi proprio come un
fiammifero, per incenerire la vita di tutti quelli che conosci e il
peggio è che prendi sempre qualcosa da ogni cuore e lo
spezzi,
come una spada macchi chi incontri. Qual è il tuo obiettivo?
Perché hai voluto affiancarmi, quest’oggi? Sei
così
incosciente e sconsiderata, io non capisco. Pensavi veramente che
fossi io a morire? Beh, questa volta ho tenuto duro, come tutte le
altre. Qual è la cosa peggiore che potrei dire, a questo
punto?
Posso
solo star qui accanto a te, non so perché ne sento il
bisogno,
io e te soli come quando ci alleniamo in quella cella. Quando siamo
soli sembra come se le cose andassero meglio, così resto a
lungo e posso solo augurarti, per questa volta, una buona notte. Una
notte che tu possa superare.
Io
non ti conosco molto bene come quel tipo là fuori,
però
percepisco ciò che stai sognando, come se un filo ci
collegasse e mi trasmettesse oltre che i tuoi pensieri anche i tuoi
sogni. C’è stato un tempo, per te, che ti ha fatto
piangere
molto, un tempo che ha sepolto le stesse insieme al tuo cuore e alla
tua fiducia. Molti te l’hanno chiesta, ne sono certo, ma tu
non hai
saputo vederli. Siamo diversi … a me nessuno mi ha mai
chiesto
fiducia oltre che quel pazzo ancora in vita, Stephan. Sei tu la
ferita eppure penso proprio che i veri feriti che hai provocato,
siamo proprio noi che aspettiamo il tuo risveglio.
Astrid,
mi senti?
Ti
sono vicino. Mi sento in colpa e lo posso ammettere veramente solo a
te addormentata. Dovrei lasciarti nella tua vita, allontanarmi da te.
Questo sarebbe l’unico modo reale per proteggerti. Quello
là
non capisce niente anche se ogni tanto ne spara di sane. Non posso
semplicemente modificarmi per proteggerti solo perché vuoi
star con me.
(O
vogliamo?)
Dovrei
solo farti andare, sparire dalla tua vita. Eppure sento che anche se
ci lasciamo poi finiremmo per incontrarci ancora e quando questo
accadrebbe, quando queste nostre macchine si scontrerebbero, ci
sarebbe ancora quel botto, fingeremmo di odiarci per poi ammettere
che quel che vogliamo l’uno dall’altro non
è vederlo
morire ma solo vederlo vivere.
Nathan
ha pulito ogni cosa e la stanza sa di medicine. Un odore nauseante.
Apro la finestra e lascio entrare l’aria notturna fresca poi
mi
avvicino al tuo letto e mi inginocchio davanti, continuo a guardarti
e pensare come se mi sentissi. Perché anche tu sei
telepatica
e senti sempre ogni mio pensiero, sei fastidiosa.
Però
se è così allora se io ti toccassi la pelle, mi
potresti dire a cosa stai pensando in questo istante.
Se
ti prendessi la mano mi diresti anche dove stai andando, potrei
chiederti di portarti con me. Appoggio la testa al materasso, sopra
il braccio piegato, la mano si congiunge con la tua. Te la prendo e
chiudo gli occhi immaginando di essere sdraiato con te, immagino tu
mi guardi negli occhi. Allora ti chiederei cosa vedi poiché
sento che sei l’unica in grado di leggerci qualcosa che sia
diverso
dal marcio che vedo io in me stesso.
Tu
vuoi starmi vicino a costo della vita, è possibile?
Cosa
hai visto in me da avvicinarti tanto?
Sarai
seduta in cima al mondo, starai insultando come un camionista tutti e
proprio lì dove io so il vento soffia poiché ci
sono
stato, dimmi come ti senti. Ti senti come mi sentivo io?
Stringo
la tua mano gelida in contrasto con il resto del corpo bollente,
sentiresti se ti mento?
Se
muori so che rimarrei per sempre solo, però è una
percezione infame perché non è vero.
C’è
almeno una zecca che continuerà sempre a starmi attaccata,
quel Stephan … eppure vedendo con la mente i tuoi occhi,
occhi che
portano il riflesso di ciò che hai dentro, sono convinto che
dopo di te mi ridurrei a pezzi cacciando tutti … fino ad
essere
veramente solo. Puoi vedermi? Guarda i miei occhi, le mie labbra
parlano, ascolta cosa dicono …
-
Dammi la tua fiducia, guardami dentro … -
Cazzo,
che bisogno ho che qualcuno mi guardi dentro? Che qualcuno mi capisca
nell’intimo? Sono sempre stato attento, ho sempre cacciato
Stephan
in tempo, poi mi chiedo anche come mai in momenti come questi si
diventa così sinceri? Sinceri con sé stessi, fino
a
dire un sacco di merdate che mai normalmente si direbbero, cose
nauseati.
Voglio
sapere cosa stai facendo seduta in cima a quel mondo, in mezzo al
vento e al buio, come ti senti?
Ti
sto tenendo la mano, lo senti? Voglio che ti svegli per poterti
ricoprire di botte fino a farti scorrere ancora il tuo ibrido sangue
maledetto, perché mi stai facendo sentire una merda, io odio
essere una merda.
Senti
la mia mano? Se ti sto mentendo rimarrò per sempre solo.
Prenditi il tuo tempo, ok, te lo concedo. Lassù dove stai
ora
c’è posto per i ricordi e le ammissioni
più segrete.
Ascolta le voci che ti sussurrano quelle dannate verità, ma
ascolta solo la mia alla fine. Credimi, segui il caldo che ti porto
mentre alzo la temperatura della mia mano per infonderti la mia
energia, lo senti?
Voglio
che ti svegli perché devo dirti di tutto, so che non sei una
ragazza ma solo un demonio, mi prenderò la
libertà di
picchiarti fino a farti a pezzi perché non hai fatto quel
che
ti ho detto e avresti dovuto.
Sei
solo una strega, cosa mi hai fatto? L’hai fatto a posta a
farti
ridurre in fin di vita, volevi vedere tutti i tuoi uomini ai tuoi
piedi, distrutti per te … ebbene come ti sembro? Patetico,
un
idiota, un nauseante qualunquista che vuole vendicarsi per lo stato
in cui è stato gettato dall’unica donna che abbia
osato
mettergli i bastoni fra le ruote ed avvicinarsi a lui.
L’unica
che sia sopravvissuta dopo avermi rotto le palle.
Tu
non sei una qualunque, ecco perché devi ascoltarmi e
riaprire
gli occhi, quei tuoi occhi osceni.
Stai
danzando, in quel posto solitario?
Coi
tuoi passi aggraziati provochi il mio dolore, mi uccidi piano.
Immagino che balli bene anche questa volta, so che hai stile,
così
divento tuo spettatore, impossibilitato a far altro che non questo.
Sono un estraneo, in fondo. Hai tuoi occhi devo apparire
così,
non c’entro nulla con te. Tu sai muoverti
nell’arte, io nella
guerra eppure sai combattere … ma io non so essere delicato
e
creare qualcosa di bello come fai tu. Non siamo uguali come
pensavamo, non siamo attirati l’uno dall’altro per
questo. Cosa
c’entro io con te? Sono la tua rovina, è per
seguirmi che ti
sei ridotta così.
Ecco
perché mi sentivo in colpa.
Sono
colpevole di averti attirato nella mia tela, ho usato il mio fuoco
come esca e tu come una falena, io sapevo tu lo eri, sei venuta.
Ti
sento avvampare di febbre, come se fossi imbarazzata a causa delle
mie parole, quali? Quelle che ti dicono attratta da me? Quelle che ti
mostrano come una falena bruciata dal fuoco?
Lo
sapevi, sapevi che sarebbe accaduto prima o poi, ti avevo detto di
fermarti invece continuasti. Di chi sarà la colpa?
Quando
tutto questo sarà finito di chi sarà la colpa?
Dipende
da come finirà … e come finirà dipende
da te.
Solo
una cosa …
-
Astrid, svegliati! –
So
che mi senti, obbedisci per una volta, porco cane! “
Kinkaid
non staccò nemmeno un istante gli occhi dal corpo della
ragazza, come non separò mai la mano dalla sua.
Preoccupazione,
era questo che provava per la prima volta in vita sua. Preoccupazione
e timore di perdere ancora una volta qualcuno a cui teneva.
Il
punto era solo questo.
Lui
teneva spasmodicamente ad Astrid.
Questo
lo sbatteva completamente fuori di testa, tanto da non riuscire
più
a fare a pezzi nulla, tanto da riuscire solo a stare al suo capezzale
senza staccarsi un istante dalla sua mano.
“
E’
come il vento tra gli alberi, cavalcare la notte al suo fianco, farmi
condurre attraverso il chiarore di luna solo per bruciarmi con il
fuoco puro.
E’
una voce eppure la percepisco a questo modo in un posto buio e freddo
come questo. Pensavo di essere sola coi miei ricordi del cavolo
eppure no. Eppure c’è questa voce prepotente e
chiara che
non mi abbandona, parla e parla … e mi dà ordini
come se
fosse il mio re. L’unica cosa di cui mi rendo conto
è che mi
sta prendendo il cuore e non se ne rende conto.
Sento
il suo respiro sul mio viso, improvvisamente comincio a sentire
questo, il suo corpo vicino a me, mi chiede di guardarlo negli occhi
e capire se mente dicendo che mi vuole sveglia ma non posso ancora
vederlo, vorrei, non ci riesco, non é alla mia portata.
Solo
un pazzo può credere che io ho qualcosa di cui lui ha
bisogno.
Per
ora è solo una voce che mi comanda, la percepisco come il
vento e mi chiede di guardare … bè, tutto
ciò che
vedo é un giovane uomo che cerca di crescere ed ha solo un
sogno, un sogno che si confonde e non sa più percepire
chiaramente. Prima era un sogno di morte, ora non sa più di
preciso quale sia. Ora non ne è sicuro. Ora vacilla e chiede
a
me quella sicurezza che non ha più. Con che coraggio?
Proprio
a me che non so nulla di me stessa … chiede di fermare la
sua
sofferenza, non lo fa con queste parole ma capisco che il senso
è
questo. Come faccio a capirlo? Sembra mi stia insultando, in fondo.
Sono certa che la traduzione sia questa.
Vivere
senza di me lo farebbe impazzire.
Vivere
senza lui mi farebbe impazzire.
Dopo
che ho assaggiato il fuoco facendomi bruciare a questo modo non
riesco a farne a meno, non riesco a cercare il gelo o qualunque altro
elemento. Io voglio solo il fuoco, il suo. Fino in fondo, fino ad
averlo dentro, fino a farmi uccidere completamente.
L’ho
assaggiato da poco però non posso più farne a
meno,
senza uscirei di testa anche se non ne avessi più una fisica.
Lui
mi chiede di tornare da lui ed io non voglio altro che questo.
Tornare da lui.
E
dagli altri.
Ma
da lui soprattutto … perché voglio vedere come va
a finire,
chi si uccide prima, chi vince nelle nostre lotte giornaliere. Chi
vincerà la guerra.
Sarà
lui ad avere me o io ad avere lui?
Voglio
aprire gli occhi però a mancarmi è solo la forza.
Fisicamente non riesco più a comandare il mio corpo
perché
non lo percepisco, non lo sento. Come faccio a farmi sentire? Io lo
sento è lui che non sente me. Fammi aprire gli occhi, chiama
il mio nome e salvami. Svegliami. Riportami in vita.
Kinkaid,
non lasciarmi, non arrenderti, non pensare sia tutto finito. Non
sento nulla, solo la tua voce come il vento. Voglio il tuo fuoco,
bruciami. “
Una
folata di vento gelido fece rabbrividire il caloroso Kinkaid la cui
temperatura si abbassò di colpo, come quella della stanza,
alzò la testa interrompendo il contatto d’anima
che aveva
instaurato con Astrid, si girò verso la finestra e quando
vide
dalla sua bocca fuoriuscire il fumo per il freddo, capì
subito
cosa stava per succedere.
Fu
solo uno scatto velocissimo quello che fece e subito si
trovò
davanti al letto, fra lei e la finestra, era in posizione
d’attacco
e la temperatura corporea stava salendo, stava richiamando il suo
fuoco, era pronto ad attaccare chiunque fosse entrato dalla finestra.
L’odio stava violentando gli occhi di Kinkaid che tornarono
dorati
e non più neri. Il dorato in fretta divenne arancio rosso e
le
pupille sempre più sottili. A guarirlo era stata una sola
idea. Un’idea che divenne subito certezza.
Stava
arrivando Jago, la sua ossessione.
I
muscoli del corpo erano già tesi e la mente rivolta ad un
unico obiettivo, impedirgli di avvicinarsi a lei, qualunque fosse il
suo intento non gli avrebbe permesso di compierlo quella sera, non
era proprio dell’umore. Come anche non aveva intenzione di
battersi
con lui, non seriamente.
Si
chiese se non fosse del tutto rimbecillito, era tutta la giornata che
lo cercava per misurarsi eppure ora che ce l’aveva davanti
non gli
interessava, non lo voleva. Voleva rimandare il loro scontro. Non
voleva battersi per ucciderlo ma solo per difendere lei.
Stava
cambiando, il punto era: andava bene o no?
Poteva
permetterlo?
Non
ebbe tempo di darsi risposte, arrivò il culmine del freddo e
un lupo nero saltò dentro la camera, proprio davanti a lui
vestito di pantaloni neri e una canottiera sempre dello stesso
colore.
Gli
occhi di quel lupo meraviglioso erano innegabilmente cacciatori,
innegabilmente suoi.
-
Jago … -
Mormorò
a denti stretti. Aveva solo deciso una cosa. Non avrebbe scatenato il
suo fuoco. Non quella sera. Con quello avrebbe solo difeso
ciò
che riteneva importante.
Il
lupo non ringhiava, aveva un aria perfettamente calma, non avrebbe
attaccato eppure il rosso si chiese perché fosse venuto. Lo
vide trasformarsi lentamente in uomo, mentre il pelo spariva
lasciando solo la pelle bianca, le fattezze divenivano umane e la
forma di un uomo in piene forze, accovacciato a terra, apparve.
Lunghi capelli neri coprivano la schiena nuda, come il resto del
corpo. Quando tornava normale dopo essere stato trasformato in
qualcosa, era ovviamente senza vestiti, non parve preoccuparsene. Si
alzò mostrandosi com’era, non avrebbe mai dovuto
vergognarsene, in fondo. Delle cicatrici si vedevano su ogni parte,
rivelazione di ogni combattimento dei suoi lunghi anni. Si guardarono
negli occhi, occhi gelidi in occhi di fuoco. Erano sguardi diversi
eppure uguali, entrambi non avrebbero mollato ma nemmeno attaccato.
-
Cosa vuoi? –
Chiese
Kinkaid accusatorio.
Jago
non rispose subito, lo studiò un attimo cercando di capire
cosa avesse dentro, trovò solo un tornado di fuoco
impazzito,
un caos apocalittico, avrebbe vinto facilmente, nonostante la forza
aumentata e lo stato d’animo in subbuglio, il non controllo,
ce
l’avrebbe fatta. Solo perché aveva la testa
completamente da
un’altra parte. Non lo vedeva veramente, non era veramente
lì
davanti a lui a fronteggiarlo. Pensava a lei.
Non
si sarebbe mai immaginato una cosa simile da lui.
Stava
crescendo e fino ad un attimo prima era stato sicuro che non sarebbe
mai avvenuto.
Qualcosa
in Kinkaid stava accadendo, qualcosa di mai successo.
-
La morte sorride a tutti noi. Non possiamo fare altro che sorridergli
di rimando. –
Voleva
solo provocarlo un po’? Vedere il grado di maturazione?
Tastare il
livello?
Qualunque
cosa fosse lo fece consapevole che non avrebbe alzato un dito quella
sera e questo di per sé era un fatto sconvolgente.
-
Non ho paura di morire, non me ne frega nulla! –
-
No? – Disse quindi Jago con il suo tono indecifrabile e
suadente,
calmo, freddo, inarrivabile. Nemmeno con quanto più sforzo
possibile Kinkaid avrebbe potuto leggergli nel pensiero ma non era
sua intenzione farlo. – Di cosa hai paura, allora?
–
Non
gli interessava veramente, voleva vedere la sua risposta ed il motivo
poteva saperlo solo lui.
-
Che te ne frega? –
Sorrise
enigmatico il moro, poi fece:
-
Noi veniamo dal nulla e finiremmo nel nulla ma nel mezzo facciamo di
tutto per divenire qualcuno. Tu hai paura di non riuscirci se ora la
perdi. –
Kinkaid
si morse il labbro stringendo i pugni, cosa ne sapeva
quell’uomo di
cosa provava? Che gli importava di analizzarlo a quel modo?
Perché
lo faceva? Lo tormentava in quel modo sottile e psicologico, voleva
farlo innervosire ma non se ne spiegava il motivo, lo distoglieva dal
suo bisogno primario, Astrid. Così continuò:
-
Hai paura che muoia. Hai paura della morte. –
Ebbe
un ringhio, fu con quello che rispose, gli muoveva una tale rabbia
dentro, come se qualcuno lo graffiasse ad ogni parola di
quell’uomo
odiato. Aveva impresso ogni umiliazione inflittagli ma ancor
più
aveva impresso quel giorno in cui aveva detto di volere Astrid. Non
gliel’avrebbe mai lasciata. Mai.
Ecco
perché l’odiava. L’aveva sconfitto e
voleva portargli via
lei. Chi era lei per lui? Perché gli bruciava anche quello,
fra le tante cose? Tutto quello lo gettava nel caos ma non si sarebbe
fatto prendere dalla crisi, non quella volta. Quella volta
c’era
bisogno di fermezza per mandare via Jago.
Allora
perché semplicemente non lo combatteva?
Ci
parlava.
Impossibile
e assurdo.
-
Ho bisogno di sentirla veramente vicina a me per scordare la paura di
rimanere solo. –
Credeva
di averlo solo pensato ed invece l’aveva detto. Era stato
istintivo
per lui cercare la risposta reale alla sua domanda, eppure non
avrebbe mai voluto dargliela. Invece l’aveva fatto. Che
fossero
suoi poteri?
-
Non sei solo, non mi risulta. –
Avrebbe
anche voluto dire che non conosceva la vera solitudine rapportata
alla sua, ma sarebbe stato solo uno scoprirsi, non era da lui. Quindi
si limitò a questo.
-
Tu hai solo paura che senza di lei, nessuno sarà in grado di
amarti. –
-
Siamo creature degli inferi, non ci è permesso amare.
–
Disse
con amarezza ricordando la fine del fratello e dell’amico
d’infanzia. Era rimasto del gruppo solo Stephan e
testardamente
continuava a stargli accanto pur sapendo che avrebbe fatto la loro
stessa fine. Già … non era solo. Allora era vero.
Aveva solo
paura di veder morire l’amore.
Perché,
però, improvvisamente abbinava l’amore ad Astrid?
Quando
aveva fatto quel passo?
Aveva
capito da poco che stava bene vicino a lei, che il contatto con lei
lo sollevava, lo faceva sentire vivo … da lì era
giunto a
quel tipo di sentimenti? Aveva amato solo una persona in vita sua, ed
era morta. Aveva giurato di non concedersi a nessun’altro.
Ora
bastava una violenta come Astrid e lui ricapitolava?
Mai
come in quel momento si era posto tante domande, tutto questo lo
mandava in bestia. Aveva bisogno di urlare, di fare a pezzi qualcosa.
Eppure ciò che lo faceva infuriare era che tutto questo era
messo sempre in secondo piano poiché voleva per prima cosa
vederla risvegliarsi.
-
Però ami. –
-
Che ne sai tu dell’amore? Non ne so nulla io, come fai a
conoscerlo
tu, che l’unica persona di cui hai bisogno è te
stesso? –
-
Non si tratta di amare ma di natura. –
Non
si muovevano, continuavano immobili a guardarsi negli occhi,
l’uno
studiava l’altro eppure apparivano così diversi.
Kinkaid non
era toccato dal fatto di avere il suo nemico primario nudo davanti a
sé, era più toccato dalle sue parole, lo
provocava
sapendo che non sarebbe riuscito ad alzare un dito. Il tono divenne
sempre più aggressivo, mentre Jago diventava sempre
più
insinuante.
-
L’unica cosa che è nella nostra natura fare, e
parlo di te e
di me, è uccidere. -
Anche
questo colpì Jago anche se non lo rivelò
apertamente,
era solo un lungo percorso quello che portava da lui a Kinkaid,
sarebbero stati piccoli i passi ed il metodo di cammino era
conosciuto solo dal moro.
-
Ogni mio lembo di carne ha avuto del sangue su di sé.
–
-
Siamo più simili di quel che siamo disposti a credere
… -
Mentre
parlava con lui si trovava come in una strana condizione obbligatoria
di rivalutazione dell’avversario. Non avrebbe mai voluto
farlo,
continuava a provare profondo rancore, ad incolparlo di molte cose
che non gli andavano bene. Continuava a desiderare di ucciderlo e
credere fermamente nel fatto che non v’era posto per entrambi
in
quel mondo.
Però
quella era la prima volta che ci parlava e che lo ascoltava. Era
vero, in fondo non erano così diversi e forse proprio per
questo non sarebbero mai potuti andare d’accordo. Non
avrebbero mai
potuto convivere.
Quando
pensò questo Jago mosse dei passi, lentamente prese ad
aggirare sia lui che il letto, Kinkaid lo guardò e quando
capì
che voleva arrivare ad Astrid allungò un braccio col fuoco
che
l’avvolgeva, gli si parò davanti, lo sfiorava e si
fermò.
Guardò il braccio, poi Astrid stesa ed infine di nuovo il
ragazzo che senza un minimo di gentilezza nel volto, lo minacciava.
Non disse: ‘non toccarla’, era ovvio.
Certe
persona potevano cambiare profondamente altre apparentemente
incambiabili.
-
Fammi passare. –
-
Dimmi perché. –
Il
tono di entrambi era cambiato, era finito il tempo dei discorsi.
-
Solo io posso salvarla ora. –
Non
ci volle un genio per capirlo ma arrivò solo fino ad un
certo
punto, più in là di lì nessuno sarebbe
potuto
arrivare.
-
Perché hai sangue cacciatore come lei? –
Jago
ebbe un altro dei suoi sorrisi enigmatici, poi vago disse:
-
Puoi metterla così … voi osservatori avete agito
sulla sua
parte osservatrice, ora tocca a noi … -
-
Cosa ti interessa di salvarla? –
Aggressivo,
si trattava di Astrid.
-
Più di quanto pensi. –
Non
avrebbe detto altro. Si fronteggiarono ancora con lo sguardo, senza
dirsi più altro, Kinkaid cercò di capire cosa
intendesse, se potesse fidarsi, se … ma non trovò
altro che:
‘rimane solo questo!’.
L’idea
che potesse ingannarlo lo tormentò dal primo istante in cui
si
fece da parte per farlo passare fino all’ultimo, non si
fidava di
nessuno per partito preso, però il suo istinto prese il
sopravvento, come ogni volta che agiva. La sua vita era istinto, i
suoi pensieri erano istinto, i suoi sentimenti erano istinto.
“Fallo
andare!”
Se
questa voce era il suo istinto, però, allora era molto
femminile!
“Sembri
Astrid ma non lo sei e se ti sbagli, giuro che ti trovo e ti ammazzo,
chiunque tu sia … “
Quel
che accadde successivamente fu un gesto semplice. Jago giunse al
letto, allungò una mano e la posò sulla fronte
della
ragazza in agitazione. Lo sguardo con cui la guardò fece
capire a Kinkaid che non si era sbagliato a lasciarlo fare,
però
non lo comprese. Non comprese nulla di quel che accadde e della luce
diversa dalla solita di tenebra che aveva. Comprese solo che gli
passava la sua energia vitale.
Solo
questo.
Il
centro dell’azione.
-
Sei bella e preziosa; sei nascita e vita; sei essenziale per gli
artisti e elemento naturale doloroso per gli avidi e i ladri...
–
Poi
si chinò su di lei, quando lo fece si videro entrambi i loro
profili l’uno vicino all’altro, solo allora
notò di
sfuggita la straordinaria somiglianza dei due. Questo rimase solo un
lampo poiché gli arrivò l’istante prima
al soffio
dell’uomo sulla ragazza, un aria gelida entrò fra
le labbra
schiuse e il petto si gonfiò come se respirasse veramente
solo
in quel momento.
-
Astrid, svegliati. –
Mormorò
infine.
Quando
si rialzò le lasciò un lungo sguardo carezzevole,
non
osò toccarla.
Infine
si voltò allontanandosi dal letto, aggirò ancora
una
volta Kinkaid immobile, impietrito che continuava a porsi domande e
priorità. L’idea di sentirsi un imbecille che si
faceva
sfuggire la sua preda lo divorava immensamente, a compensare quella
sensazione sgradevole c’era la consapevolezza che Astrid si
sarebbe
ripresa. Perché aveva sentito la sua voce prometterglielo.
Jago
arrivò alla finestra, guardò fuori, in alto la
luna era
piena e illuminava la stanza buia con la luce argentata, la stessa
che aveva permesso ai due uomini di vedersi, il rosso vedeva la
schiena dai capelli corvini, sembravano seta pura. Era un uomo
attraente però anche quel pensiero sicuramente non era il
suo.
Sicuramente era la coscienza di quel qualcuno femminile che poco
prima gli aveva suggerito di lasciarlo fare, una voce di coscienza
simile a quella di Astrid. Non volle proprio indagare su chi potesse
essere, non gli interessava minimamente la storia di quel lupo che
prima di trasformarsi in tale, si era girato per metà
donandogli il suo sguardo gelido ed indecifrabile. Mille segreti e
misteri si portava dentro.
-
Ora si sveglia … porgile i miei saluti. –
Kinkaid
capì che tutto stava finendo, che presto le cose sarebbero
tornate a posto, come anche il suo istinto omicida senza
pietà.
Sapeva
che la prossima volta che si sarebbero rivisti nessun pericolo
maggiore l’avrebbe fermato.
-
La prossima volta non sarà così. Quando ci
rivedremo
sarà per combattere e lo farò con ogni forza
possibile.
–
Jago
sorrise ancora, fu solo un cenno glaciale, il sorriso dei morti.
-
Aspetterò il momento. –
Detto
ciò si lasciò cadere dalla finestra, avvolgendosi
nella
notte.
Rimase
un attimo a guardare la finestra e ripensare che lo sapevano. Lo
sapevano tutti e due che quella volta erano stati salvati da Astrid e
dal fatto che per entrambi lei era più importante di
qualunque
conto in sospeso.
Con
questa considerazione il giovane tornò ad accovacciarsi su
di
lei, non osò riprenderle la mano, sentiva che lo sfogo era
passato ed il momento di bisogno superato come anche
l’istante di
magia, l’atmosfera interrotta.
-
Svegliati, però … svegliati, su … cosa
aspetti, scema?
Svegliati, svegliati, svegliati … -
Prese
a ripeterlo all’infinito con fare arrogante e prepotente,
nulla che
spingesse all’effettivo risveglio. Aveva solo esaurito le
parole,
al momento tutto ciò che gli consentiva il suo animo erano
quelle parole imperative.
Svegliati.
Una
sola parola.
Aprire
gli occhi.
Un
solo gesto.
-
Ma che cazzo … -
Si
udì la frase dalla voce impastata femminile.
Un
sussulto.
Gli
occhi di corvo si spalancarono e il fiato si trattenne e fu ancora
una volta l’istinto a muoverlo.
Lo
stesso che l’aveva tenuto in vita fino a quel giorno.
Era
giusto seguirlo. Sempre?
A
questa domanda avrebbe risposto in un altro momento.
Ora
solo una cosa contava.
Che
lei avesse veramente riaperto gli occhi e se avesse sentito i
pensieri di poco prima … bè, quello era un
dettaglio. Un
dettaglio a cui Kinkaid sperò la risposta fosse negativa.
Una
speranza non realizzata.
A
muoverlo però fu l’istinto e si trovò
ad abbracciarla
pur lei rimanesse dolorante stesa a letto, con la testa pesante e il
corpo sudato. Sentì arrivarle addosso un corpo forte
maschile
dal forte odore di fatica, non profumava ma nemmeno lei, in
realtà
anche i loro odori si somigliavano. Odori che l’uno
apprezzava
morbosamente nell’altro.
Inspiegabile
come il sentimento che li legava e che facevano fatica ad ammettere.
Ancora.
Lei
non seppe cosa dire lì per lì, cercò
di capire
cosa fosse successo e perché proprio lui
l’abbracciasse,
quando lo fece cominciò a ricordare solo una cosa. Solo una.
La
voce che sapeva di vento che gli aveva sussurrato tutte quelle frasi
così strane, che nessuno gli aveva detto a quel modo, in
quel
tono di comando. Un modo per risvegliare qualcuno molto personale,
poco gentile ed invitante. Molto disperato.
Sicuramente
da Kinkaid.
Quando
si alzò rendendosi conto di star abbracciando colei che
normalmente chiamava ‘strega’, rimase a
mezz’aria, vicino a
lei, chinato per vedere se si era veramente ripresa, se pensasse che
lui fosse impazzito, se ci fosse qualcosa da guardare …
-
Se l’universo fosse nei tuoi occhi avrei la certezza che
è
infinito … è quello che penso guardandoti, me
l’avevi
chiesto. –
Sussurrò
con poche forze. Lui trattenne il fiato e quando realizzò
che
l’aveva sentito arrossì violentemente spezzando la
poesia.
Non era pronto, era sicuro, ora lo sapeva. Non era assolutamente
pronto per procedere più in là di quel momento.
Era
stata una serata lunga e faticosa, dove molte ammissioni erano sorte
in lui a forza, troppi cambiamenti, troppe situazioni da mandar
giù.
Troppo
su cui riflettere.
Doveva
capire ancora delle cose, cose troppo importanti da poter lasciare
all’istinto.
-
Oh … -
Riuscì
a dire solo questo con tono imbarazzato, la guardò a sua
volta
negli occhi, uno azzurro ed uno dorato. Erano belli, come potevano
spaventare gli altri? Perché starne lontani? Non lo
capì.
Era la sua natura. Per lui, quegli occhi erano la sua natura ed erano
proprio come minuti fa li aveva immaginati.
Andava
bene così.
Andava
tutto bene così.
-
Dicevi la verità, non mentivi. –
L’unica
risposta che mancava era quella, del resto gliela doveva dopo tutto
il tormento che gli aveva dato senza farla
‘riposare’ in pace!
Pensando
di andare del tutto a fuoco e ucciderla in altro modo, si
alzò
di scatto, non riusciva più a starle così vicino,
completamente impacciato in quelle situazioni capì in un
istante solo una cosa devastante e shockante:
“Mi
piace. Astrid mi piace!”
Questo
bastò a rigettarlo nel caos. Ecco perché si
affrettò
ad uscire senza aggiungere nulla.
Aprì
la porta della camera e vide Zefiro e Stephan lì seduti che
aspettavano di sapere qualcosa, era passato molto tempo ed avevano
anche pensato che ad ucciderla fosse stato proprio Kinkaid, quando lo
videro uscire si alzarono di scatto aspettando spasmodicamente una
sua parola.
-
Allora? –
Gli
chiese ansioso Stephan, se non glielo avrebbe chiesto non avrebbe
risposto, con la testa completamente da un'altra parte. Aveva un
espressione cupa e pensierosa.
-
Eh? –
Distratto.
-
Astrid, come sta? –
-
Oh, si è svegliata … -
Stephan
sospirò ma Zefiro proseguì apprensivo e
sospettoso:
-
Abbiamo sentito voci … -
Kinkaid
portò lo sguardo sull’altro, continuava a non
vederlo, era
altrove, dovette ripetere e lui finalmente disse vago:
-
Si, è arrivato Jago … -
Stephan
quasi si strozzò con la saliva, Zefiro non sapeva come
interpretare tutto quello.
-
Che è successo? Non abbiamo sentito rumori di lotta
… -
Scontato
che avessero combattuto.
-
No, abbiamo solo parlato … -
Non
avrebbe detto altro ma questo bastò a stordire completamente
i
due che dimenticarono i vari pensieri precedenti.
-
COSA?! TU E JAGO AVETE PARLATO? –
Urlò
Stephan non credendo a quanto udiva, Zefiro aggiunse più
calmo
ma ugualmente stupito:
-
Cioè TU hai solo parlato con LUI? Senza combatterlo,
insultarlo, gridargli contro? –
Annuì.
Solo questo. Non li aveva nemmeno sentiti veramente. Improvvisamente
i problemi di comunicazione che aveva con Zefiro gli parvero
bazzecole confronto ai problemi che l’assillavano in quel
momento,
quindi non li calcolò più del dovuto.
-
Questo implica che hai dovuto anche ASCOLTARLO. –
Di
nuovo annuì senza far caso alle insinuazioni.
-
Ma parliamo di QUEL Jago? –
-
Si, si, di quel Jago, che rottura! Avete finito di rompere? La strega
si è svegliata, ho pagato il mio debito, ammesso che ne
avessi, ora via, largo. Scassate a lei e non a me! –
Alla
fine seccato li liquidò a quel modo, tranquillizzandoli un
po’
… di fondo rimaneva il solito Kinkaid!
Eppure
… eppure mentre lo vedevano chiudersi in camera sua capirono
che
qualcosa era cambiato in lui, merito di Astrid, di Jago o di
chissà
chi altri, nessuno di loro avrebbe mai potuto saperlo.
Sarebbe
sempre rimasto un mistero su cosa era accaduto lì dentro in
quei minuti, fra Kinkaid, Jago e, in effetti, anche Astrid.
Nessuno
l’avrebbe saputo ma sarebbe rimasta traccia in un rossino
focoso
profondamente scosso e di pessimo umore, più del solito.
I
cambiamenti … che male possono fare? Dipende da chi cambia,
non da
chi l’assiste.
In
effetti le paure maggiori derivano proprio da questo.
Dall’ignoto
cambiamento personale.