Lose Yourself
CAPITOLO II:
PIOGGIA
DI NOVEMBRE
/Piccola,
benvenuta nel mondo/
Goccioline
d’acqua gelida gli imperlavano il viso pallido mentre lo
teneva
alzato verso il cielo. Le grandi mani erano chiuse a ciotola davanti
a lui, raccogliendo la pioggia. Non si curava affatto di avere tutti
gli abiti oramai zuppi, non gli importava di bagnarsi
completamente…
nulla lo infastidiva perché lì, con la pioggia
fredda
che gli scivolava sul viso dai tratti delicati e perfettamente
disegnati si sentiva bene. Le sue labbra piene possedevano una
bellezza effimera, così come quel sorriso che le solcava
appena. Era un sorriso strano. Non felice, non ironico, non
crudele…
ma calmo. Teneva gli occhi chiusi per assaporare meglio quel momento
di completa pace interiore. Si sentiva a suo agio, con i suoi lunghi
capelli corvini che gli si appiccicavano al viso bagnati… la
pelle
pallidissima brillava sotto la pioggia e l’intera sua figura
aveva
un che di regale. Se qualcuno lo avesse visto, probabilmente
l’avrebbe scambiato per un dio… per il dio della
pioggia, tanto
quell’elemento pareva far parte di lui. Provava una vaga
sensazione
nostalgica… quel fiume sacro, a pochi passi da lui gli
portava alla
mente ricordi di un tempo lontano, ma indimenticabile. Il colore blu
cobalto delle acque assomigliava incredibilmente a quel lungo manto
morbido. Gli piaceva, un tempo, baciarne ogni ciocca e godere del
loro profumo. Ma il tempo dei piaceri era morto con la scomparsa del
caldo oro, ora era tempo di morte, di vendetta. Di gloria. Era tempo
che lui avesse tutto il sangue che desiderava. Era divertente vedere
tutto quel rosso, caldo al contrario del suo, uscire dai corpi
straziati spesso di sconosciuti, ma talvolta anche da facce con un
nome. Ma non gli era mi importato nulla degli altri. Tutti facevano
quello che desiderava, anche se non era divenuto lui alla fine il
capo. Ma, tuttavia era il più forte. Ridacchio. Forse era
solo
il più folle. Infondo lui era solo quello che colmava la
sete
di guerra dei suoi simili. Scosse il capo, facendo scendere parecchie
gocce di pioggia dai capelli. Poi subito ritornò con il viso
verso l’alto. Poco importava, non essere il capo. Gli bastava
essere il migliore fra tutti, a discapito dei morti, per ottenere
quel che desiderava. Morte. Distruzione. Desolazione. Vendetta.
Di
scatto aprì gli occhi, senza però voltarsi.
Riconobbe
senza alcuna difficoltà la presenza del fratellastro.
Fratelli… spesso gli veniva da ridere a questo pensiero. Non
si
assomigliavano per nulla, ma entrambi erano nati lo stesso giorno,
1500 anni prima, anche se i tempi avevano mutato la storia. Era lui
quello nato prima, anche se di poco, e quello in assoluto
più
potente. Ma era anche quello con una maledizione sulle spalle. Mentre
Ethan… lui aveva avuto la fortuna di venire alla luce
proprio in
compagnia della rinascita del caldo abbraccio del loro dio.
L’eclissi
l’aveva dannato, ma neppure questo pareva disturbarlo. Lui
era
superiore a tutto, niente lo turbava, niente lo attirava, niente gli
importava. Neppure la sua stessa vita. Jago, nato dalla morte.
-
Hai bisogno di me, Ethan? – disse con il suo solito tono di
voce.
Pareva avesse un ironia cinica e crudele, ma in realtà la
sua
voce era gelida. Come lui. Gelido.
-
Che cosa stai facendo, Jago? – gli domandò il
fratello,
continuando ad avvicinarsi alla sua scura immagine. La natura non era
stata benevola con Ethan quanto che con il suo freddo fratello. Non
aveva nulla di eccezionale in se, nulla che almeno si potesse
paragonare al fascino sensuale e oscuro di Jago. Ma infondo non
esisteva al mondo creatura che lo potesse eguagliare. Jago era
perfetto. Il suo ciclo vitale si era bloccato sotto i
vent’anni,
mente Ethan pareva averne almeno una trentina. I capelli solitamente
crespi e corti di Ethan gli si erano incollati sulla faccia,
coprendogli gli occhi e lui era costretto a liberare il suo campo
visivo spesso da quelle ciocche castane.
L’uomo
(che pareva ancora un giovane appena diciannovenne) dalla lunga
chioma corvina si voltò lentamente verso il fratello con un
sorriso che all’apparenza poteva comparire come solidale. Ma
a
Ethan, come al solito, pareva palesemente vuoto e, anzi, quasi
crudele. Tutto in lui era gelido. Rabbrividì a quella
visone.
Non dovrebbe avere timore di Jago, infondo era lui ora il capo dei
cacciatori, della razza più potente creata dal Dio Sole.
Jago
era solo un suo suddito, anche se incredibilmente potente, solo un
maledetto, anche se lo faceva sentire così inutile e
inadeguato ad ogni sguardo.
-
Che cosa temi che stia facendo, fratello? – i loro sguardi si
incrociarono. E, di nuovo, Ethan ebbe paura di lui. anche Jago, come
tutti i cacciatori, aveva occhi talmente bianchi da parere fatti di
vetro e la nera pupilla non compariva neppure. Ma cos’era
meglio?
Occhi di vetro, come li avevano tutti, o occhi di ghiaccio? Mai si
era dato una risposta.
-
Stai complottando contro di me?
-
Non lo pensare, Ethan. Come credi che potrei farti mai del male?
–
lo credeva eccome - Sei la mia metà… tu fai parte
di me –
quanta falsità in quelle parole? Tanta… ma come
al solito il
capo dei cacciatori era talmente incantato da Jago da non riuscire ad
accorgersene. Si avvicinò al moro ancora di più e
gli
posò una mano sul viso bagnato, accarezzando il disegno a
pentateuco che aveva intorno all’occhio destro. Avevano un
significato quei segni scuri?
-
Perdonami se dubito di te, Jago. Ma la gente dice che non mi ami
più…
-
Come potrei. Io desidero solo te, fratello, lo sai bene.
-
Non ti importa di null’altro? Neanche di quella donna?
-
… neanche di Dio.
Sorrise
sincero –Voglio che tu non mi lasci mai-
L’espressione di Jago
non mutò da quella assolutamente glaciale quando Ethan lo
abbracciò e poggiò la testa sul suo petto
– Ricordati
che sei mio, solo mio…
-
Sì, non l’ ho mai scordato.
-
E ricorda anche questo. Se mai tu dovessi tradirmi o abbandonarmi per
andare da lei – la sua stretta si fece più forte,
mentre
impiantava le unghie nella carne delicata della nuca del fratello
–
Io ti ammazzerò…
-
Lo so. Te ne sono grato, mio padrone – e un ghigno
terrificante si
fece spazio sul bellissimo viso del maledetto, mentre Ethan
continuava a stringerlo a se, possessivo.
Posso
volare.
Se
ci credo con tutta me stessa, ne sono capace. Volerò
più
in alto di tutte, ancora una volta. Non ho paura di cadere e di farmi
male, perché volare è nel mio sangue. Basta che
dica
alle mie gambe di muoversi.
Allungo
le braccia davanti a me.
Con
una corsa dolce, tra un passo di danza e l’altro, spicco il
mio
volo, più in alto che posso. Voglio una nuvola per me. Apro
le
gambe una davanti e una dietro me, distendendole. I capelli mi
accarezzano le spalle, lasciati sciolti. Ho il fuoco su di me e il
cielo ad attendermi. Ritocco terra ma non smetto di ballare, sotto
queste note che non sono forse adatte a ballerine, poiché
sono
note crudeli e che parlano di merda nel mondo, ma sono quelle che io
amo. Continuo a muovermi a ritmo, inventandomi passi al momento e
ballando non solo con tutto il mio corpo, ma soprattutto con il
cuore. Ricordo che l’acuto di sta avvicinando e mi preparo a
volare
di nuovo, in un acrobazia che riservo solo per il dopo lezione,
quando non è rimasto nessuno in palestra, neanche Cole, a
dirmi che non è assolutamente normale saltare e muoversi con
tanta agilità. Ma ci sono nata così, e mi piace
saper
quasi volare.
Ecco
il momento cruciale, se sbaglio questo tutto è distrutto.
SAVE
ME .
Senza
chiudere gli occhi .
Volo.
E
raggomitolandomi su me stessa attero come previsto. Perfetta.
Mi
alzo soddisfatta, andando allo stereo con un asciugamano tra le mani.
Si è fatto tardi, è meglio che vada a casa. Solo
stoppata la musica mi accorgo degli applausi di una singola persona,
uno spettatore indesiderato, proveniente da dietro me. Mi volto e mi
trovo davanti a un ragazzino, forse più piccolo di me, con
un
casco di capelli scuri che gli nascono la maggior parte del viso
scarno. Non è molto alto, magro forse troppo e indossa uno
strano abbinamento di colori come abiti. Lo scruto per un attimo,
cercando di scorgere i suoi occhi sotto lo spesso strato di capelli
un po’ lunghi. Sorride come se ci conoscessimo da anni. La
sua
faccia non mi è nuova ma non saprei dove metterla.
-
E tu chi diavolo sei?! – dico, con il mio solito tono
arrogante.
Odio essere osservata quando ballo, soprattutto da mocciosetti mai
visti.
"Mia
madre è proprio crudele! Come ha potuto, con che cuore,
mandarmi a quest'ora di sera, nemmeno senza farmi cenare, a prendere
la sua borsa che lei ha dimenticato nella palestra dove insegna? Ma
perchè io?!? Lo sa che ho il terrore a camminare di sera, si
è
già fatto buio… sono solo… ho
paura… mi sembra che mi
debbano saltare addosso da un momento all'altro!!! E Kinkaid che se
ne è andato in giro per conto suo a spaventare la gente per
strada!"
Questi
pensieri da scricciolo impaurito erano di Stephan che camminava solo
soletto per le strade deserte illuminate da qualche lampione qua e
là. La madre, Cole, l'aveva spedito nella palestra di danza
dove insegnava a riprenderle la borsa dimenticata; manco a dirlo lui
dimostrò subito una fifa nera nel tragitto, ma agli ordini
della cara e pericolosa mammina si obbediva e basta!
Mentre
lui si immaginava tutti i modi possibili per venire ucciso da
qualcuno, arrivò nell'edificio che sembrava ancora aperto e
senza aspettare un secondo entrò ritenendosi più
al
sicuro dentro che fuori.
Nel
frattempo che cercava la borsa della madre sentì della
musica
piuttosto casinista e rimbombante… decisamente brutta e
assordante;
per cui, curioso com'era il moretto, non poté fare a meno di
seguire la provenienza di quelle note sicuramente
pericolose… lui
sapeva che si stava cacciando nei guai, uno che ascolta roba del
genere non può essere che un ladro maniaco… ma la
curiosità
era infinita e nonostante fosse sicuro di andare incontro alla sua
morte volle vedere lo stesso di chi si trattava. Effettivamente
nemmeno pensava al fatto che nessun ladro cattivo e maniaco rubava
con lo stereo al massimo… ma lui era così ingenuo
che non ci
rifletté affatto.
Era
una ragazza… almeno così sembrava dal
corpo… cioè
sembrava possedere le classiche forme di una donna, notandole
arrossì
violentemente e decise di passare al resto… aveva i capelli
lunghi
e rossi raccolti in una coda, la pelle così bianca da far
impressione agli orsi polari era tutta imperlata di sudore, il volto
perso nelle note e nei passi di danza che stava eseguendo alla
perfezione e magnificamente, con energia e sentimento… ogni
cosa
che provava lei traspariva dal suo corpo sinuoso che si muoveva con
sapienza. Eseguiva dei passi da lasciar a bocca aperta chiunque, e
poi come saltava… sembrava che volasse…
veramente… sua madre
aveva una ragazza così come allieva… ma era
incredibile, era
addirittura più brava di lei… se la sentiva
l'ammazzava come
minimo… non avrebbe mai immaginato che ci fosse una
più
brava di sua madre… per lui, lei era il massimo di tutto e
vedere
quella ballerina così brava lo lasciava estasiato.
Non
poté fare a meno di applaudire una volta terminata la
musica,
risplendeva di luce propria dopo aver visto quella bellezza.
-
E tu chi diavolo sei?- Il tono arrogante che lei usò per
parlargli lo spaventò come si poteva immaginare, tanto da
farlo scappare via dimenticando lì nuovamente la borsa della
madre.
Senza
spiccicare parola Stephan prese a correre infilandosi in un vicolo
ceco per la paura che lei lo seguisse… credeva di essere al
sicuro
in un posto del genere, lo faceva ogni volta che aveva paura e si
trovava solo e fuori casa, allo scoperto; peccato che quella volta si
era proprio sbagliato, lì non era solo.
Sentì
una presa ferrea artigliarlo da dietro fino ad immobilizzarlo (non
che ci fosse voluto molto ad immobilizzare una bestiolina
così
minuscola e mingherlina), puntandogli il coltello al collo gli disse
in tono basso e penetrante:
-
Dammi i tuoi soldi o dammi la tua vita. E' meglio che svuoti le
tasche amico, perché non vivi due volte. -
Lo
stavano forse rapinando?
Oh,
Santo Cielo… qualunque cosa avessero intenzione di fargli
sapeva
una cosa… era in pericolo… e questa volta
veramente!
Doveva
chiamare subito Kinkaid col pensiero… lo faceva tante volte
e ci
sarebbe riuscito anche ora… solo doveva muoversi e farlo
prima che
il panico si impossessasse di lui facendogli avere una crisi
isterica.
"Kinkaid…
Dio mio… ti prego, Kinkaid, ascoltami… vieni
presto, che mi
stanno squartando vivo… (è naturale che si
squartino vive le
persone… da morte che gusto c'è?)
aiuto… sto morendo…
addio mondo crudele… ahi… ma questo coltello fa
male sul serio…
ooohhhhooohhhh, come faccio?!?"
Cominciando
a singhiozzare silenziosamente gli arrivò dalle viscere, con
la consueta e conosciuta sensazione di disperazione, il pianto
più
straziante della sua misera vita… ok, non
esageriamo… misera
magari no… insignificante, forse?
-
KINKAAAAAIIIIIID!!! AIUTO… SNIFFFF… SNIFFFF
…BWWWHWWWHWWWUUUHHH!!! -
"-
Allora, Zefiro, hai vinto la finale di football? –
-
La giocherò domani, papà –
-
Sei stato il migliore, vero? –
-
Sono sempre il migliore papà, in campo. -
-
Come va la squadra di basket, Zefiro? –
-
I miei compagni sono dei brocchi, padre, ma non ho il cuore per
dirglielo. Siamo arrivati solo secondi ai nazionali –
-
Ti sei fatto riconoscere, spero? –
-
Sono stato nominato miglior giocatore dell’anno,
papà. -
-
Come va il rapporto con Dafne, la figlia del mio futuro socio,
Zefiro? –
-
Me la sono già sbattuta un paio di volte, papà, e
lei
mi scodinzolava dietro come un cagnolino fedele –
-
Sai che la nostra collaborazione dipende tutta da come tratti sua
figlia, vero? –
-
Lo so benissimo. Lei fa tutto quello che dico io. Ma mi sono stufato
di lei. -
-
Come vanno gli studi, Zefiro? –
-
Come sempre, padre. Mi hai fatto con un QI talmente alto che potrei
facilmente spodestare tutti i miei insegnanti e l’ultimo
premio
Nobel per la scienza –
-
Faranno fare a te il discorso al diploma, spero? –
-
Manca ancora un anno, papà. Comunque sì,
è
ovvio. -
-
Hai ricevuto le risposte da Harvard? –
-
Sì, papà. Mi hanno accettato per primo, senza
neanche
fare un consulto dopo aver scoperto il mio 195 e il mio cognome.
Potrei già essere il miglior studente dell’Ivy
League (per
chi non lo sapesse è l’unione di tutte le migliori
università americane N.d.A.) –
-
Sai bene che ci tengo che tu frequenti
quell’Università. È
da tre generazioni che la nostra famiglia… -
-
Lo so, lo so, lo so, lo so, lo so, lo so, lo so, lo so, maledizione,
lo so! -
Ma
perché non mi fai delle vere domande, quelle che ogni
genitore
fa normalmente al proprio figlio? Perché non mi chiedi se il
mio braccio è guarito? Ti potrei rispondere che ogni volta
che
lancio lo sento staccarsi. Chiedimi se almeno mi piace, Dafne! No,
non mi piace neanche un po’. È stupida, frivola e
troppo
appiccicosa. Mi piace solo una persona, ma tu non vuoi neanche
sentire il suo nome. Dici che devo farmi amici e io ne ho davvero
tanti. Ma solo a una persona tengo veramente, ma tu disprezzi i ceti
bassi e Astrid c’è dentro fino al collo. Chiedimi
che sono
davvero felice di questo quoziente intellettivo…
perché
potrei risponderti anche sì, talvolta… ma spesso
lo odio
tantissimo. Perché sono stufo che fingere di avere tutte le
risposte. E soprattutto, padre chiedimi che voglio fare IO della mai
vita!
Posso
farti ora io delle domande, a te e a mia madre, che forse neanche si
ricorda di avere prole, tra un the con le amiche e un po’ di
shopping?! Vi siete accorti della salute di Sveva? Vi siete resi
conto che è troppo piccola per crepare in quel modo?! Sapete
che quel che è successo a Zack è stato per colpa
della
vostra inettitudine come genitori?
-
Signorino, dove sta andando?-
-
A fare un giro in macchina, Tata. –
Voglio
vedere se, in giro per le campagne, la macchina riesce a fare
più
dei centottanta come la scorsa volta senza schiantarsi.
Merda… ci
mancherebbe solo che mi impianti! Ci tengo alla mia pellaccia, io!
Meglio che me ne vada da Astrid, almeno lei non grida quando prendo i
tornanti ai cento. Già, si limita a picchiarmi. "
"Maledizione,
possibile che quando abbia fretta il macinino da non oso immaginare
quanti milioni di Zefiro non sia mai a portata di mano?! Odio sentire
le voci nella mia testa (ultimamente poi mi capita di frequente).
Arrivano così all’improvviso e non capisco mai di
chi sono
certi pensieri. Questa mi ha quasi distrutto tutti i neuroni. Era
stridula, altissima e terrorizzata. Sto andando alla ricerca del
proprietario di quella voce isterica solo perché sono stufa
di
sentirmela in testa! Chi diavolo è poi sto Kinka…
Kinkin…
Kinequalcos ’altro… ODIO
QUESTA VOCE!!! "
La
ragazza, correndo velocemente da una strada all’altra alla
ricerca
di quella voce spaventata, a un incrocio sbatté
violentemente
contro un anziano signore e finì a terra. Subito si
rialzò
furente “ma qui la gente si deve bloccare?!”.
Guardò un
attimo il vecchietto… lunga barba crespa, basso e tarchiato,
con
una schiena curva e abiti trasandati. Probabilmente un barbone che la
guardava con occhi spalancati e rossastri. Era già imbottito
di alcool, pensò.
-
Mi scusi! – sbottò, rialzandosi e riprendendo
subito la sua
corsa.
-
Non c’è problema, Astrid… -
Bloccandosi
si girò di nuovo verso il vecchietto. Ma lui non
c’era più.
Alzò le spalle e non si porse il problema, nonostante si
chiedesse come facesse a sapere il suo nome.
“Dio
ti ama veramente, Astrid? Piccola mezzo-sangue empia e
maledetta… “
Finalmente
era arrivato. Sentiva la presenza sicura e pericolosa del suo amico.
Kinkaid era arrivato ancora una volta in suo aiuto e questa volta non
l'avrebbe mandato a cagare perchè era veramente in pericolo,
almeno Stephan credeva così, per il ragazzo dagli occhi
dorati
ci voleva ben altro per chiamare 'pericolo' una situazione.
Appena
realizzò ciò che stava accadendo, Kinkaid,
fulmineo fu
davanti al ladro che puntava ancora il coltello alla gola del
piccoletto; il tizio sussultò alla sua vista così
ravvicinata e poco raccomandabile… chiunque sussulterebbe
avendo a
due cm uno sguardo del genere dove le pupille si restringevano
assottigliandosi sempre più dalla collera.
-
Ehi, guarda che lo uccido, non scherzo, eh? Vattene via! - L'uomo
cominciava a temere che non si sarebbe liberato di lui tanto
facilmente.
E
aveva ragione.
Assurdamente
il ladro credendo che puntando il coltello contro il nuovo arrivato
egli si sarebbe spaventato, mollò Stephan per afferrare
erroneamente Kinkaid dicendogli:
-
Preparati a morire!- Ma l'altro con un ghigno preoccupante nel volto
disse provocante:
-
Morire sarebbe un'avventura veramente interessante…
avventura che
ora assaggerai tu in prima persona… mi saprai dire se
è
bella!-
Detto
ciò non gli diede nemmeno il tempo di realizzare il senso
della frase che si ritrovò con il coltello impiantato nella
spalla.
Fosse
stato per lui avrebbe completato l'opera senza problemi, ma Stephan,
come al solito, lo fermò dal dargli il colpo di grazia
così
l'uomo stupido ed insignificante scappò con la spalla
insanguinata.
-
Sei un impiastro, Ste!- Ironico e con un sorrisetto strafottente,
Kinkaid guardò il suo amico che, tanto per cambiare, aveva
le
lacrime agli occhi per lo spavento.
Improvvisamente
da che rideva a che il suo volto si corrucciò
inspiegabilmente.
"Che
succede? Sta arrivando una diversa dagli altri. Già non mi
piace… ora la faccio scappare io, così non mi
rompe
l'anima!"
La
figura che attendeva pronto a spaventare arrivò davanti a
loro.