LOSE YOURSELF
CAPITOLO VII :
RAGAZZO NON
PIANGERE
/Io di
risposte non ne ho,
mai avute e
mai ne avrò,
di domande
ne ho quante ne vuoi.
E tu,
neanche tu
mi fermerai,
neanche tu
ci riuscirai,
io non sono
quel tipo di uomo e non lo sarò mai.
Non so
se la rotta
è giusta o se
mi sono
perduto ed è troppo tardi per tornare indietro,
così
meglio che io vada via,
non
pensarci, è colpa mia.
Questo mondo
non sarà il mio.
Non so se è
soltanto fantasia
o se è
solo una follia,
quella
stella lontana laggiù.
Però
io la seguo
e, anche se so
che non la
raggiungerò,
potrò
dire:
Ci sono
anche io.
Non è
stato facile
perché
nessun altro
a parte me
ha creduto,
però
ora so
che tu vedi
quel che vedo io,
il tuo mondo
è come il mio
e hai
guardato nell'uomo che sono e sarò.
Ti potranno
dire che
non può
esistere
niente che
non si tocca, o si conta, o si compra perché
che il
deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te.
E so che non
è una fantasia...
non è
stata una follia,
quella
stella la vedi anche tu.
Io lo so.
Io la seguo
e adesso so
che io la
raggiungerò
perché
al mondo
ci sono
anche io.
Perché
al mondo
ci sono
anche io.
Ci sono
anche io...
... ci sono
anche io./
“Certe
volte non puoi assolutamente fare a meno di sognare. È in
quelle occasioni che sprofondi in un mondo ignoto, pieno di incubi.
Capita che la paura che provi sia per qualcosa che ancora non
conosci. Invece, al contrario, a me capita solo di essere rincorso da
volti che conosco ma che preferirei resettare dalla mia testa. Ma non
mi è possibile. La mia memoria è impeccabile,
come
tutto il cervello. Non posso neanche metterli in un cantuccio,
dicendomi che ero solo un moccioso quando è successo, che
ora
come ora il ricordo di quei sei giorni non dovrebbe neanche passarmi
per la testa. Non ci riesco, maledizione. Non ci sono mai riuscito.
Ricordo ancora le loro parole, mentre si divertivano attorno a me in
quella buia cantina. Erano due, Erik e la sua faccia pulita da
avvocato, e Jo con la sua pancia da birra e le mani ruvide. Ma per il
bambino che ero a quei tempi erano solo il serpente e lo scorpione.
Già... il serpente... Erik, bello... quasi come una donna,
indossava sempre completi grigi che stavano bene con i suoi occhi
scuri e seri e aveva addosso il buon profumo dell'acqua di colonia,
una molto costosa. Lui veniva solo la sera tardi, o almeno quella che
mi pareva fosse la sera, perché dalla piccola finestra del
seminterrato fetido non riuscivo quasi mai a distinguere l'ora. Per i
primi giorni semplicemente si sedeva davanti su una poltrona comoda
con in mano un bicchiere di vino rosso che lo riconoscevo dall'odore,
e mi slegava le mani che mi facevano male. Non ho mai osato cercare
di scappare, perché ero certo che mai da solo ci sarei
riuscito. Serpente restava a fissarmi immobile, aveva un mezzo
sorriso sulle labbra e io rimanevo sempre abbagliato dai suoi capelli
perfettamente agghindati. Erano lucenti e la sua pelle mi pareva
soffice. Ero affascinato da lui perché, al contrario di
scorpione lui era raffinato, non usava mai parole come "merda",
"puttana", "frocio". Non diceva niente di tutto
questo, e ricordo che le sua mani, la prima volta che mi sfiorarono
mi parvero accoglienti, come quelle di un papà. Mi disse che
ero bellissimo. E fu in quel momento che mi accorsi che era un
serpente. Le sue mani erano gelide, il suo tocco mi lasciava un senso
di nausea. Se ne andava la mattina presto, sistemandosi la cravatta,
calmo e serio come quando era venuto. E mi lasciava da solo con
scorpione. Jo i primi tempi non mi piaceva. Beh, neanche dopo mi
piacque mai ma imparai ad accettarlo come essere umano. Scorpione
avrà avuto almeno dieci anni più di Erik, sui
quaranta
e la sua pancia era così molle, come la pelle che gli cadeva
dalle guance che me lo faceva apparire come una specie di scherzo
della natura, uno spettro. Non ero abituato a vedere persone talmente
brutte. Solo dopo tre giorni che ero lì, nella cantina tutto
solo, capii che il vero mostro, il vero essere orribile lì
dentro non era il vecchio Jo con tutte le sue imperfezioni, le sue
mani tremanti, la barba crespa e la voce alta e stridula, ma
serpente. Il vero mostro si nascondeva sotto la maschera chiamata
'perfezione'. Scorpione mi picchiava spesso perché diceva
che
non stavo zitto, che facevo troppe domande. Ma ero un moccioso,
volevo solo sapere perché proprio me. Però lui...
lui
non mi ha mai fatto quello. Jo diceva che aveva bisogno di soldi, che
aveva una figlia che lo odiava e lui voleva ottenere il rispetto di
lei. Voleva soldi per poterle pagare il matrimonio. Mi face pena. Un
po', ma me ne fece. Eppure, nonostante Jo fosse così grosso
rispetto a serpente, non ci fu una volta che lo contraddisse. Solo
quella volta che mi disse che ero bellissimo e le sue mani mi avevano
privato dei miei pantaloni di una taglia in più Jo disse a
serpente che io non gli servivo a quello. Che ero solo un riscatto.
Aveva provato a fermarlo e io gli fui grato perché per altri
pochi secondi potei ancora mantenere integro il mio orgoglio. Ma
serpente lo guardò e poi, di nuovo rivolto a me disse che
sembravo una bella bambina, dai boccoli biondi. Un angelo. Mi
chiamò
angelo. E mi privò delle ali. Persi la mia
verginità a
dieci anni, in uno scantinato fetido in compagnia di uno scorpione
disperato che si tappava le orecchie per non sentirmi urlare che
vomitava in un angolo e con un serpente che godeva spudoratamente
sopra di me. Vomitai... vomitai tanto, così tanto che
credetti
di morire. Scorpione mi teneva la testa sul gabinetto, impedendomi di
crepare affogato nella mia stessa bile, perché altro non
avevo
nello stomaco, dicendo che lo faceva solo perché aveva
bisogno
dei soldi dei miei genitori e che per un cadavere non avrebbero speso
neanche un dollaro. Ma si sbagliava. Infatti i miei non avevano
intenzione di sborsare niente neanche per me vivo. Lo sentii alla
televisione vecchia e malandata che scorpione accendeva ogni mattina.
Mi svegliavo sempre con la sigla del telegiornale. E quel giorno vidi
la faccia seriosa di mio padre in primo piano e dietro di lui la
mamma che piangeva. Però me ne accorsi subito che quelle non
erano vere lacrime. La mamma è davvero una brava attrice,
hanno fatto bene a darle l'oscar. Non piangeva per me, ma per la sua
carriera. Papà, da uomo d'affari qual è con calma
placida disse alla televisione che non aveva intenzione di
assecondare i voleri di quelli che da quattro giorni tenevano
imprigionato il loro secondogenito, che si affidava ancora alla
competenza della polizia. Ma io capii un'altra cosa da quella
testimonianza. Che ai miei genitori non gli importava un cazzo della
mia vita. Mi lasciai sfuggire una risata. D'altronde me lo
immaginavo. Ma Jo non la prese bene. Ricordo che mi picchiò,
lo fece a lungo e se ci penso mi fa ancora male la schiena. La sua
cintura provocava un rumore sordo al contatto con la mia pelle e la
sentivo incendiarsi ad ogni colpo. Ma non urlai. E poi
arrivò
serpente. E fu lui ad arrabbiarsi e a far urlare scorpione. Gli
sparò
ad entrambe le mani con quella pistola scura che maneggiava con
abilità. Poi venne da me e mi accarezzò i
capelli.
- Ti ha
tutto rovinato - disse, e io credetti di morire. Ma Erik prese le
forbici e cominciò a tagliarmi via tutti i miei capelli, i
miei lunghi capelli ricci e biondi e riprese con i suoi soliti giochi
sul mio corpo - non mi sono mai piaciute le bambine - è
stato
in quel momento, mentre serpente passava la sua lingua ispida tra le
mie cosce infantili che mi passò per la mente Zack e mi
dissi
che non era giusto che tutto questo doveva capitare a me, che era lui
il primogenito, quello riuscito meglio. Che era lui che dovevano
rapire. Che era lui che dovevano picchiare e violentare. Io non... io
lo odiai. Odiai mio fratello. Il giorno dopo fu ancora la voce di
papà a destarmi. Era di nuovo lì, sullo schermo
con una
cravatta diversa che diceva che era disposto a scendere a patti con i
ricattatori pur di riavere suo figlio. Mi sembrò strano,
molto
strano. Solo tempo dopo scoprì che i miei mi rivollero con
loro non per il semplice fatto che ero loro figlio e che avrebbero
dovuto amarmi, ma perché il dottore aveva portato il
risultato
di quel test e che era stupefacente. 195 di quoziente intellettivo
equivaleva a un sacco di soldi. Il mio cervello valeva una miniera
d'oro. Già... una miniera che i miei volevano per loro. E
questo per me fu ancora peggio che crepare in quella cantina, da
solo. Il sesto giorno Jo andò a prendere i soldi ma non mi
portò con se, contro i patti. Qualche ora dopo era di nuovo
da
noi con una borsa piena di banconote. Erik gli chiese se lo avevano
seguito e Jo rispose di no. Fu quella la sua ultima parola. Dopo di
che serpente gli piantò una pallottola nelle cervella.
Pensai
alla figlia di Jo, che mi pareva lui la chiamasse Jessica... e mi
chiesi come sarebbe andato il suo matrimonio, mentre il cervello di
suo padre imbrattava il mio corpo nudo. Erik mi mise una coperta
addosso e mi prese in braccio. Disse che siccome si era innamorato di
me mi avrebbe portato con lui. E poi ci fu una pioggia di pallottole.
Serpente non mi mollava e continuava a sparare addosso alla polizia,
facendosi scudo con il mio corpo. Io non pensavo a nulla, speravo
solo che ci fossero i miei genitori lì da qualche parte per
vedermi morire con lo sterno bucato. Ma non li vidi. C'era il buon
dottore che mi aveva visitato prima per mio rapimento, sottoponendomi
a quel test stupido che urlava agli agenti di non colpire il bambino
e mi parve di sentire la parola genio uscire più volte dalle
sue labbra. Alzai la testa su Erik e mi aggrappai alla sua maglia.
Lui sorrise. Probabilmente fraintese il mio gesto. Lo tirai
leggermente dalla mia parte e la pallottola di un tizio con i baffi
che avevo visto prima lo colpì alla mano armata, come avevo
previsto. La pistola gli cadde e per la prima volta lo sentii
imprecare. Si chinò per prenderla e in quel momento si
accorse
che ce l'avevo tra le mani io. Sorridemmo entrambi.
- Che cosa
mi vuoi fare, Dolly? - mi chiese. Odiavo quella parola. DOLLY. La
odiavo. La mano robusta di un poliziotto si posò sulla mia
spalla e quello per me fu un segno di inizio. Allargai il mio sorriso
e, mentre la polizia si faceva intorno a me e a serpente, io gli
sparai. Un colpo... due... tre...quattro... cinque. Sbattei le
palpebre forte quando gli schizzi di sangue di serpente mi finirono
sulla faccia. Guardai il suo bel volto, del quale non rimaneva che
una poltiglia grigiastra e qualche lembo di pelle sanguinolento. Mi
voltai, avvolto in quella coperta lurida e feci scivolare la pistola
a terra. Fissai per un attimo quello che mi parve il capo della
polizia. Nei suoi occhi c'era stupore, nei miei immagino nulla. Poco
dopo lo sentii parlare con il dottore mentre gli diceva che non ero
normale, che non erano gli occhi di un bambino i miei.
- Legittima
difesa - dissi, uscendo dalla casa cadente. Il dottore mi corse
incontro ma non furono ne le sue urla ne quelle della polizia che io
sentii... ma quelle di una nuca bionda. Zack. Lo odiavo... ma lui
correva da me. Quando mi abbracciò e mi tenne stretto,
pensai
di dirgli quello che provavo per lui. Ma non lo feci. Ancora non
capisco se erano le sue lacrime che scorrevano sul mio viso oppure
erano proprio mie, ma fu in quel momento che finalmente mi resi
completamente conto di quello che mi era successo. E strinsi il
più
forte che mi era possibile il mio fratellone.
Apro gli
occhi con calma placida e mi alzo leggermente. Ridacchio. L' ho
sognato... l' ho sognato di nuovo. Ci ho fatto l'abitudine è
solo che... ogni dannata volta mi desto con un leggero fastidio alla
gola e mal di testa. Mi passo una mano tra i capelli e non faccio
caso alla mia fronte umida di sudore. Sveva continua a dormire calma
e delicata accanto a me e noto che mi stringe forte la maglia. Come
al solito sorrido guardandola. Non ne posso fare a meno. Sveva
è
tutto ciò che ho, è la mai sorellina... la mia
luce.
Già, Sveva significa letteralmente luce e penso che questa
sia
stata la scelta più azzeccata che abbiano mai fatto i miei
genitori. Mi guardo attorno nella stanza grande e mi domando se non
lo sia troppo per una creatura così piccola come lo
è
lei. Ha quasi nove anni... ma è tremendamente piccola. I
corti
capelli scuri si arricciano leggermente sul cuscino e tiene i suoi
grandi occhi scuri serrati. La sua pelle è pallidissima e
ora
come ora mi pare più fragile del solito. Chissà
perché
poi solamente quando mi sorride in quel modo innocente e limpido mi
accorgo che è malata. Che forse non arriverà
neanche ai
dieci anni. Reprimo un conato di vomito e mi alzo di scatto, correndo
in bagno. Dieci anni, merda. Solo dieci anni. Perché le vite
delle persone devono essere stroncate a soli fottutissimi dieci anni?
Che cazzo hai fatto fino dieci anni? Niente... non sai ancora niente
del mondo... non sai quanta merda può fare. Ma non sai
neppure
quanto può essere bello. Mi sciacquo la faccia e penso che
se
solo potessi darei la mia vita per Sveva. È che lei... lei
credo seriamente che potrebbe cambiare il mondo. Potrebbe renderlo
migliore anche con solo un sorriso... ma non un sorriso contagiato da
quella malattia che la divora. Un sorriso pieno d'amore... di quel
sentimento che a Sveva non manca nel cuore. Mi sfilo i vestiti e mi
do del coglione. Mi sento un hippy cannato a pensare al mondo come un
insieme di fiori... ma se non facessi così penso che lo
vedrei
solo come una montagna di letame dove solo gli sterchi di vacca
più
grandi e puzzolenti riescono a cavarsela. Ed ora penso seriamente di
togliere l'acqua calda e far partire quella gelida tanto per
svegliarmi un po', perché dire certe stronzate appena
sveglio...beh, si. È proprio da me. D'altronde solo gli
ottusi
riescono ad essere brillanti la mattina presto. Impreco leggermente
quando lo shampoo mi va negli occhi e comincio a sfregare,
fregandomene del fatto che così facendo non faccio che
peggiorare la situazione. Alzo la testa la permetto all'acqua (che ho
scelto come tiepida, alla fine) di scorrermi per tutto il viso, fino
a scivolare dal mento al petto e pulirmi. Mi piace questa
sensazione... mi fa sentire più pulito. Ricordo che quando
mi
permisero di tornare a casa dalla centrale di polizia e dallo
scantinato buio e putrido rimasi ore ed ore sotto la doccia o immerso
nella vasca da bagno con la spugna in mano a grattarmi la pelle a
sangue pur di pulirmi di tutto il marciume che mi sentivo addosso.
È
curioso... avevo appena ucciso serpente ma non era il suo sangue che
avevo appiccicato sul viso che volevo far sparire... ma proprio il
suo fastidioso odore di acqua di colonia. Ho sviluppato una specie di
fobia per quel profumo. Mi mette i brividi e non posso fare a meno di
allontanarmi da una persona che se ne è appena rovesciato
addosso una boccetta. Non è molto comodo perché
la
maggior parte dei cosiddetti FIGHI della mia scuola si lavano con
quel profumo, ma lo stesso me la sono sempre cavata. Chiudo l'acqua
ed esco. Non bado al fatto che probabilmente sto annaffiando tutto il
corridoio per andarmene in camera mia senza asciugarmi, ma non ho il
cambio da Sveva. Spalanco la porta della mia camera e la trovo come
al solito, con le tapparelle alzate. Probabilmente la tata è
passata per svegliarmi ma non mi ha trovato. Avrà pensato
che
ero da qualcuna delle galline, come le chiama lei. Guardo un attimo
il letto ancora sfatto. Tipico di Anjie. Le avevo detto che se voleva
poteva anche restare qui a dormire ma che io andavo dalla mia
sorellina. Lei mi aveva detto di si con quel suo sorriso malizioso e
mi era accoccolata nuda tra le coperte del mio letto enorme.
Avrà
pensato che sarei di certo tornato da lei. Probabilmente si
è
svegliata presto e si è vista da sola. Prendo il biglietto
che
ha lasciato sulla scrivania e le do una letta veloce. Dice di
chiamarla e che sta bene con me. Grazie mille, anche io sto bene con
me. Sbuffo. Mi chiedo come deve essere svegliarsi alla mattina con la
persona che ami, e che ti ama veramente, accanto. Magari abbracciati.
Recupero un paio di jeans a cavallo basso e un po' rotti (ma li ho
comprati così!) dall'armadio e mi infilo anche una maglietta
nera senza maniche un po' stretta. Mi stringo la cintura tanto per
non seminare i pantaloni per strada come al mio solito e prendo la
camicia bianca e me la metto sopra. Questa è tanto per non
arrivare lì vestito come un modello della D&G. Mi
guardo
allo specchio e scuoto i miei capelli biondi per liberarmi dell'acqua
senza usare il phon. Rido. Inutile, sono vestito come un modello
della D&G. Infilandomi le mie Nike nere mezze slacciate prendo
le
chiavi della macchina (perché la moto è dal
carrozziere
porca quella vacca), le sigarette e il cellulare che subito accendo.
Mi arrivano un po' di messaggi dei quali alcuni sono di Dafne (mi
sono appena ricordato che dovevo andare da lei ieri) uno di Anjie uno
di Dana due di Michelle e tre di Lisa. Chi diavolo è Lisa?!
Me
ne arriva un ultimo mentre sto cercando il gel che non trovo in bagno
da parte del mister di football. Dice "dove merda sei coglione?
Domani non provare a saltare questo cazzo di allenamento troia se no
ti ficco nel culo uno dei tuoi fottutissimi anagrammi geometrici che
tanto ami per chissà quale merda di motivo!" e chiude con
una bestemmia. Rinuncio al gel e mi chiedo perché quell'uomo
se la deve sempre prendere con me. Probabilmente perché sono
l'unico che lo ascolta. Chiudo la porta della mia camera alle mie
spalle e scendo le scale saltellando lievemente. Passo dalla cucina e
lì ci trovo la cuoca, l'immensa signora Dimitri che mi
sorride
sorniona allungandomi un panino a tre strati. La ringrazio con un
gesto del capo ed esco di casa definitivamente. Per un attimo mi
passa per la testa che mia madre è da qualche parte a girare
un qualche film e che mio padre oggi pomeriggio ha una riunione a
Parigi anche se si trova attualmente a Boston. Entro nel garage e la
luce automatica scatta. Mi trovo davanti la mia bellissima Mercedes
grigia e opto per lei oggi. Do uno sguardo alla ferrai rossa, alla
porche nera e alla limousine bianca. In questo garage si sente la
mancanza di Berta, la mia Honda modificata alla quale Sveva ha
accidentalmente bucato le gomme. Ancora non so darmi una spiegazione
di come abbia fatto. Salto dentro la decappottabile e infilo la
chiave, accendendomi anche una sigaretta. Uscendo spingo subito
l'acceleratore. Mi piace la velocità e non mi importa di
tutte
le cazzo di multe che mi sono preso per eccessi, mi sta bene
così
ormai la polizia con me ci ha rinunciato. Probabilmente pensano che
sia uno di quei figli di papà che spingono al massimo il
motore della costosissima auto per fare i grandi con le ragazze e gli
amici. Ma io non lo faccio per questo. Io correrei anche con una
panda. Accendo lo stereo e tutte le cinque casse rimbombano seguite
dal Woofer con la musica di "Where is the love?" . Batto la
mano sul manubrio e comincio a cantare. Immagino che adesso da
guardare sia l'immagine perfetta di un fighetto straricco e felice.
Sono tutte e due, spiacente. È solo che io tendo sempre a
mettere in un cantuccio i brutti pensieri e a divertirmi. Sarebbe
tutto migliore se fossi come gli altri però, se riuscissi
definitivamente cancellare tutto.
In pochi
minuti mi trovo davanti a scuola a chiacchierare tranquillamente con
Tod e Dafne. Non ho difficoltà a seguirli entrambi e
contemporaneamente a cantare per conto mio. Lei sparla di qualcosa
che riguarda Armani e cose del genere mentre Tod, come al suo solito
parla di buchi.
- possibile
che ogni cosa che esce dalla tua bocca riguardi la penetrazione, Tod?
- gli chiedo. Lui ride e mi dà qualche forte pacca sulla
spalla che mi fa ancora dannatamente male. Ma non mi arrabbio. Subito
scorgo una nuca rossa dall'altra parte del cortile che cammina sola e
decisa con il walkman attaccato. Comincio a suonare il clacson in
speranza che lei mi senta. Si gira e mi guarda per qualche secondo
prima di farmi il dito e venire verso di me con passo lento.
- Accidenti
amico, la rossina è proprio fredda! - mi dice il mio
compagno
di squadra, appoggiato alla portiera della mia auto - forse Tod
potrebbe dimostrare a quel bel bocconcino un po' d'amore - penso che
lo sguardo che gli lancio sia più che espressivo. Che non si
azzardi neanche a formulare uno dei suoi pensieri prono su Astrid o
lo ammazzo - bene, forse Tod lo dimostrerà a se stesso
andandosene via - si dice da solo, facendomi un cenno con la mano ed
entrando nella scuola. Non cerco neanche di bloccarlo per spiegargli
che non tutte le donne sono un buco e che vengono a letto con lui nei
suoi impegnatissimi dieci minuti solo per il suo conto in banca. Ma
decido di lasciar perdere. Parlare di principi morali e consuetudini
sociali a Tod equivale a cercare di spiegare a un Big Mace che
cos'è
il colesterolo. Quando Astrid arriva davanti a me e mi abbassa lo
stereo togliendosi una cuffietta lancio uno sguardo di sfuggita a
Dafne. So bene che tra le due non scorre buon sangue. E questo un po'
mi diverte. Adoro due donne venire alle mani!
- Che
diavolo vuoi? - noto che come al solito Astrid è di buon
umore
- Perché hai la macchina nel cortile? Non è
vietato? -
- Non c'era
posto e poi non sto molto - ridacchio - dici che potevo metterla in
sosta vietata e lasciare un cartello con su scritto 'abbiate
pietà
'? -
Non bada a
me. - Dove vai? - mi domanda, distratta dal modo di mettersi il
rossetto di Dafne, specchiandosi allo specchietto della mia auto. Fa
una smorfia contrariata, sbagliando leggermente. Immagino che anche
Astrid starebbe benissimo un po' truccata. La guardo. No, lei
è
bella così.
- In
ospedale. Passo a trovare Yelena. -
- La vedi
ancora, dopo tutto questo tempo? - non mi volto neanche verso Dafne,
sorvolando sulla sua uscita.
- Ti va di
venire? Le farebbe piacere vederti - dico ad Astrid.
Lei scuote
la sua voluminosa massa di capelli - No, non mi va - so bene che
vedere Yelena non la fa star bene. Lei era una delle poche persone
che non classificava e non giudicava la mia amica d'infanzia. E penso
che Astrid le sia ancora grata per questo.
- Ehi,
Zefiro! - Dafne si artiglia sulle mie spalle e si mette a passare le
sue unghie smaltate sulle mie clavicole. Mi guardo introno. Il
cortile è pieno e immagino lei faccia tutta questa
sceneggiata
solo per mettersi al centro dell'attenzione generale e dire 'Voi
inferiori! Sono io che ho accalappiato Zefiro! Lui è mio!'.
Scema. L'avrei già piantata se solo avessi voglia di tirare
su
casini con mio padre. Ma non mi piace litigare e quindi continuo a
scoparla. Ma non è solo per questo, lo so bene. È
solo
che c'era anche Dafne in quel periodo. Lei si può dire che
sia
una parte della mia storia. Mi bacia prepotente e lascio che la sua
lingua giochi con la mia. Dafne è davvero molto bella, con
quei suoi capelli color nocciola non lunghissimi e lisci che adora
tenere agghindati alla perfezione, occhi da gatta crudele e fisico
statuario. Quindi per me fare tutto questo non è poi questo
gran sforzo. Mi lascia e io guardo con la coda dell'occhio Astrid. Si
è accesa una sigaretta e fuma avidamente. So che Dafne le da
sui nervi ma detesta essere lei la prima a istigarla. Dice che Dafne
non è neanche alla sua altezza. Infatti è la mia
Cheerleader a cominciare.
- Buona
giornata Astrid. Fai in modo di morire soffocata con quel fumo.
- Grazie
mille. Anche a te, Carla auguro una pessima giornata! Vedi di
impiccarti con i pon-pon! E, mi raccomando mentre agonizzi non
dimenticarti di sculettare! - io ridacchio. L' ho detto che i litigi
tra le donne mi piacciono. Infondo a modo nostro noi siamo un
triangolo. E si sa, il triangolo solo in geometria è una
costruzione innocua. Non è vero, fratellone?
A quindici
anni scarsi probabilmente ero la persona più entusiasta che
esisteva sulla faccia della terra e oltre. Dio, avevo davvero tutto
in quel periodo! Si, quell'anno mi consideravo un vincente al cento
per cento. Insomma... ero al mio primo anno di liceo ed ero passato
all'esame di ammissione con il punteggio massimo! Avevo già
qualcosa di cui vantarmi con i compagni. Vantarmi in modo discreto,
si intende. Tanto per farsi riconoscere lungo il corridoio non solo
per la mia faccia. L'estate era passata alla grande, ma non avevo
alcun rimpianto! Avevo accompagnato tutta la mia famiglia per la
solita vacanza a Los Angeles, posto ormai abituale dove però
io e Zack abbiamo la possibilità di surfare per tutto il
giorno. Poi sono andato solo con mio fratello ai Carabi, dovevo
dovevamo fare un servizio fotografico (fare il modello di tanto in
tanto non è poi questo gran sforzo) e ci abbiamo guadagnato
tre settimane di sole. Poi un altro mese passato con gli amici su
è
giù per l'america in macchina (ovviamente c'era anche Zack e
i
suoi di amici, se no noi così detti minorati
perché
ancora immuni ai 16 sospirati anni da patente, al massimo ci facevamo
cortile di casa giardino asilo in bici) e per finire una settimana su
in montagna dai nonni. Il resto del tempo l'avevo passato qui in
città con Astrid a lavorare. Il lavoro mi affascina. Si,
insomma... porrei stare ore a guardarlo.
Ma non era
al passato che pensavo, camminando tranquillo per i corridoi
scolastici, ma al mio roseo futuro qui! Probabilmente ero uno dei
più
piccoli del primo anno, anche perché sono nato dicembre, ma
aveva poca importanza. Quella mattina avevo passato una buona
mezz'ora davanti allo specchio decidendo cosa era più
adeguato
mettersi. Mi ero sentito tanto una ragazzina invitata dal figo del
liceo al ballo di fine anno scolastico, ma la mia preparazione per
l'ingresso in un luogo dove avrei trascorso i futuri cinque anni
della mia vita richiedeva una accurata preparazione. E li avrei spesi
alla grande, me lo ero ripromesso! La cerimonia di apertura si era
appena tenuta nella palestra ed era lì che il presidente
degli
studenti (mio fratello per l'esattezza) e il preside mi avevano
consegnato il premio come miglior recluta o qualcosa del genere. Ero
particolarmente felice, in più avevo anche scoperto che le
ragazzo erano per la maggior parte belle e ben disposte! Insomma,
quel liceo era il mio tempio!
In quel
periodo avevo ancora i capelli lunghi e avevo l'abitudine di
continuare a spostarmeli dal viso. Per questo li avevo legati, ma la
coda non reggeva gran che. Parecchi ciuffi mi cadevano lo stesso
sulla faccia. Svoltai l'angolo e ad aspettarmi trovai cinque ragazze
probabilmente dell'ultimo anno che mi facevano gli occhi dolci. Ero
piuttosto alto per la mia età, e ben messo. Non avrei mai
dimostrato solo quindici anni. Le signorine probabilmente pensavano
che mi bastava ancora un annetto per diventare come Zack.
Chissà
se sarebbe mai stato così. Ma non fu nessuna di loro che
attirò la mia attenzione, ma bensì una della mia
classe. Era molto bella e tutti i miei amici non facevano che parlare
di lei. Era la figlia di un imprenditore e di una modella, una
ragazzina ricca insomma. Aveva i capelli corti e castani scuro, con
grandi occhi d'orati e ciglia lunghissime. Ma fu la sua bocca che mi
piacque. Aveva le labbra carnose, ma non troppo. Pareva molo morbida,
e buona. Qualche volta si dischiudeva in un sorriso allegro e
spontaneo, qualche volta assumeva quel ghignetto da bambina viziata.
Ma quando faceva la corrucciata era ancora più carina. Si
chiamava Dafne. Era seduta proprio davanti a me, e mi divertivo
parecchio a osservare quante diverse pettinature riusciva ad
inventarsi avendo a disposizione solo quei corti fili. Per il primo
mese che passai lì Dafne era diventata come un idolo per
tutti
i ragazzi, anche per quelli più grandi. Mi piaceva, lo
ammetto. Non ne ero innamorato ma lei esercitava un forte potere su
di me. Era anche molto più simpatica di quel che riuscivo a
credere, per lei era tutto semplice e le piaceva ottenere tutto. Era
un po' come me, io e lei ci assomigliavamo parecchio. Ma lei non era
l'unica ad essersi fatta una reputazione a scuola. Infatti il
sottoscritto era l'unica matricola riuscita ad ottenere un ruolo di
punta nella fortissima squadra di football e anche un numero nel
basket. Il football per me era un hobby, mi divertivo a giocarci e a
spiattellare Tod e gli altri ragazzi per prendere loro la palla. Il
vecchio mister, un vecchietto logorroico mi aveva subito reso in
simpatia. Ma per il basket era diverso. Lì mi impegnavo al
massimo delle mie potenzialità ed ero anche molto dotato
quindi non abbi difficoltà a diventare presto l'ala piccola
titolare, con il numero undici. Ma non era certo quello il mio
obbiettivo, io desideravo riuscire a battere Zack su tutta la linea.
Lui era il capitano, il numero sette, il palymaker... era l'elite,
insomma. La squadra dava il massimo solo quando c'era lui a guidarla.
E io questo non lo sopportavo. Insomma, ero io la nuova scoperta,
quello incredibile! Ero davvero stufo di essere sempre un gradino
sotto di lui. Ma Zack non se ne era mai accorto. Mi sorrideva e io
facevo lo stesso. Eppure con gli anni avevo cominciato a sviluppare
come un muro nei suoi confronti. Mi paragonavo a lui in tutto, cercai
di disperatamente di essere io quello che riusciva. Non avevo niente
da dimostrare a nessuno, lo facevo solo per me stesso. Era un atto di
puro fanatismo nei miei confronti.
Era stato
alla terza partita che vidi Dafne, circondata da amiche e ammiratori,
seduta sugli spalti a fissarmi mentre infilavo la palla nella rete
con un tiro da tre. Non era vero però... ero certo che i
suoi
occhi fossero solo per Zack. Lui mi correva accanto tranquillo e mi
dava in cinque di tanto in tanto. Si fermava, appoggiandosi con le
mani alle ginocchia e asciugandosi il volto abbronzato e sudato con
un lembo della divisa. I suoi corti capelli biondi gli andavano da
tutte le parti senza una pettinatura definita e aveva gli occhi
più
belli che io avessi mai visto, grigi come l'acciaio ma davvero
caldissimi. Non aveva importanza fossero identici ai miei, non aveva
importanza io e lui fossimo praticamente gemelli, io lo vedevo sempre
troppo avanti. Tendevo la mano... ma mai lo sfioravo. E cominciai ad
odiarlo.
Quello
stesso pomeriggio uscii per la prima volta da solo con Dafne. Fu
mentre mangiavo il mio gelato alla panna e puffo (niente commenti)
sfogliando una rivista sportiva che riportava le ultime imprese di
Michael Jordan che alzai lievemente gli occhi e la trovai sporta
verso di me, con quelle sue bellissime labbra e gli occhi scuri
socchiusi. La baciai, meglio che potei. E scoprii di non essermi mai
sbagliato. Aveva un sapore buonissimo. Più del puffo, che
per
me era il massimo! Parlo al passato perché adesso lei ha
perso
il suo buon sapore... un po' tutto ha perso il buon sapore... certo,
tutto a parte il puffo. Ma sto divagando. Fatto sta che il giorno
dopo noi due divenimmo la nuova coppietta del liceo. Ma anche in
questo mi sentivo inferiore a Zack. Già... noi eravamo la
coppia numero due, me lo sentivo. Lui e... già, lei. Yelena.
Quei due stavano insieme da ormai sei anni. La prima volta che la
conobbi io e Astrid stavamo giocando alla Playstation facendo
occupazione della camera di mio fratello. Ero solo un moccioso dai
capelli troppo lunghi e un viso da bambina, in quel periodo. Avevo
circa otto nove anni. Beh, non che Yelena fosse molto meglio di me.
Era una ragazzina con le lentiggini, gli occhialini da secchiona, un
po' troppo rotondetta e aveva i capelli crespi. Non era certo uno
spettacolo e non brillava a simpatia. Ma a Zack piaceva, tantissimo.
Lui non era come lei, Zack ha sempre raggiato come una stella. Yelena
non era neppure ricca, anzi la sua famiglia era poco messa meglio
rispetto a quella di Astrid, veniva dai bassi fondi anche lei e per
questo i miei non la accettarono mai. Ma Zack vedeva solo lei...
cominciai a sentirlo anche più lontano con la comparsa della
sua ragazza. In quel periodo la chiamavo la racchia o qualcosa del
genere. Ma gli anni erano passati anche per lei e a diciannove anni i
chili di troppo di Yelena erano diventati fianchi morbidi, gambe
snelle e agili e petto abbondante. I capelli color mogano che un
tempo consideravo trascurati li aveva lasciati crescere fino a
metà
schiena ed erano un po' mossi, lei li teneva sempre fermi con qualche
forcina colorata. Non aveva tolto gli occhiali, che non nascondevano
i suoi svegli occhi scuri, ma le davano un aria intelligente, come
lei era d'altronde. Il suo viso era pulito da ogni tipo di trucco,
metteva solo una striscia di lucidalabbra qualche volta, sulle sue
labbra fine ma rosee di natura. La pelle chiara sembrava quella di
una bambola e quelle poche lentiggini che le erano rimaste la
facevano sembrare più piccola e innocente. Per me lei era la
persona più bella che esisteva. Più bella anche
di
Dafne perché Yelena era bella al naturale. Più
bella
perfino della mia Astrid, anche perché in quel periodo
pareva
davvero un maschio!
Comunque il
tempo passava tutto sommato tranquillo e io stavo tirando avanti un
rapporto con Dafne, una Cheerleader che aveva il mio stesso interesse
per una relazione seria. Nessuno. Era in un pomeriggio piovoso che io
e lei ce ne stavano tranquilli in camera mia, sdraiati sul letto a
guardare un film (non ricordo quale) e a sfogliare qualche foto della
sua famiglia.
- Ma chi è
sta cicciona? -
- Mia
madre... -
-
Perbacco... bella donna - ma Dafne non reagì come io mi
aspettavo, cioè picchiandomi per la mia pessima uscita non
prevista, ma mi baciò in un modo un po' diverso dal solito.
Ci
mise molta più passione. Non capii subito quello che le
passava per il cervello e la lasciai fare. Anche quando mi tolse la
maglia e mi abbassò i pantaloni non dissi niente. Anzi,
ammetto che quello che fece con la bocca alle mie parti basse non mi
fece certo schifo, ma poi cominciò anche lei a spogliarsi. E
lì capii. Non era la prima volta che vedevo una donna nuda,
a
loro piaceva quando facevo certi lavoretti di lingua... ma Dafne
voleva di più. Lei voleva fare sesso. Non fu normale quello
che feci. La lanciai a terra e le dissi di non riprovarci mai
più,
che io non sono una bambola. Lei si arrabbiò molto e se ne
andò, lasciandomi completamente sconvolto e furente con i
pantaloni abbassati e pallido in viso. Serpente... vedevo solo lui.
dannazione, la sua immagine non aveva ancora abbandonato la mia
testa. Non so per quando tempo rimasi così, immobile. So
solo
che a trovarmi furono Zack e Yelena e credo che la mia immagine
ridotta a quel modo li sconvolse parecchio. Mio fratello mi
abbracciò
strettissimo e mi sussurrava che andava tutto bene, che era tutto
passato. Ricordo che gli urlai che ero stufo di questa situazione,
che volevo cambiare. Ma Yelena si sedette accanto a me e mi diede un
bacio sulle fronte. Ancora non ho capito perchè, ma quel
bacio
non uscì mai dalla mia testa. E mi calmai.
- Perché
gli uomini sono così pazzi, Zack? - gli chiesi. Quella
domanda
non aveva un particolare significato, ma era l'unica cosa che mi
passava per la testa, mentre lui mi alzava le coperte e Yelena tirava
le tende.
- Perché
se non fossero così necessariamente pazzi, il loro non
essere
pazzi equivarrebbe a essere soggetti ad altri tipi di pazzia - risi
forte a quella spiegazione. Zack con me, anche se lui stesso per un
po' di tempo ha continuato a sostenere che era un uscita da filosofo.
Ma nessuno gli diede mai retta.
Il giorno
dopo a scuola Dafne cominciò a far girare la voce che ero
schizofrenico e pure gay. Per quanto Zack e Yelena si impegnavano per
smentire tutto, per una settimana la mia vita fu un inferno e capii
per quale motivo serpente aveva finito per odiare a quel modo le
persone. Perché fare del male a loro era l'unico modo lui
conoscesse per impedire loro di farlo a lui. cominciai a venire
evitato e nello spogliatoio nessuno si fidava di me. la gente
cominciò anche a inventarsi storie sul mio passato con tutte
le checche di Manhattan. Ero davvero esausto da tutta quella
situazione. E io che credevo Dafne una persona in gamba. Yelena mi
disse che una donna offesa e rifiutata poteva diventare la miglior
killer esistente. A tirarmi fuori da tutta quella merda però
fu la persona che meno mi immaginavo. Quella fu la prima e ultima
volta che vidi Astrid con un completo femminile. Aveva sciolto i suoi
bellissimi e lunghissimi capelli a quel tempo ancora neri pece,
indossava una gonna non troppo lunga blu e una canotta azzurra cielo.
ai piedi calzava un paio di sandali allacciati a schiava e aveva un
filo di trucco in viso. Mi parve la creatura più bella
esistente sul pianeta. Lì la riconobbi come donna, per la
prima volta. Non scorderò mai ciò che fece per
me. mi
baciò. Lì, davanti a tutta la scuola, davanti
agli
occhi sbarrati di Dafne.
- Ma che
gay, cretini! - si mise ad urlare Astrid, mani ai fianchi ed
espressione decisa in volto, mentre io la guardavo ancora sconvolto
con il suo sapore strano sulle labbra. Sapevo per certo che quello
era il suo primo e sapere che lo aveva usato per aiutarmi mi aveva
riempito di entusiasmo - hai mai pensato che non ti voleva
perché
sei una racchia ed avevi pure il moccio da naso come una mocciosetta,
CARINA? - disse cattiva rivolta a Dafne - La sottoscritta è
stata scopata per una cinquantina di volte in tutte le posizioni
segnate nel Kamasutra, più alcune inventate da lui! quindi
comincia a pensare, IDIOTA prima di parlare! Eri tu che gli facevi
vomitare! Per tua informazione Zefiro in quando a scopate ha
più
esperienza di una puttana! SVEGLIA CARCIOFA! -
Con questo
la mia breve reputazione di gay aveva avuto il suo termine e Dafne
era tornata da me con orecchie basse da cucciolo implorante di scuse.
Non l'avevo cacciata, mi ritengo troppo sveglio. Tutto sommato lei
era pur sempre un bel giocattolino. L'unico shock della giornata lo
ebbi quando andai da Astrid tutto contento e cercai di baciarla di
nuovo. Il girono dopo avevo un occhio nero che parlava da se.
La mia vita
era tornata al suo naturale splendore e il mio ottimismo aveva
ripreso il suo andare raggiante, ma tutte le cose positive che mi
stavano accadendo probabilmente non mi permisero mai di capire
appieno quel che mi accadevo intorno. Ero troppo egoista e,
nonostante il mio fottuto cervello, solo un ragazzino in piena
crescita fobico del sesso. Sentivo di volerlo fare, davvero... ma non
so, ne avevo troppa paura.
Poi un
giorno tornai a casa tardi e desideravo solo una doccia gelida, una
bistecca enorme e un letto comodo. Eppure ci trovai una sorpresa
nella mia stanza. La luce era spenta e le tapparelle abbassate... ma
sentivo un lieve respiro provenire da intorno a me. mi misi in
guardia, non mi fidavo di nessuno al pieno.
- Chi c'è?
-
- Zefiro...
- quella voce bassa e un po' timida... la conoscevo benissimo.
- Yelena...
ma che cosa... - la luce mi abbagliò ma lo stesso spalancai
gli occhi. quello che avevo davanti non era il corpo da adolescente
ancora in crescita al quale ero abituato io... ma un bellissimo corpo
di donna adulta. La conca piatta della pancia, le curve dei fianchi
invitanti, quei lunghi capelli che si disperdevano sulle spalle fine,
quei seni come globi di luna che parevano così morbidi e la
discesa che portava alla sua femminilità. Sentì
come
qualcosa che si accendeva nella mia testa. Capii che non avevo paura,
che la volevo con tutto me stesso, che non mi importava non fosse
roba mia... volevo solo stare dentro di lei. Così, quando le
sue labbra si incollarono alle mie le lei cominciò a
baciarmi
come solo una donna matura può fare io persi completamente
la
ragione. Le permisi di giocare con il mio corpo come più le
piaceva, le lasciavo fare davvero tutto. Ma poi toccò a
me...
il mio cervello si spense per la prima volta mentre le stuzzicavo i
seni grandi e succhiavo come un infante. Baciavo ogni suo lembo di
pelle e con la lingua esploravo la sua femminilità. I suoi
urli mi facevano venire la pelle d'oca e le sue unghie impiantate
saldamente nella mia schiena non le sentivo neanche. Entrai in lei
è
fu una sensazione così appagante... così completa
che
mi ci persi. Mi sentivo come prigioniero del suo odore. Non mi
domandai neanche se Zack sapeva fare sesso meglio di me... pensavo
solo a quanto mi piaceva. Yelena mi buttò sul letto e mi
piacque vedere sul sorrisetto birichino sul suo viso. Non sembrava
pentita ne delusa di quello che aveva fatto. Mi salì sopra e
continuò a fare sesso con me in un modo ancora
più
violento. Chiusi gli occhi mentre lei urlava di piacere, arpionandomi
al materasso per non urlare a mia volta quando entrambi raggiungemmo
l'apice. Ma lei non era affatto stanca di me, e neanche io.
Continuammo per non so quanto tempo... a lungo comunque. Era come una
droga, non riuscivo più a smettere per quanto fossi stanco.
Alla fine fu lei a dirmi che ormai era mattina e che dovevamo andare
a scuola. Solo in quel momento mi svegliai completamente dal mio
stato di assuefazione e mi ricordai di Zack.
- Dov'è
Zack? - dissi io, un po' scosso.
Lei mi
sorrise in quel suo modo gentile - Non è a casa. Tranquillo.
-
Voleva
tenerglielo nascosto? No, non erano affatto quelle le intenzioni di
Yelena. Quello stesso giorno lei cominciò a dire in giro che
io e lei andavamo a letto insieme. Ma non era la stessa cosa che
quella volta con Astrid. lei era di Zack da sei anni, dannazione. E
mi pareva... anzi io ero certo che lei era ancora innamorata di lui.
e fu in quel periodo che mi accorsi di quanto mio fratello si stava
allontanando da tutti. Il suo sguardo si faceva ogni giorno
più
vacuo. Non mi sembrava neanche più lui. e capii
perché
Yelena veniva a letto con me. perché rivoleva lo Zack di
sempre e probabilmente farsi scopare da suo fratello era l'unico
sistema per scuoterlo. Ma con il tempo le cose non cambiarono tra
loro due. Non li vedevo più come prima... non si
abbracciavano
ne baciavano più, Yelena diceva che quando facevano l'amore
lui sembrava un automa. Avevano anche smesso di fare quello. Zack non
veniva più agli allenamenti di basket, e si che era la sua
vita. A scuola saltava spesso le lezioni e i suoi voti stavano
scendendo in un modo esagerato. Le poche volte che lo vedevo era
sempre con quell'aria assente, spesso o sdraiato sul letto con gli
occhi sbarrati sul soffitto o affacciato alla finestra che fumava una
sigaretta in silenzio. Aveva completamente smesso di sorridere. E io
cominciai anche a chiedermi se Yelena veniva continuamente a letto
con me perché assomigliavo a Zack. Perché fare
sesso
come me era come farlo con lui, poiché abbiamo la stessa
faccia.
- No, scemo.
Voglio te proprio perché non assomiglia affatto a Zack. -
Yelena sapeva benissimo che la camera di Zack era proprio accanto
alla mia, ma lo stesso urlava forte e faceva più confusione
possibile. Che volesse farsi notare così disperatamente? Una
volta fu lei a chiedermi perché io continuavo a fare sesso
con
lei - Perché sei la ragazza di Zack! - rideva ogni volta che
glielo dicevo. Ma era quella l'unica motivazione. Certo, era molto
bella ma non ero innamorato di lei. Ultimamente avevo cominciato a
possedere una vita sessuale frenetica oltre a Yelena, anche Dafne si
era definitivamente convinta che non ero gay... ma lo stesso non
riuscivo a stancarmi di Yelena. Che ancora mi sentissi così
fortemente in competizione con Zack? Astrid non mi diceva mai niente
a proposito di questo argomento, si limitava a guardarmi storto
quando mi confidavo con lei. E lì, quando lasciava cadere i
suoi diversi e bellissimi occhi su di me, capii che io non ero
affatto innamorato di Yelena, né di Dafne, né di
Katrin
né di tutte le altre... facevo l'amore con loro solo per
cullarmi nell'illusione di poter far mia un'altra chioma che era
diventata da corvina a rosso fuoco. Io ero innamorato di Astrid.
- Hai mai
pensato a cosa vuoi dalla tua vita? Cosa vuoi fare? - chiesi una
volta a Yelena, mentre lei giocava con il mio petto.
- Non si
dovrebbero mai fare progetti, soprattutto per il futuro. -
- Perché?-
- Perché
tanto si otterrebbero solo delusioni - mi fece tanta pena quella
volta. Era strano... ma pensavo a lei come a una vittima.
Mi sorrise -
Ora me lo voi dire seriamente perché vieni a letto ancora
con
me? -
Anche io le
sorrisi e credetti di vedere una lacrima scivolare lungo la sua
guancia. Il mio sorriso assomiglia così tanto a quello di
Zack? - Quello che si fa non viene mai compreso, ma solo lodato o
biasimato - perché ci stavi facendo quello, fratellone?
Il vento mi
arriva forte in viso, come uno schiaffo ma lo ignoro. schiaccio
l'acceleratore ulteriormente e sorpasso qualche macchina. L'idea di
rivedere Yelena non mi entusiasma, ma so per certo che se anche io la
abbandonassi lei rimarrebbe davvero sola. La colpa di tutto quanto
è
ricaduta su di lei e non su di me. io sono ricco, io sono perfetto.
Lei invece è povera e, ora... è sola. Mi ha
sempre
fatto pena. Lei era davvero una ragazza in gamba, aveva cervello e
cuore insieme. Forse era anche migliore di due egoisti come me e
Zack. Mi sistemo gli occhiali da sole e ripenso che forse era meglio
che venisse davvero anche Astrid. da solo, come mi succede ogni
volta, finisco per sedermi semplicemente davanti a lei e sorridere
come un cretino, mentre lei continua con quei suoi discorsi
sconnessi. Ma di chi è la colpa?
Una sera
torni a casa dall'allenamento di football e immagini che tutto sia
come ogni giorno. Che quando aprirai la porta della tua stanza ci
troverai una donna che non ami ma che ti scopi ad aspettarti
sorridente in quel suo modo dolce, non una giovane donna con occhi
gonfi di lacrime che batte urlante su una porta chiusa. Non ti pare
normale che non ti senta neppure, che urli semplicemente con occhi
sbarrati e che abbia le unghie rosicchiate a sangue. Lei ti guarda e
ti si affloscia tra le braccia, come una bambola rotta. Non avresti
mai immaginato che quando avrebbe riaperto i suoi bei occhi scuri la
ragione l'avrebbe completamente abbandonata per lasciare spazio al
caos totale. Quando si torna a casa la sera non ci si trova mai
combattuti all'idea di aprire sì o no una fottutissima porta
da bagno chiusa a chiave. Non si buttano giù le porte a
spallate solo per curiosità, no? Non è normale
che
guardare una porta implichi una sola possibilità, vero? Non
è
normale che nella tua testa si stia formando un idea che non riesci
ad accettare, anche se stranamente ti sembra la più
plausibile
in quel momento? Poi prendi la tua decisione... e la butti
giù,
accendendo la luce con titubanza. Il tuo bagno dovrebbe essere come
lo ricordi. Immacolato, con qualche asciugamano fuori posto al
massimo. Ma quando si torna a casa non si trova mai la vasca da bagno
piena d'acqua ormai fredda. E non ci si chiede cosa diavolo devi
farci con un acqua di quel colore... quel rosso cupo. Un rosso che si
riconosce anche troppo bene. Quando si torna a casa ci si trova un
fratello maggiore che forse ti vuole davvero bene che ti saluta con
un sorriso, pronunciando il tuo nome in un sussurro. Ma quel sussurro
non deve essere così sospirato, così affaticato.
Quel
sorriso non deve essere così solo, così
disperato.
Quando si torna a casa la sera non ci si trova il proprio fratello
disteso a terra, pallido, con i polsi immersi in un acqua rossa,
vero? Ditemi che non deve essere così, cazzo!
Ma
soprattutto... quando si trova il proprio fratello in un tentato
suicidio non ci si siede accanto a lui, spalle al muro e espressione
tranquilla. Non è così che si deve fare! Si corre
in
strada a gridare aiuto, si chiama un ambulanza. Non ci si mette a
parlare tranquillamente con una persona con la tua stessa faccia,
solo qualche anno più vecchia e molto più
pallida.
- Ti
prederai il concerto della prossima settimana, lo sai vero Zack?-
- Non è
poi così grave. Dopotutto i Nirvana si sono sciolti e Kurt
è
morto. Non mi perderò il meglio. -
- Ti
perderai il mio Premio Oscar per la scienza tra otto o nove anni. -
- Farò
in modo di venire e farmi una risata quando scendendo dal palco
inciamperai. -
Non si ride
davanti a tutto quel sangue, vero?
- Ti
perderai la fine della terra. -
- La terrà
è uno dei pianeti più mediocri. Non perdo gran
che
neanche in questo caso. -
Non si
guarda il fratello in faccia e non si sputano sentenze, vero?
- Ti
reputavo troppo intelligente per questo. -
- Il
vantaggio di essere intelligenti è che si può
sempre
fare gli stupidi, ma l'incontrario è impossibile. -
- Immagino
tu sappia che non la prenderò come una risposta seria questa
frase rubata a un qualche autore. -
- Ti reputo
troppo intelligente per questo. -
- Sei un
idiota. -
Quando si
perde sangue a quel modo non si ride della propria
stupidità.
Forse si pensa perché tuo fratello non ti aiuta o almeno non
si preoccupa per te. Ma Zack era veramente intelligente, lui aveva
capito tutto. Aveva capito anche che io non lo odiavo affatto, che la
mia ammirazione nei suoi confronti era assoluta, quasi morbosa. Aveva
capito che portarmi a letto Yelena era solo un modo per farmi notare
da lui, perché lo credevo troppo superiore a me per
accorgersi
di un cretino come il sottoscritto. Aveva anche capito che io non lo
aiutavo semplicemente perché capivo e accettavo la sua
scelta.
Era la sua vita, anche si è preso anche un pezzetto della
mia.
Ma ho smesso quel giorno di essere egoista.
- E' per
mamma e papà che lo stai facendo? -
- Per un
insieme di cose. Loro direi che occupano l'ottanta per cento. Sai, ho
passato la mia vita a cercare di farmi approvare da loro. Ho
sacrificato tutti i miei sogni per essere come loro mi volevano, ma
lo stesso non ero perfetto. Io non volevo ne i soldi, ne la macchina,
ne le ragazze, ne il successo, ne quei voti alti. Quello non ero io.
-
- E cosa
volevi, Zack?-
- Volevo una
vita tranquilla. Magari una casa in campagna, una famiglia che mi
amasse. -
- Mamma e
papà non te lo avrebbero permesso. -
- Se ne
avessi parlato loro avrebbero smesso veramente ti accettarmi. Anche
se in effetti non hanno mai molto approvato la mia esistenza. Tu sei
più forte di me. Te la saprai cavare anche da solo. -
- Cos'era
l'altro venti per cento. Papà e mamma hanno bruciato i tuoi
sogni, ma il resto cos'è? -
- I sogni
che si bruciano da soli. Il mio braccio non funziona più
molto
bene, tra non molto il dottore mi ha detto che dovrei perdere
completamente l'uso. Se mi tolgono anche il basket rimango solo un
rottame. Senza braccio non sarei andato gran che avanti. E per ultimo
io sono un po' stanco, lo sono da molto. -
- Stanco di
cosa?-
- Di
indossare questa maschera. Mi stia pesando sempre di più.
Non
ce la faccio più. -
- E cosa ne
sarà di Yelena? -
- Bada tu a
lei. È davvero buona, ma è un po' tonta. E
fifona. Però
so che sarà gentile con te. -
- E Sveva?
Vuoi lasciarla a me? io non... -
- Sveva è
come una luce. Lei è più utile a te di quanto tu
lo
possa essere per lei. -
- E... e di
me cosa ne sarà? -
- Tu sei una
parte di tutto quello che hai incontrato sulla tua strada. È
stata parecchia merda, lo so. ma tu vivi per portare la luce ovunque.
So che nel tuo futuro ci saranno tanti sorrisi. L'importante credo
sia non smettere mai di avere fiducia. -
- In cosa?-
- In noi
stessi. E in cosa potremmo fare della nostra vita. Siamo gli
animatori dei sogni. Ci piace renderli realtà. Siamo esseri
umani. Alcuni sono deboli e si spengono prima, altri brillano
così
intensamente che mai faranno la fine di una stella morta. Saranno per
sempre comete. -
- Zack...-
- Ora penso
che dormirò un po'. Tu pensa a divertirti anche per me,
fratellino. -
Quando la
cameriera ti trova sei ancora lì, accanto a lui che gli
stringi un po' la maglietta chiara. Yelena è svenuta ma le
lacrime non smettono di scorrerle sulle gote arrossate. E Zack
sorride, in quel suo modo un po' troppo infantile per i suoi
diciannove anni scarsi, con il capo appoggiato alla tua spalla.
Senti solo
flash della polizia accanto a te, le urla di tua madre e tuo padre
che pensa subito ad occuparsi della stampa. Poi degli uomini in
bianco ti alzano di peso e ti portano in una macchina chiara, che
segue quella dove hanno caricato Zack. Non ti è piaciuto
quando lo hanno chiuso in quel sacco nero. Il buio ha inghiottito
quei suoi corti fili biondi e ti è parsa una metafora
tristissima. Yelena è avvolta in una coperta accanto a te,
con
le mani sul grembo e un espressione persa. Provi a parlarle ma lei
non ti risponde. Si mette invece a canticchiare una vecchia
filastrocca che non sai dove hai sentito. I dottori le si fanno
intorno e li senti bisbigliare 'matta'. E vorresti alzarti e
prenderli tutti a botte, ma non lo fai perché sei un po'
stanco.
Per i due
mesi che seguono vieni sbattuto da un ospedale all'altro, da uno
psichiatra all'altro senza raggiungere alcun risultato. Alla fine
decidono che tu stai bene, che sei solo shockato e che ti basteranno
altri mesi di psicofarmaci leggeri come la valeriana e derivati per
tornare a dormire almeno sei ore a notte. Ma nessuno di loro si rende
conto che non saranno pochi mesi, ma anni. Probabilmente anche quando
avrai quarant'anni sarai costretto a inghiottire pastiglie per
chiudere gli occhi e non vedere solo rosso. E non affogare nella tua
colpa.
- E' un
piacere vederla oggi, signor Kendall. La signorina Yelena non riceve
molte visite ultimamente. Hanno smesso di passare anche i suoi
genitori e i suoi fratelli. L'ultima visita che ha ricevuto
è
stata la sua tre mesi fa. Penso che le farà piacere avere un
po' di compagnia.
- Posso
parlare con il suo medico?-
- Mi spiace
ma oggi non è di servizio - lo sai bene, no? Ora devi andare
nel suo officio a farti alzare la gonna. Si capisce perfettamente dal
tuo sguardo, cara la mia infermeria. La guardo ancora un attimo e mi
ordino di smettere di essere così cinico con la gente - Lei
si
sente bene? Sa, ricordo ancora quando la portarono qui con la
signorina, qualche anno fa. Era così pallido e magro che...
- Non sono
qui per parlare di questo. Lei sa dirmi le condizioni di Yelena? -
Mi guarda un
po' male. Probabilmente era in vena di chiacchiere - Non
precisamente. Comunque la sua situazione è sempre la stessa.
Sembra essere fuori dal mondo, come anni fa. Non ha avuto nessun
miglioramento. Le crisi schizofreniche si presentano almeno due volte
al giorno e per il resto resta sempre affacciata alla finestra a
parlare da sola. Non smette mai di sorridere. Mangia e non rigetta le
medicine, ma non migliora. Mi dispiace molto il dottore dice che le
sue condizioni probabilmente resteranno stabili per sempre. -
- Ho capito,
la ringrazio. -
L'infermiera
mi apre la porta che da sul giardinetto interno e recintato prima di
andarsene. Cammino per un po', fino alla solita fontana. E ancora la
trovo lì, a schizzare a vuoto. Ride tranquilla, con il suo
solito sorrido dolce. Quello che mi ha sempre affascinato. A
guardarla così sembra quasi che stia bene. Mi siedo davanti
a
lei e Yelena mi guarda fisso in volto. Provo un senso di nausea
guardandola dritta negli occhi, in quegli occhi vuoti. La pupilla
è
come sempre dilatata e i suoi occhi si stanno schiarendo sempre
più.
Il dottore diceva che è per via di alcuni medicinali un po'
troppo forti, ma sono gli unici in grado di farla calmare. Io ho
paura che tra non molto diventi ceca.
Le accarezzo
piano i suoi capelli mogano, che hanno tagliato cortissimi e le baci
la testa. La sua pelle è pallidissima e arrossata solo un
po'
sulle gote, forse per l'emozione di avere visite. Indossa un camice
bianco e un po' sporco di verde (deve essersi sdraiata sul prato)
sulla schiena. Mi pare sia dimagrita ancora, ma magari è
solo
una mia impressione. La guardo bene in volto e non capisco se mi pare
sempre più vecchia o sempre più giovane.
È una
sensazione contrastante - Ciao Yelena - le dico.
Lei mi
sorride sorniona, socchiudendo un po' gli occhi per la luce forte -
Ciao Zack. -
Ci sono
abituato, non riconosce me ma vede solo mio fratello. Dopo il saluto
ricomincia subito a parlare senza logica e io, seduto come sono,
rimango qui ad ascoltarla e a guardarla ridere senza nessun motivo.
Mi chiedo com'è il suo mondo. C'è un posticino
anche
per me?
Mi passo una
mano leggera sulla fronte, scostando i capelli. L' ha fatto di nuovo.
Ogni volta che me ne vado mi bacia sulla fronte. E questo mi
sconvolge un po' perché anche quando era... sana lo faceva
sempre. e non con Zack, ma con me. ed è per questo che non
smetto di illudermi che gli occhi di Yelena tornino a risplendere
come un tempo. Mi chiedo come sarebbe la sua vita se guarisse. Di
certo piena di sensi di colpa e di cattiverie che la gente direbbe su
di lei. I miei genitori ovviamente compresi. Ma credo che io mi
occuperei volentieri di lei, perché non sarei disposto ad
accettare che anche la piccola Yelly, come la chiamava Zack si spenga
da sola lentamente. Se solo bastasse darei un altro pezzettino della
mia vita per farla tornare come prima. Non l' ho mai amata, ma le ho
voluto davvero bene. Yelena era una sorella maggiore, in un certo
senso. A modo suo si prendeva cura di me.
Apro il
cancello della casa di Stephan e spero solo di incrociare sua madre.
Ma mi ricordo che a quest'ora dovrebbe tenere lezione ai bambini. Ad
accogliermi c'è la solita scena. Il moccioso è
raggomitolato per terra, accanto alla porta, che si tiene il viso tra
le mani e urla piangendo per chissà quale causa
insignificante. Pollyanna invece è in piedi su uno sdraio
che
impreca e sbraita, tenendosi la mano dove è evidente il
segno
rosso di un morso. Facile immaginare che non sia stato un cane o un
altro animale feroce ad addentarlo. Astrid infatti se ne sta
comodamente stravaccata su una sedia, a gambe incrociate con in mano
una birra che le cola dai lati. Sghignazza soddisfatta e come ogni
volta rimando un po' fissarla immobile. Ma è lei a notarmi e
sostiene il mio sguardo, ora seria. Si alza e cammina leggera come
solo una ballerina può fare nella mia direzione. Quando
è
davanti, nonostante io la superi di buoni dieci centimetri resta
fiera e zitta, mani ai fianchi. Mi mete la birra sotto il naso e
sussurra un 'Bevi' gelido. Cerco di ridere ma mi esce solo un
sospiro.
E lei come
al suo solito mi consola, a modo suo.
- Idiota -
dice, dandomi una pacca sul petto. Ma mi prende la mano con la sua,
quella libera dalla birra ovviamente, e mi trascina con lei fuori da
quella casa. Non faccio in tempo a salutare nessuno che lei si
attacca a me, abbracciandomi un po' goffamente. Mi bacia la guancia -
Ora vedi di fartela passare, cretino. Abbiamo una testa rossa da
sterminare! -
E come ogni
volta rido, stringendola di più a me. E restiamo fermi
così.
Sai,
Astrid... io ho avuto davvero tante domande nella mia vita. E,
nonostante tutti dicessero che avessi un cervello straordinario
nessuno mi ha mai dato delle risposte, e neanche io sono stato in
grado di darmele. Ma sono ancora certo di una cosa. Io non mi
fermerò
mai. Non so per certo sia questa la direzione giusta da prendere, non
me lo chiedo. Mi basta sapere che tu vedi quel che vedo io, sapere
che infondo il tuo mondo è come il mio e sapere che tu hai
davvero fiducia in quel che sono e in quello che sarò. Anche
io ho fiducia, questa è la strada che ho scelto per me.
Al mondo ci
sono anche io.
Ci siamo
tutti e due, non è vero Astrid? "
/Finché
arriverà il mio momento tu stammi accanto, col pensiero tu
stammi accanto. Sole spento, io ti sento dentro./