LOSE YOURSELF

CAPITOLO VII :

RAGAZZO NON PIANGERE

/Io di risposte non ne ho,
mai avute e mai ne avrò,
di domande ne ho quante ne vuoi.
E tu,
neanche tu mi fermerai,
neanche tu ci riuscirai,
io non sono quel tipo di uomo e non lo sarò mai.
Non so
se la rotta è giusta o se
mi sono perduto ed è troppo tardi per tornare indietro,
così meglio che io vada via,
non pensarci, è colpa mia.
Questo mondo non sarà il mio.
Non so se è soltanto fantasia
o se è solo una follia,
quella stella lontana laggiù.
Però
io la seguo e, anche se so
che non la raggiungerò,
potrò dire:
Ci sono anche io.
Non è
stato facile
perché
nessun altro a parte me
ha creduto,
però ora so
che tu vedi quel che vedo io,
il tuo mondo è come il mio
e hai guardato nell'uomo che sono e sarò.
Ti potranno dire che
non può esistere
niente che non si tocca, o si conta, o si compra perché
che il deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te.
E so che non è una fantasia...
non è stata una follia,
quella stella la vedi anche tu.
Io lo so.
Io la seguo e adesso so
che io la raggiungerò
perché al mondo
ci sono anche io.
Perché al mondo
ci sono anche io.
Ci sono anche io...
... ci sono anche io./


Certe volte non puoi assolutamente fare a meno di sognare. È in quelle occasioni che sprofondi in un mondo ignoto, pieno di incubi. Capita che la paura che provi sia per qualcosa che ancora non conosci. Invece, al contrario, a me capita solo di essere rincorso da volti che conosco ma che preferirei resettare dalla mia testa. Ma non mi è possibile. La mia memoria è impeccabile, come tutto il cervello. Non posso neanche metterli in un cantuccio, dicendomi che ero solo un moccioso quando è successo, che ora come ora il ricordo di quei sei giorni non dovrebbe neanche passarmi per la testa. Non ci riesco, maledizione. Non ci sono mai riuscito. Ricordo ancora le loro parole, mentre si divertivano attorno a me in quella buia cantina. Erano due, Erik e la sua faccia pulita da avvocato, e Jo con la sua pancia da birra e le mani ruvide. Ma per il bambino che ero a quei tempi erano solo il serpente e lo scorpione. Già... il serpente... Erik, bello... quasi come una donna, indossava sempre completi grigi che stavano bene con i suoi occhi scuri e seri e aveva addosso il buon profumo dell'acqua di colonia, una molto costosa. Lui veniva solo la sera tardi, o almeno quella che mi pareva fosse la sera, perché dalla piccola finestra del seminterrato fetido non riuscivo quasi mai a distinguere l'ora. Per i primi giorni semplicemente si sedeva davanti su una poltrona comoda con in mano un bicchiere di vino rosso che lo riconoscevo dall'odore, e mi slegava le mani che mi facevano male. Non ho mai osato cercare di scappare, perché ero certo che mai da solo ci sarei riuscito. Serpente restava a fissarmi immobile, aveva un mezzo sorriso sulle labbra e io rimanevo sempre abbagliato dai suoi capelli perfettamente agghindati. Erano lucenti e la sua pelle mi pareva soffice. Ero affascinato da lui perché, al contrario di scorpione lui era raffinato, non usava mai parole come "merda", "puttana", "frocio". Non diceva niente di tutto questo, e ricordo che le sua mani, la prima volta che mi sfiorarono mi parvero accoglienti, come quelle di un papà. Mi disse che ero bellissimo. E fu in quel momento che mi accorsi che era un serpente. Le sue mani erano gelide, il suo tocco mi lasciava un senso di nausea. Se ne andava la mattina presto, sistemandosi la cravatta, calmo e serio come quando era venuto. E mi lasciava da solo con scorpione. Jo i primi tempi non mi piaceva. Beh, neanche dopo mi piacque mai ma imparai ad accettarlo come essere umano. Scorpione avrà avuto almeno dieci anni più di Erik, sui quaranta e la sua pancia era così molle, come la pelle che gli cadeva dalle guance che me lo faceva apparire come una specie di scherzo della natura, uno spettro. Non ero abituato a vedere persone talmente brutte. Solo dopo tre giorni che ero lì, nella cantina tutto solo, capii che il vero mostro, il vero essere orribile lì dentro non era il vecchio Jo con tutte le sue imperfezioni, le sue mani tremanti, la barba crespa e la voce alta e stridula, ma serpente. Il vero mostro si nascondeva sotto la maschera chiamata 'perfezione'. Scorpione mi picchiava spesso perché diceva che non stavo zitto, che facevo troppe domande. Ma ero un moccioso, volevo solo sapere perché proprio me. Però lui... lui non mi ha mai fatto quello. Jo diceva che aveva bisogno di soldi, che aveva una figlia che lo odiava e lui voleva ottenere il rispetto di lei. Voleva soldi per poterle pagare il matrimonio. Mi face pena. Un po', ma me ne fece. Eppure, nonostante Jo fosse così grosso rispetto a serpente, non ci fu una volta che lo contraddisse. Solo quella volta che mi disse che ero bellissimo e le sue mani mi avevano privato dei miei pantaloni di una taglia in più Jo disse a serpente che io non gli servivo a quello. Che ero solo un riscatto. Aveva provato a fermarlo e io gli fui grato perché per altri pochi secondi potei ancora mantenere integro il mio orgoglio. Ma serpente lo guardò e poi, di nuovo rivolto a me disse che sembravo una bella bambina, dai boccoli biondi. Un angelo. Mi chiamò angelo. E mi privò delle ali. Persi la mia verginità a dieci anni, in uno scantinato fetido in compagnia di uno scorpione disperato che si tappava le orecchie per non sentirmi urlare che vomitava in un angolo e con un serpente che godeva spudoratamente sopra di me. Vomitai... vomitai tanto, così tanto che credetti di morire. Scorpione mi teneva la testa sul gabinetto, impedendomi di crepare affogato nella mia stessa bile, perché altro non avevo nello stomaco, dicendo che lo faceva solo perché aveva bisogno dei soldi dei miei genitori e che per un cadavere non avrebbero speso neanche un dollaro. Ma si sbagliava. Infatti i miei non avevano intenzione di sborsare niente neanche per me vivo. Lo sentii alla televisione vecchia e malandata che scorpione accendeva ogni mattina. Mi svegliavo sempre con la sigla del telegiornale. E quel giorno vidi la faccia seriosa di mio padre in primo piano e dietro di lui la mamma che piangeva. Però me ne accorsi subito che quelle non erano vere lacrime. La mamma è davvero una brava attrice, hanno fatto bene a darle l'oscar. Non piangeva per me, ma per la sua carriera. Papà, da uomo d'affari qual è con calma placida disse alla televisione che non aveva intenzione di assecondare i voleri di quelli che da quattro giorni tenevano imprigionato il loro secondogenito, che si affidava ancora alla competenza della polizia. Ma io capii un'altra cosa da quella testimonianza. Che ai miei genitori non gli importava un cazzo della mia vita. Mi lasciai sfuggire una risata. D'altronde me lo immaginavo. Ma Jo non la prese bene. Ricordo che mi picchiò, lo fece a lungo e se ci penso mi fa ancora male la schiena. La sua cintura provocava un rumore sordo al contatto con la mia pelle e la sentivo incendiarsi ad ogni colpo. Ma non urlai. E poi arrivò serpente. E fu lui ad arrabbiarsi e a far urlare scorpione. Gli sparò ad entrambe le mani con quella pistola scura che maneggiava con abilità. Poi venne da me e mi accarezzò i capelli.
- Ti ha tutto rovinato - disse, e io credetti di morire. Ma Erik prese le forbici e cominciò a tagliarmi via tutti i miei capelli, i miei lunghi capelli ricci e biondi e riprese con i suoi soliti giochi sul mio corpo - non mi sono mai piaciute le bambine - è stato in quel momento, mentre serpente passava la sua lingua ispida tra le mie cosce infantili che mi passò per la mente Zack e mi dissi che non era giusto che tutto questo doveva capitare a me, che era lui il primogenito, quello riuscito meglio. Che era lui che dovevano rapire. Che era lui che dovevano picchiare e violentare. Io non... io lo odiai. Odiai mio fratello. Il giorno dopo fu ancora la voce di papà a destarmi. Era di nuovo lì, sullo schermo con una cravatta diversa che diceva che era disposto a scendere a patti con i ricattatori pur di riavere suo figlio. Mi sembrò strano, molto strano. Solo tempo dopo scoprì che i miei mi rivollero con loro non per il semplice fatto che ero loro figlio e che avrebbero dovuto amarmi, ma perché il dottore aveva portato il risultato di quel test e che era stupefacente. 195 di quoziente intellettivo equivaleva a un sacco di soldi. Il mio cervello valeva una miniera d'oro. Già... una miniera che i miei volevano per loro. E questo per me fu ancora peggio che crepare in quella cantina, da solo. Il sesto giorno Jo andò a prendere i soldi ma non mi portò con se, contro i patti. Qualche ora dopo era di nuovo da noi con una borsa piena di banconote. Erik gli chiese se lo avevano seguito e Jo rispose di no. Fu quella la sua ultima parola. Dopo di che serpente gli piantò una pallottola nelle cervella. Pensai alla figlia di Jo, che mi pareva lui la chiamasse Jessica... e mi chiesi come sarebbe andato il suo matrimonio, mentre il cervello di suo padre imbrattava il mio corpo nudo. Erik mi mise una coperta addosso e mi prese in braccio. Disse che siccome si era innamorato di me mi avrebbe portato con lui. E poi ci fu una pioggia di pallottole. Serpente non mi mollava e continuava a sparare addosso alla polizia, facendosi scudo con il mio corpo. Io non pensavo a nulla, speravo solo che ci fossero i miei genitori lì da qualche parte per vedermi morire con lo sterno bucato. Ma non li vidi. C'era il buon dottore che mi aveva visitato prima per mio rapimento, sottoponendomi a quel test stupido che urlava agli agenti di non colpire il bambino e mi parve di sentire la parola genio uscire più volte dalle sue labbra. Alzai la testa su Erik e mi aggrappai alla sua maglia. Lui sorrise. Probabilmente fraintese il mio gesto. Lo tirai leggermente dalla mia parte e la pallottola di un tizio con i baffi che avevo visto prima lo colpì alla mano armata, come avevo previsto. La pistola gli cadde e per la prima volta lo sentii imprecare. Si chinò per prenderla e in quel momento si accorse che ce l'avevo tra le mani io. Sorridemmo entrambi.
- Che cosa mi vuoi fare, Dolly? - mi chiese. Odiavo quella parola. DOLLY. La odiavo. La mano robusta di un poliziotto si posò sulla mia spalla e quello per me fu un segno di inizio. Allargai il mio sorriso e, mentre la polizia si faceva intorno a me e a serpente, io gli sparai. Un colpo... due... tre...quattro... cinque. Sbattei le palpebre forte quando gli schizzi di sangue di serpente mi finirono sulla faccia. Guardai il suo bel volto, del quale non rimaneva che una poltiglia grigiastra e qualche lembo di pelle sanguinolento. Mi voltai, avvolto in quella coperta lurida e feci scivolare la pistola a terra. Fissai per un attimo quello che mi parve il capo della polizia. Nei suoi occhi c'era stupore, nei miei immagino nulla. Poco dopo lo sentii parlare con il dottore mentre gli diceva che non ero normale, che non erano gli occhi di un bambino i miei.
- Legittima difesa - dissi, uscendo dalla casa cadente. Il dottore mi corse incontro ma non furono ne le sue urla ne quelle della polizia che io sentii... ma quelle di una nuca bionda. Zack. Lo odiavo... ma lui correva da me. Quando mi abbracciò e mi tenne stretto, pensai di dirgli quello che provavo per lui. Ma non lo feci. Ancora non capisco se erano le sue lacrime che scorrevano sul mio viso oppure erano proprio mie, ma fu in quel momento che finalmente mi resi completamente conto di quello che mi era successo. E strinsi il più forte che mi era possibile il mio fratellone.

Apro gli occhi con calma placida e mi alzo leggermente. Ridacchio. L' ho sognato... l' ho sognato di nuovo. Ci ho fatto l'abitudine è solo che... ogni dannata volta mi desto con un leggero fastidio alla gola e mal di testa. Mi passo una mano tra i capelli e non faccio caso alla mia fronte umida di sudore. Sveva continua a dormire calma e delicata accanto a me e noto che mi stringe forte la maglia. Come al solito sorrido guardandola. Non ne posso fare a meno. Sveva è tutto ciò che ho, è la mai sorellina... la mia luce. Già, Sveva significa letteralmente luce e penso che questa sia stata la scelta più azzeccata che abbiano mai fatto i miei genitori. Mi guardo attorno nella stanza grande e mi domando se non lo sia troppo per una creatura così piccola come lo è lei. Ha quasi nove anni... ma è tremendamente piccola. I corti capelli scuri si arricciano leggermente sul cuscino e tiene i suoi grandi occhi scuri serrati. La sua pelle è pallidissima e ora come ora mi pare più fragile del solito. Chissà perché poi solamente quando mi sorride in quel modo innocente e limpido mi accorgo che è malata. Che forse non arriverà neanche ai dieci anni. Reprimo un conato di vomito e mi alzo di scatto, correndo in bagno. Dieci anni, merda. Solo dieci anni. Perché le vite delle persone devono essere stroncate a soli fottutissimi dieci anni? Che cazzo hai fatto fino dieci anni? Niente... non sai ancora niente del mondo... non sai quanta merda può fare. Ma non sai neppure quanto può essere bello. Mi sciacquo la faccia e penso che se solo potessi darei la mia vita per Sveva. È che lei... lei credo seriamente che potrebbe cambiare il mondo. Potrebbe renderlo migliore anche con solo un sorriso... ma non un sorriso contagiato da quella malattia che la divora. Un sorriso pieno d'amore... di quel sentimento che a Sveva non manca nel cuore. Mi sfilo i vestiti e mi do del coglione. Mi sento un hippy cannato a pensare al mondo come un insieme di fiori... ma se non facessi così penso che lo vedrei solo come una montagna di letame dove solo gli sterchi di vacca più grandi e puzzolenti riescono a cavarsela. Ed ora penso seriamente di togliere l'acqua calda e far partire quella gelida tanto per svegliarmi un po', perché dire certe stronzate appena sveglio...beh, si. È proprio da me. D'altronde solo gli ottusi riescono ad essere brillanti la mattina presto. Impreco leggermente quando lo shampoo mi va negli occhi e comincio a sfregare, fregandomene del fatto che così facendo non faccio che peggiorare la situazione. Alzo la testa la permetto all'acqua (che ho scelto come tiepida, alla fine) di scorrermi per tutto il viso, fino a scivolare dal mento al petto e pulirmi. Mi piace questa sensazione... mi fa sentire più pulito. Ricordo che quando mi permisero di tornare a casa dalla centrale di polizia e dallo scantinato buio e putrido rimasi ore ed ore sotto la doccia o immerso nella vasca da bagno con la spugna in mano a grattarmi la pelle a sangue pur di pulirmi di tutto il marciume che mi sentivo addosso. È curioso... avevo appena ucciso serpente ma non era il suo sangue che avevo appiccicato sul viso che volevo far sparire... ma proprio il suo fastidioso odore di acqua di colonia. Ho sviluppato una specie di fobia per quel profumo. Mi mette i brividi e non posso fare a meno di allontanarmi da una persona che se ne è appena rovesciato addosso una boccetta. Non è molto comodo perché la maggior parte dei cosiddetti FIGHI della mia scuola si lavano con quel profumo, ma lo stesso me la sono sempre cavata. Chiudo l'acqua ed esco. Non bado al fatto che probabilmente sto annaffiando tutto il corridoio per andarmene in camera mia senza asciugarmi, ma non ho il cambio da Sveva. Spalanco la porta della mia camera e la trovo come al solito, con le tapparelle alzate. Probabilmente la tata è passata per svegliarmi ma non mi ha trovato. Avrà pensato che ero da qualcuna delle galline, come le chiama lei. Guardo un attimo il letto ancora sfatto. Tipico di Anjie. Le avevo detto che se voleva poteva anche restare qui a dormire ma che io andavo dalla mia sorellina. Lei mi aveva detto di si con quel suo sorriso malizioso e mi era accoccolata nuda tra le coperte del mio letto enorme. Avrà pensato che sarei di certo tornato da lei. Probabilmente si è svegliata presto e si è vista da sola. Prendo il biglietto che ha lasciato sulla scrivania e le do una letta veloce. Dice di chiamarla e che sta bene con me. Grazie mille, anche io sto bene con me. Sbuffo. Mi chiedo come deve essere svegliarsi alla mattina con la persona che ami, e che ti ama veramente, accanto. Magari abbracciati. Recupero un paio di jeans a cavallo basso e un po' rotti (ma li ho comprati così!) dall'armadio e mi infilo anche una maglietta nera senza maniche un po' stretta. Mi stringo la cintura tanto per non seminare i pantaloni per strada come al mio solito e prendo la camicia bianca e me la metto sopra. Questa è tanto per non arrivare lì vestito come un modello della D&G. Mi guardo allo specchio e scuoto i miei capelli biondi per liberarmi dell'acqua senza usare il phon. Rido. Inutile, sono vestito come un modello della D&G. Infilandomi le mie Nike nere mezze slacciate prendo le chiavi della macchina (perché la moto è dal carrozziere porca quella vacca), le sigarette e il cellulare che subito accendo. Mi arrivano un po' di messaggi dei quali alcuni sono di Dafne (mi sono appena ricordato che dovevo andare da lei ieri) uno di Anjie uno di Dana due di Michelle e tre di Lisa. Chi diavolo è Lisa?! Me ne arriva un ultimo mentre sto cercando il gel che non trovo in bagno da parte del mister di football. Dice "dove merda sei coglione? Domani non provare a saltare questo cazzo di allenamento troia se no ti ficco nel culo uno dei tuoi fottutissimi anagrammi geometrici che tanto ami per chissà quale merda di motivo!" e chiude con una bestemmia. Rinuncio al gel e mi chiedo perché quell'uomo se la deve sempre prendere con me. Probabilmente perché sono l'unico che lo ascolta. Chiudo la porta della mia camera alle mie spalle e scendo le scale saltellando lievemente. Passo dalla cucina e lì ci trovo la cuoca, l'immensa signora Dimitri che mi sorride sorniona allungandomi un panino a tre strati. La ringrazio con un gesto del capo ed esco di casa definitivamente. Per un attimo mi passa per la testa che mia madre è da qualche parte a girare un qualche film e che mio padre oggi pomeriggio ha una riunione a Parigi anche se si trova attualmente a Boston. Entro nel garage e la luce automatica scatta. Mi trovo davanti la mia bellissima Mercedes grigia e opto per lei oggi. Do uno sguardo alla ferrai rossa, alla porche nera e alla limousine bianca. In questo garage si sente la mancanza di Berta, la mia Honda modificata alla quale Sveva ha accidentalmente bucato le gomme. Ancora non so darmi una spiegazione di come abbia fatto. Salto dentro la decappottabile e infilo la chiave, accendendomi anche una sigaretta. Uscendo spingo subito l'acceleratore. Mi piace la velocità e non mi importa di tutte le cazzo di multe che mi sono preso per eccessi, mi sta bene così ormai la polizia con me ci ha rinunciato. Probabilmente pensano che sia uno di quei figli di papà che spingono al massimo il motore della costosissima auto per fare i grandi con le ragazze e gli amici. Ma io non lo faccio per questo. Io correrei anche con una panda. Accendo lo stereo e tutte le cinque casse rimbombano seguite dal Woofer con la musica di "Where is the love?" . Batto la mano sul manubrio e comincio a cantare. Immagino che adesso da guardare sia l'immagine perfetta di un fighetto straricco e felice. Sono tutte e due, spiacente. È solo che io tendo sempre a mettere in un cantuccio i brutti pensieri e a divertirmi. Sarebbe tutto migliore se fossi come gli altri però, se riuscissi definitivamente cancellare tutto.
In pochi minuti mi trovo davanti a scuola a chiacchierare tranquillamente con Tod e Dafne. Non ho difficoltà a seguirli entrambi e contemporaneamente a cantare per conto mio. Lei sparla di qualcosa che riguarda Armani e cose del genere mentre Tod, come al suo solito parla di buchi.
- possibile che ogni cosa che esce dalla tua bocca riguardi la penetrazione, Tod? - gli chiedo. Lui ride e mi dà qualche forte pacca sulla spalla che mi fa ancora dannatamente male. Ma non mi arrabbio. Subito scorgo una nuca rossa dall'altra parte del cortile che cammina sola e decisa con il walkman attaccato. Comincio a suonare il clacson in speranza che lei mi senta. Si gira e mi guarda per qualche secondo prima di farmi il dito e venire verso di me con passo lento.
- Accidenti amico, la rossina è proprio fredda! - mi dice il mio compagno di squadra, appoggiato alla portiera della mia auto - forse Tod potrebbe dimostrare a quel bel bocconcino un po' d'amore - penso che lo sguardo che gli lancio sia più che espressivo. Che non si azzardi neanche a formulare uno dei suoi pensieri prono su Astrid o lo ammazzo - bene, forse Tod lo dimostrerà a se stesso andandosene via - si dice da solo, facendomi un cenno con la mano ed entrando nella scuola. Non cerco neanche di bloccarlo per spiegargli che non tutte le donne sono un buco e che vengono a letto con lui nei suoi impegnatissimi dieci minuti solo per il suo conto in banca. Ma decido di lasciar perdere. Parlare di principi morali e consuetudini sociali a Tod equivale a cercare di spiegare a un Big Mace che cos'è il colesterolo. Quando Astrid arriva davanti a me e mi abbassa lo stereo togliendosi una cuffietta lancio uno sguardo di sfuggita a Dafne. So bene che tra le due non scorre buon sangue. E questo un po' mi diverte. Adoro due donne venire alle mani!
- Che diavolo vuoi? - noto che come al solito Astrid è di buon umore - Perché hai la macchina nel cortile? Non è vietato? -
- Non c'era posto e poi non sto molto - ridacchio - dici che potevo metterla in sosta vietata e lasciare un cartello con su scritto 'abbiate pietà '? -
Non bada a me. - Dove vai? - mi domanda, distratta dal modo di mettersi il rossetto di Dafne, specchiandosi allo specchietto della mia auto. Fa una smorfia contrariata, sbagliando leggermente. Immagino che anche Astrid starebbe benissimo un po' truccata. La guardo. No, lei è bella così.
- In ospedale. Passo a trovare Yelena. -
- La vedi ancora, dopo tutto questo tempo? - non mi volto neanche verso Dafne, sorvolando sulla sua uscita.
- Ti va di venire? Le farebbe piacere vederti - dico ad Astrid.
Lei scuote la sua voluminosa massa di capelli - No, non mi va - so bene che vedere Yelena non la fa star bene. Lei era una delle poche persone che non classificava e non giudicava la mia amica d'infanzia. E penso che Astrid le sia ancora grata per questo.
- Ehi, Zefiro! - Dafne si artiglia sulle mie spalle e si mette a passare le sue unghie smaltate sulle mie clavicole. Mi guardo introno. Il cortile è pieno e immagino lei faccia tutta questa sceneggiata solo per mettersi al centro dell'attenzione generale e dire 'Voi inferiori! Sono io che ho accalappiato Zefiro! Lui è mio!'. Scema. L'avrei già piantata se solo avessi voglia di tirare su casini con mio padre. Ma non mi piace litigare e quindi continuo a scoparla. Ma non è solo per questo, lo so bene. È solo che c'era anche Dafne in quel periodo. Lei si può dire che sia una parte della mia storia. Mi bacia prepotente e lascio che la sua lingua giochi con la mia. Dafne è davvero molto bella, con quei suoi capelli color nocciola non lunghissimi e lisci che adora tenere agghindati alla perfezione, occhi da gatta crudele e fisico statuario. Quindi per me fare tutto questo non è poi questo gran sforzo. Mi lascia e io guardo con la coda dell'occhio Astrid. Si è accesa una sigaretta e fuma avidamente. So che Dafne le da sui nervi ma detesta essere lei la prima a istigarla. Dice che Dafne non è neanche alla sua altezza. Infatti è la mia Cheerleader a cominciare.
- Buona giornata Astrid. Fai in modo di morire soffocata con quel fumo.
- Grazie mille. Anche a te, Carla auguro una pessima giornata! Vedi di impiccarti con i pon-pon! E, mi raccomando mentre agonizzi non dimenticarti di sculettare! - io ridacchio. L' ho detto che i litigi tra le donne mi piacciono. Infondo a modo nostro noi siamo un triangolo. E si sa, il triangolo solo in geometria è una costruzione innocua. Non è vero, fratellone?

A quindici anni scarsi probabilmente ero la persona più entusiasta che esisteva sulla faccia della terra e oltre. Dio, avevo davvero tutto in quel periodo! Si, quell'anno mi consideravo un vincente al cento per cento. Insomma... ero al mio primo anno di liceo ed ero passato all'esame di ammissione con il punteggio massimo! Avevo già qualcosa di cui vantarmi con i compagni. Vantarmi in modo discreto, si intende. Tanto per farsi riconoscere lungo il corridoio non solo per la mia faccia. L'estate era passata alla grande, ma non avevo alcun rimpianto! Avevo accompagnato tutta la mia famiglia per la solita vacanza a Los Angeles, posto ormai abituale dove però io e Zack abbiamo la possibilità di surfare per tutto il giorno. Poi sono andato solo con mio fratello ai Carabi, dovevo dovevamo fare un servizio fotografico (fare il modello di tanto in tanto non è poi questo gran sforzo) e ci abbiamo guadagnato tre settimane di sole. Poi un altro mese passato con gli amici su è giù per l'america in macchina (ovviamente c'era anche Zack e i suoi di amici, se no noi così detti minorati perché ancora immuni ai 16 sospirati anni da patente, al massimo ci facevamo cortile di casa giardino asilo in bici) e per finire una settimana su in montagna dai nonni. Il resto del tempo l'avevo passato qui in città con Astrid a lavorare. Il lavoro mi affascina. Si, insomma... porrei stare ore a guardarlo.
Ma non era al passato che pensavo, camminando tranquillo per i corridoi scolastici, ma al mio roseo futuro qui! Probabilmente ero uno dei più piccoli del primo anno, anche perché sono nato dicembre, ma aveva poca importanza. Quella mattina avevo passato una buona mezz'ora davanti allo specchio decidendo cosa era più adeguato mettersi. Mi ero sentito tanto una ragazzina invitata dal figo del liceo al ballo di fine anno scolastico, ma la mia preparazione per l'ingresso in un luogo dove avrei trascorso i futuri cinque anni della mia vita richiedeva una accurata preparazione. E li avrei spesi alla grande, me lo ero ripromesso! La cerimonia di apertura si era appena tenuta nella palestra ed era lì che il presidente degli studenti (mio fratello per l'esattezza) e il preside mi avevano consegnato il premio come miglior recluta o qualcosa del genere. Ero particolarmente felice, in più avevo anche scoperto che le ragazzo erano per la maggior parte belle e ben disposte! Insomma, quel liceo era il mio tempio!
In quel periodo avevo ancora i capelli lunghi e avevo l'abitudine di continuare a spostarmeli dal viso. Per questo li avevo legati, ma la coda non reggeva gran che. Parecchi ciuffi mi cadevano lo stesso sulla faccia. Svoltai l'angolo e ad aspettarmi trovai cinque ragazze probabilmente dell'ultimo anno che mi facevano gli occhi dolci. Ero piuttosto alto per la mia età, e ben messo. Non avrei mai dimostrato solo quindici anni. Le signorine probabilmente pensavano che mi bastava ancora un annetto per diventare come Zack. Chissà se sarebbe mai stato così. Ma non fu nessuna di loro che attirò la mia attenzione, ma bensì una della mia classe. Era molto bella e tutti i miei amici non facevano che parlare di lei. Era la figlia di un imprenditore e di una modella, una ragazzina ricca insomma. Aveva i capelli corti e castani scuro, con grandi occhi d'orati e ciglia lunghissime. Ma fu la sua bocca che mi piacque. Aveva le labbra carnose, ma non troppo. Pareva molo morbida, e buona. Qualche volta si dischiudeva in un sorriso allegro e spontaneo, qualche volta assumeva quel ghignetto da bambina viziata. Ma quando faceva la corrucciata era ancora più carina. Si chiamava Dafne. Era seduta proprio davanti a me, e mi divertivo parecchio a osservare quante diverse pettinature riusciva ad inventarsi avendo a disposizione solo quei corti fili. Per il primo mese che passai lì Dafne era diventata come un idolo per tutti i ragazzi, anche per quelli più grandi. Mi piaceva, lo ammetto. Non ne ero innamorato ma lei esercitava un forte potere su di me. Era anche molto più simpatica di quel che riuscivo a credere, per lei era tutto semplice e le piaceva ottenere tutto. Era un po' come me, io e lei ci assomigliavamo parecchio. Ma lei non era l'unica ad essersi fatta una reputazione a scuola. Infatti il sottoscritto era l'unica matricola riuscita ad ottenere un ruolo di punta nella fortissima squadra di football e anche un numero nel basket. Il football per me era un hobby, mi divertivo a giocarci e a spiattellare Tod e gli altri ragazzi per prendere loro la palla. Il vecchio mister, un vecchietto logorroico mi aveva subito reso in simpatia. Ma per il basket era diverso. Lì mi impegnavo al massimo delle mie potenzialità ed ero anche molto dotato quindi non abbi difficoltà a diventare presto l'ala piccola titolare, con il numero undici. Ma non era certo quello il mio obbiettivo, io desideravo riuscire a battere Zack su tutta la linea. Lui era il capitano, il numero sette, il palymaker... era l'elite, insomma. La squadra dava il massimo solo quando c'era lui a guidarla. E io questo non lo sopportavo. Insomma, ero io la nuova scoperta, quello incredibile! Ero davvero stufo di essere sempre un gradino sotto di lui. Ma Zack non se ne era mai accorto. Mi sorrideva e io facevo lo stesso. Eppure con gli anni avevo cominciato a sviluppare come un muro nei suoi confronti. Mi paragonavo a lui in tutto, cercai di disperatamente di essere io quello che riusciva. Non avevo niente da dimostrare a nessuno, lo facevo solo per me stesso. Era un atto di puro fanatismo nei miei confronti.
Era stato alla terza partita che vidi Dafne, circondata da amiche e ammiratori, seduta sugli spalti a fissarmi mentre infilavo la palla nella rete con un tiro da tre. Non era vero però... ero certo che i suoi occhi fossero solo per Zack. Lui mi correva accanto tranquillo e mi dava in cinque di tanto in tanto. Si fermava, appoggiandosi con le mani alle ginocchia e asciugandosi il volto abbronzato e sudato con un lembo della divisa. I suoi corti capelli biondi gli andavano da tutte le parti senza una pettinatura definita e aveva gli occhi più belli che io avessi mai visto, grigi come l'acciaio ma davvero caldissimi. Non aveva importanza fossero identici ai miei, non aveva importanza io e lui fossimo praticamente gemelli, io lo vedevo sempre troppo avanti. Tendevo la mano... ma mai lo sfioravo. E cominciai ad odiarlo.
Quello stesso pomeriggio uscii per la prima volta da solo con Dafne. Fu mentre mangiavo il mio gelato alla panna e puffo (niente commenti) sfogliando una rivista sportiva che riportava le ultime imprese di Michael Jordan che alzai lievemente gli occhi e la trovai sporta verso di me, con quelle sue bellissime labbra e gli occhi scuri socchiusi. La baciai, meglio che potei. E scoprii di non essermi mai sbagliato. Aveva un sapore buonissimo. Più del puffo, che per me era il massimo! Parlo al passato perché adesso lei ha perso il suo buon sapore... un po' tutto ha perso il buon sapore... certo, tutto a parte il puffo. Ma sto divagando. Fatto sta che il giorno dopo noi due divenimmo la nuova coppietta del liceo. Ma anche in questo mi sentivo inferiore a Zack. Già... noi eravamo la coppia numero due, me lo sentivo. Lui e... già, lei. Yelena. Quei due stavano insieme da ormai sei anni. La prima volta che la conobbi io e Astrid stavamo giocando alla Playstation facendo occupazione della camera di mio fratello. Ero solo un moccioso dai capelli troppo lunghi e un viso da bambina, in quel periodo. Avevo circa otto nove anni. Beh, non che Yelena fosse molto meglio di me. Era una ragazzina con le lentiggini, gli occhialini da secchiona, un po' troppo rotondetta e aveva i capelli crespi. Non era certo uno spettacolo e non brillava a simpatia. Ma a Zack piaceva, tantissimo. Lui non era come lei, Zack ha sempre raggiato come una stella. Yelena non era neppure ricca, anzi la sua famiglia era poco messa meglio rispetto a quella di Astrid, veniva dai bassi fondi anche lei e per questo i miei non la accettarono mai. Ma Zack vedeva solo lei... cominciai a sentirlo anche più lontano con la comparsa della sua ragazza. In quel periodo la chiamavo la racchia o qualcosa del genere. Ma gli anni erano passati anche per lei e a diciannove anni i chili di troppo di Yelena erano diventati fianchi morbidi, gambe snelle e agili e petto abbondante. I capelli color mogano che un tempo consideravo trascurati li aveva lasciati crescere fino a metà schiena ed erano un po' mossi, lei li teneva sempre fermi con qualche forcina colorata. Non aveva tolto gli occhiali, che non nascondevano i suoi svegli occhi scuri, ma le davano un aria intelligente, come lei era d'altronde. Il suo viso era pulito da ogni tipo di trucco, metteva solo una striscia di lucidalabbra qualche volta, sulle sue labbra fine ma rosee di natura. La pelle chiara sembrava quella di una bambola e quelle poche lentiggini che le erano rimaste la facevano sembrare più piccola e innocente. Per me lei era la persona più bella che esisteva. Più bella anche di Dafne perché Yelena era bella al naturale. Più bella perfino della mia Astrid, anche perché in quel periodo pareva davvero un maschio!
Comunque il tempo passava tutto sommato tranquillo e io stavo tirando avanti un rapporto con Dafne, una Cheerleader che aveva il mio stesso interesse per una relazione seria. Nessuno. Era in un pomeriggio piovoso che io e lei ce ne stavano tranquilli in camera mia, sdraiati sul letto a guardare un film (non ricordo quale) e a sfogliare qualche foto della sua famiglia.
- Ma chi è sta cicciona? -
- Mia madre... -
- Perbacco... bella donna - ma Dafne non reagì come io mi aspettavo, cioè picchiandomi per la mia pessima uscita non prevista, ma mi baciò in un modo un po' diverso dal solito. Ci mise molta più passione. Non capii subito quello che le passava per il cervello e la lasciai fare. Anche quando mi tolse la maglia e mi abbassò i pantaloni non dissi niente. Anzi, ammetto che quello che fece con la bocca alle mie parti basse non mi fece certo schifo, ma poi cominciò anche lei a spogliarsi. E lì capii. Non era la prima volta che vedevo una donna nuda, a loro piaceva quando facevo certi lavoretti di lingua... ma Dafne voleva di più. Lei voleva fare sesso. Non fu normale quello che feci. La lanciai a terra e le dissi di non riprovarci mai più, che io non sono una bambola. Lei si arrabbiò molto e se ne andò, lasciandomi completamente sconvolto e furente con i pantaloni abbassati e pallido in viso. Serpente... vedevo solo lui. dannazione, la sua immagine non aveva ancora abbandonato la mia testa. Non so per quando tempo rimasi così, immobile. So solo che a trovarmi furono Zack e Yelena e credo che la mia immagine ridotta a quel modo li sconvolse parecchio. Mio fratello mi abbracciò strettissimo e mi sussurrava che andava tutto bene, che era tutto passato. Ricordo che gli urlai che ero stufo di questa situazione, che volevo cambiare. Ma Yelena si sedette accanto a me e mi diede un bacio sulle fronte. Ancora non ho capito perchè, ma quel bacio non uscì mai dalla mia testa. E mi calmai.
- Perché gli uomini sono così pazzi, Zack? - gli chiesi. Quella domanda non aveva un particolare significato, ma era l'unica cosa che mi passava per la testa, mentre lui mi alzava le coperte e Yelena tirava le tende.
- Perché se non fossero così necessariamente pazzi, il loro non essere pazzi equivarrebbe a essere soggetti ad altri tipi di pazzia - risi forte a quella spiegazione. Zack con me, anche se lui stesso per un po' di tempo ha continuato a sostenere che era un uscita da filosofo. Ma nessuno gli diede mai retta.
Il giorno dopo a scuola Dafne cominciò a far girare la voce che ero schizofrenico e pure gay. Per quanto Zack e Yelena si impegnavano per smentire tutto, per una settimana la mia vita fu un inferno e capii per quale motivo serpente aveva finito per odiare a quel modo le persone. Perché fare del male a loro era l'unico modo lui conoscesse per impedire loro di farlo a lui. cominciai a venire evitato e nello spogliatoio nessuno si fidava di me. la gente cominciò anche a inventarsi storie sul mio passato con tutte le checche di Manhattan. Ero davvero esausto da tutta quella situazione. E io che credevo Dafne una persona in gamba. Yelena mi disse che una donna offesa e rifiutata poteva diventare la miglior killer esistente. A tirarmi fuori da tutta quella merda però fu la persona che meno mi immaginavo. Quella fu la prima e ultima volta che vidi Astrid con un completo femminile. Aveva sciolto i suoi bellissimi e lunghissimi capelli a quel tempo ancora neri pece, indossava una gonna non troppo lunga blu e una canotta azzurra cielo. ai piedi calzava un paio di sandali allacciati a schiava e aveva un filo di trucco in viso. Mi parve la creatura più bella esistente sul pianeta. Lì la riconobbi come donna, per la prima volta. Non scorderò mai ciò che fece per me. mi baciò. Lì, davanti a tutta la scuola, davanti agli occhi sbarrati di Dafne.
- Ma che gay, cretini! - si mise ad urlare Astrid, mani ai fianchi ed espressione decisa in volto, mentre io la guardavo ancora sconvolto con il suo sapore strano sulle labbra. Sapevo per certo che quello era il suo primo e sapere che lo aveva usato per aiutarmi mi aveva riempito di entusiasmo - hai mai pensato che non ti voleva perché sei una racchia ed avevi pure il moccio da naso come una mocciosetta, CARINA? - disse cattiva rivolta a Dafne - La sottoscritta è stata scopata per una cinquantina di volte in tutte le posizioni segnate nel Kamasutra, più alcune inventate da lui! quindi comincia a pensare, IDIOTA prima di parlare! Eri tu che gli facevi vomitare! Per tua informazione Zefiro in quando a scopate ha più esperienza di una puttana! SVEGLIA CARCIOFA! -
Con questo la mia breve reputazione di gay aveva avuto il suo termine e Dafne era tornata da me con orecchie basse da cucciolo implorante di scuse. Non l'avevo cacciata, mi ritengo troppo sveglio. Tutto sommato lei era pur sempre un bel giocattolino. L'unico shock della giornata lo ebbi quando andai da Astrid tutto contento e cercai di baciarla di nuovo. Il girono dopo avevo un occhio nero che parlava da se.
La mia vita era tornata al suo naturale splendore e il mio ottimismo aveva ripreso il suo andare raggiante, ma tutte le cose positive che mi stavano accadendo probabilmente non mi permisero mai di capire appieno quel che mi accadevo intorno. Ero troppo egoista e, nonostante il mio fottuto cervello, solo un ragazzino in piena crescita fobico del sesso. Sentivo di volerlo fare, davvero... ma non so, ne avevo troppa paura.
Poi un giorno tornai a casa tardi e desideravo solo una doccia gelida, una bistecca enorme e un letto comodo. Eppure ci trovai una sorpresa nella mia stanza. La luce era spenta e le tapparelle abbassate... ma sentivo un lieve respiro provenire da intorno a me. mi misi in guardia, non mi fidavo di nessuno al pieno.
- Chi c'è? -
- Zefiro... - quella voce bassa e un po' timida... la conoscevo benissimo.
- Yelena... ma che cosa... - la luce mi abbagliò ma lo stesso spalancai gli occhi. quello che avevo davanti non era il corpo da adolescente ancora in crescita al quale ero abituato io... ma un bellissimo corpo di donna adulta. La conca piatta della pancia, le curve dei fianchi invitanti, quei lunghi capelli che si disperdevano sulle spalle fine, quei seni come globi di luna che parevano così morbidi e la discesa che portava alla sua femminilità. Sentì come qualcosa che si accendeva nella mia testa. Capii che non avevo paura, che la volevo con tutto me stesso, che non mi importava non fosse roba mia... volevo solo stare dentro di lei. Così, quando le sue labbra si incollarono alle mie le lei cominciò a baciarmi come solo una donna matura può fare io persi completamente la ragione. Le permisi di giocare con il mio corpo come più le piaceva, le lasciavo fare davvero tutto. Ma poi toccò a me... il mio cervello si spense per la prima volta mentre le stuzzicavo i seni grandi e succhiavo come un infante. Baciavo ogni suo lembo di pelle e con la lingua esploravo la sua femminilità. I suoi urli mi facevano venire la pelle d'oca e le sue unghie impiantate saldamente nella mia schiena non le sentivo neanche. Entrai in lei è fu una sensazione così appagante... così completa che mi ci persi. Mi sentivo come prigioniero del suo odore. Non mi domandai neanche se Zack sapeva fare sesso meglio di me... pensavo solo a quanto mi piaceva. Yelena mi buttò sul letto e mi piacque vedere sul sorrisetto birichino sul suo viso. Non sembrava pentita ne delusa di quello che aveva fatto. Mi salì sopra e continuò a fare sesso con me in un modo ancora più violento. Chiusi gli occhi mentre lei urlava di piacere, arpionandomi al materasso per non urlare a mia volta quando entrambi raggiungemmo l'apice. Ma lei non era affatto stanca di me, e neanche io. Continuammo per non so quanto tempo... a lungo comunque. Era come una droga, non riuscivo più a smettere per quanto fossi stanco. Alla fine fu lei a dirmi che ormai era mattina e che dovevamo andare a scuola. Solo in quel momento mi svegliai completamente dal mio stato di assuefazione e mi ricordai di Zack.
- Dov'è Zack? - dissi io, un po' scosso.
Lei mi sorrise in quel suo modo gentile - Non è a casa. Tranquillo. -
Voleva tenerglielo nascosto? No, non erano affatto quelle le intenzioni di Yelena. Quello stesso giorno lei cominciò a dire in giro che io e lei andavamo a letto insieme. Ma non era la stessa cosa che quella volta con Astrid. lei era di Zack da sei anni, dannazione. E mi pareva... anzi io ero certo che lei era ancora innamorata di lui. e fu in quel periodo che mi accorsi di quanto mio fratello si stava allontanando da tutti. Il suo sguardo si faceva ogni giorno più vacuo. Non mi sembrava neanche più lui. e capii perché Yelena veniva a letto con me. perché rivoleva lo Zack di sempre e probabilmente farsi scopare da suo fratello era l'unico sistema per scuoterlo. Ma con il tempo le cose non cambiarono tra loro due. Non li vedevo più come prima... non si abbracciavano ne baciavano più, Yelena diceva che quando facevano l'amore lui sembrava un automa. Avevano anche smesso di fare quello. Zack non veniva più agli allenamenti di basket, e si che era la sua vita. A scuola saltava spesso le lezioni e i suoi voti stavano scendendo in un modo esagerato. Le poche volte che lo vedevo era sempre con quell'aria assente, spesso o sdraiato sul letto con gli occhi sbarrati sul soffitto o affacciato alla finestra che fumava una sigaretta in silenzio. Aveva completamente smesso di sorridere. E io cominciai anche a chiedermi se Yelena veniva continuamente a letto con me perché assomigliavo a Zack. Perché fare sesso come me era come farlo con lui, poiché abbiamo la stessa faccia.
- No, scemo. Voglio te proprio perché non assomiglia affatto a Zack. - Yelena sapeva benissimo che la camera di Zack era proprio accanto alla mia, ma lo stesso urlava forte e faceva più confusione possibile. Che volesse farsi notare così disperatamente? Una volta fu lei a chiedermi perché io continuavo a fare sesso con lei - Perché sei la ragazza di Zack! - rideva ogni volta che glielo dicevo. Ma era quella l'unica motivazione. Certo, era molto bella ma non ero innamorato di lei. Ultimamente avevo cominciato a possedere una vita sessuale frenetica oltre a Yelena, anche Dafne si era definitivamente convinta che non ero gay... ma lo stesso non riuscivo a stancarmi di Yelena. Che ancora mi sentissi così fortemente in competizione con Zack? Astrid non mi diceva mai niente a proposito di questo argomento, si limitava a guardarmi storto quando mi confidavo con lei. E lì, quando lasciava cadere i suoi diversi e bellissimi occhi su di me, capii che io non ero affatto innamorato di Yelena, né di Dafne, né di Katrin né di tutte le altre... facevo l'amore con loro solo per cullarmi nell'illusione di poter far mia un'altra chioma che era diventata da corvina a rosso fuoco. Io ero innamorato di Astrid.
- Hai mai pensato a cosa vuoi dalla tua vita? Cosa vuoi fare? - chiesi una volta a Yelena, mentre lei giocava con il mio petto.
- Non si dovrebbero mai fare progetti, soprattutto per il futuro. -
- Perché?-
- Perché tanto si otterrebbero solo delusioni - mi fece tanta pena quella volta. Era strano... ma pensavo a lei come a una vittima.
Mi sorrise - Ora me lo voi dire seriamente perché vieni a letto ancora con me? -
Anche io le sorrisi e credetti di vedere una lacrima scivolare lungo la sua guancia. Il mio sorriso assomiglia così tanto a quello di Zack? - Quello che si fa non viene mai compreso, ma solo lodato o biasimato - perché ci stavi facendo quello, fratellone?
Il vento mi arriva forte in viso, come uno schiaffo ma lo ignoro. schiaccio l'acceleratore ulteriormente e sorpasso qualche macchina. L'idea di rivedere Yelena non mi entusiasma, ma so per certo che se anche io la abbandonassi lei rimarrebbe davvero sola. La colpa di tutto quanto è ricaduta su di lei e non su di me. io sono ricco, io sono perfetto. Lei invece è povera e, ora... è sola. Mi ha sempre fatto pena. Lei era davvero una ragazza in gamba, aveva cervello e cuore insieme. Forse era anche migliore di due egoisti come me e Zack. Mi sistemo gli occhiali da sole e ripenso che forse era meglio che venisse davvero anche Astrid. da solo, come mi succede ogni volta, finisco per sedermi semplicemente davanti a lei e sorridere come un cretino, mentre lei continua con quei suoi discorsi sconnessi. Ma di chi è la colpa?

Una sera torni a casa dall'allenamento di football e immagini che tutto sia come ogni giorno. Che quando aprirai la porta della tua stanza ci troverai una donna che non ami ma che ti scopi ad aspettarti sorridente in quel suo modo dolce, non una giovane donna con occhi gonfi di lacrime che batte urlante su una porta chiusa. Non ti pare normale che non ti senta neppure, che urli semplicemente con occhi sbarrati e che abbia le unghie rosicchiate a sangue. Lei ti guarda e ti si affloscia tra le braccia, come una bambola rotta. Non avresti mai immaginato che quando avrebbe riaperto i suoi bei occhi scuri la ragione l'avrebbe completamente abbandonata per lasciare spazio al caos totale. Quando si torna a casa la sera non ci si trova mai combattuti all'idea di aprire sì o no una fottutissima porta da bagno chiusa a chiave. Non si buttano giù le porte a spallate solo per curiosità, no? Non è normale che guardare una porta implichi una sola possibilità, vero? Non è normale che nella tua testa si stia formando un idea che non riesci ad accettare, anche se stranamente ti sembra la più plausibile in quel momento? Poi prendi la tua decisione... e la butti giù, accendendo la luce con titubanza. Il tuo bagno dovrebbe essere come lo ricordi. Immacolato, con qualche asciugamano fuori posto al massimo. Ma quando si torna a casa non si trova mai la vasca da bagno piena d'acqua ormai fredda. E non ci si chiede cosa diavolo devi farci con un acqua di quel colore... quel rosso cupo. Un rosso che si riconosce anche troppo bene. Quando si torna a casa ci si trova un fratello maggiore che forse ti vuole davvero bene che ti saluta con un sorriso, pronunciando il tuo nome in un sussurro. Ma quel sussurro non deve essere così sospirato, così affaticato. Quel sorriso non deve essere così solo, così disperato. Quando si torna a casa la sera non ci si trova il proprio fratello disteso a terra, pallido, con i polsi immersi in un acqua rossa, vero? Ditemi che non deve essere così, cazzo!
Ma soprattutto... quando si trova il proprio fratello in un tentato suicidio non ci si siede accanto a lui, spalle al muro e espressione tranquilla. Non è così che si deve fare! Si corre in strada a gridare aiuto, si chiama un ambulanza. Non ci si mette a parlare tranquillamente con una persona con la tua stessa faccia, solo qualche anno più vecchia e molto più pallida.
- Ti prederai il concerto della prossima settimana, lo sai vero Zack?-
- Non è poi così grave. Dopotutto i Nirvana si sono sciolti e Kurt è morto. Non mi perderò il meglio. -
- Ti perderai il mio Premio Oscar per la scienza tra otto o nove anni. -
- Farò in modo di venire e farmi una risata quando scendendo dal palco inciamperai. -
Non si ride davanti a tutto quel sangue, vero?
- Ti perderai la fine della terra. -
- La terrà è uno dei pianeti più mediocri. Non perdo gran che neanche in questo caso. -
Non si guarda il fratello in faccia e non si sputano sentenze, vero?
- Ti reputavo troppo intelligente per questo. -
- Il vantaggio di essere intelligenti è che si può sempre fare gli stupidi, ma l'incontrario è impossibile. -
- Immagino tu sappia che non la prenderò come una risposta seria questa frase rubata a un qualche autore. -
- Ti reputo troppo intelligente per questo. -
- Sei un idiota. -
Quando si perde sangue a quel modo non si ride della propria stupidità. Forse si pensa perché tuo fratello non ti aiuta o almeno non si preoccupa per te. Ma Zack era veramente intelligente, lui aveva capito tutto. Aveva capito anche che io non lo odiavo affatto, che la mia ammirazione nei suoi confronti era assoluta, quasi morbosa. Aveva capito che portarmi a letto Yelena era solo un modo per farmi notare da lui, perché lo credevo troppo superiore a me per accorgersi di un cretino come il sottoscritto. Aveva anche capito che io non lo aiutavo semplicemente perché capivo e accettavo la sua scelta. Era la sua vita, anche si è preso anche un pezzetto della mia. Ma ho smesso quel giorno di essere egoista.
- E' per mamma e papà che lo stai facendo? -
- Per un insieme di cose. Loro direi che occupano l'ottanta per cento. Sai, ho passato la mia vita a cercare di farmi approvare da loro. Ho sacrificato tutti i miei sogni per essere come loro mi volevano, ma lo stesso non ero perfetto. Io non volevo ne i soldi, ne la macchina, ne le ragazze, ne il successo, ne quei voti alti. Quello non ero io. -
- E cosa volevi, Zack?-
- Volevo una vita tranquilla. Magari una casa in campagna, una famiglia che mi amasse. -
- Mamma e papà non te lo avrebbero permesso. -
- Se ne avessi parlato loro avrebbero smesso veramente ti accettarmi. Anche se in effetti non hanno mai molto approvato la mia esistenza. Tu sei più forte di me. Te la saprai cavare anche da solo. -
- Cos'era l'altro venti per cento. Papà e mamma hanno bruciato i tuoi sogni, ma il resto cos'è? -
- I sogni che si bruciano da soli. Il mio braccio non funziona più molto bene, tra non molto il dottore mi ha detto che dovrei perdere completamente l'uso. Se mi tolgono anche il basket rimango solo un rottame. Senza braccio non sarei andato gran che avanti. E per ultimo io sono un po' stanco, lo sono da molto. -
- Stanco di cosa?-
- Di indossare questa maschera. Mi stia pesando sempre di più. Non ce la faccio più. -
- E cosa ne sarà di Yelena? -
- Bada tu a lei. È davvero buona, ma è un po' tonta. E fifona. Però so che sarà gentile con te. -
- E Sveva? Vuoi lasciarla a me? io non... -
- Sveva è come una luce. Lei è più utile a te di quanto tu lo possa essere per lei. -
- E... e di me cosa ne sarà? -
- Tu sei una parte di tutto quello che hai incontrato sulla tua strada. È stata parecchia merda, lo so. ma tu vivi per portare la luce ovunque. So che nel tuo futuro ci saranno tanti sorrisi. L'importante credo sia non smettere mai di avere fiducia. -
- In cosa?-
- In noi stessi. E in cosa potremmo fare della nostra vita. Siamo gli animatori dei sogni. Ci piace renderli realtà. Siamo esseri umani. Alcuni sono deboli e si spengono prima, altri brillano così intensamente che mai faranno la fine di una stella morta. Saranno per sempre comete. -
- Zack...-
- Ora penso che dormirò un po'. Tu pensa a divertirti anche per me, fratellino. -

Quando la cameriera ti trova sei ancora lì, accanto a lui che gli stringi un po' la maglietta chiara. Yelena è svenuta ma le lacrime non smettono di scorrerle sulle gote arrossate. E Zack sorride, in quel suo modo un po' troppo infantile per i suoi diciannove anni scarsi, con il capo appoggiato alla tua spalla.
Senti solo flash della polizia accanto a te, le urla di tua madre e tuo padre che pensa subito ad occuparsi della stampa. Poi degli uomini in bianco ti alzano di peso e ti portano in una macchina chiara, che segue quella dove hanno caricato Zack. Non ti è piaciuto quando lo hanno chiuso in quel sacco nero. Il buio ha inghiottito quei suoi corti fili biondi e ti è parsa una metafora tristissima. Yelena è avvolta in una coperta accanto a te, con le mani sul grembo e un espressione persa. Provi a parlarle ma lei non ti risponde. Si mette invece a canticchiare una vecchia filastrocca che non sai dove hai sentito. I dottori le si fanno intorno e li senti bisbigliare 'matta'. E vorresti alzarti e prenderli tutti a botte, ma non lo fai perché sei un po' stanco.
Per i due mesi che seguono vieni sbattuto da un ospedale all'altro, da uno psichiatra all'altro senza raggiungere alcun risultato. Alla fine decidono che tu stai bene, che sei solo shockato e che ti basteranno altri mesi di psicofarmaci leggeri come la valeriana e derivati per tornare a dormire almeno sei ore a notte. Ma nessuno di loro si rende conto che non saranno pochi mesi, ma anni. Probabilmente anche quando avrai quarant'anni sarai costretto a inghiottire pastiglie per chiudere gli occhi e non vedere solo rosso. E non affogare nella tua colpa.

- E' un piacere vederla oggi, signor Kendall. La signorina Yelena non riceve molte visite ultimamente. Hanno smesso di passare anche i suoi genitori e i suoi fratelli. L'ultima visita che ha ricevuto è stata la sua tre mesi fa. Penso che le farà piacere avere un po' di compagnia.
- Posso parlare con il suo medico?-
- Mi spiace ma oggi non è di servizio - lo sai bene, no? Ora devi andare nel suo officio a farti alzare la gonna. Si capisce perfettamente dal tuo sguardo, cara la mia infermeria. La guardo ancora un attimo e mi ordino di smettere di essere così cinico con la gente - Lei si sente bene? Sa, ricordo ancora quando la portarono qui con la signorina, qualche anno fa. Era così pallido e magro che...
- Non sono qui per parlare di questo. Lei sa dirmi le condizioni di Yelena? -
Mi guarda un po' male. Probabilmente era in vena di chiacchiere - Non precisamente. Comunque la sua situazione è sempre la stessa. Sembra essere fuori dal mondo, come anni fa. Non ha avuto nessun miglioramento. Le crisi schizofreniche si presentano almeno due volte al giorno e per il resto resta sempre affacciata alla finestra a parlare da sola. Non smette mai di sorridere. Mangia e non rigetta le medicine, ma non migliora. Mi dispiace molto il dottore dice che le sue condizioni probabilmente resteranno stabili per sempre. -
- Ho capito, la ringrazio. -
L'infermiera mi apre la porta che da sul giardinetto interno e recintato prima di andarsene. Cammino per un po', fino alla solita fontana. E ancora la trovo lì, a schizzare a vuoto. Ride tranquilla, con il suo solito sorrido dolce. Quello che mi ha sempre affascinato. A guardarla così sembra quasi che stia bene. Mi siedo davanti a lei e Yelena mi guarda fisso in volto. Provo un senso di nausea guardandola dritta negli occhi, in quegli occhi vuoti. La pupilla è come sempre dilatata e i suoi occhi si stanno schiarendo sempre più. Il dottore diceva che è per via di alcuni medicinali un po' troppo forti, ma sono gli unici in grado di farla calmare. Io ho paura che tra non molto diventi ceca.
Le accarezzo piano i suoi capelli mogano, che hanno tagliato cortissimi e le baci la testa. La sua pelle è pallidissima e arrossata solo un po' sulle gote, forse per l'emozione di avere visite. Indossa un camice bianco e un po' sporco di verde (deve essersi sdraiata sul prato) sulla schiena. Mi pare sia dimagrita ancora, ma magari è solo una mia impressione. La guardo bene in volto e non capisco se mi pare sempre più vecchia o sempre più giovane. È una sensazione contrastante - Ciao Yelena - le dico.
Lei mi sorride sorniona, socchiudendo un po' gli occhi per la luce forte - Ciao Zack. -
Ci sono abituato, non riconosce me ma vede solo mio fratello. Dopo il saluto ricomincia subito a parlare senza logica e io, seduto come sono, rimango qui ad ascoltarla e a guardarla ridere senza nessun motivo. Mi chiedo com'è il suo mondo. C'è un posticino anche per me?

Mi passo una mano leggera sulla fronte, scostando i capelli. L' ha fatto di nuovo. Ogni volta che me ne vado mi bacia sulla fronte. E questo mi sconvolge un po' perché anche quando era... sana lo faceva sempre. e non con Zack, ma con me. ed è per questo che non smetto di illudermi che gli occhi di Yelena tornino a risplendere come un tempo. Mi chiedo come sarebbe la sua vita se guarisse. Di certo piena di sensi di colpa e di cattiverie che la gente direbbe su di lei. I miei genitori ovviamente compresi. Ma credo che io mi occuperei volentieri di lei, perché non sarei disposto ad accettare che anche la piccola Yelly, come la chiamava Zack si spenga da sola lentamente. Se solo bastasse darei un altro pezzettino della mia vita per farla tornare come prima. Non l' ho mai amata, ma le ho voluto davvero bene. Yelena era una sorella maggiore, in un certo senso. A modo suo si prendeva cura di me.
Apro il cancello della casa di Stephan e spero solo di incrociare sua madre. Ma mi ricordo che a quest'ora dovrebbe tenere lezione ai bambini. Ad accogliermi c'è la solita scena. Il moccioso è raggomitolato per terra, accanto alla porta, che si tiene il viso tra le mani e urla piangendo per chissà quale causa insignificante. Pollyanna invece è in piedi su uno sdraio che impreca e sbraita, tenendosi la mano dove è evidente il segno rosso di un morso. Facile immaginare che non sia stato un cane o un altro animale feroce ad addentarlo. Astrid infatti se ne sta comodamente stravaccata su una sedia, a gambe incrociate con in mano una birra che le cola dai lati. Sghignazza soddisfatta e come ogni volta rimando un po' fissarla immobile. Ma è lei a notarmi e sostiene il mio sguardo, ora seria. Si alza e cammina leggera come solo una ballerina può fare nella mia direzione. Quando è davanti, nonostante io la superi di buoni dieci centimetri resta fiera e zitta, mani ai fianchi. Mi mete la birra sotto il naso e sussurra un 'Bevi' gelido. Cerco di ridere ma mi esce solo un sospiro.
E lei come al suo solito mi consola, a modo suo.
- Idiota - dice, dandomi una pacca sul petto. Ma mi prende la mano con la sua, quella libera dalla birra ovviamente, e mi trascina con lei fuori da quella casa. Non faccio in tempo a salutare nessuno che lei si attacca a me, abbracciandomi un po' goffamente. Mi bacia la guancia - Ora vedi di fartela passare, cretino. Abbiamo una testa rossa da sterminare! -
E come ogni volta rido, stringendola di più a me. E restiamo fermi così.
Sai, Astrid... io ho avuto davvero tante domande nella mia vita. E, nonostante tutti dicessero che avessi un cervello straordinario nessuno mi ha mai dato delle risposte, e neanche io sono stato in grado di darmele. Ma sono ancora certo di una cosa. Io non mi fermerò mai. Non so per certo sia questa la direzione giusta da prendere, non me lo chiedo. Mi basta sapere che tu vedi quel che vedo io, sapere che infondo il tuo mondo è come il mio e sapere che tu hai davvero fiducia in quel che sono e in quello che sarò. Anche io ho fiducia, questa è la strada che ho scelto per me.
Al mondo ci sono anche io.
Ci siamo tutti e due, non è vero Astrid? "


/Finché arriverà il mio momento tu stammi accanto, col pensiero tu stammi accanto. Sole spento, io ti sento dentro./