CAPITOLO
II
Le dita correvano pigre a pizzicare le corde della chitarra elettrica.
La stanza vuota era riempita dalle note malinconiche che solo quello
strumento può trasmettere. L'aria carica di tristezza era
dovuta a ciò che veniva suonato dal ragazzo dai capelli
verdi appiccicati al capo, alla fronte e al viso per il sudore. Il
ragazzo indossava una maglia che sembrava più uno straccio
color acido scuro, era strappata in diversi punti come maniche, spalle,
busto, petto, schiena, il collo largo lasciava scoperti una spalla ed
un braccio. Si vedeva lo stomaco piatto. I jeans erano strappati in
ogni modo possibile. Scalzo. Era mezzo disteso su una delle poltroncine
di quella casa marcia. Con le gambe allungate davanti a se e lo
spinello fra gli incisivi, imbracciava una chitarra elettrica nera e la
suonava pigramente con aria distratta e assente. Le gocce di sudore gli
colavano dal volto solcandogli la pelle pallida, quasi giallastra.
Aveva una cera bruttissima: merito dello spinello che fumava? O magari
della pasticca presa poco prima con la tequila? Probabilmente di
entrambe. Non lo faceva sempre, solo quando ne aveva bisogno... bisogno
di dimenticare... di credere di non esistere... di credere di poter
morire quando invece non era vero... quando aveva bisogno di mandare
tutto al diavolo e di provare le sensazioni che desiderava. Quando
aveva bisogno di lasciar agli altri la sua vita di merda. Quando gli
andava di sputare addosso a se stesso per dimostrarsi quanto perdente
fosse in realtà. L'unica cosa che gli piaceva di se stesso
era il suo strano potere e la musica che era in grado di creare da solo
o con i altri compagni della band.
Per un attimo mollò il braccio della chitarra e
afferrò la bottiglia di tequila scolandosene metà
d'un fiato. L'appoggiò a terra e riprese a buttar fuori note
a caso senza pensare. Poi si interruppe di nuovo dando un altra tirata
alla cicca speciale che aveva fra le labbra.
Perchè andare avanti solo così, a volte?
Non aveva più senso mettersi in vena una dose massiccia e
dire addio alla merda in cui era? Come faceva a volte Jeff, il
batterista della sua band, i Drug’s Kiss... senza riuscirci
fino in fondo... senza arrivare mai alla morte, eppure lui
non ci arrivava mai perchè c'era sempre qualcuno che lo
tirava fuori per i capelli all'ultimo momento.
L'effetto della pasticca di poco prima e dell’alcohol
arrivò e Giade sembrò assentarsi pur rimanendo
cosciente e sveglio.
Un velo gli offuscò gli occhi.
Un mondo distorto iniziò, impedendo alla mente di
funzionare. Distacco totale, sballo dovuto alla combinazione di troppe
sostanze che insieme non andrebbero associate. Le dita presero a
suonare una melodia a lui sconosciuta mentre il suo corpo cominciava,
senza il suo controllo, a farsi inconsistente. Come un fantasma si
muoveva per casa credendo di stare fermo. Come un delirante teneva gli
occhi aperti pensando di averli chiusi. Come un allucinato immaginava
di stare zitto ed invece parlava.
Faceva paura.
Master
of disharmony
Welcome my tainted soul
Take me from the hordes of the living
Into the blessed darkness
Master of disorder
Take my impure flesh
Lead me unto the path of temptation
Ma
non la cantava gridando e strepitando come l'originale canzone faceva.
La sussurrava sensualissimo con voce roca e intonata, come una proposta
indecente.
Save
me from cowardness
Master of sin
Take my cursed heart
Bring me where I can find salvation
For I am the damned
Le
labbra di Giade avevano fatto cadere lo spinello quasi finito
già all'inizio della canzone, quella versione nuova, mai
osata, era molto bella e strana. Il sudore cadeva e camminava come uno
zombie per la stanza vedendo cose. Vedendo immagini. Vedendo
ombre.
Master
of death
Take my pitiful life
I am enslaved
I shall never forget the pain
Gli
piaceva la sensazione di perdita, di giramento mentre le sue dita
correvano a ritmo con le parole. Erano effetti che sognava o provava
realmente? Stava morendo per così poco? No, ma stava
così bene, era tutto troppo bello per essere vero. I vestiti
e i capelli gli si appiccicarono al corpo, mentre cantava sussurrando
ansimava, non respirava bene.
Ma immediata un immagine nella mente gli arrivò. Un lampo
che rimase.
Master
of sin
Take my cursed heart
Bring me where I can find salvation
For I am the damned
La
scena che cercava sempre di dimenticare lo tormentò ancora.
Lui che arrivava a casa del fidanzato, lo trovava steso a terra in un
lago di sangue con la gola tagliata, agonizzante e sporco, non nudo e
nemmeno violato, solo ferito mortalmente. Un ragazzo che moriva in un
brutto quartiere. Giade non vedeva altri che lui morente, lo stringeva
fra le braccia e gridava come un ossesso, come non aveva mai gridato.
L’altro che se ne andava, lui che piangeva e il panico lo
avvolgeva. Poi sentiva la presenza di qualcuno, si girava e fra le
lacrime vedeva il suo migliore amico Stuart, gli gridava di fare
qualcosa, di aiutarlo, ma poi vedeva il pugnale sporco di sangue nelle
sue mani rosse anch’esse, il suo sguardo vuoto e freddo, che
mormorava:
‘Si intrometteva fra noi…’
E che poi se ne andava lasciandolo lì solo a cadere
nell’oblio, fermandosi persino dal piangere, senza capire
cosa fosse accaduto, se quella fosse la realtà. Un dolore
tale da essere insostenibile, da essere inascoltabile, da essere
allucinante, da farlo chiudere in se stesso per giorni e giorni. Una
vendetta mai avuta, un’ira mai sfogata, uno shock mai
superato, un dolore affogato con veleni.
Rivedendolo ora gli occhi assenti di Giade si riempirono di lacrime ed
una scese, ladra di sogni infranti, gli rigò la guancia e
senza farsi sentire dal proprietario l’abbandonò
del tutto.
Adesso basta, lo voleva veramente, doveva mettere fine a quei giorni di
ricordi, doveva chiudere i conti con se stesso, doveva smettere di
avvelenarsi fino a raggiungere quasi l’overdose e ricordare,
rivivere, quella sofferenza. Adesso era stanco, nemmeno
l’odio riusciva a tenerlo in vita, aveva qualche motivazione
per non uccidersi, ma in quei momenti, fatto com’era, non
riusciva più a capire quali queste fossero.
Per questo pensò di stare ancora seduto mentre invece si
muoveva, camminava.
Era la sensazione di essere nelle mani del destino.
Non poteva sottrarsi, in fondo era così bello assecondarlo,
impossibile da contrastare. Era una dolce seduzione in mezzo a
quell’angoscia.
Era...
...Master
of death...
il
Signore della morte
Take
my pitiful life
I am enslaved
I shall never forget the pain
Gli
ultimi versi erano stati giocati mentre il suo corpo era fuori dal suo
controllo e si era messo in piedi sul balcone della finestra del
secondo piano.
Non poteva sottrarsi anche se fino a quel momento era sempre stato lui
a decidere il suo avvenire e cosa fare... questa volta era troppo
forte. Era impossibile... combattere... finchè non
sentì due mani forti afferrarlo e strattonarlo buttandolo a
terra, strappargli dalle mani la chitarra, prenderlo a pugni ed infine
buttargli addosso un secchio d'acqua.
Spalancò gli occhi, prese un respiro a pieni polmoni come se
riemergesse da troppi minuti di apnea e tornò un istante in
se. Si rese conto di essere fra le braccia di Damien, il suo caro
amico, inespressivo come un ghiacciolo l'aveva preso a pugni
e aveva avuto una reazione del genere che non era da lui.
Giade ansimava e continuava a sudare. Non riusciva a parlare e gli
occhi erano verde chiaro ma arrossati con delle occhiaie violastre
mentre la pelle sul giallo. Gli aveva artigliato le spalle
aggrappandosi a lui con tutte le sue forze. Stava tornando in se piano
piano.
Il moro lo stava fissando stranito e spaventato, quasi.... un
espressione mai vista in lui. Chinato su di lui lo sosteneva in mezzo a
quel pantano lasciato dall'acqua che gli aveva gettato addosso.
- Con che diavolo ti eri fatto sta volta? -
Smarrito con voce stridula che non voleva tornargli disse:
- Diavolo? Non so come si chiamava questo, ma ci stavo per riuscire....
lo ucciderò…-
- Ma che stai dicendo? Giade ti rendi conto di cosa stavi facendo? -
Damien alzò la voce scuotendolo. Giade bagnato fradicio
chiese:
- Cosa? -
- Giade....ti stavi buttando giù dalla finestra del secondo
piano! Ti ho fermato per un pelo.... -
- Ah...dav...davvero? -
e senza riuscire ad aggiungere altro, completamente tornato da questa
parte e fuori pericolo, perse i sensi. Damien rimase solo col il suo
corpo pesante privo di sensi. Lo caricò sulle sue braccia e
lo mise sul divano, poi riflettendo pieno di brividi, prese con la sua
solita aria fredda a riordinare e pulire il cesso che c'era in quella
stanza. Non poteva star fermo ad aspettare che quell'idiota smaltisse
la droga presa. Non voleva nemmeno che Anastacia tornasse e trovasse
suo fratello in quello stato.... ma questa volta era preoccupato, molto
preoccupato.... ormai lo trovava in condizioni sempre peggiori, non
avrebbe voluto mai arrivare troppo tardi… mai.
Con un nuovo brivido chiuse la finestra.
Almeno per quella giornata ci sarebbe stato lui a vegliare.