Capitolo
10 : La favola mia
“Ogni
giorno racconto la favola mia,
la
racconto ogni giorno a chiunque tu sia
e
mi vesto da re per darti se vuoi
l’illusione
di un bimbo che gioca agli eroi “
Un’altra
giornata stancante di lavoro l’attendeva. Un’altra giornata piena di
finzione.
Un’altra
favola da raccontare a qualcuno che avrebbe incontrato, come la
maschera che indossava. Quella del ragazzetto simpatico, disponibile e
solare era la più frequente, preferiva essere così a lavoro.
Marek
accarezzò il gatto ed uscì come al solito vestito con abiti alla moda,
tutti rigorosamente neri, i capelli lunghi legati in una coda ed un
sorriso che non arrivava mai agli occhi, quegli occhi neri come pece,
come due onici.
Arrivato
in magazzino lasciò che gli addetti riempissero la sua auto di pacchi
mentre lui andava a prendere l’elenco dei clienti che quell’oggi
avrebbero ricevuto la sua visita. Lo fece quasi saltellando e con una
radiosità che aveva dell’esagerato, portò una nuvola di freschezza e
risa, lasciando il buon umore a tutti i suoi colleghi che non avrebbero
visto l’ora di incontrarlo di nuovo alla fine del turno. Sentiva tutti
i pensieri sinceri e positivi di quella gente e se ne beava. Del resto
anche se erano solo favole lui viveva di quelle, erano tutto ciò che
possedeva.
Tanto
che se avesse dovuto togliersi tutte le maschere che indossava, non
sarebbe più riuscito a trovare quella reale.
“E’
solo per sopravvivere. Va bene così!”
Incrociò,
proprio prima di salire in auto, una ragazza molto più grande di lui
che lo corteggiava… sapeva che aveva perso la testa per lui e si
divertiva a farle credere di stare alla sua corte serrata. In realtà
non gliene importava nulla.
Si
fermò a parlare con lei cordiale e quando le toccò casualmente il
braccio lei si tese arrossendo, mentre dalla sua mente captava il
chiaro e poco pulito pensiero che esprimeva il suo desiderio…
“Come
vorrei che mi toccasse di più…”
Marek
l’osservò curioso mentre un idea maligna l’attraversò.
“E
se facessi così, come reagirebbe?”
Si
avvicinò al momento di salutarla, si allungo verso di lei posandole un
bacio sulla guancia, poi portò le labbra all’orecchio e le sussurrò con
voce bassa:
-
Ti va di uscire stasera? -
Lei
si era subito irrigidita e arrossita come un pomodoro maturo, non aveva
avuto il coraggio di guardarlo. Lui piaceva molto alle ragazze ma non
ne aveva mai. Si limitava a giocarci. L’amore era fuori dai suoi piani,
una cosa inutile, che non l‘avrebbe mai aiutato a sopravvivere. Però il
divertimento non se lo negava.
Quando
riuscì a balbettare un ‘certo’ senza credere d’aver capito bene, lui
disse:
-
Allora ti passo a prendere io alle 8! -
Lei
avrebbe voluto chiedergli il numero di telefono e dirgli il suo
indirizzo di casa, ma rimase un’intenzione poiché lui veloce come il
vento salì in auto lasciandogli un veloce: - So dove abiti, tranquilla!
Mi faccio vivo io se ci sono problemi! -
Poi
partì lasciandola inebetita con la testa più vuota di uno
spaventapasseri.
Una
volta solo in auto rise di gusto schernendola: le donne per quanto
aveva avuto esperienza, erano tutte uguali, con la fissa dell’amore e
le farfalle in testa! Non si poteva contare su di loro per raggiungere
i propri scopi, nessuna gli sarebbe stata utile. Nessuna.
Quella
sera ovviamente si sarebbe guardato bene dall’andare da lei!
Non
ci avrebbe minimamente pensato e l’indomani si sarebbe divertito a
farle credere d’aver avuto chissà quale contrattempo terribile.
Giunse
così nella prima tappa, era uno studio legale. Ad aprirle venne una
ragazza tra i 20 e i 30 anni, una delle più belle fra quelle fin’ora
incontrate, di solito gli aprivano sempre gente che aveva un gran
brutto gusto nel vestire e nell’acconciarsi, ma soprattutto non
definibili come belle. Questa non era niente male. Marek la squadrò da
capo a piedi pensando che se proprio avesse dovuto svagarsi con una
ragazza, avrebbe preferito una come quella, così decise di tastare il
terreno e vedere che tipo fosse.
Per
prima cosa notò i suoi occhi azzurri, lo colpirono poiché erano simili
a due pietre preziose che si illuminavano; lo stesso riflesso aveva nei
corti capelli neri. Sentiva che era particolare. Lo sentì subito e
scambiò quell’idea con della sana attrazione.
“Bene,
ora so che sono normale, in fondo!”
-
Salve… posta per lo studio legale K&S. Posso lasciarlo a lei? -
Lei
non rispose subito e notò che si era come imbambolata a guardarlo, ne
fu compiaciuto, aveva fatto colpo anche su di lei. Provò a leggerle
nella mente e sentì qualcosa che non gli piacque.
“Questo
è un bugiardo cronico… una delle persone più false ed ipocrite che io
abbia mai incontrato… e pure un po’ bastardo, ma solo per hobby!
Assurdo! Mi lascia con un inquietudine addosso che ha dell’irreale.
Come lo sono anche i suoi occhi, tanto neri quanto abissali, ma non
tenebrosi, solo molto tristi. Mi lascia i brividi… mi sento spiata
nella mia intimità e nei miei pensieri… questo ragazzo legge.”
Se
fosse stato uno che si scomponeva per un nonnulla avrebbe mandato al
diavolo la sua immagine a cui teneva molto, ma non lo era e riuscendo a
digerire bene la notizia che lei in qualche modo sapeva tutte quelle
cose di lui, sorrise gentile e porse il pacco col foglio da firmare.
Lei non fece nulla ancora per un po’ e quando Marek la toccò si scosse
ritraendosi come se fosse stata scottata.
-
Mi scusi, ho forse la mano fredda? -
In
realtà era effettivamente fredda ma lei non si era scostata per quello.
-
N-no, niente… ecco… -
Sembrò
riprendersi e con un aria piuttosto pallida per la vicinanza con lui,
prese il pacco e si affrettò a firmare.
-
Karen, tesoro, tutto bene? -
Dall’interno
dello studio una voce femminile squillante ed allegra la richiamò così
rispose poco convincente:
-
Si, tutto ok… - Infine portò i suoi azzurri occhi in quelli neri di lui
e ancora brividi la scossero, dopo di che con un leggero cenno di
saluto della testa, aggiunse vaga: - Arrivederci. -
- A
lei e buona giornata. -
Ribatté
il giovane, non che gli importasse realmente che lei percorresse una
buona giornata, ma per abitudine faceva la persona educata e fintamente
interessata al benessere altrui.
Andandosene
si trovò stranito a sua volta a pensare:
“
Non sempre è un bene leggere nel pensiero… chissà chi è!”
Marek
ci avrebbe pensato per il resto della giornata e anche per quelle
successive.
Distinguere
la verità dalla menzogna, come l’amico dal nemico. Ecco cosa faceva
lei. Ma non era tutto lì, non si limitava a sentire una voce nella
testa che gli rivelava:
-
Verità, verità, verità!! – o – Menzogna, menzogna, menzogna!! -
Karen,
una stagista in quello studio legale, era un’empatica comune a molte
altre persone con questa capacità. C’era chi l’aveva poco sviluppata e
si limitava a sentire le sensazioni altrui e chi ce l’aveva molto più
sviluppata, come lei, riuscendo a capire con una sola occhiata la
persona che aveva davanti, inquadrarla con ogni dettaglio. Ed
ovviamente a distinguere la verità dalla menzogna.
Ormai
la sua testa non ne poteva più della verità!!!
Crudele
a volte, lei non riusciva più a capire la necessità di quel dono,
infatti se le si diceva una bugia lo capiva all’istante e allora doveva
a tutti i costi sapere la verità. Questo suo desiderio era più forte di
lei, ormai non riusciva più a controllarsi. Eppure sarebbe logica
pensare che con il tempo si acquisisce maggiore esperienza e padronanza
dei “ poteri” ma, per Karen, non era così.
Ormai
aveva passato la soglia dei vent’anni da tempo e incominciava a
preparare la tesi di laurea. Aveva scelto come facoltà giurisprudenza,
sperando di “smascherare i cattivi e liberare gli oppressi”. L’unica
spiegazione a quell’emicrania, che le sembrava dilaniarle la testa, era
che i bambini fossero più innocenti e sinceri degli adulti, i quali si
nascondevano dietro a menzogne e sporchi ricatti.
Il
mondo che conosceva lei non era più quello di una volta, ormai
corruzione, mafia, ipocrisia, bastava mettere insieme tutte queste cose
e associarle ad altre e veniva fuori la società.
-
Bel ragazzo vero? - Chiese Marta, la sua collega.
-
Mmh… -
-
Ma daiii, scommetto che avrà un mucchio di qualità, è bello e gentile…
-
-
Non ne sono convinta. -
-
Ho le pratiche, le vediamo? -
-
Subito... mmh... oh... cavolo! -
-
Che hai? -
-
Mi sono ricordata che a casa mia ho altre carte riguardanti il
processo, le leggevo ieri sera! -
-
Valle a prendere! -
-
Uff… -
-
Vai! -
-
Va bene Marta... Corro! -
Karen
prese l’auto e arrivò immediatamente al suo appartamento. Come aprì la
porta un tenero micino bianco soriano la stava aspettando sulla soglia,
Angel appena la vide le corse incontro. Quella micia per Karen era la
sua unica compagnia, era come un amica. Adesso però non aveva tempo di
giocare con lui, doveva prendere quelle noiosissime carte. Entrò nella
sua stanza, in stile interamente Giapponese, letto molto basso con
dietro l’immagine di una cascata, sul suo adorabile piumone giacevano
le carte incriminate, le prese al volo ed uscì.
Fu
per strada che rimase imbottigliata in un traffico astronomico
formatosi proprio da pochi minuti. Sbuffò guardando l’ora. Possibile
che dovessero capitare tutte a lei? Scese dall’auto per controllare che
succedeva e poche macchine davanti a lei le mostrarono un incidente
avvenuto da poco ed una folla intorno al probabile ferito.
Immediatamente sentì un invasione di sensazioni che la fecero sentire
poco bene, fra le altre si fece strada un brivido, lo stesso che
l’aveva attraversata in compagnia di quel ragazzo dai capelli e dagli
occhi neri. Corrugò la fronte e con un’idea che la lasciò in agitazione
corse nel punto facendosi largo fra la folla. Quando vide chi era le
prese un colpo.
Quel
ragazzo era fuori dalla sua auto accartocciata che aveva avuto un
frontale con un'altra finendo anche contro il muro di un palazzo.
Guardando la macchina tutti avrebbero giurato che del conducente non si
sarebbe trovato nemmeno un osso intero, ma così non fu e lo stupore
generale che sentiva derivava proprio da quello.
“Ma
come ha fatto a saltare già in tempo se la macchina correva tanto da
ridursi in quel modo? E a non farsi eccessivamente male! Chi è, questo
ragazzo?”
-
Tutto bene, ragazzo? -
Sentì
qualcuno chiederlo mentre gli comunicavano d’aver chiamato l’ambulanza.
Lui era seduto a terra e si teneva una caviglia. Quando alzò la testa
per rispondere con aria gentile, la vide, vide il suo stupore e glielo
lesse nel pensiero, così gli venne spontaneo un sorrisino enigmatico
prima di sfoderarne un altro che era uno sforzo dal dolore.
-
Ehi, ciao… mi ricordo di te… -
Disse
lui in direzione di Karen. Lei sussultò. Non voleva avere a che fare
con lui però stava male ed era comunque ferito, anche se non
gravemente. Così la ragazza si sforzò di essere gentile mentre le
persone intorno cominciarono a sfollarsi:
-
Vi conoscete? -
-
Si, non si preoccupi, mi aiuterà lei! -
Rigirò
la situazione come se i due si conoscessero da secoli e fossero amici,
in realtà lei avrebbe voluto andarsene ma qualcosa glielo impediva. La
sua coscienza?
Così
non capì assolutamente come ma si trovò a chiedere una giornata di
permesso e a portarsi a casa quel ragazzo che diceva di chiamarsi
Marek. Diceva, visto che non era il suo vero nome.
Cosa
era accaduto?
Se
lo chiese più volte e non trovò comunque risposta, ma sicuramente si
trattava della sua abilità con le parole e le bugie!
“Dietro
questa maschera c’è un uomo e tu lo sai…”