Capitolo
11: Fingendo
“Più
abbiamo più vogliamo
E’
questo che ferisce i nostri cuori
Ogni
situazione sempre si conclude in lacrime
Così
continua a fingere
Il
nostro paradiso merita l'attesa”
“Sono
solo un bastardo, niente di speciale. Avevo semplicemente calcolato
tutto nei dettagli, in modo da fare la parte della vittima e farmi
ripagare tutti i danni da qualcun altro, senza contare l’occasione con
questa donna. Se rimanevo mi avrebbero spedito in ospedale e lì avrei
passato dei guai, devo stare il più lontano possibile dalla giustizia,
fortuna che proprio oggi ho conosciuto questa donna. Non potevo perdere
l’occasione di conoscerla meglio. Lei sa troppe cose di me e devo
sapere come. Magari sarà un metodo un po’ esagerato ed azzardato, un
incidente, ma prendere due piccioni con una fava è la mia specialità.
Devo sapere come sa di me.
Devo.
Non posso permettere che mi scoprano. Assolutamente. Lavora in uno
studio legale e per quel che ne so potrebbe stare segretamente
indagando su me, potrebbe sapere chi sono in realtà. Se così fosse non
può continuare tranquillamente come niente fosse. Qualche giorno a
riposo mi permetterà di dedicarmi a me stesso nella giusta misura. Non
perderò più tempo del necessario ma mi darò da fare. “
Il
pensiero fisso di Marek ormai era quella donna, scoprire quale segreto
lei nascondesse e come lo conoscesse così bene.
Le
questioni erano due: o lei stava indagando su di lui e sui suoi mille
segreti (era il ricercato ladro di pietre preziose, non aveva l’età che
diceva di avere, aveva una falsa identità poiché si era impossessato di
quella di un altro ragazzo morto fatto spacciare per il vero sé
stesso…), o aveva il suo stesso potere.
In
entrambi i casi gli interessava. Nel primo avrebbe dovuto deviarla e
ingannarla a dovere in modo da mettersi a posto (e perché no, sparire
dalla circolazione se necessario), nel secondo sarebbe stato ben lieto
di avere una sua simile per sé, per non sentirsi più solo.
Uscì
dalla doccia che si era abilmente riuscito a fare e infilandosi un
accappatoio che lei gli aveva dato disponibile, ignorò i vestiti di
ricambio (i suoi erano sporchi e rotti) ed uscì dal bagno.
Karen
abitava sola con un gatto soriano bianco, chiamato Angel. Lui aveva
ironicamente sorriso quando l’aveva saputo, visto che ne aveva uno
identico solo nero e chiamato Lucifero. Il fato si divertiva a
lasciargli diversi segni, il tutto stava saperli leggere nel modo
giusto.
Si
era fatto portare da lei perché si sentiva male e viveva da solo, non
avendo amici o parenti sarebbe stato un problema stare solo proprio
subito dopo aver fatto un incidente simile. Siccome aveva sciorinato
una lunga storia strappalacrime per non essere portato in ospedale –
del tipo che tutta la sua famiglia era morta in mezzo ai ferri per
gravissimi incidenti e quindi aveva sviluppato una vera e propria fobia
per quei luoghi – si era magistralmente fatto invitare a restare da lei
almeno per qualche ora, il tempo di curarsi e rimettersi.
I
capelli bagnati erano annodati ma essendo troppo lunghi ed avendo
diverse contusioni ed un dolore alla spalla e al collo, non riusciva a
pettinarsi per cui con un aria timida e gentile, con la mente rivolta
al prossimo passo, chiese a lei di aiutarlo.
Le
si presentò così in accappatoio ancora bagnato mentre si asciugava la
lunga chioma, così in disordine era ancora più affascinante e il bianco
gli donava molto più del nero.
Karen
inghiottì pensando che fosse molto giovane ma ugualmente piuttosto
bello… con un che di sensuale e magnetico. Però la sensazione dominante
era proprio sgradevole. Se non l’avesse visto vittima di quel brutto
incidente non l’avrebbe mai aiutato, anzi, l’avrebbe liquidato in
fretta senza scrupoli, tuttavia aveva fatto tutto da solo e se avesse
dovuto ripercorrere gli avvenimenti dell’ultima ora non ci sarebbe mai
riuscita.
Lei
era un tipo che detestava i falsi ipocriti come lui. Non aveva idea del
perché lo fosse e nemmeno in quale misura, non riusciva a capire i
dettagli e le motivazioni, sapeva solo quando lo erano e per la sua
esperienza, ormai, tutti erano considerati bugiardi. Aveva sviluppato
una sorta di misantropia, un odio puro verso la gran parte della gente
di cui cominciava a farne di tutta l’erba un fascio. Con chi conosceva
faceva la civile e si controllava ma non aveva vere amiche o gruppi,
era asociale e diffidente, molto chiusa e spesso sgarbata e dura anche
se dal suo aspetto maturo e il linguaggio non lo si sarebbe mai detto.
Una
persona in linea generale molto difficile da avvicinare.
Lui
si era seduto disinvolto in una sedia porgendole la spazzola, manteneva
sempre dei gesti rigidi e spesso faceva smorfie di dolore; che avesse
veramente male non era in discussione, lei stessa quella volta sentiva
che almeno su quello diceva la verità, ma che la storia sulla sua
famiglia e sull’ospedale, per non parlare dell’incidente… bè, lì non
sapeva DOVE stesse la menzogna, però sicuramente c’era. Per questo lo
guardava male. L’incidente l’aveva avuto e si era fatto male ma che non
fosse innocente come la situazione l’aveva mostrato non poteva
ignorarlo.
Continuando
a guardarlo molto male, prese di malavoglia la spazzola e brontolando
fra sé e sé per il mal di testa che lui le provocava, iniziò a
spazzolare. Erano lunghi e anche se bagnati belli lo stesso.
-
Non ascolti musica? -
Cominciò
la conversazione parlando del più e del meno, ma lei impreparata
rispese solo con un vago:
-
Eh? -
Così
lui riprese:
-
Non ascolti musica? Non ho visto uno stereo in casa, a meno che tu non
lo tenga in camera… -
La
mora disse un ‘no’ secco ed infastidito, così lui allegramente continuò:
-
No, perché anche io abito da solo e siccome il silenzio a volte è
pesante e la televisione non dà grandi esempi di intelligenza, come
compagnia preferisco la musica… ma magari hai molte amiche e una vita
sociale attiva, per questo non ascolti musica… -
Karen
corrugò la fronte, si sentiva sotto indagine e non le piacque così
tagliò corto:
-
Non l’ascolto e basta! -
Lui
però non si perse d’animo, cominciava a capire che tipo fosse e con la
lettura dei suoi pensieri presto ebbe una visione completa della
ragazza.
-
Capisco…t roppi impegni per rilassarsi, vero? Sei all’ultimo anno di
giurisprudenza? -
-
Perché? -
-
Sei giovane, non credo tu sia già laureata e praticante… fai lo stage
in quello studio legale, vero? Fra l’università e lo studio sarai molto
impegnata e stressata, quindi uscirai per svagarti e il tempo che passi
in casa sarà limitato ed irrilevante… o per lo meno così immagino. -
Lo
diceva con un aria sorniona che la infastidì, come la infastidivano
tutte quelle parole che snocciolava con un’abilità impressionante. Era
un tipo furbo e sentirsi spiegare quasi alla perfezione la propria vita
la shockava.
-
Mi spii? -
-
Ci ho preso? -
Avrebbe
voluto dirgli che lo sapeva già dall’inizio, ma preferì optare per
qualcos’altro, sempre scocciata e sbrigativa:
-
Non su tutto. Sono solo molto impegnata e stanca, non ho tempo di avere
una vita sociale… -
Lui
sorrise:
-
Capisco… il caos e la troppa gente non ti rilassa, preferisci il
silenzio e la solitudine… -
Avendo
colpito a pieno nel segno si sentì ancora una volta letta nel pensiero
e cominciò a formarsi l’idea che avesse qualche potere strano. Tipo
telepatia…
Terminò
il suo lavoro così posò la spazzola e andò a rifugiarsi nella propria
poltrona preferita rannicchiandosi abbracciandosi le ginocchia. Notò
Angel strusciarsi fra i piedi del ragazzo che si alzava girandosi verso
di lei. Si era chiusa del tutto in un ostinato mutismo.
-
Non mangi? Non vorrei disturbare ma con questi giramenti di testa forse
è meglio se metto qualcosa sotto i denti… -
Gli
occhi azzurri di lei scrutarono concentrati quelli neri di lui, lo
studiò per un attimo. Diceva la verità? La testa gli girava veramente?
“Si…”
Sentì
la consueta voce di rivelazione, ma non se la sentì di fare la gentile,
così disse bruscamente:
-
Io non ho fame, non cucino molto bene, se vuoi ti ordino qualcosa
intanto che ti vesti e ti stendi… sono certa che dovevi andare in
ospedale! -
Lui
così fece il solito sorriso di gratitudine:
-
Ti ringrazio tanto, sei la mia salvezza… ma l’ospedale no, non ce la
farei mai ad affrontarlo… ci starei peggio. Passerà presto, suvvia.
Vada per la cena per asporto, ma dovresti mangiare anche tu, non hai
bisogno di dimagrire! -
Già,
decisamente troppo cordiale e socievole.
-
Preferenze? -
Avrebbe
voluto vomitare per la quantità di balle che in quella frase le aveva
sparato. Stupido ragazzino… chiunque lui fosse l’odiava con tutto il
cuore, ma la buona educazione e la bontà di fondo del proprio cuore le
impediva di cacciarlo di casa. L’unica cosa vera era che stava male!
-
Il cinese mi piace molto, è più sano e nutriente di quanto la gente
pensa! -
La
voce gli stava tornando allegra, così la sua emicrania aumentò. Prese
il cellulare e l’elenco del telefono e senza nemmeno guardarlo, con un
antipatico: - Ora vestiti o ti ammali! - lo liquidò. Marek non si perse
d’animo nemmeno un minuto.
Si
avvicinò e ammiccandole malizioso, dopo aver letto un imbarazzo nel
timido pensiero di Karen, disse:
- O
magari rischio di sedurti, no? Se fossi un maniaco che ha architettato
tutto nei dettagli per poterti violentare, sarebbe un gran bel
problema, dal momento che mi hai fatto entrare spontaneamente! -
Non
lo disse facendole venire i brividi ma sentì che stava scherzando, per
cui lo fissò male ma non più del suo massimo. Si sentì a disagio perché
ancora una volta aveva avuto la sensazione di nudità. La sua frase era
identica al pensiero che aveva avuto solo un secondo prima.
-
Non credo di correre questo pericolo, non sono indifesa e visto che sai
tutto dovresti sapere anche che faccio sport di difesa. Lo indovini? -
Non
sapeva perché d’improvviso le era venuta voglia di metterlo alla prova,
a lui piacque e con un sorriso enigmatico e una luce strana nello
sguardo, si fece scivolare volontariamente l’accappatoio per scoprirsi
parte del petto e la spalla, poi con la bocca a cuore disse:
-
Kick Boxing? -
Lei
fece fatica a far finta di nulla, in realtà l’avrebbe volentieri preso
a pugni, suo malgrado disse solo:
-
Sì! -
Con
l’imbarazzo per averlo così vicino e sentire il contrasto con l’odio
per la falsità di cui era padrone e la forte attrazione, distolse lo
sguardo pensando:
“Che
sia come me anche lui? No, è diverso. Io non so nessuna motivazione o
dettaglio che muove le persone, so solo quando sono veri o falsi. La
mia capacità è troppo generica, così tanto da farmi impazzire ed odiare
tutti gli adulti! Dio, che esasperazione. Lui deve avere qualche altra
capacità, magari c’entra come me con l’empatia… o chissà… vorrei
saperlo ma prima di tutto vorrei la smettesse di studiarmi e spiarmi.
Che se ne andasse!”
Non
le servì parlare, lui assunse un’inspiegabile aria vittoriosa e se ne
andò di nuovo in bagno a cambiarsi.
Perfetto.
Come
lo era l’immagine di Karen. Chiara e completa la sua analisi.
“Non
avrei mai pensato che lei avesse un’empatia così particolare… è una
capacità interessante! Voglio saperne di più, ma per oggi basta così.
Mangerò con lei e farò sì di diventarle amico… che sia intenzione pura
o doppiogiochista non avrà importanza. Io conosco il suo segreto e lei
il mio no, questo è ciò che conta. Posso gestirla ed usarla come mi fa
più comodo! Vediamo di divertirci un po’!
Karen
è una persona molto particolare. Soffre il proprio potere, lo odia con
tutte le sue forze, non è proprio misantropica, odia più sé stessa, si
disgusta di far parte di una razza così meschina e schifosamente
bugiarda. Non capisce che spesso le persone sono costrette. La sua
croce è il non riuscire a leggere più nel dettaglio in loro, non riesce
a capirle. Sa che mentono ma non perché e questo l’ha fatta diventare
dura ed intransigente. Si nega tutto, penso perfino l’amore, poiché è
una fiamma che non può essere domata e tuttavia le persone sono sempre
sue spontanee prede. Non sono quelli come noi da biasimare, abbiamo
solo un dono che ci impedisce di provare fiducia negli altri. In fondo
io e lei siamo molto simili. In fondo fiducia è una parola che tutti
gli innamorati conoscono, si capisce che lei non lo è mai stata e
nemmeno io.
Eppure
non siamo noi quelli da biasimare, chi l’ha detto? Quale voce nella mia
testa me l’ha trasmessa, questa frase? Più abbiamo e più vogliamo, è
questo che ferisce i nostri cuori. Ogni situazione sempre si conclude
in lacrime così continuiamo a fingere. Ebbene sì, anche lei lo fa a
modo suo e se se ne rendesse conto probabilmente cadrebbe in crisi
uccidendosi. Sarà anche più grande di me ma deve farne molta di strada!
Non capisce che il nostro paradiso merita l'attesa.
Basta
continuare così, per me. Continuerò a fingere e raggiungerò il mio
desiderio.
Quando
i dubbi nascono il gioco inizia, lei ne è piena. Io sono diverso in
questo, non ho dubbi e nemmeno domande. Quand’esse arriveranno le
accoglierò, intanto continuerò a prendere quel che viene vincendo in
ogni modo possibile, non concluderò mai in lacrime, non soffrirò
vivendo così. Non mi ridurrò come lei!”