Capitolo
12 : Sogni
“La
mia vita sta cambiando in ogni possibile direzione”
Era
passato altro tempo ed ecco l’informazione che gli serviva.
Uno
dei suoi colpi più grossi e difficili era pronto, ogni più piccolo
dettaglio era stato progettato minuziosamente, non mancava nulla, era
perfetto.
Il ragazzo dai lunghi capelli neri come la tenebra che
si rispecchiava nei suoi occhi, si stava preparando.
Quella notte
nelle sue mani avrebbe stretto un'altra delle sue pietre.
Indossò
i suoi abiti di pelle nera che aderivano al corpo magro e sottile.
Davanti allo specchio prese a pettinarsi con cura quella lunga seta
nera. Quel suo aspetto effeminato spesso aveva portato la gente a
confonderlo con una ragazza e lui capendolo, tutte le volte che
accadeva, amava prendersi gioco di loro. Sorrise ricordando le
figuracce che spesso faceva fare alle persone, un sorriso che sapeva
di poco raccomandabile ma al tempo stesso triste e lontano… vuoto…
ciò che i suoi occhi mostravano. Si legò i capelli in una coda
bassa e molla, poi indossò sulle spalle lo zaino con dentro gli
accessori che gli sarebbero serviti e dopo una breve carezza al suo
gatto dal lungo e morbido pelo nero, aprì la finestra e si lasciò
dolcemente cadere nell’oscurità notturna.
Il ladro Black Onyce
era in azione.
Confuso con il cielo nero, veloce come il vento
correva fra i vicoli bui della città, senza sosta, senza stancarsi,
senza essere visto e percepito… una creatura della notte.
Affascinante e pericoloso.
Arrivò a destinazione senza
intoppi nell’ora da lui stabilita.
Il ragazzo, che si
confondeva con la natura buia circostante, lesse il campanello del
cancello per pura abitudine, in realtà sapeva benissimo di chi fosse
quella lussuosa abitazione… dei Farquhar, una famiglia di antico
lignaggio, ora ricchissimi imprenditori dall'infallibile fiuto per
gli affari, da sempre colti mecenati e collezionisti.
Aveva
creato un diversivo e atteso che il guardiano nel gabbiotto davanti
al cancello si assentasse. Al momento giusto, senza esitare, scavalcò
il muro di cinta ed entrò nel giardino ampio orientandosi
perfettamente: sembrava conoscesse già ogni minima parte non solo
del giardino ma anche dell’interno.
Leggero e veloce come un
lampo arrivò al passaggio da lui adocchiato per entrare. Come
previsto tutti dormivano, o quasi, sarebbe stato facile.
In breve
attuò il suo piano secondo le conoscenze e ciò che aveva
progettato. Ogni singola parte curata nei minimi dettagli… pur
essendo solo se la cavava molto bene.
Con espressione seria e
concentrata, lontana eppure carica della consueta tristezza che
albergava in quell’essere, compì ogni azione necessaria fino a
riuscire ad impadronirsi della pietra di onice nera: appariscente e
meravigliosa, molto bella ai suoi occhi, incantevole, insostituibile.
Notò che dove c’era quella sua pietra ce ne erano altre, tutte più
o meno preziose… fu attirato da alcuni tipi, non se ne spiegò
nemmeno lui il motivo: erano il rubino, l’ametista, la giada, il
diamante, lo smeraldo e i lapislazzuli. Assurdamente rimase un attimo
più del previsto a fissarle, imbambolato quasi. Che gli succedeva?
Sentiva qualcosa, proprio lui… era un richiamo… veniva da quelle
pietre custodite insieme ai gioielli e alle cose preziose della
casata; era come se delle voci antiche, ma vive più che mai,
attraverso le pietre gli stessero parlando… che anche le cose
possedessero un'anima ed un pensiero che si trasmetteva a lui? No,
impossibile… ma allora quelle pietre che lo attiravano così?
Delle voci, in questo caso umane e chiarissime, lo distrassero
facendolo tornare in se. Era stato tutto perfetto fino a quel
momento, come progettato dalla sua mente geniale, peccato che per
quella sua esitazione da ipnosi rischiava di mandare tutto a farsi
friggere!
Doveva
sbrigarsi, aveva indugiato troppo. Black Onyce chiuse la cassa e
ripose nel suo zaino la pietra che gli interessava.
Ancora una
volta non si spiegava come mai il suo istinto dovesse sempre
spingerlo in quel modo a cercare le pietre di onice nera, era una
cosa incomprensibile e talmente irrazionale, però ormai aveva smesso
di chiederselo; molti al suo posto con un potere simile ed un passato
così strano e tutti quei misteri che si collegavano alla sua
esistenza, si sarebbero chiusi e tormentati per ciò che gli
accadeva, rifiutando e vivendo malissimo, eppure a lui piaceva…
piaceva tutto, la sua vita, quello che gli era accaduto, il suo
potere, la sua abilità, la sua intelligenza… forse era oltremodo
narcisista ed egocentrico, ma se non fosse stato così sarebbe stata
la fine per lui. In fin dei conti il cinismo e la cattiveria che
mostrava alle sue vittime era un bene per la propria stabilità
mentale… e quel fondo di tristezza diceva più di mille parole e
azioni.
Attese che le persone dietro la porta andassero via,
quando sentì il silenzio e vide le luci spente uscì leggero e
silenzioso. Come mai c’era tutto quel traffico a quell’ora di
notte? Maledizione, non sarebbe potuto tornare indietro da quella
parte.
Cercò
una stanza isolata con una finestra accessibile.
Sentendo
ancora voci e persone che si avvicinavano entrò in una stanza a caso
e stette a sentire quel che accadeva.
Si voltò e notò che era
capitato in una camera da letto, facendo più attenzione vide che il
materasso era occupato, imprecò mentalmente mantenendo però la sua
gelida calma e il sangue freddo. Sembrava dormire, bastava non fare
confusione.
- Kuon, lasciala riposare là, vedrai che non è
nulla… tu sei esagerato… -
Una voce femminile e composta si
udì da fuori la stanza. Black Onyce trattenne il respiro, sperava
non parlassero proprio del tipo che dormiva nel letto e che non
fossero nemmeno entrati.
- Ma Lidys… stava male… io l’ho
portata qui perché non voleva che la portassi da un dottore… ma tu
devi fare qualcosa di più che farla riposare in una camera! -
L’altra voce era maschile e più agitata… se continuava ad
urlare avrebbe di sicuro svegliato il ragazzino.
- Le ho fatto
bere una tisana con erbe rilassanti, ora è normale che il dolore
scemi pian piano e che dorma… lasciala stare! -
- Ma… Dymond…
prima a casa stava così male che… mi ha fatto prendere un colpo! -
- È normale, è incinta, cosa credi!… si vede che non te ne
intendi… -
- Infatti l’ho portata qui! Per me la tisana non
basta… -
Sospirò.
- Kuon… non è una normale tisana,
vuoi star tranquillo? Lasciala qui stanotte e vai a dormire anche tu
o fatti un giro per calmarti… sei stressante, sai?! Starà bene,
su! Fidati, mi occupo io di lei… tu però togliti di torno per un
po’, sei troppo apprensivo! -
La voce della donna divenne più
dolce e rassicurante.
Lidys fin da giovane, essendo nobile, era
stata mandata nelle scuole dei saggi della sua epoca ed aveva
acquisito il sapere che da essi si poteva apprendere: dalla geometria
all'astronomia, dalla poesia alla filosofia fino all'aurorale
medicina dei suoi tempi… tutte conoscenze che aveva di molto
ampliato, perfezionato ed approfondito grazie ai suoi studi nei
secoli seguenti. Era sempre stata un'esperta di erbe e quindi
prediligeva la medicina omeopatica, in ogni caso a Dymond aveva dato
una semplicissima tisana per rimetterle a posto lo stomaco; a Kuon
non aveva raccontato tutta la verità per non agitarlo ulteriormente,
in seguito avrebbe visitato Dymond per quanto le era possibile in
modo da controllare che la gravidanza stesse procedendo bene. Non ne
dubitava ma la trovava strana: nonostante l'indubbio rifiuto
psicologico della ragazza, quel corpo che sapeva mutare non aveva
abortito la nuova creatura…
Black Onyce non si preoccupò della
risposta visto che i due si stavano allontanando.
Si voltò verso
il letto e quasi gli prese un colpo osservando chi si trovava seduta
sul materasso avvolta da lunghissimi capelli che si riflettevano
degli stessi raggi argentati della luna che l'accarezzava dalla
finestra aperta. Prima pensava fosse un ragazzo, aveva i capelli
corti e neri e l’espressione indurita era proprio quella di un
ragazzino, ma ora che era seduta e sveglia sembrava tutt’altro: una
ragazza e anche molto bella e particolare… i lineamenti femminili
diversi da prima e i capelli lisci del colore lunare. Effettivamente
ora i conti tornavano.
Si avvicinò un po’ a lei per
assicurarsi che fosse sveglia o che magari fosse sonnambula, non
riuscì a capirlo. Aveva gli occhi aperti e dalla finestra filtrava
la luce che gli rifletteva quel colore insolito ma meraviglioso,
perfino i suoi occhi sembravano argentati ma nella penombra non
poteva esserne sicuro. Lei era sotto la luce che giocava con le ombre
sul suo corpo, lui invece era completamente al buio.
Non gli
rimase che inginocchiarsi davanti a lei per arrivare all’incirca
alla sua altezza. Era davanti alla ragazza ma lei si ostinava a non
avere nessuna reazione; era tutto così strano… insolito… e
quello che sentiva mentre le si avvicinava era la cosa più insolita
di tutte: un senso di… legame… unione…
- Chi sei? -
Sentì
dire.
Era una voce inespressiva e incolore.
- Un sogno… -
Sussurrò adeguandosi all’atmosfera magica che c’era in quella
stanza: - Un sogno chiamato onice nera… -
Lasciò un attimo di
silenzio. Lei sembrò catturarsi in quel sogno…
- Posso sapere
il tuo nome? -
Lei non rispose, aveva posato gli occhi sulla
pietra che aveva al collo, la sua onice a forma di goccia. Così
anche lui non poté fare a meno di notare il diamante piccolo che
portava a sua volta in una catenina argentata.
- Tu sei il
Diamante? -
Era come il dialogo in un vero sogno fra un principe
e una bambina; era affascinante, non sembrava mentisse… sembrava
così sincero…
- Perché sei triste? -
Chiese lei. Era
strano come si interessasse ad uno sconosciuto ritenuto frutto di un
sogno… era una cosa che andava oltre la comprensione.
Queste
parole lo colpirono come uno schiaffo, lui non si era mai ritenuto
triste, anzi, pensava di essere appagato e contento della sua vita.
Sorrise malinconicamente senza rendersene conto e istintivamente si
slacciò la coda lasciando i propri capelli neri sciolti lungo la
schiena, prese il nastro nero che li aveva legati fino a quel momento
e lo avvolse ai capelli di lei in una coda più bassa della sua
lasciando qualche ciocca sfuggente. Sorrise ancora e mormorò:
-
Non lo so… e tu? -
- Io…? Non sono triste… sono vuota… -
- Ti lascio un regalo per ringraziarti di stasera… -
Ringraziarla per cosa?
Non lo sapeva, sapeva solo che voleva
lasciarle qualcosa di suo senza chiedere nulla in cambio perché
quella specie di sogno li aveva legati come se lo fossero stati da
sempre.
Loro due come altri cinque.
Si alzò e andando alla
finestra uscì come volando, lasciandosi cadere senza nulla
aggiungere, come una folata di vento. Dymond rimase a guardare fuori
senza come nei suoi sogni di bambina, dove si immaginava che un Peter
Pan arrivasse solo per lei a portarla nell’Isola che non c’è per
vivere una vera vita felice e spensierata come mai lo era stata
veramente.
Non capendo dove finisse il sogno e iniziasse la
realtà si addormentò appoggiata sul balcone della finestra aperta
dalla quale il vento entrava catturando i suoi fili argentati fino a
farli volare molto elegantemente.
L’indomani quando Kuon
sarebbe tornato l’avrebbe trovata addormentata in quella posa
infantile e quello sguardo che sembrava tornato indietro negli anni
quando era ancora bambina… e fra i capelli quello strano nastro
nero… un mistero…