Capitolo 13 :
Soli indifferenti


there is an overcoming sense of failing
if you never can see the end
in the giving of our hope eternal
we stumble blindly and forget the way
[Indifferent Suns - Dark Tranquillity]


Il fatalista è colui che attende passivo, subendo la realtà e gli eventi perdendosi nella corrente del tempo, convinto che sopra di noi agiscano forze impossibili da contrastare, capaci di decretare ciò che deve essere, inderogabilmente. Il pensiero di Lidys coincideva con questo: aspettava qualcosa di più alto riguardo il suo destino, convinta che il volere di potenze cosmiche l'avrebbe condotta e le importava ben poco se quello sarebbe stato un cammino verso la gloria o il martirio. Il desiderio di liberazione era predominante, pregava quindi perchè quel qualcosa le venisse manifestato, non considerando che forse, se è vero che non siamo noi a costruirla e sceglierla, la via da seguire ci viene svelata pian piano.
Riusciva a tollerare l'angustia del vivere giorno per giorno solo grazie alla speranza e alla fede nella misteriosa entità chiamata fato. Il suo credo la faceva rimanere senza nessuna destinazione o impulso preciso, preda di un sottile smarrimento e di una perpetua inquietudine; moti d'animo che per assuefazione ed una forma di masochismo trovava quasi piacevoli o se non altro parti integranti di sé stessa.
Seguiva cieca la sua famelica sete di verità e di scoperta, la sua ossessione verso l'odiata immortalità, la fonte del suo torpore spirituale e sentimentale: mai pigrizia fisica o intellettuale... studi, viaggi, occupazioni, con essi riempiva ed intontiva la sua mente rendendola insensibile o incapace di concentrarsi sul resto. Era così che doveva essere, troppo presa da altro per sondare il suo profondo, aveva terrore di quello che avrebbe potuto trovarci o mancare. Cos'era di quell'anima che non voleva far parlare? Marciva.
La sofferenza dovuta a Lieron si era ridotta a una scusa pietosa per non affrontare gli altri, bloccata dal suo perenne temere e cautelarsi; incapace di agire per troppi cerebralismi i quali infondo non erano altro che un ennesimo meccanismo per evitare di fare i conti con se stessa e guardarsi dentro. È più comodo vestire il ruolo della vittima e piangersi addosso, l'importante per Lidys era non darlo a vedere, non attirare l'attenzione: all'esterno cordiale, amabile, tranquilla, in disparte; fingere, simulare, fino a credere lei stessa alla menzogna. Mai legarsi. Mai chiedere aiuto. La vita doveva sfiorarla solo di striscio, doveva sentirne solo lo strascico. Ma era paura la sua, inettitudine; e più rimaneva con Kuon, più lo capiva... lui le vedeva attraverso, lui vedeva quella desolazione. Tradimento o no, dopotutto doveva ammettere, che il fatto che suo fratello se ne fosse andato non le dispiaceva davvero, il loro rapporto così era diventato più sereno. Per quanto Lidys lo amasse, per quanto sapesse che l'idea della presenza di suo fratello la faceva sentire sicura le capitava di attaccarlo senza una ragione evidente. Irragionevole a dirsi, ma le faceva male stare troppo a lungo con lui, perchè ammirava, invidiando, l'uomo che era, come sapeva prendere la vita e la gente; le faceva male come lui sapeva entrare prepotentemente nel ruolo della coscienza che lei tacitava di continuo, i rimproveri del suo gemello erano duri, le sue parole piene di verità e lei non voleva sentirle nè tantomeno vedere in un'ottica diversa rispetto quella con cui scrutava il mondo da troppo, troppo tempo: una visone confusa e limitata che le permetteva di giustificare la sua accidia. La contraddizione sulla quale si basava la sua esistenza Kuon, anche senza volerlo, gliela sbatteva davanti, ecco così vacillare tutto ciò su cui il suo malsano equilibrio si reggeva: dentro di lei desiderava appartenere a qualcosa e qualcuno ma la sua conflittualità interiore, a tratti irragionevole, di sicuro paralizzante, la tratteneva.
Lei colpevolizzava quell'eternità morta: era quel maledetto, interminabile tempo ad averla spenta, anestetizzata, resa incapace di prendersi cura del suo spirito. In certi casi nemmeno la saggezza può aiutare davvero a razionalizzare. Non riusciva a trovare sollievo. Fallimento, scontento, senso di irrealizzazione, pungente malinconia: se la opprimevano più acuti del solito, se era colta da momenti di disperazione, allora cercava certezza e consolazione in suo padre, o meglio nel vivo ricordo del suo genitore. Era un gesto che riservava solo a particolari situazioni in cui la negatività la soffocava; era un gesto che compiva raramente, per non diventarne indifferente, come era diventata indifferente a molte cose.
Così accadde un pomeriggio. Lidys stava coricata a pancia in giù su un plaid steso nel prato del meraviglioso giardino dei Farquhar (una delle famiglie discendenti dai parenti di Lidys e Kuon; gli ultimi anni lei li aveva passati da loro), leggiucchiava oziosa un libro senza in realtà prestare attenzione alle frasi che scorrevano sotto il suo sguardo; infatti da tempo assieme a tutte le vecchie sensazioni di malessere, nuovo spazio era stato occupato da uno strano formicolio vitale, da un intenso turbamento, da un'agitata sospensione che lei non sapeva classificare: torturavano la sua testa e la rendevano incapace di far nulla o concentrarsi su qualcosa da più settimane ormai. In questo stato emotivo rientrò nella villa dei suoi ospiti, andò nella sua stanza e da una cassapanca tolse un prezioso manoscritto antico: il libro rappresentava il suo porto sicuro, oblio momentaneo per scrollarsi di dosso l'insopportabile. Si diresse alla biblioteca della lussuosa abitazione, il luogo che lei preferiva in assoluto. Sedette al tavolo centrale, un mobile d'antiquariato. Invece di servirsi della luce artificiale creò un'atmosfera intima tirando le tende e accendendo svariate candele. Iniziò a sfogliare il manoscritto: si trattava di un tomo di magia, era appartenuto a suo padre, agli occhi di Lidys lo rappresentava particolarmente e lui stesso, in vita, lo trattava con sacralità, allo stesso modo, ora, lo considerava la figlia. L'immortale serrò le palpebre e iniziò a sfogliare le pagine: presto visioni passate di suo padre le passarono nella mente, simili a brevi filmati; una sensazione di calore la invase, nostalgia e tanti altri sentimenti infantili di quando non conosceva ancora la sua situazione; in quelle visioni capitava che ci fosse anche lei in varie età, poi di seguito emergevano dolci ricordi di quei tempi.
Quando ne ebbe a sufficienza del suo confortante salto nel passato, smise di esercitare la retrocognizione e fece scorrere con cura fra le dita le ultime pagine del manoscritto. Improvvisamente, al contatto con uno dei fogli finali, trasalì, il suo corpo percorso da una sensazione intraducibile. Stranita, si mise ad osservarlo meglio, l'aveva già visto molte volte e non era affatto mutato dall'ultima: da una parte la facciata scritta fitta ed ornata al limitare, dall'altra una miniatura che rappresentava uno specchio nero. Quel disegno l'attraeva da sempre, bellissimo e particolareggiato, rendeva davvero sinistra la riproduzione, seppur stilizzata, di quell'oggetto usato per incantesimi ritenuti proibiti e maligni.
Inconsapevolmente il suo sguardo si fissò sulla miniatura. Senza accorgersene ne venne totalmente risucchiata: non agiva più padrona di sé stessa, il suo viso si avvicinò al libro, fino a toccare la carta, come attratto da una calamita. Non era più l'immagine del foglio ad occupare la sua visuale: prima, immersa in un grumo oscuro, non vedeva niente, poi lentamente uscì dal nulla opaco per trovarsi al cospetto di quell'oggetto...lo specchio rappresentato nella miniatura...ma vero, ammaliante e spaventoso all'inverosimile. Se fosse realtà o una diabolica suggestione Lidys non se lo domandò nemmeno perchè del tutto privata delle sue facoltà di cognizione. All'interno del fluttuante fumo nero pece che colmava lo specchio magico, non ne era sicura, ma le pareva di scorgere una sagoma. Nel silenzio più totale, una voce cupa e cavernosa, sepolcrale quasi, le si insinuò in testa, un eco seducente che rimbombava dentro di lei, che la esortava a lasciarsi andare, la invitava a far emergere il suo lato oscuro. Le stesse parole ripetute all'infinito, si tramutarono in un sussurro costante e carezzavole alle sue orecchie...parole che la blandivano e la conquistavano con l'inganno e la lusinga. Più le sue resistenze interiori crollavano, più quella sagoma prendeva forma, le sembianze di un uomo. Solo grazie ad fortuito flash di suo padre, Lidys riprese in qualche modo coscienza di sè: si riebbe con un enorme sforzo di volontà quando era proprio sul punto di essere avvinta per intero dalla tenebra e di scoprire i tratti quell'uomo.
Chiuse di scatto il libro, allontanadolo malamente da sè, provando per esso ora solo repulsione e rifiuto. Si alzò dalla sedia e si precipitò fuori dalla biblioteca domestica di corsa; frenetica e impacciata, prese la chiave, smaniando. Sbattè frettolosa la porta e la serrò. Fuori dalla stanza, poggiò la schiena contro la superficie lignea in trepidante attesa. Credeva forse che qualcosa potesse uscire da quelle vecchie pagine? Non accadde più nulla. Sudata, si lasciò scivolare al terreno. Accostò al petto le ginocchia, poggiandoci sopra la testa, serrando gli occhi, cingendo le gambe con entrambe le braccia.
Emozioni contrastanti ed incontrollate si facevano strada dentro di lei. Ansia. Diffidenza. Indugio. Adrenalina. Aspettativa. Aveva paura sì, eppure si malediva per non aver atteso, provava attrazione per quell'essere che non aveva visto chiaramente, non sapeva spiegarne la ragione, eppure era sicura che lui custodisse qualcosa per lei.
Mentre si liberava gradualmente dalla tensione accumulata interrogativi le si posero. Cos'era davvero quella sagoma scura? Chi era quell'uomo? Era successo sul serio, o quell'esperienza era stata frutto della sua fantasia? No... sensazioni troppo vive, vere, palpitanti. Doveva di certo essere un avvertimento, un messaggio.

Si svegliò piuttosto scossa dallo stato di dormiveglia nel quale era caduta. Controllò l'orologio. Mancava ancora un'ora e mezza abbondante di viaggio prima di arrivare a Stonehaven.
Di nuovo. L'aveva sognato ancora. Era successo sul serio e lo ricordava chiaramente, lo rivedeva ogni notte in sogno e l'aveva rivissuto l'unica volta che aveva toccato di nuovo quel manoscritto...e subito dopo il libro di incantesimi aveva preso fuoco da solo, davanti ai suoi occhi increduli. Stupidi, erano solo degli stupidi gli uomini che non credevano al soprannaturale.
Non c'era più modo di ignorare quei richiami: l'improbabile autocombustione, la voce che più d'una volta s'era fatta sentire e della quale poi a Kuon non aveva rivelato niente, le sensazioni così forti e indefinibili provate per il coinquilino di suo fratello, l'incontro con la strana ragazza dai capelli bianchi...le pareva le dicessero di staccarsi dal passato, era arrivato il momento. Davanti a tutto questo non poteva più chiudere gli occhi e girarsi come se nulla fosse, come se non la riguardasse davvero. Era finito il tempo della vigliaccheria, ciò che aveva sempre sperato si era manifestato, dentro di lei lo sapeva, non poteva più schermarsi con l'idecisione e il timore.

L'ultima resistenza era caduta.

"Anche l'ametista diventerà mia...
...piegata al mio volere...
ogni singola pietra sarà in mio possesso."