Capitolo 2 : Smeraldo e Ametista

"Il cammino interminabile,
senza fine sono i perchè,
quando il tuo tempo corrisponde all'eterno.
Ora che l'attesa si è conclusa,
il momento è giunto per un destino promesso!"

Parole. Parole che tutti e due avevano percepito. Echi. Echi rimasti a fondo impressi nelle loro menti. Udite contemporaneamente, un oracolo per entrambi; eppure questo lo ignoravano come di quelle parole profetiche entrambi ignoravano la provenienza.
Kuon e Lidys: nomi unici per due individui altrettanto singolari.
Benché il loro aspetto non lo palesasse per nulla, i due erano gemelli: sui venticinque anni, ma, visti i loro caratteri così all'opposto, si può dire che l'età, amore fraterno escluso, fosse l'unica cosa ad accomunarli.
La loro capacità di adattarsi, almeno superficialmente, ai mutamenti si era fatta così raffinata che a prima vista non l'avreste neppure immaginato tanto era assurdo, eppure dietro il look da metallaro truce di Kuon e l'aspetto normalissimo di Lidys, si nascondeva un ulteriore e nient'affatto trascurabile particolare che li legava: possedevano una caratteristica che taluni gli avrebbero di sicuro invidiato, Kuon e Lidys erano esseri che tutti concorderemmo nel definire mitici: erano due immortali. Proprio per questo la loro persona emanava un fascino del tutto particolare, inesplicabile ed antico, rispetto al quale la gente, benché ignara della loro natura, non rimaneva mai indifferente: c'era chi ne era attratto e chi, al contrario, mostrava loro una certa diffidenza; li avevano etichettati nei modi più svariati: strani, intriganti, eccentrici, stravaganti; con accezioni positive o negative a seconda del caso e dell'epoca.
I due gemelli si trovavano a questo mondo da anni incalcolabili, erano figli di un sovrano dei tempi eroici divenuti leggenda, che fu pure uno stregone ed un guerriero; e di una donna che non avevano mai conosciuto. La madre, infatti, morì quando loro erano stati troppo piccoli per ricordarla; gli unici doni materiali che lasciò loro, secondo i racconti del padre, furono due pietre, una ciascuno, minerali che rispecchiavano i colori delle loro iridi: l'ametista e lo smeraldo.
Questo per lo meno fu ciò che venne loro tramandato.
La verità era ben altra visto che quelle due pietre furono trovate dal re insieme ai due neonati in fasce, trovati davanti al suo regno in piena notte tempestosa. A spingerlo a tenerli fu il fatto che non avrebbe mai potuto avere figli. Ma questa verità venne nascosta a loro e a chiunque altro.
Crebbero nella normalità finché il loro straordinario stato non divenne lampante: tutti invecchiavano mentre, azzardarono per frutto di un sortilegio, le loro membra rimanevano giovani e forti, la loro età congelata nel fiore degli anni. Comprensibili lo sconcerto e lo smarrimento generati dalle considerazioni sulla loro prodigiosa peculiarità, quindi loro padre, uomo ormai vecchio e di rara saggezza, consigliò ai figli di partire, ritirarsi in luoghi lontani e più isolati, spostarsi spesso sotto la protezione di familiari e consanguinei così da non permettere alle malelingue di mormorare o non cadere vittime di qualche persecuzione.
Chi aveva legami di parentela con loro prestò giuramento solenne di mantenere il segreto dei gemelli e tale promessa fu mantenuta attraverso le epoche, tanto che queste famiglie divennero nel tempo protettrici di Lidys e Kuon, mettendo a disposizione le loro dimore, oltre alla discrezione. Si formò qualcosa di simile ad una casta segreta.
Trascorsero i secoli, videro mutare la geografia del mondo, assistettero alla caduta degli antichi dei e alla nascita di nuove religioni, credenze, mentalità e costumi; osservarono impotenti l'uomo perdere la capacità di dialogare con la natura, dimenticare la magia e gli eventi del loro tempo trasformandoli in mitologia. Passati attraverso il cambiamento, Lidys e Kuon avevano gioito e vissuto e sofferto più a lungo di chiunque altro; eppure in modo assai diverso l'uno dall'altra, perchè all'opposto era il modo in cui si rapportavano all'immortalità. Kuon ricordava alcuni versi che Lieron, un cantore del passato, aveva composto per Lidys, versi che a suo avviso la dipingevano esemplarmente:

Simile a una larva che alla luce diurna
per vie affollate vaga,
lei vuol esser ciò che non è.
Come un'ombra che alla mezzanotte
origina l'aria,
lei anela la liberazione.
Lidys aveva sempre percepito l'immortalità come qualcosa di sbagliato, domande senza risposta torturavano la sua mente, assillavano la sua esistenza: qual'era la ragione di quell'interminabile vagare se in concreto non avevano nulla da offrire all'umanità? Qual'era la loro ragione d'essere? L'immortalità era forse solo frutto di una sadica maledizione o come sosteneva suo fratello un madornale errore del caso? Tormentata da simili quesiti aveva scelto una vita ritirata, una vita dedicata allo studio, ai libri, alla ricerca fra la sapienza dei testi più arcani ed antichi, sperando di trovare in essa un segno, un suggerimento che potesse vagamente rivelarle il loro fine ultimo, risolvere il mistero che circondava la loro condizione. E da questo suo vegetare, così lo definiva Kuon, Lidys era risorta poche volte: l'apice fu all'incontro con Lieron... Kuon invidiava il fatto che lei avesse trovato l'amore ideale, ma poi, morto il suo compagno, si era irrimediabilmente chiusa in se stessa, barricata dietro un muro di estraneità a quanto la circondava, aveva attuato un meccanismo di autodifesa che, secondo suo fratello, l'aveva resa povera d'animo e lei rifiutava di rendersene conto. Si era sepolta nel suo dolore, convincendosi che tutto fuori era ormai freddo e oscuro senza Lieron tanto che aveva tentato vanamente di uccidersi... in quell'occasione Kuon provò un senso di disperazione misto a collera che gli aveva fatto comprendere lo strano rapporto simbiotico che li univa, l'aveva maledetta dentro di lui, definita stupida ed egoista, eppure egoismo c'era anche da parte sua: una sensazione di abbandono l'aveva assalito e angoscia al pensiero di poter rimanere solo per l'eternità dopo essere stati l'uno il sostegno dell'altra fin dal primo giorno. Nonostante il buon senso che i suoi anni avrebbero dovuto conferirle, Lidys non voleva capire di essere in errore: c'era davvero una ragione di comportarsi a quel modo? In fondo Lieron avrebbe potuto essere per sempre con lei, anzi non se ne era mai andato perchè, pur lasciando fisicamente la vita, nell'amore e nel ricordo di Lidys non era venuto a mancare, nemmeno per un secondo. Ma l'uomo, come si sa, è un animale complicato, perciò lei persuasa dalle sue ragioni consce e non, seguitava a sentirsi prigioniera di un incubo dal quale era impossibile svegliarsi, si trascinava attraverso il tempo reputando il suo dono un fardello ingiusto.
Non che Kuon non si ponesse delle domande, ma la sua indole lo portava a stimare tutto con più ottimismo, la sua condizione di immortale la considerava come una miracolosa fonte di alternative: possibilità di cambiare più volte la strada intrapresa, possibilità di plasmare la realtà e renderla affine al suo desiderio. Gli uomini comuni non avevano abbastanza tempo, ma con davanti l'eternità cosa gli impediva di realizzare i suoi sogni? Lui vedeva l'immortalità nell'ottica dell'esperienza. Chi lo avesse fissato in quegli sfavillanti occhi smeraldo senza superficialità vi avrebbe trovato la saggezza di chi aveva veramente vissuto: era un pazzo di vivere, travolgeva la vita e attraverso essa si costruiva. C'era chi lasciava che le cose accadessero facendosi trasportare dalle onde degli accadimenti con passività, lui i momenti li faceva suoi con furia. Sempre positivo, allegro, ingordo viveva il presente con pienezza senza pensare alle conseguenze, per tacitare i suoi demoni, quelle stesse questioni che logoravano sua sorella.
Di primo acchito poteva sembrare minaccioso e poco affidabile, ma tutto sommato, a ben guardare, era un uomo di una certa prestanza: alto di statura e robusto, il petto e le braccia vigorosi coperti di tatuaggi tribali, il fisico modellato e temprato dal costante allenamento, il suo viso pur non essendo armoniosamente bello aveva tratti molto virili e non gli avresti cambiato nulla perchè nell'insieme pareva perfetto così com'era. Coi lunghi e lisci capelli castani lasciati sciolti, il folto pizzetto che gli copriva la parte inferiore delle mascelle ed il mento, gli intensi occhi verdi, lo sguardo vivace e disponibile, il sorriso aperto; Kuon non passava mai inosservato. Sapeva mettere a proprio agio le persone e loro venivano a lui spontaneamente. Se a volte peccava di incomprensione, dava comunque agli altri almeno una seconda possibilità; capitava a volte che le sue azioni fossero venate di un certo egoismo del quale non si rendeva conto: non che i suoi affetti non fossero profondi, sinceri o passionali, anzi lo erano sempre, anche se duravano un attimo, viscerali... almeno a lui parevano così perchè se ne faceva coinvolgere talmente. Ma il troppo stroppia, così a volte diffettavano di superficialità i suoi rapporti, in realtà infatti tramite gli altri pareva cercare sé stesso, il suo percorso interiore. Nonostante questo c'erano molte ferite aperte dentro di lui: persone che aveva perso, errori commessi, delusioni, amarezza che convivevano assieme alla felicità e alle aspettative. Tutto quello comportava vivere.
Non si fermava mai. Di certo tanta azione gli era consentita dall'incontenibile energia spirituale che possedeva, esuberante e fuori dal comune quanto lui; un'energia che gli conferiva una forza soprannaturale e vulcanica, tenuta a stento sotto controllo nelle battaglie del passato. Con l'apprendimento di altre tecniche di combattimento, anche meditative, come le arti marziali, era riuscito a domare questo potere e a canalizzarlo fuori di lui in forme diverse: sia tramite l'accrescimento della forza fisica sia tramite concrete proiezioni di energia. Ma erano secoli che non sfruttava questo dono, non era nemmeno sicuro di possederlo ancora... mentiva a se stesso con simili pensieri: infatti sentiva fluire la carica vitale della natura e delle creature dentro di lui come un fiume in piena, quando correva al freddo del primo mattino ad esempio, oppure quando si ritirava in luoghi incontaminati per avvicinarsi alla natura, offendole in voto doni che verrebbero detti pagani e la fatica della solitaria pratica delle armi (di combattimenti in cui mostrare temerarietà e coraggio non ne esistevano più). Si esercitava qualche volta anche con la spada che suo padre aveva fatto forgiare per lui nel periodo di addestramento per divenire guerriero, un'arma che conservava con cura maniacale tanto ci era affezionato, in qualche modo gli piaceva credeva che in essa fosse racchiusa la magia del suo passato. Era una spada di valore ormai inestimabile per la fattura e antichità, nell'elsa era incastonato lo smeraldo lasciatogli da sua madre. Quello era uno dei modi tramite i quali riprendeva contatto con le sue radici, con la sua religione, col mondo della sue origini che era stato cancellato dal passaggio del tempo. Nonostante sapesse destreggiarsi ed immergersi nei cambiamenti sociali e culturali con scioltezza, ne provava una nostalgia fortissima: le antiche festività (che per quanto gli era possibile rispettava nel mondo moderno), la lingua, i valori, gli usi, i sapori, gli odori, la musica, i luoghi, l'atmosfera... tutto ciò sopravvviveva solo nella sua memoria. Grazie alle abilità acquisite, anche nel presente si divertiva ad esempio a forgiare armi: quello pur essendo sempre stato un passatempo (in fondo era un nobile) gli aveva fruttato parecchi soldi nei secoli seguenti; oppure si metteva a podurre, per suo sfizio personale, bevande o cibi che non si consumavano più. Tramite questi gesti, da lui considerati alla stregua di riti, tentava di riportare per qualche istante un'epoca scomparsa. Solo il pensiero di avere Lidys gli permetteva di consolarsi, perchè almeno lei avrebbe compreso quel sentimento, quella mancanza incolmabile.

I gemelli condividevano un fato comune che li legava indissolubilmente, c'era un'unità che non poteva essere spezzata, nè dalla lontananza nè dalle contrarietà. La loro esistenza aveva la forma di un enigma passato, presente e futuro. Ma in fondo proseguivano, l'uno con la spensierata certezza, l'altra con l'incrollabile speranza che il loro tempo sarebbe venuto, che avrebbero avuto una risposta ai loro perchè... prima o poi. L'eternità era ardua da comprendere, ma a entrambi aveva insegnato la pazienza e la preziosa capacità del saper attendere.