Capitolo 3 : Ali Strane
Si sentiva
ancora addosso l'odore del sesso. Aveva appena messo in moto la
macchina, dopo essere sgusciato via dalla casa di... beh, non ricordava
esattamente il nome della ragazza con la quale era stato a letto!
L'aggettivo migliore che chiunque gli avrebbe attribuito sarebbe stato
stronzo. Kuon non ci pensava. No. Non aveva nessun senso di colpa, in
fondo era stata proprio lei ad abbordarlo, gli aveva fatto intendere
senza mezzi termini che con lui voleva solo passarci una notte. Nessun
impegno, solo attività fisica. Un sorrisino divertito gli si
stampò sul viso. Non era sempre facile catalizzare in altro
certe pulsioni, ecco la verità. Troppo difficile vincere gli
istinti, a maggior ragione per lui che istintivo lo era di natura.
L'ascetismo e le elucubrazioni non erano adatti a Kuon, un figlio
dell'azione!
Non aveva una
relazione con una donna da diverso tempo e quella tizia l'aveva
occhieggiato fin dalla prima volta che si erano visti; poi, come si
dice, da cosa nasce cosa... e quella sera erano finiti a letto insieme
con grande soddisfazione da parte di entrambi, alla fine. Superficiali?
Lui non lo credeva. Erano stati franchi l'uno con l'altra e avevano
colto il momento, niente di più spontaneo e naturale.
Acquisizione di esperienza. A Kuon non era mai piaciuto stare solo
troppo a lungo, in linea di massima prediligeva le relazioni stabili,
ma non sempre le cose vanno come si desidera. Anche una sola nottata di
sesso con una sconosciuta gli aveva dato un'illusione della pienezza
che di solito provava quando era innamorato (o credeva di esserlo).
Tutto
ciò aveva un alone di squallore che Kuon non intendeva
riconoscere: strano, perché di solito era il tipo di persona
che non si accontentava.
Accese
l'autoradio, selezionando a caso uno dei cd già inseriti,
partì un disco da due soldi con incise alcune famose metal
ballads: non che fossero brutte le canzoni, solo il concetto della
compilation di ballate gli faceva storcere un po’ il naso.
Suoi misteriosi pregiudizi. Tant'è vero che non sapeva
nemmeno per quale ragione avesse fatto un acquisto del genere e se lo
fosse portato addirittura in macchina da ascoltare.
Il riff del
primo pezzo iniziò e si mise a canticchiare distrattamente.
'She
is a native of the stormy skies, yeah '
Per qualche
bizzarra associazione mentale gli venne da pensare a lei...
'I,
I caught a glimpse from the depths of my eyes '
...quella
ragazza dal nome da maschio. Dymond. Già, Dymond. Il nome di
lei se lo ricordava bene. Dymond. Figura sottile, bocca carnosa, zigomi
alti, occhi enigmatici. Enigma, lei era un mistero: l'aveva vista
cambiare aspetto come il passaggio dal giorno alla notte. Quanto tempo
fa era accaduto il loro incontro? Quanto era passato dal giorno in cui
l'aveva riportata a casa? Un paio di settimane,
forse...chissà come se la passava.
Ricordava
chiaramente come l'aveva raccolta in un luogo abbandonato, poco fuori
città. Era nel suo pub di fiducia quando, da solo, seduto a
sorseggiare una birra scura, si era messo ad ascoltare i discorsi di un
gruppetto di ragazzi ad un tavolo vicino. C'erano solo loro in quella
stanza del locale, e non poteva fare a meno di sentire le loro
chiacchiere perché quasi sbraitavano. Questi, ubriachi
persi, si vantavano di aver preso una ragazza e di essersela fatta uno
dopo l'altro: alcuni raccontavano l'eroica impresa agli altri che
ridevano o chiedevano di sapere particolari; i commenti di pessimo
gusto non si risparmiavano. Violenza carnale. Ma si rendevano conto
delle loro azioni? C'era stato un tempo in cui anche lui aveva stuprato
delle donne... tempi diversi, usi di guerra. Certo questo non lo
giustificava affatto e nemmeno tentava di perdonarsi, era stato
ignobile. Non si compiaceva affatto di certi errori, ma il passato era
passato e non si poteva cambiare, non si torna mai indietro, purtroppo;
eppure c'è sempre la possibilità di redimersi:
attaccato alle sue origini ed antiche tradizioni sì, ma gli
usi più barbarici dal suo codice di comportamento erano
stati cancellati dalla civiltà e dal buon senso.
Stati a sentire
un po’ questi idioti, facce che conosceva perché
frequentavano regolarmente quel pub, se ne andò in cerca
della vittima della loro lussuria. Li avrebbe volentieri pestati uno a
uno, ma era più urgente occuparsi della povera creatura che
avevano maltrattato. Individuato più o meno il posto, non ci
mise molto a trovarla. Raggomitolata su stessa, vulnerabile, tremante,
in lacrime, con dei lunghissimi capelli corvini. L'aveva presa in
braccio, prima di svenire lei gli aveva sussurrato qualcosa, ma Kuon
non era riuscito ad afferrarlo. Avrebbe chiamato un'ambulanza, ma
davanti uno dei mutamenti di Dymond era rimasto piuttosto scioccato: i
capelli di lei, dopo la perdita dei sensi, erano tornati del solito
colore argenteo lasciando Kuon spiazzato. Credeva nella magia, il suo
stesso padre era stato uno stregone, ma non pensava potessero esistere
ancora persone che la possedevano veramente. Perciò aveva
deciso di accorrere a sua sorella, che si trovava ancora in
città, in un albergo. Da quel pozzo di scienza che era,
Lidys avrebbe avuto qualche spiegazione o per lo meno un buon
consiglio. In più una donna avrebbe compreso meglio la
situazione della ragazza.
Chissà
adesso come doveva sentirsi Dymond. Kuon, avendone viste
così tante, sapeva bene come un'intera esistenza poteva
rimanere condizionata da un solo istante. Legata per sempre ad un unico
evento.
'Atop
a black winged mare
Casting
a wicked stare
She
throws her head back
And
rides into the night
She
flies strange wings... '
Al risveglio si
sentì come morta. Un'espressione tirata, simile a quella che
aveva avuto nel sonno, quasi di sofferenza, rendeva il suo viso
più livido e spento di quanto già non lo fosse
stato durante la notte trascorsa. Appena aperti, gli occhi plumbei e
densi rivelarono il suo orribile stato interiore; allo stesso modo la
pioggia che seguitava a cadere persistente, fitta e greve cos'altro
poteva essere se non il pianto intimo di Dymond? Esso non si
manifestava attraverso le lacrime dei suoi occhi, bensì in
un diluviare senza esaurimento: gocce, la sera prima... furibonde,
inclementi, devastatrici, violente... un nubifragio! Poteva ancora
udire quel rumore piacevole provenire dall'esterno... terapeutico
scrosciare; gocce infatti anche in quel mattino, pioggia a fiotti, ma
con un ritmo più regolare... luttuoso... funebre. Gocce...
metafora della tempesta che infuriava dentro di lei,
dell’irrequietezza della sua anima.
Distesa,
abbandonata su un letto che sapeva non essere il suo, decise di
guardarsi intorno così da capire dove si trovava. Non che le
importasse molto in verità: l'essere cancellata per sempre
dalla faccia della terra e l'autodistruzione erano gli unici pensieri
su cui riusciva a focalizzarsi chiaramente la sua testa in quegli
istanti. Si alzò a sedere poggiando il capo alla spalliera.
Scrutò l'interno con un'occhiata cupa. Non
considerò nemmeno l'opzione ospedale perché il
posto era accogliente ed elegante; non poteva nemmeno dirsi la camera
da letto di un'abitazione: troppo impersonale. Un hotel, forse? Mmmh,
sicuro. Un hotel piuttosto costoso anche: l'arredamento non lo si
poteva definire certo spartano; l'area della camera da letto era nella
norma, senza però contare altre due porte: una chiusa che
con ogni probabilità nascondeva un bagno, un'altra
semiaperta dalla quale Dymond riusciva a intravedere un'ulteriore parte
di stanza.
Trasse un
sospiro e volse il capo verso il soffitto, oppressa da profonda
afflizione. Si sentiva uno straccio e, nonostante non volesse
ammetterlo, il fatto di essere in un luogo a lei completamente ignoto
peggiorava lo stato di cose: una bruttissima sensazione di smarrimento,
aggiunta a quello che aveva subito nelle ultime ventiquattro ore... non
era allora che avrebbero dovuto esserci amici e familiari a
rassicurarla dandole il loro affetto? Tutte cazzate da filmetto del
cavolo, ecco cos'erano!
Si
immaginò Karl nei panni del padre premuroso e un ghigno di
scherno, eppure amaro allo stesso tempo, le si dipinse sul volto a
quella fantasia. Lei aveva sempre contato sulle sue sole forze,
dopotutto; perché non avrebbe dovuto farcela anche questa
volta? Ma non ne era affatto sicura. Sicura...
...Rassicuranti...
...Amiche: era
così che aveva percepito le ultime mani che l'avevano
toccata nella notte da dimenticare.
Le mani e occhi
verde smeraldo.
Un flash le
aveva riportato alla mente quell'uomo, le venne da chiedersi se per
caso l'alloggio fosse proprio occupato dallo sconosciuto che l'aveva
raccolta dopo lo stupro; si, stupro, perché non ammetterlo?
Per quanto cruda potesse apparire, quella era la realtà:
violentata più volte da un gruppo di figli di puttana. Se
n'era quasi fatta una ragione. Fuori, intanto, all'acqua si aggiunsero,
improvvisi, lampi e tuoni.
Nel frattempo,
mentre si scatenava il temporale, i suoi piedi toccarono la superficie
di una moquette. Uscita dal tepore delle coperte, si mosse
silenziosamente per il perimetro. Si accorse di indossare un'ampia
maglia, non la riconosceva come sua; quello che rimaneva dei suoi
vestiti e i suoi effetti personali riusciva a distinguerli in parte
sistemati su un comodino e in parte appoggiati ad una sedia. Sempre
attenta a non fare rumore, varcò la soglia della porta
già dischiusa per trovarsi di fronte ad una sorta di mini
salottino.
All'esterno il
cielo rabbuiato, coperto da nubi bigie, dava vita a niente
più che una luce incerta. Nessuna lampada era accesa nella
stanza, la semioscurità veniva contrastata da un poco di
chiarore che penetrava grazie ad una tenda parzialmente scostata.
Un'atmosfera a tratti irreale: nel grigio dominante, la sorgente
luminosa investiva solo un individuo collocato su un tappeto al centro
della camera, questi stava in piedi davanti all'ampia vetrata in modo
che la luce proveniente dallo spiraglio fra le tende lo illuminasse.
Dymond riusciva a vederlo solo da dietro. Uno uomo alto e ben piantato.
A torso nudo, i capelli raccolti in una lunga treccia che ricadeva
sulle ampie spalle e sulla schiena tornita; aveva dei tatuaggi sulle
scapole, proseguivano anche sulle braccia: la continuazione di uno
stesso motivo tribale. Portava dei pantaloni, jeans scoloriti ad un
primo sguardo slacciati e non indossava calzature. Alla ragazza pareva
stesse facendo degli esercizi o delle mosse stile kung-fu, i gesti
erano tanto agili e flessuosi da farle pensare alle movenze di un
ballerino. L'estraneo eseguiva i movimenti con una certa
solennità ed era così concentrato da non essersi
accorto della presenza di Dymond. Immerso in un universo tutto suo,
emanava un'aura singolarissima. Persino chi non avesse avuto
ricettività verso questi sottili stimoli avrebbe percepito
qualcosa di particolare provenire da lui. Inspiegabile. Così
fu anche per Dymond, che pure non aveva occhi per il mondo esterno in
quel momento.
Con un balzo
ruotò il corpo e finalmente si avvide di Dymond. Per la
sorpresa perse l'equilibrio rischiando di cadere. In realtà
a terra ci andò proprio, ma riuscì a tenersi su
con un braccio, mantenendo un minimo di dignità.
Ridacchiò per l'accaduto, lanciando un'occhiata divertita a
Dymond, come a volerla coinvolgere nell'ilarità della
situazione. Lei non corrispose.
Si
alzò, riallacciò i pantaloni e si mise addosso
una maglia. Aprì completamente le tende e poi si diresse
verso Dymond.
Ora che tutto
si vedeva più chiaramente, la ragazza notò
coricata su un divanetto una donna, suppose si trattasse della
fidanzata dell'uomo.
- Sono Kuon -
si presentò con un'espressione che metteva fiducia - Tutto
bene? Voglio dire come ti senti? - allungò la mano per
toccarla su un braccio, ma Dymond si scostò, diffidente.
- Beh, si
capisco... era una domanda stupida... - era armato di tutti i buoni
propositi, ma si trovò un po’ impacciato. - Penso
che preferiresti parlare con mia sorella... Lidys, svegliati!
- disse il ragazzo con voce tonante. La sorella non accennava a
svegliarsi, così le lanciò con violenza una
cuscinata.
- ...Mmmhh,
buongiorno anche a te! - mugugnò Lidys stordita e
contrariata per il pessimo risveglio.
Kuon le fece
notare la presenza di Dymond.
- Idiota, dillo
prima! -
Incoraggiata da
Lidys, Dymond si presentò. Scambiarono due parole veloci,
lasciando Kuon nel salottino. Lidys le aveva spiegato brevemente come
suo fratello l'aveva portata lì, le aveva domandato se
voleva essere accompagnata in un ospedale o qualcosa di simile. Dymond
la tranquillizzò dicendo che non aveva bisogno di nulla, che
avrebbe pensato a tutto lei; chiese unicamente di poter usare il bagno.
Le venne lasciata la sua privacy.
Sentiva ancora
sul suo corpo la sensazione di sporco. Fece una doccia, lavandosi
violentemente, con disperazione.
Pioggia.
Gocce.
Lacrime.
Acqua.
Lavare via
tutto.
Tentava di
cancellare quello che non era possibile.
Uscì
asciugandosi con una salvietta, per sentirsi solo peggio di prima.
Guardò il suo viso allo specchio. I capelli e gli occhi del
solito colore grigio-bianco: davanti al suo riflesso
l’inquietudine e l’angosciosa oppressione
scomparvero. Il vuoto che da sempre sentiva dentro sé stessa
andò amplificandosi, arrivando a sembrarle un abisso senza
fine. Insopportabile. Era davvero possibile sentirsi così?
Ne ebbe orrore. Non c'era niente che potesse fare per riacquistare
un'apparente pace interiore. Fuggire dalla realtà, da
sé stessa: così sarebbe stata salva? Morire?...
Si.
Qualcuno
sarebbe morto...una parte di lei, se era necessario per sopravvivere.
Adesso sapeva
cosa fare per recuperare la sua sanità. Si
ricordò della sua decisone, la risoluzione finale prima di
aver perso i sensi: sarebbe stata un uomo. Solo un ragazzo non avrebbe
subito tutto. Nessun uomo avrebbe mai subito. Nessuno sarebbe mai
più stato capace di toccarla. Nessuno sarebbe arrivato al
suo profondo.
Un uomo... il
suo scudo. La sua unica salvezza, dietro quel travestimento.
'...Behind
a thin disguise
She
flies strange wings
Still
tears she cries
Oh
I, I followed her
To
the brink of dawn, yeah '
Il suo treno di
pensieri si fissò su quella mattina piovosa: l'aveva
accompagnata a casa, si era parcheggiato un secondo per farla scendere.
Prima però le aveva lasciato il suo numero di telefono,
forse in un eccesso di slancio - Al tuo servizio! - le aveva detto nel
suo usuale tono di scherzo, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
Poi più seriamente, con interesse genuino, l'aveva informata
che se ce ne fosse stato bisogno avrebbe saputo riconoscere i ragazzi
che l'avevano violentata.
Perché
affannarsi per una sconosciuta?
'She,
she took control of my very soul, yeah '
Certo la
situazione era spiacevole e delicata, ma non tutti si sarebbero presi
la briga di preoccuparsi per un'estranea. Lidys gli aveva consigliato
di farlo, sostenendo che lui aveva la capacità di fare star
allegra la gente, di non farla pensare... con le sue continue
chiacchiere sconclusionate. La simpaticona in seguito gli aveva
sciorinato varie teorie psicologiche: secondo una di queste, certe
donne dopo un'esperienza del genere, se lo facevano, preferivano
parlarne con degli sconosciuti e allora lui si era offerto. Lo avrebbe
fatto ugualmente anche se Lidys non gli avesse accennato nulla. Che
male c'era?
Chiamarlo
filantropo era azzeccato e non agiva così per potersi far
bello davanti agli altri. Se sapeva fare star bene il prossimo, se
sapeva dare fiducia, perché non avrebbe dovuto usare questa
sua capacità? E faceva tutto questo spontaneamente, senza
doppi fini. Considerava semmai gli egoisti e gli avari senza speranza.
Non avevano capito una lezione importante della vita che non veniva da
nessuna religione o filosofia, veniva solo dal vivere stesso e dallo
stare con gli altri. Il valore del dare e del ricevere. Molte persone
sprecavano la loro esistenza per non aver compreso un concetto
così semplice.
Quella era la
ragione valida per aiutare una sconosciuta. Una sconosciuta che adesso
aveva un nome, si chiamava Dymond, e così sconosciuta non
era più.
O forse c'era
dell'altro...
'She's
still a mystery
In
her arms I long to be
I
don't know why '
Non sapeva
perché, ma si sentiva in obbligo di aiutarla. Un'energia
magnetica proveniente dal suo inconscio..
'I
turn and reach to the sky '
E neanche fosse
stato condotto lì da qualche forza soprannaturale, si
ritrovò a guidare per il quartiere di quella ragazza
inconsueta e intensa... Dymond... poche persone gli erano rimaste
impresse tanto quanto lei.
'She
flies strange wings
Behind
a thin disguise
She
flies strange wings
Still
tears she cries
Strange
Wings
Behind
a thin disguise
Strange
Wings...'