Capitolo 6 : Via col peccato

Lo specchio rifletteva la sua immagine.
Capelli lunghi fino alle cosce, argentei, il colore del vuoto; molti lo ritenevano bello e stravagante, ma solo lei sapeva il suo vero significato. Quei lunghi capelli non avrebbero mai potuto coprirla interamente, nasconderla per l'eternità come desiderava, rimanevano solo un pallido e pietoso tentativo ed ormai non avevano più senso visto che lei stessa non ne aveva più.
Non voleva nulla.
No. Non era vero. Voleva far sparire la ragazza debole e fragile violentata e dilaniata dal dolore e dal tormento dello stupro. Desiderava dare vita ad un altra persona: forte e violenta se necessario, indifferente a tutto; voleva portarsi avanti come meglio credeva senza rispondere a nessuno. Ignorando la vita stessa che trascorreva serena ignara di tutto. Gli occhi dello stesso colore dei capelli avevano sempre fatto impressione a tutti e lei si divertiva ad impressionare la gente, ma ora non ci trovava più nulla di simpatico. Non si ricordava già come si rideva.
Un uomo.
Questo doveva essere.
Era questa la svolta che voleva: era convinta che solo quello l'avrebbe aiutata. Gli uomini non subiscono violenze, le fanno sugli altri. La decisione era stata presa e quel corpo maledetto non le avrebbe più dato fastidio.
Le nuvole grigie su nel cielo si intensificarono a vista d'occhio, oscurandolo molto più di prima.
Il cielo si preparava di nuovo a buttar giù pioggia.
I lineamenti del volto di Dymond lentamente si mossero: la pelle rimase pallida ma non restò liscia e vellutata come lo era sempre stata: si indurì. I dolci lineamenti del viso si fecero più marcati, con zigomi alti e guance magre. La bocca si assottigliò. Occhi allungati e sottili. Neri. Feroci.
Guardare tutto questo faceva impressione, ma non a lei che ci era abituata. Il cambiamento proseguì sul corpo dalle curve delicate ma evidenti, il seno cominciò ad appiattirsi di molto senza però sparire, anche i fianchi cancellarono le sue curve morbide. Del corpo di donna di prima ora rimaneva solamente un corpo di ragazza piatto e insipido. Posò gli occhi sui suoi capelli ancora lunghi e chiari: lentamente e adagio presero ad accorciarsi. Un rito quasi solenne. Mentre si accorciavano, si scurivano sempre di più fino a diventare color ebano.
Si guardò nuda e nella sua interezza: ora poteva benissimo essere considerata un uomo, anche se il sesso vero e proprio non poteva davvero cambiarlo del tutto.
I vestiti che indossò furono naturalmente rigorosamente maschili e larghi. Un paio di pantaloni neri a cavallo basso, una felpa grigia e comoda con delle tasche grandi, una sciarpa lunga e nera avvolta intorno al collo. Senza trucco. Senza null'altro. Si voltò constatando che era perfetta. Anzi. Perfetto.
Le prime gocce di pioggia presero a cadere sulla terra asciutta. Dymond le vide e ne venne attratta ancora una volta. Era bella la pioggia. Rispecchiava il suo animo, un animo che non avrebbe mai fatto vedere a nessuno. L'unico che le aveva viste era quel tipo: quell'uomo notevole dai lunghi capelli che praticava arti marziali... come si chiamava? Non lo ricordava più. Da qualche parte aveva il suo biglietto col numero per rintracciarlo, ma non l'avrebbe mai fatto.
Uscì in strada attirata dalla pioggia. Era da un po' che ormai non andava più a vedere nella stanza di Karl e che fine avesse fatto quell'uomo nemmeno le interessava saperlo. Nulla più aveva significato per lei.
Le gocce leggere le cadevano sul corpo. In quel momento di beatitudine le venne in mente ancora quel ragazzo: uno come lui non avrebbe subito violenza... lo invidiava forse? Anche se fosse stato, non voleva andare a fondo nemmeno di quel sentimento. Lei non provava più nulla. DOVEVA non provare.  

'I love your skin oh so white
I love your touch cold as ice'

Era fuori e la pioggia l'accarezzava lieve senza bagnarla troppo e fu mentre camminava senza meta che una musica la chiamò in mezzo al canto della pioggia.
I primi versi sembravano cantati solo per lei. Pelle bianca. Tocco di ghiaccio. Dymond era esattamente così attualmente.
Era una musica forte e coinvolgente, il ritmo incessante e le note sensuali come quella voce libidinosa che cantava in inglese. Sembrava cantasse il suo animo.

'And I love every single tear you cry'

Parole che la scoprivano... chi poteva sapere che lei piangeva lacrime dentro di sé? Rapita dalla verità di quelle parole seducenti cominciò a seguirle cercando l'inizio di questa magia.

'I just love the way you're losing your life'

Si. La vita l'aveva già persa... o magari la stava ancora perdendo, ma non le importava. Poteva sparire dalla faccia della Terra che non avrebbe sentito nulla. Però quella voce che cantava sembrava conoscerla, sembrava volerla sedurre... era un richiamo irresistibile.

'My Baby, how beautiful you are
My Darling, completely torn apart'

E mentre la pioggia continuava dolcemente a bagnarla lei camminava come in trance seguendo le note.
Se qualcuno fosse stato veramente capace di dirle così. Di parlare scrutandole dentro come quella canzone sembrava fare ora, forse avrebbe ancora avuto il coraggio di provare ad essere donna... e ad esistere.

'You're gone with the sin my Baby and beautiful you are
So gone with the sin my Darling'

Non le interessava di essere bella, ma se poteva stare bene anche con quel peccato dentro che sapeva non l’avrebbe mai lasciata in pace, sarebbe stato tutto più sopportabile... e la vita sarebbe potuta essere chiamata ancora tale.

'I adore the dispair in your eyes
I worship your lips once red as wine
I crave for your scent sending shivers down my spine'

Queste erano parole per un essere che era ancora donna, lei lo rifiutava, eppure quelle parole voleva credere fossero per lei. Un essere sporco e ripudiato dalla vita. Qualcuno poteva ancora amarla e salvarla?

'I just love the way you're running out of life'

"Io fuggo?"
Pensò Dymond... Fuggiva dalla vita... sì era possibile e il fatto che si era trasformata in uomo lo testimoniava: fuggiva dalla sofferenza che il suo essere donna le aveva procurato. Fuggiva dalla vita che scorreva priva di significato. Fuggiva dalla realtà che le aveva dato dolore. Non si piaceva. Si detestava, eppure c'era una persona che la capiva e leggeva in lei… era possibile o forse stava sognando?  

'My Baby, how beautiful you are
My Darling, completely torn apart'

Una voce. Una canzone. Una melodia che cercavano di sedurla... non reali, o meglio, non di una persona in carne e ossa che cantava solo per lei bensì nel suo profondo, nel posto in cui, in segreto, voleva una persona speciale che le dicesse quelle cose. Lo voleva assolutamente.

'You're gone with the sin my Baby and beautiful you are
So gone with the sin my Darling'

Era andata veramente con il peccato. Era stata lei ad andarci oppure era il peccato ad essere andato con lei? Non le importava, come non le importava se era peccatrice oppure no; voleva sentire e vedere l'origine di quella musica e di quei suoni.
Ci teneva assurdamente perché l'avevano rapita involontariamente annullandole la volontà, facendole credere di essere peccatrice e sporca, eppure ’lui’ diceva che anche quello si poteva amare... facendole sperare che una persona speciale esistesse anche per lei.
Non sapeva esattamente dove era arrivata, ma la pioggia aveva smesso di cadere, il cielo era solo nuvoloso. Quando non aveva più controllato il tempo? Non se ne era assolutamente resa conto.
Dymond sbatté gli occhi e si guardò intorno, era ancora in città, certo... ma la sua attenzione fu attirata dall'immagine in uno specchio che stava in un negozio. Era normalissimo e rifletteva un immagine indistinta.
si avvicinò e le sembrò che le ultime note della canzone provenissero da là, la voce non cantava più ma era così bella e profonda che di sicuro doveva essere stata di un essere meraviglioso. Attraversò la strada e appoggiò le mani nella grande vetrata, lo specchio ora si vedeva bene e mentre la chitarra elettrica continuava il suo suono sensuale, vide l'immagine riflessa: un essere in penombra, non ne distinse gli occhi e nemmeno lo sguardo, del volto vedeva solo la bocca seria dagli angoli incurvati verso il basso e la parte inferiore del viso, coperta da una leggera ombratura di barba. I lineamenti erano eleganti, i vestiti, per quel che era visibile, antichi e nobili, i capelli gli ricadevano sulla fronte, erano ondulati e scuri, gli sfioravano il collo. Le mani. Le mani le vedeva chiaramente. Erano curate, da artista, da Signore. Lo sfondo dello specchio era nero... come fumo scurissimo, non si distingueva altro.
Tutto il resto intorno a lei era come svanito, così era la sua impressione... solo quell'immagine riflessa e lei e le note della canzone che continuavano. Impercettibilmente prese ad avvicinarsi sempre di più, ma la fronte si scontrò con il vetro che separava lo specchio e Dymond. Una botta che le servì a svegliarsi della trance in cui la canzone prima e quell'uomo affascinante e misterioso poi l'avevano fatta cadere.
Piccola creatura ferita bisognosa di tutto l'affetto sincero che c'era al mondo, piccola creatura sola... Dymond si strofinò la fronte inespressiva spostandosi la frangia nera bagnata che le si era appiccicata per la pioggia. Si rese conto di essere davanti ad un negozio e che la gente continuava ad andare di qua e di là affannata, realizzò anche che in uno specchio le immagini si riflettono dal di fuori e che non c'era nessuno vicino a lei che potesse rispondere alla persona vista. Tornò a guardare nello specchio con più attenzione me non vi vide più nulla, solo il suo volto privo di inclinazioni o smorfie varie, senza espressioni, come se nulla fosse successo. Come se quello che le fosse appena accaduto non l'avesse toccata minimamente.
Vide il proprio viso maschile: quella era l'immagine più importante, bastava che rimanesse un uomo e tutto sarebbe andato bene... si disse così. Eppure l'uomo che aveva visto prima era svanito apposta con il finire della canzone ed era possibile che nessuno avesse sentito e visto nulla? Era così forte e chiara la musica, quasi assordante, impossibile non sentirla. E poi quell'uomo splendido... era come se fosse stato dentro lo specchio, come l'immagine di una finestra di altri luoghi e tempi, non era uno di quell'epoca.
Improvvisamente un volto si affiancò al suo: era di una persona alta e possente a lei conosciuta, ma non era sicura di dove l'avesse visto. Gli occhi se li ricordava bene... verde smeraldo... era l'unica cosa che le era rimasta in testa. Si girò verso di lui senza mutare espressione. Indifferente. Fu lui il primo a parlare:
- L'hai visto anche tu? -
- Cosa? -
- Quell'uomo riflesso nello specchio. -
- ... -
- E la canzone l'hai sentita? -
- ... -
Ancora silenzio da parte della ragazza. Lo fissava priva di inclinazioni, forse voleva solo accertarsi che fosse serio o magari stava cercando di ricordare dove l'avesse già visto. Probabilmente lui lo intuì e la prevenne ancora una volta dicendo gentilmente ma veloce, mettendo le mani avanti come a dire... 'non pensar male'
- Ah, io sono Kuon... Kuon, quello che ti ha raccolto qualche giorno fa... non ti ricordi di me? -
Ora. Come diavolo aveva fatto a riconoscerla così conciata? Era assolutamente diversa, un uomo all'apparenza. Eppure la risposta era più semplice di quel che sembrava... il suo mitico sesto senso che non lo abbandonava mai. Sapeva di potersi fidare del suo 'fiuto'.
Ne era sicuro, infatti aveva avuto ancora una volta ragione.
Un breve cenno affermativo della testa servì a far capire che si ricordava e che anche lei aveva visto e sentito. Ma non disse nulla.
- L'hai riconosciuta la canzone? -
E senza aspettare risposta continuò:
- Era 'Gone with the sin' degli HIM. -
HIM... era questo il nome di quel gruppo che cantava e suonava così divinamente? Non li conosceva fin ad ora, ma già le piacevano... eppure era strano che solo loro due a quanto pareva avessero sentito la canzone così forte e visto l'immagine dell'uomo misterioso sullo specchio, strano, però sicuramente vero e reale. Fu ancora una volta lui a dare voce a questo pensiero che aleggiava nelle teste di entrambi:
- Sembra che solo noi due abbiamo visto e sentito... -
Lei non lo sentì, nella mente stava ricantando la melodia di quella canzone che le era piaciuta e trovare qualcosa che ancora era capace di piacerle era strano, anche se forse ‘piacere’ era una parola grossa... ‘le interessava’ andava meglio.
- ...HIM... -
Ripeté solamente con un filo di voce piatto. Kuon catturò al volo l'occasione e le disse allegro, come solo lui poteva essere, passando da un argomento all'altro che non c'entrava nulla con il precedente:
- Ti piace quel gruppo? Io nel mio appartamento devo avere qualcosa su di loro... se vuoi te li passo... i CD intendo... -
Gli occhi neri e sottili si fissarono in quelli verdi e sinceri del ragazzo che rimase colpito ancora una volta del fatto che lei guardasse sempre tutti negli occhi e non dimostrasse nessun sentimento, né freddezza, né antipatia, né rabbia... nulla... cosa avesse dentro quella ragazza che sembrava un ragazzo era un mistero.
- Non mi piacciono, ma se me li impresti li sento. -
Il suo modo per dire ‘ok‘, e il grazie lasciamo perdere!
- Se vieni ho la macchina qua... puoi fidarti, ti porto un attimo a casa mia e li prendo così intanto parliamo se ti va. Non voglio fare nulla, ma magari poi finisco per dimenticarmene ed è meglio che lo faccia subito. -
Era impossibile che se ne dimenticasse ma doveva pur convincerla in qualche modo!
"Ma quanto parla?"
Forse Kuon non parlava molto ma ci teneva che Dymond non pensasse male proprio ora che cercava di diventare qualcosa tipo suo amico. Prima di accettare lo fissò a lungo ma poi il ricordo di quella bella voce e dei versi che le erano entrati dentro la fecero cedere, senza esprimere nulla di particolare come al solito.
In macchina lui le spiegò che era passato da casa sua a vedere se aveva bisogno di qualcosa, ma nessuno le aveva aperto, così uscito da casa aveva sentito chiaramente quella canzone levarsi nell'aria. Lui la conosceva ma lo aveva incuriosito il fatto che tutti sembravano non sentirla, così presa la macchina l'aveva seguita senza sapere il motivo. Una volta arrivato davanti al negozio aveva trovato lei che fissava uno specchio e non uno specchio normale... fissava rapita una persona che sembrava proprio starci dentro!
Il perché fosse tutto così assurdo non aveva bisogno di spiegazioni!
Gli sembrava fosse un incantesimo e lo disse semplice e apertamente, sentiva che con lei poteva parlare delle sue impressioni e di queste cose senza problemi, non che lei avesse partecipato attivamente alla conversazione…
Presto arrivarono davanti al suo appartamento, quello che condivideva con Ruben, quel coinquilino taciturno e musone... magari sarebbero andati d'accordo quei due, chissà.
Salirono le scale e davanti alla porta di casa, Kuon si accorse di aver lasciato le chiavi in macchina. Dymond cominciò a scocciarsi e fece per girare sui tacchi quando la porta si aprì. Una voce roca e brusca disse:
- Che hai da fare tutto sto casino davanti alla porta? Entra, no? -
Kuon si trovò a dire con un largo sorriso:
- Avevo dimenticato le chiavi in macchina... -
E si fermò accorgendosi che Dymond era ferma voltata di schiena diretta verso le scale:
- Dymond scusami... dai vieni, è questione di un attimo: cerco i CD e andiamo via da questo casino... così non disturbiamo sto simpaticone. -
- Simpaticone lo dici a tua sorella! -
- Allora a lei dovrei dire ‘simpaticona‘... ma non credere che non glielo dica, sai? Un giorno di questi te la presento. -
- Non me ne importa un fico secco di tua sorella... chi è quello? Ti porti gli amici in casa ora? -
Ruben continuava a rimanere appoggiato allo stipite della porta con la camicia slacciata sul davanti che rivelava il suo fisico asciutto, un braccio piegato e alzato appoggiato sul legno e la testa a sua volta su di esso, i capelli rosso scuro spettinati arrivavano alle spalle. L'altro braccio era a penzoloni.
L'aveva scambiata per un uomo dunque... un mezzo sorriso di sbieco le si disegnò sul lato inferiore del volto mentre gli occhi rimanevano privi di qualsiasi tipo di emozione. Dymond si voltò e risalì i gradini, lenta e pacata. Con il suo sguardo privo di interesse quando passò accanto a Ruben, ancora sulla porta che la squadrava seccato, lo fissò dritto negli occhi. Uno sguardo penetrante per entrambi e la stessa sensazione che sentì quando aveva guardato la prima volta gli occhi di Kuon si fece strada in lei. Erano collegati in un qualche modo, chissà per quale connessione di idee quel pensiero le aveva pervaso la mente? Fatto fu che ne furono subito tutti e tre convinti.
Entrata nella stanza Ruben richiuse la porta e non indagò sul nome e sull'aspetto ambiguo dal punto di vista del sesso, si limitò a ficcarsi in cucina a mettersi su del caffè. Dymond intanto si guardò intorno e constatò che l'appartamento non era altro che un buco in disordine completo, ma non erano fatti suoi.
Kuon iniziò a sgarfare fra le sue cose, aveva diversi CD, gli altri li aveva visti in macchina. Si avviò verso la finestra e appoggiando una mano sul vetro guardò fuori, le nuvole nere di prima stavano lasciando il posto ad altre grigie meno minacciose, la pioggia non sarebbe più scesa per un po' e questo perché lei stava quasi bene, al sicuro forse... non sapeva bene il perché, ma se continuava così le nuvole sarebbero pure potute andar via definitivamente e a lei non piaceva del tutto quell’idea. Sentì Kuon chiederle se voleva intanto un caffè o un thè. Lei rifiutò con un gesto del capo ma Kuon imperterrito come se avesse accettato disse:
- Ehi, Ru... metti su l'acqua per il thè... -
- Ru lo dici a tua... -
- Guarda che a mia sorella non posso dire Ru... ‘simpaticon’ sì... ma Ru non centra nulla con lei... -
Lo prevenne Kuon. Sentì l'altro ragazzo sbuffare e sbattere la teiera sotto il lavandino per riempirla d'acqua e senza un motivo preciso lei, rimanendo a guardare fuori dal vetro, disse :
- No, va bene caffè. -
Kuon si sorprese un attimo, aveva pensato che avesse rifiutato anche il caffè oltre al thè, tuttavia inspiegabilmente felice continuò la ricerca senza aggiungere più nulla.
L'odore aromatico lentamente si espanse nella stanza fino ad arrivare a lei. Inspirò a fondo quell'odore che le piaceva molto.
Che diavolo stava facendo in quel posto con uno che aveva conosciuto solo pochi giorni prima? Sapeva solo che l'aveva salvata... eppure alla fine nemmeno quello le importò davvero: faceva solo quel che le pareva, tanto ormai era un uomo, per gli altri!
Mentre continuava a inspirare a fondo il profumo del caffè che stava per offrirle Ruben, improvvisamente le venne un nodo allo stomaco che gli si contrasse e la gola le si seccò... cominciò a sentire una forte nausea. Pallidissima si voltò e si trovò di fronte il ragazzo dai capelli rossi con la tazzina in mano per lei. Con voce tremante chiese:
- Dov'è il bagno? -
- Ti senti male? -
Non ricevendo risposta le indicò la porta e lei si precipitò dentro lasciando la porta aperta che mostrava lei riversa sulla tazza del water che vomitava.
Kuon e Ruben si guardarono allibiti, poi Kuon andò a vedere se aveva bisogno di qualcosa lasciando in disparte Ruben a guardare la scena da lontano.
Che strano... aveva la sensazione di averla già vista quella scena, ma dove? Strinse gli occhi per ricordare: quella maglia grigia curva nel bagno, Kuon che le poggiava una mano sulla schiena... ma sì... l'aveva sognato!
Era stata uno dei suoi sogni premonitori nei giorni passati, uno dei volti di spalle che aveva visto! Non l'aveva riconosciuto subito perché non aveva visto il volto, era la prima volta che incontrava una delle persone delle sue premonizioni... anzi no, a dire il vero aveva sognato in passato anche Kuon... e subito dopo l'aveva incontrato veramente. Sentiva un fondo di stranezza come le sensazioni mai provate che tutto d'un colpo si facevano sentire. Che significava?
Posò la tazzina del caffè sul tavolo e senza dire mezza parola uscì di casa con il suo solito sguardo tormentato e scuro.

Dopo un paio d'ore in casa sua, Dymond, nel suo letto, inespressivamente avrebbe ripensato al suo strano pomeriggio... a Kuon, all'altro ragazzo, alla sensazione che li aveva accomunati tutti e tre, al volto nello specchio, a quella canzone... e mentre le note incessanti ma languide degli HIM vibravano a tutto volume nella stanza avrebbe notato la propria mano che istintivamente aveva iniziato a massaggiarsi la pancia.
Si sentiva strana non solo nell'animo, anche fisicamente.
Ancora una brutta sensazione continuava a provare.
E la pioggia riprese a cadere lieve e lenta.

"Destini, incrociatevi... è Enkil che ve lo ordina
inesorabilmente...
assurdamente...
con meraviglia e sublime oscurità...
fino a lasciarvi avvolgere dal mio volere completamente.
Pietre. Sarete presto mie."