Capitolo
9 : Sonata al chiaro di luna
Le
note del piano invadevano la stanza.
Dallo
stereo il CD scorreva con la musica classica, soave e nobile la “sonata
al chiaro di luna” di Beethoven intristiva i cuori di chi ascoltava
quella meraviglia. Uno sguardo triste assisteva allo spettacolo
immaginario che dava quella dolce e malinconica melodia, mentre fra le
dita rigirava una goccia di onice nera legata ad una catenella sottile.
I
pensieri vagavano nell’oscurità della camera da letto. Le lenzuola nere
disfatte coprivano per metà quel corpo nudo sottile e affusolato capace
di agilità atletiche incredibili. Sull’addome stava acciambellato un
magnifico gatto nero dal pelo morbido e lungo. Dormiva languido e
spiccava incredibilmente su quella pelle pallida. I lunghi capelli neri
si confondevano con le lenzuola scure, erano sciolti e invadevano tutto
il materasso, delle ciocche lisce ricadevano sul volto rilassato
solcato solo da una luce che ricordava tristezza.
Ricordi
gli attanagliavano la mente. Ricordi di un passato dimenticato morto e
sepolto da tempo. Era vissuto contando solo sulle proprie forze
guardando avanti con egoismo. Aveva imparato a non fidarsi di nessuno e
a sfruttare ogni situazione possibile. In questo modo era arrivato ad
avere una vita normale solo contando su sé stesso. Avrebbe continuato
così.
Non
aveva rimorsi e scrupoli ad ingannare tutti quelli con cui aveva a che
fare.
Una
grande maschera gravava sulle sue spalle, una maschera che non si
sarebbe mai tolto. Non voleva avere rapporti con nessuno, rapporti
veri. Invece si divertiva ad averne di finti, molti di questo genere
rallegravano la sua vita. Illudeva tutti e stava bene così.
Preferiva
accantonare i momenti del suo burrascoso passato, non ci teneva a farli
suoi.
Aspettando
la sveglia, Marek aveva fatto andare il CD con la sua canzone
preferita, attendeva la mattina e l’ora per alzarsi e andare al lavoro.
Era
contento della vita che era riuscito a costruirsi e non vi avrebbe mai
rinunciato, non sarebbe mai tornato indietro, non aveva rimpianti. Chi
rimaneva indietro era perso. Solo. Debole.
E
lui non poteva voltarsi per aiutare nessuno dal momento che nessuno
aveva mai aiutato lui.
Il
suono della sveglia arrivò sovrastando il suono lento del piano.
Quella
sonata era come la sua vita. Un giorno avrebbe dato un senso a questa
frase, ma lui sapeva che era così.
Sospirò
e smise di accarezzare il felino comodamente sistemato sul basso
ventre, con un colpetto lo svegliò, il gatto aprì i bellissimi e
suggestivi occhi dorati dalle sottili pupille allungate. Sinuosamente
si stiracchiò sbadigliando, poi in tutta calma e pacatezza scese dal
suo comodo ‘letto’ accoccolandosi sul cuscino.
Marek
si alzò con movimenti fluidi, sembrava non avere sonno. Indossava solo
un paio di boxer stretti, per il resto era nudo. Si aggirava
tranquillamente nella stanza buia. Andò in cucina senza accendere la
luce e dal frigo tirò fuori un cartone di latte, lo aprì e lo bevve con
eleganza… come si poteva bere con eleganza era un mistero, ma lui lo
era in ogni cosa che faceva. Si mise in bocca un biscotto grande con la
cioccolata dentro e andò in bagno, si sentiva a suo agio nell’oscurità.
Era nera. Era buia. Era il suo ambiente naturale, il suo colore. Era
lui.
Lì
nessuno poteva vederlo, era al sicuro.
Si
vestì indossando dei pantaloni neri in tessuto elasticizzato, sopra una
maglia dello stesso colore stretta che non lasciava molto
all’immaginazione; nonostante non possedesse un corpo muscoloso da
capogiro, era affascinante, non era magrissimo e scheletrico. L’ideale
per un ragazzo dall’eleganza e grazia così spiccate.
Si
legò i capelli con un nastro nero in una coda bassa e molla ma sempre
ordinata. Prese un marsupio scuro e se lo appese alla spalla.
Continuando a muoversi al buio andò al letto e accarezzò il gatto,
prima di uscire spense lo stereo e disse con voce sicura e allegra:
-
Ciao Lucifer… torno sul pomeriggio tardi! -
Anche
quel giorno iniziò le sue ore lavorative. Era un corriere espresso per
una ditta privata. Ogni mattina arrivava a lavoro con la sua macchina
di seconda mano, prendeva la lista e i pacchi a lui affidati e partiva
per le consegne. Era veloce e prima finiva più aveva tempo libero, ma
quella mattina qualcosa sarebbe cambiato.
Marek
bussò alla porta dell’appartamento. Nessuno gli aprì, forse non
c’erano… gli seccava ritornare, non era vicino agli altri indirizzi ma
avrebbe potuto lasciare il pacco a qualcun altro… lesse il campanello e
confrontò il nome con quello che c’era scritto sul pacco. Era diverso.
Che razza di indirizzi scrivevano? Seccato andò alla porta accanto e
lesse: il nome era quello.
Kuon
Nyström.
Suonò
deciso a lasciar perdere l’incidente, l’importante era averlo trovato!
La
porta si aprì rivelando un ragazzo alto dal fisico atletico, i capelli
erano rossi e gli occhi dai riflessi dello stesso colore. I vestiti
disordinati e poco curati, jeans strappati e maglietta senza maniche…
ma aveva così caldo quel tipo? Ebbe una strana impressione
osservandolo… come se lo avesse già conosciuto.
Un
filo… sì come un filo che li legava… cosa legava di preciso? Non
capiva.
Una
sensazione insolita. Con questo incontro qualcosa era iniziato.
Non
sapeva perché lo stava facendo, ma una voce gli disse…”leggi”…e non potè
farne a meno. Si concentrò e penetrò la mente del ragazzo di fronte a
lui. E lesse.
“Ma
che diavolo vuole sto rompipalle?! Perché non parla? Vuole il ciuccio?
E’ un bambino che si è perso? Perché diavolo non dice che vuole! Ora
gli sbatto la porta in faccia!”
I
pensieri in questione non fecero affatto piacere a Marek, ma chi si
credeva di essere? Subito dopo il suo spirito battagliero si spense
sentendo:
“Ehi,
io questo l’ho sognato! Chi è? Non incontro mai quelli dei miei sogni…
strano… solo Kuon e quel suo amico li ho visti… chi è?”
-
Sono Marek. Sono qui per consegnare un pacco a Kuon Nyström. Sei tu? -
Perché
aveva detto il proprio nome? E gli aveva parlato con quella confidenza.
Non era da lui… non lo conosceva.
-
No, sono Ruben. Kuon abita qua ma non è in casa! -
Dopo
un attimo di intontimento si riscosse e tornando ai suoi modi
aggraziati e amichevoli di sempre disse:
-
Posso lasciarlo a lei, basta una firma qua. -
Gli
porse il modulo e la penna dove Ruben firmò leggermente spazientito,
poi lasciò il pacco allo sconosciuto.
Anche
Ruben dal canto suo era scosso ma preferì non darlo a vedere. Quello
era senza dubbio uno strano incontro anche per lui visto che era uno
dei protagonisti delle sue visioni. Non era una cosa normale. Era la
stessa sensazione sentita all’incontro con Kuon e il suo amico. Stava
cambiando qualcosa nell’aria, lo percepiva.
Qualcosa
era iniziato.
Qualcosa
che qualcun altro aveva fatto scattare.
Doveva
chiudere la porta prima che quell’incontro stupido prendesse più
importanza di quello che non avesse in realtà.
Lo
stesso pensiero prese forma nella testa di Marek.
Gli
leggeva nella mente senza motivi particolari e nemmeno sfruttava quel
che percepiva per stupirlo. L’orologio col timer suonò il cambio
dell’ora… avrebbe dovuto essere in un altro posto a quell’ora e invece
era lì imbambolato a guardare negli occhi uno mai visto prima chiamato
Ruben. Si scosse nuovamente e disse:
-
Ciao, io vado! -
Si
voltò e scese di corsa le scale. Non doveva far vedere il suo
turbamento. Nessuno doveva capire quel che pensava.
Se
lui poteva capire i pensieri degli altri, e più esattamente leggere,
loro non potevano leggere i suoi e gli andava bene così. Nessuno sapeva
chi era in realtà e il velo di mistero era attenuato dal suo carattere
all’apparenza solare, semplice, allegro e gentile. Falso.
Anche
Ruben rimase un po’ a guardarlo turbato mentre spariva dalle scale, poi
chiuse la porta sbattendola e sbuffando.
Era
pomeriggio quando Marek si accorse che la lista degli indirizzi non era
finita e se ne stranì dal momento che invece un secondo prima gli era
parso che lo fosse.
“Che
giornata strana…”
Voleva
tornarsene a casa a progettare il prossimo colpo in santa pace e magari
a togliersi dalla mente quello strano ragazzo dai capelli rossi, ma
sembrava che ‘qualcuno‘ non fosse d‘accordo.
Guardò
in macchina e notò un nuovo pacco che, naturalmente, non aveva visto
prima. Lo squadrò e tornò all’indirizzo fissandolo perplesso e poco
convinto, quindi alzò le spalle e salì in macchina stranito, stufo
visto che il luogo della consegna era pure lontano.
Più
per curiosità che per altro decise di andarci, o forse per seguire quel
sesto senso che ogni tanto si faceva strada in lui contro la logica.
Non
poteva proprio sapere che questa scelta lo avrebbe segnato.
Era
arrivato. Parcheggiò davanti al cancello, la casa era in pessime
condizioni, sicuramente era disabitata, nessuno poteva abitare in un
posto simile. Eppure l’indirizzo corrispondeva come il nome al
cancello: Enkil Von Kilmer.
Un
nome strano quanto quella casa. Era proprio curioso di vedere che razza
di persona poteva abitare lì dentro!
Si
avvicinò alla porta di ingresso e notò che era aperta.
“Entra”
Una
voce… era la percezione di un pensiero, ormai li distingueva a
meraviglia.
Un
muto?
Entrò
senza farsi più domande. Aveva il pacco in una mano e il modulo per la
firma di ricevuta nell’altra.
Era
tutto buio e distrutto. Nessuno abitava lì dentro e lui benché si
trovasse assolutamente a suo agio in mezzo al buio, quella volta si
sentiva confuso, sentiva strani brividi e non certo di freddo.
Entrò
in diverse stanze chiamando per vedere se c’era qualcuno ma nessuno0
rispondeva più… eppure lui sentiva il pensiero di un altro essere, che
però non riusciva ancora a distinguere chiaramente come aveva fatto
prima.
Non
era un umano, o perlomeno non gli sembrava. Era diverso… forse un'altra
creatura come lui con poteri speciali. Chi lo sapeva.
Seguendo
il suono della voce nella sua testa, arrivò in una stanza più buia più
delle altre per la presenza di nebbia scura... no, non era nebbia, era
fumo nero. Gli piaceva. Il suo lato oscuro lo portava spesso dall’altro
lato della sua anima, quello negativo che lui controllava. Non aveva
problemi con questo genere di percezioni e non si faceva abbindolare da
nessun altro se non lo voleva, però ora era diverso, proprio diverso…
non ne aveva paura né timore, ma semplicemente sentiva un attrazione
troppo forte. Sapeva che presto non avrebbe più potuto controllare la
sua volontà stando lì dentro. La sua spiritualità era molto spiccata e
anche quella contribuiva molto all’alone di mistero che lo circondava.
Qualcosa
alla fine della stanza luccicava a sprazzichi. Si avvicinò
ulteriormente fino a che si accorse di essersi fermato davanti a uno
specchio, un grande specchio nero… nero il materiale che lo rilegava e
nero l’interno… probabilmente rifletteva quello che c’era nella stanza,
il buio… ma no, qualcosa non andava ancora.
La
sua immagine non c’era. Si stupì relativamente, ormai era abituato e
pronto a tutto. Non si scomponeva nemmeno per quello, aveva acquistato
una freddezza e distacco impressionanti riguardo i fatti sovrannaturali
e gli stava più che bene.
Sguardo
risoluto e attento, lontano allo stesso tempo. Stringeva tranquillo il
pacco e il modulo, non si sarebbe fatto impressionare. In queste cose
veniva fuori il suo vero carattere: silenzioso e ambiguo. Non la minima
paura.
Qualcosa
cambiò nello specchio… non più nero… una persona si rifletteva
finalmente, però guardando con attenzione si rese conto di non essere
lui.
Era
come se si materializzasse dentro lo specchio e delle note di
pianoforte risuonarono nella stanza proprio in quel momento.
Era
una sonata a lui familiare.
Una
di quelle che piacevano a lui. Stava per essere catturato da quella
melodia, ma la sua coscienza era ben salda anche se senza accorgersene
fece cadere ciò che teneva in mano.
L’uomo
era dannatamente affascinante e persino lui che era un ragazzo subiva
il suo inevitabile fascino. Aveva capelli mossi e castani lunghi fino
alle spalle, alcuni ciuffi ribelli sul viso dai lineamenti duri, occhi
verde chiaro e penetranti. Bocca ben disegnata incurvata verso il
basso. Un filo di barba e la pelle color pesca. I vestiti erano antichi
e aristocratici, nobili, da signore dei tempi indietro. Era avvolto
dallo stesso fumo che prima si vedeva nello specchio. Non diceva nulla
ed era in penombra.
Non
aveva idea di chi fosse e non lo conosceva però presto sapeva che
avrebbe colmato la sua lacuna. La voce che aveva sentito prima era la
sua?
Ora
non percepiva più nulla, nessun pensiero. Quel luogo aveva un energia
negativa elevata e forse annullava i suoi poteri.
Chi
mai era uno del genere? Portò inconsapevolmente le mani alla pietra al
collo, mentre l’altra l’allungò verso lo specchio fino a toccarlo.
Perché
era tutto confuso?
Perché
aveva l’impressione di essere entrato con le dita in quell’oggetto?
Perché?
Tante
domande… troppe… non gli piaceva farsi tutte quelle domande. Marek
odiava i quesiti infatti non ne rispondeva mai a nessuna.
Girava.
Tutto girava… non stava bene, sudava freddo e respirava male. Chi aveva
un potere del genere? Insostenibile perfino per lui.
“Enkil
è colui che presto a servirai.”
Sentito
questo il buio l‘avvolse facendogli capire solo in quel momento che
sebbene in quel luogo non ci fosse stata nemmeno una luce, lui era
riuscito a vedere quello specchio ed il suo contenuto come niente
fosse.
Marek
si risvegliò in piena notte nel proprio letto a casa col gatto sul suo
viso che lo leccava agitato.
Era
sudato e in disordine, affannato, diverso da sempre.
Quel
nome ancora sulla labbra. Un nome che non aveva di certo sognato.
-
…Enkil… -