A Moon Apparead In The
NightSky
CAPITOLO
IV:
CONTRO
TUTTO E TUTTI
/Il
giorno di dolore che uno ha/
“Lui
se ne è andato. Lo sapevo che non avrebbe detto nulla a
nessuno, è scappato da qui, da tutto. Sono sicuro che non
telefonerà, che non scriverà, che non
dirà mai
nulla sulla sua riabilitazione. Perché lui è
così.
Ma
al pensiero…che non lo vedrò per
chissà quanto
tempo…non so come dire.
È
come quando tutte le parole sai che non ti servon più. Si
suda
per trovare il coraggio di non starsene soli, si tira in mezzo
chiunque, il destino, un Dio…me lo sono chiesto mentre
camminavo di
sera e arrivavo al mio rifugio. Ma nessuno me lo spiegava
perché
sia successo a noi. Ho aspettato che lassù tirasse un
po’ di
vento per portarmi via, me, la tristezza…quei pensieri fissi
su
Tachibana che mi rimbombavano…e il vento è
soffiato, mi sono
rialzato ed ho cercato delle soluzioni per aiutarlo concretamente. Mi
sono reso conto, e questo me l’ha insegnato proprio lui, che
la
vita è più forte di te, non puoi dirle no! Eppure
ricordo che all’inizio sembrava tutto fermo,
tutto…morto…caduto,
volato via…ed è stato là quando il
vento soffiava e
il cervello si è rimesso in moto che la ruota ha ripreso a
girare.
Alla
fine era solo il mio giorno di dolore. Il mio che coincideva con
quello di Tachibana.
Tutto
lì.
Si
perché indietro non si torna, abbiamo capito che la vita non
è
giusta, non va mai come vorremmo. Mi sono immaginato cosa avrebbe
detto lui. Farsi una ragione è vivere, basta aspettare un
po’
di sole che batte dove contavi. Senti ugualmente la ferita bruciare
ma sono cicatrici necessarie per diventare più
forti….così
ho assorbito il mio giorno di dolore pensando che a Tachibana va
peggio. Pensando che non avevo tempo per piangermi addosso,
perchè
dovevo darmi da fare per lui.
Il
mio cuore aveva perso un pezzo con quella testa calda, con la sua
gamba rotta e le sue ali abbassate, ma è riuscito a prendere
il suo ritmo lo stesso, ho preso l’aria a pieni polmoni ed ho
realizzato che il mondo è pieno di merda, ne sono
circondato,
ma anche senza che mi dispero rimane sempre merda…allora
tanto vale
che mi adopero solo per colui a cui tengo. Bisogna sbatterci di muso
contro la realtà, ma l’ho accettata. Con
difficoltà.
Come una sveglia che suona e tu chiedi che ora è? E ti
rispondi che è ora di vivere e di darsi da fare per chi vale
la pena. La vita è più forte che facile, lo si
impara a
proprie spese, è impossibile rifiutarla. Non devi farlo
nemmeno tu…e so che non lo farai. Ci siamo aiutati a vicenda
in
questo momento duro e ce la faremo anche ora così separati.
Cresceremo e questo giorno di dolore un domani sarà un
ricordo, sarà l’arma con cui diventeremo
invincibili…e ci
rincontreremo su un campo da basket….per giocarci una delle
nostre
partite…e riprenderemo a volare insieme.
È
così perché non può essere altrimenti.
Ci
arriveremo insieme.
Ora
in mezzo alla sofferenza di questa lontananza posso dire di stare
bene e di essere più forte di ieri. E così per
ogni
giorno che passa.
/che
incontro!/
Lo
Ricordo. Giorni come quelli per me erano terribili. Prima di quella
partita avevo preso la mia decisione. Con contrarietà e
sofferenza. Ho dovuto scegliere. O quel basket che mi imponeva mio
padre, che ho sempre odiato, oppure rinunciare a quel tesoro che
ormai non riuscivo più a vedere come tale. Giocavo bene ma
non
mi importava nulla, non mi facevo scrupoli nel sporcare le partite.
Era come se il basket lo odiassi. Non lo facevo con gioia, non mi
divertivo. Lo detestavo e il muro invalicabile dietro cui mi ero
chiuso mi aveva portato ad un carattere impossibile pieno di astio.
Ero intrattabile. Ma non mi sentivo capito, compreso. Mi chiedevo se
avesse mai avuto un senso la vita che conducevo…e se
qualcuno
avesse la chiave per aprirmi.
Poi
è arrivato lui. In quella partita lo vedevo per la prima
volta. L’avevo di fronte. Non l’avevo calcolato per
tutto il
tempo in cui ero stato in panchina, poi il mister mi aveva fatto
entrare. Non mi importava nulla. Nemmeno di giocare. Non sentivo
più
nulla, ero come atrofizzato, insensibile ad ogni emozione.
Mi
fronteggiava e lo vidi solo quando tentò di rubarmi la
palla.
Lo osservai attentamente, era strano. Trapelava la sua
anormalità
da ogni poro. Sbandierava a tutti che mollava il basket ma ci metteva
una passione nel praticarlo, nell’affrontarmi, che non era
quella
di uno che avrebbe mollato.
Ci
scambiammo uno sguardo che voleva penetrare l’altro. A
ripensarci
un po’ i brividi mi vengono.
Ma
tentai di superarlo, ero superiore a lui, lo si capiva. Non volevo
perdere tempo, non mi interessava misurarmi con lui.
Ma
non demordeva…ed io mi ero stufato. Non sopportavo di vedere
quella
luce negli occhi di qualcuno. La luce di chi ama il basket. Tutto
quell’impegno nel cercare di soffiarmi la palla, di
battermi…detestavo tutto e alla fine troppo sotto pressione
sono
scoppiato. Non mi importava della partita, di uscire, di deludere
tutti. Volevo solo egoisticamente farlo smettere.
Lo
colpii.
E
lui in risposta attaccò un mio compagno che credeva fossi io
con un calcio volante. Assurdo.
Poi
lo rividi fuori dalla palestra, dopo l’incontro. Prima
arrivò
il casino e poi lui. Pensai chiaramente che era un segno. Lui era il
simbolo degli schizzati…dovevo tagliare con quel mondo di
merda in
cui vivevo.
Lo
dissi a tutti, mio fratello compreso. Mi irritava terribilmente,
stavo mandando tutto a puttane consapevole che mio padre mi avrebbe
cacciato di casa, e non mi toccava la cosa. In un certo senso provavo
sollievo dall’allontanarmi da loro. Quando tutti se ne
andarono lui
rimase e coi suoi modi sborni e impiccioni mi disse quel che pensava
usando termini diretti e poco delicati…come se gli avessi
chiesto
qualcosa. Cosa voleva da me?
Dopo
un secondo scambio di pugni e calci mi disse esattamente che io
volevo fare solo quello che volevo, contro tutto e tutti. E mi
impressionò perché nonostante non lo ammisi era
vero
.era esattamente il punto della situazione e nessuno di quelli che mi
conosceva a fondo ci era arrivato…un idiota qualunque che mi
aveva
visto giocare solo due minuti! Mi fece pensare. Ma gli feci notare
che lui faceva come me, anche se per motivi diversi. Piantava tutto
nonostante la passione che aveva per quello sport.
Prima
di andarmene gli lanciai uno sguardo molto penetrante che lui
ricambiò e sostenne senza problemi, pochi, nessuno, ci
riusciva.
Già…mi
colpì proprio. E il suo ricordo mi tormentò la
sera
nella mia camera e i giorni seguenti. Specie poi quando litigai con
mio padre e mi buttò fuori.
Quell’idiota…mi
diede le chiavi di un appartamento lontano da loro e mi disse di
andarmene! Pensai che era quello che volevo, anche se in fondo a me
stesso sapevo che stavo solo fuggendo da tutto e da tutti. Accusavo
gli altri di fare merda da tutte le parti, di esserne
circondato…ma
la verità è che ce l’avevo io dentro di
me!
Provocai
senza pensarci mio padre dicendogli che ce n’era almeno uno
scartato da lui che unito al mio gioco gli avrebbe dato parecchio
filo da torcere. Già…parole…parole che
ero sicuro di
lasciare come tali.
Poi
però…come potevo?
Lo
rividi…e accidenti lo rividi proprio nella stessa scuola
alla quale
mi ero iscritto….come una persecuzione! Non voleva togliersi
dalle
scatole. Io volevo vivere in pace la mia vita buia, autocompatirmi,
fare la vittima…allontanarmi dal basket…e lui non
me lo permise.
/Solo
l’inizio!/
Si
ricordava ancora il mio nome. Lo gridò. Mi vien da dire
proprio quello che pensai allora.
‘Mi
sa che non starò più in pace da ora in
poi!’
Sentivo
che non mi avrebbe mollato, che sarebbe stata la mia
ossessione…ed
io la sua…e ricordo…la sensazione.
Ero
contento. Dentro, molto dentro di me, ero felice di vederlo. Come un
lontanissimo entusiasmo, un eccitazione sottile che non provavo da
tempo. Lo mostrai con un po’ di freddezza e il suo stesso
sorriso
di chi sta per divertirsi sadicamente a spese di qualcun altro!
Uno
di fronte all’altro.
Il
cortile deserto e solo noi.
Ci
salutammo con dei mugugnii o simili.
Già…ero
sadicamente contento di vederlo.
Mi
sentivo un masochista perché avevo una vaga idea che sarebbe
stata la mia rovina!
Con
quello sguardo scuro e penetrante mi parlava, mi accusava di non
saper essere me stesso, di non saper parlare…ed io mi
sentivo in
mezzo a tutte le parole che non avevo mai avuto il coraggio di dire.
Dentro mi sentivo freddo. Mi ci ero sempre sentito. Non ci era
entrato nessuno, ma quando lui mi si avvicinò, ogni volta
che
entrava prepotente nella mia vita, sentivo qualcosa di diverso.
Lui
è sempre stato la mia fonte di calore.
Mi
sfidò, farfugliò qualcosa sul fatto che non
eravamo
pari e mi puntò il pallone da basket contro.
All’idea di
fare un one to one con lui non trovai il motivo per cui non farlo.
Anzi. Tutt’altro. Sapevo che mi sarei divertito. Ero convinto
di
vincere.
Ero
odioso, lo ammetto, ma lui combinava da solo le stupidaggini!
Quando
vidi che mi stava battendo pensai che poteva essere come
me….e
l’idea di potermi fidare di qualcuno mi
inorridì….o forse
solo mi spaventò…per evitare quella sensazione
nuova
dimostrai che eravamo diversi…e che non mi importava di
sporcare il
basket…perché lo odiavo…volevo
convincermene. Gli feci lo
sgambetto e lui cadde. Presi poi la palla e feci canestro mentre mi
gridava dietro di tutto. Mi piaceva la situazione. Mi sentivo
più
forte, volevo starmene da solo in quel luogo alto e freddo che
nessuno riusciva a raggiungere. Nessuno poteva essere come me,
sentirmi, ascoltarmi, avere risposte, tirarmi giù, farmi
compagnia, camminare con me.
Volevo
solo fare la vittima.
Lo
ero dalla nascita e freddamente convinto di essere costretto alla
solitudine e all’incomprensione degli altri mi illudevo che
andasse
bene così e che il basket non contasse nulla.
Lui
diceva esattamente il contrario.
E
i suoi occhi sulla schiena, quando me ne andai, mi pungevano, mi
davano un fastidio immane.
Finii
solo per pensare alle sue parole tutta la notte e a rivedermi quel
suo sguardo accusatore.
Ma
quel silenzio che mi era sempre piaciuto ad un tratto mi irritava, il
buio mi irritava, i rumori notturni mi irritavano, la solitudine mi
irritava…e non vedevo l’ora di tornare a scuola.
Non sapevo il
perché. Volevo il giorno.
Ora
so cosa volevo.
Che
lui continuasse a tormentarmi, a scuotermi, a parlarmi, a
sfidarmi…che mi invitasse a scendere dalla mia postazione di
sicurezza ove guardavo tutti dall’alto.
Lo
desideravo disperatamente…e che fosse proprio lui a farlo.
A
buttarmi giù. Con forza e testardaggine.
Un
impresa quasi impossibile alla quale, ora so, solo una persona poteva
riuscirci.
Tachibana
mi ha cambiato profondamente e non ho paura di ammetterlo. Mi piace
dirlo.
Come
al solito è stata colpa sua…e sono contento ora
di essergli
stato io d’aiuto. Questo mio giorno di dolore me lo
godrò
come avrebbe fatto lui, ma senza compatirmi o tornare indietro.
Con
lui, con quel nostro incontro, quelle nostre parole, accuse e sguardi
iniziammo.
Contro
tutto e tutti
FINE
CAPITOLO 4