Il Mio Dicembre

/My Decembar – Linkin Park /

È impalpabile.
Effimero.
Non capisci bene di cosa si tratta interamente finché non lo superi.
È solo un dannatissimo senso di insoddisfazione.
Sono arrivato ad un punto della mia vita in cui mi viene da chiedermi che diavolo sto combinando, cosa ho fatto fin’ora?
Sono giovane ed ho un sacco di possibilità e di strada da fare, certo, ma anche un paio di sentieri sbagliati dietro di me.
È ora di trovare la giusta via o quando mi renderò conto di aver sprecato il mio tempo, non potrò più rimediare.
Ho cercato sempre di fare ciò che mi andava per non avere rimpianti poi, per stare bene e non trovarmi così insoddisfatto.
Sono addirittura entrato nella polizia credendo di poter rendere più positivo il posto in cui vivo, e allora perché ora sto così lo stesso?
Ne ho viste troppe, lo so.
Baltimora (ma Philadelphia prima di lei) non è un bel posto e cresciuto come sono cresciuto ho capito come sono le persone.
Però pensavo che almeno nelle forze dell’ordine, quelle che combattono per la giustizia contro le persone che detesto, almeno loro potessero salvarsi.
Ma mi sbagliavo.
Ci è voluto il mio naso sbattuto brutalmente contro alla corruzione di alcuni dei miei colleghi, per capire.
Capire che in fondo ci si può sbattere quanto si vuole per fare il mondo un posto migliore, per far avverare i soliti ideali di buonisti del cavolo come me, ma alla fin fine non serve, alla fin fine queste belle cose nella realtà non ci sono.
Alla fin fine ‘giustizia’ è sempre un altro termine diverso da come lo intendo io.
Quello che stavo facendo non serviva a nulla e quello non è il mio posto, ciò che voglio fare tutta la vita.
Non voglio invecchiare in quell’ambiente corrotto e falso, quindi è meglio lasciar perdere.
Quell’agente è stato prezioso per farmi capire questa cosa.
E pensare che in teoria doveva essere tutt’altro caso… invece mi sono trovato a collaborare con la società investigativa della marina!
Ho difeso fino alla fine il mio ambiente, credendo fermamente che quel tipo così brusco si sbagliasse, che dovesse ascoltare ragioni e non rimanere solo nella sua idea, invece non è servito a nulla.
Non è stato così.
No, ed ora sono qui, come un idiota, schifato dalle persone in cui ho creduto per tutto questo tempo.
Che schifo.
Ho lasciato tutto e me ne sono andato senza pensarci due volte, anche se non avevo un posto dove andare perché vivevo proprio con l’amico corrotto che quell’uomo, quel Gibbs, ha inchiodato così ferocemente.
E tutto ciò che mi sono preoccupato di fare è allontanarmi da quella dannata città.
No, non penso proprio che la giustizia così come dovrebbe essere intesa, esista.
Esiste una giustizia corrotta che para il culo ad un sacco di manichini senza cervello buoni solo a far danni, ed esistono quelli che si nascondono dietro ad un distintivo dicendo: ‘io sono buono, ti salverò!’, mentre alla fine sarà lui a farti conoscere la morte.
Non è quello il mondo di cui voglio far parte.
Credo che il mio attuale senso di insoddisfazione sia dovuto a questo, non tanto al fatto che sto girovagando per questa città senza un posto dove andare e senza soldi.
È solo perché ancora una volta ho sbagliato scelte e me la sono trovata nel didietro. Sono stufo, sono veramente stufo.
Ci deve essere qualcosa che valga la pena fare, che non mi faccia rimpiangere un domani il mio passato.
Ci deve essere qualcosa che mi renda almeno un po’ soddisfatto.
Ma per ora non lo trovo, non so cosa sia.
Come non so come mai ho scelto di venire a Washinton, proprio dove sta colui che mi ha aperto gli occhi.
Non so nulla di lui, all’inizio l’ho odiato perché veniva dalla mia parte a rovinarmi tutto, a farmi crollare il mio castello. Era da subito sicuro e convinto di quel che diceva, aveva già una teoria e l’ha sostenuta fino a dimostrare che aveva ragione, che c’era qualcuno di corrotto nel nostro dipartimento e che ne aveva combinate proprio di grosse chiamando in appello persino l’agenzia della marina.
Poi, come se non bastasse, mi ha dato il colpo di grazia facendomi capire come ragionano i pezzi grossi, quelli che maggiormente dovrebbero tenere per la salvaguardia degli altri.
Che schifo.
Mi siedo sulla panchina di questo parco, non ha senso rifugiarmi in un bar, a far che, dannazione?
A far che?
Sto qua, al freddo, con la testa all’indietro e gli occhi ben aperti a guardare il cielo notturno, non che si vedano molte stelle, siamo in città, però questo parco di notte sembra tranquillo.
Non ero mai stato qua.
Guardo il mio fiato condensarsi a contatto con l’aria e la pelle comincia a congelarsi, ma non me ne curo.
Se uno sta fermo immobile senza far nulla fino a che non capisce cosa diavolo vuole fare, qualcosa dovrebbe comunque succedere.
Andrà bene anche così, certo non sarà peggio di prima, del luogo in cui stavo e della finzione a cui ero soggetto.
Qualcosa succederà.”


/ Mad world – Gary Jules /

Non è granché finire la giornata di lavoro sedando una rissa.
È solo un gruppetto di teppisti se la prende con qualcuno… qualcuno che sa difendersi, devo dire!
Peccato che ad un certo punto ha deciso di smetterla e seguire gli insegnamenti del porgere l’altra guancia.
Prima di intervenire ho osservato un attimo per cercare di capire se fosse necessario il mio intervento, all’inizio ne dava anche il ragazzo preso di mira, se la cavava bene, ma poi… poi non so, senza reali motivi ha mollato. Non ne aveva prese tante da farsi sopraffare.
Però ha smesso di rispondere a tono così eccomi qua, decisamente poco felice, a tirare fuori dai guai uno che probabilmente nemmeno ci teneva ad essere tirato fuori.
È solo che prima sembrava volesse, poi ha cambiato idea, che razza di comportamenti sono?
Mi ci vuole poco per far mandare via i teppistelli, così rimango solo col ragazzo che seduto a terra si tiene il viso probabilmente sanguinante, ha la testa all’indietro e le gambe piegate, chissà se ha intenzione di alzarsi e dire qualcosa.
Visto il proverbiale e conveniente silenzio, è quando me ne sto per andare (anche se è piuttosto malconcio) che si toglie le mani dal viso per prendere qualcosa con cui pulirsi via il sangue e lo vedo.
Anzi, lo riconosco.
È uno dei poliziotti di Baltimora che ho messo sotto torchio, abbiamo avuto uno scontro verbale per divergenza d’opinioni, mi ha colpito il modo in cui difendeva strenuamente i suoi compagni. Non aveva dubbi che fossero nel giusto, nemmeno un incertezza. Mi ha visto sicuro di me eppure ha dovuto sbatterci il naso contro e avere la sua bella delusione, per capire che avevo ragione io.
Mi ha colpito perché mi ha ricordato me solo qualche anno fa.
Abbiamo lo stesso principio di considerare i compagni di lavoro come una famiglia, l’ho ammirato anche se non ci siamo mai parlati in maniera civile.
- Ma guarda un po’! –
Dico col mio solito tono cambiando idea e fermandomi davanti a lui. Finalmente a queste mie parole sposta gli occhi chiari e sotto questo lampione ai margini del parco ci guardiamo vedendoci per la prima volta.
Mostra una certa sorpresa, non è tipo da mascherare quel che pensa, se non vuole farlo. Ora evidentemente non vuole.
Come immaginavo gli esce sangue dal naso e dal labbro, ha un livido anche al sopracciglio e probabilmente alcuni all’addome.
Dovrebbe andare in ospedale ma se il mio istinto non sbaglia, e non succede mai, sicuramente non vorrà.
Chissà cosa ci fa qui.
Avrà i suoi buoni motivi.
- Gibbs, giusto? –
Si ricorda il mio nome. Io non il suo ma non è uno dei miei maggiori pregi, ricordare i nomi degli altri.
Si tocca le tasche cercando un fazzoletto che non trova così tiro fuori il mio e anche se è di stoffa glielo porgo insieme alla mia mano.
Non c’è motivo che lo lasci lì, ora.
- Di Nozzo. Anthony Di Nozzo. – Dice mentre prende il fazzoletto con una mano e con l’altra la mia. L’aiuto ad alzarsi e una volta in piedi barcolla, per cui istintivamente prima di vederlo ripiombare a terra lo sostengo senza pensarci prendendolo per il braccio.
- Hai bisogno di aiuto? – Dico quindi con una retorica che coglie al volo, mi guarda ma non ha una luce molto felice nello sguardo, è più spento rispetto a quando l’ho conosciuto, non che abbia approfondito la sua personalità tuttavia non mi basta molto per capire chi ho davanti.
Non è uno che stasera era contento di essere al mondo e da così vicino mi rendo conto che i suoi occhi azzurri per quanto belli siano, non sono felici.
- Mah... – Risponde incerto. Come mai? Saprà se ha bisogno di aiuto o no. Queste cose mi fanno perdere la pazienza, così lo rivelo anche col mio tono sbrigativo:
- O si o no. Hai un posto dove andare? – Spero di non doverci perdere molto tempo…
Il ragazzo mi guarda disorientato appoggiandosi a me, gli gira la testa, poi si decide:
- No, non ho… - si sospende ed i nervi cominciano a tendermi, poi per fortuna riprende: - … nulla. – Ecco, speravo in una conclusione migliore. Perché io odio parlare al posto degli altri e già a lavoro devo interrogare i sospettati, pensavo di non doverlo fare anche fuori!
- Ti accompagno in ospedale? – Si stringe nelle spalle indifferente e questa sua malinconia che trasmette chiara e netta non mi va giù, non mi piace. Ognuno ha diritto di essere depresso ma non di non avere le idee chiare. Bisogna sapere cosa si vuole fare, diamine!
- Ma ci sarà qualcosa che sai! Cosa diavolo vuoi fare? –
Dunque ora i suoi occhi si sgranano maggiormente e come se avessi bestemmiato non risponde, sta in silenzio per un po’ e quando sto per mollarlo e andarmene, parla. Ha un tono molto basso, come se dicendolo lo sentisse per la prima volta:
- Mi piacerebbe capirlo. – Ho capito, è in crisi nera.
Ma proprio a me doveva capitare?
Di primo impatto quella volta mi aveva dato un impressione abbastanza positiva ed anche prima mentre rispondeva a quelli. Insomma, è uno che ci sa fare, sembra piuttosto in gamba e attivo. Deve essere rimasto deluso e ferito da ciò che ho tirato fuori dove stava prima. Logicamente dovrebbe avercela con me per avergli demolito il suo bel castello, invece non sembra sia così.
Ha smarrito la strada e penso sia un peccato perché è un tipo capace, che credeva in ciò che difendeva, in quella giustizia.
Sono rari quelli così, oggi.
Così dopo un momento in cui siamo rimasti così a fissarci seri e lui disorientato, mi decido e lo prendo meglio.
- Dai, intanto ti curo quelle ferite. – Poi lo conduco con passo deciso verso la mia auto e poi a casa mia.
Non so bene perché lo sto facendo ma mi hanno insegnato a seguire sempre il mio istinto, è stato Mike e siccome è a lui che devo parte di ciò che sono oggi ed il mio istinto mi ha sempre dato ragione, lo seguo anche ora.
Non è il caso di abbandonarlo e scrollarmi questo Di Nozzo, non so perché ma mi sa che me ne pentirei.”


/ People help the people – Cherry Ghost /

Non so bene come io sia finito a casa sua, mi sorprendo anche se in linea generica sono molto depresso.
Non ho una gran voglia di strabiliarmi, tanto meno di entusiasmarmi, non so nemmeno di cosa dovrei entusiasmarmi.
È stato comunque un caso incredibile che abbia incontrato proprio lui.
Troppo incredibile, ecco perché l’ho seguito docilmente.
A parte per il fatto che non ho un posto dove stare…
Però avevo ragione, se si sta fermi immobili senza far nulla perché non si sa effettivamente cosa fare, cosa volere, cosa credere, comunque qualcosa succede lo stesso e solitamente è proprio qualcosa che aiuta a darti le risposte che cerchi.
Ecco perché lo guardo così assorbito da lui, come se fosse un ancora di salvezza o un Dio sceso in terra.
Perché sono certo che sarà lui ad aiutarmi.
Mi lascio fare e se non sapessi che è una persona fondamentalmente in gamba, mi darei dell’incosciente, però effettivamente sono stato più incosciente ad andarmene su due piedi da dove ero prima per buttarmi in una città sconosciuta, solo perché un tizio che mi ha aperto gli occhi sta qua!
Detto così suona proprio stupido e forse lo è veramente, ma chissà, potrei sorprendermi da solo, non sarebbe la prima volta.
Mi ha fatto sedere nel divano del suo salotto, vive da solo ma ha una casa tutta sua, e senza dirmi null’altro ha preso la cassetta dei medicinali.
Con poca grazia mi ha fatto appoggiare allo schienale e con la testa sul morbido sento il bruciore del cotone imbevuto di disinfettante contro le ferite fresche che ho in faccia. Fanno male e mi lamenterei di più se non fossi ancora così giù.
Ho bisogno di risposte.
Cosa faccio, giunto a questo punto?
Non sono un ragazzino che ha mille opportunità, sono un uomo, seppur ancora giovane, che ha imparato a fare principalmente una cosa e che ora è in completa discussione… e non sa se cambiare del tutto oppure cosa fare.
Non è facile ricominciare da capo in qualunque età ed ora ci sono proprio.
Ricominciare per andare dove?
Sto in silenzio mentre senza rendermene conto lo guardo pulirmi il viso dal sangue, non sento nemmeno troppo dolore anche se probabilmente la debolezza che mi fa girare la testa è più per la fame.
È un bell’uomo e non fa spesso espressioni che non siano tendenti all’impaziente e al seccato, è sempre molto deciso e sbrigativo e per quel che ho visto la delicatezza non è nata con lui.
Però mi ha portato a casa sua e mi sta aiutando senza uno straccio di spiegazione da parte mia.
È diverso dagli altri.
È un agente federale, no?
Però è diverso da quelli che mi hanno schifato laggiù.
Comincio un po’ a capire perché io sia qua, anche se non credo in Dio né alla divina provvidenza. Al massimo credo al caso…
Con due dita sul mento mi gira con decisione il viso per avere un miglior accesso all’angolo sinistro della mia bocca, quel contatto risulta caldo ed è piacevole. Non oppongo alcun tipo di resistenza, nemmeno un lamento, ma lo guardo sfacciato: non ha avuto il minimo timore a toccarmi e questo ha trasmesso a me un senso di tranquillità ben lontano dal disagio. Sarebbe stato normale, no?
Eppure cosa c’è di normale in uno che si pone in questo modo con gli altri? Sembra non avere dubbi e paure… sembra ma è un uomo, deve averne. Le avrà già superate.
Voglio capire com’è.
- Hai fame? – Dice finendo di medicarmi e mettendo tutto via, mi fa quasi sobbalzare mentre alzo la testa senza staccargli interessato gli occhi di dosso. Sembra non gli dia molto fastidio.
Mi aspettavo un interrogatorio per sapere vita morte e miracoli, soprattutto per capire se io sono un criminale o meno, ma non mi chiede nulla se non questo. Continua a sorprendermi.
- Non mi chiedi nulla? – Dico istintivamente. Lui alza un sopracciglio:
- Cosa devo chiederti? –
- Bè, cosa ci faccio qua, cosa penso di fare ora… - Mi sembra logico, non ci rifletto molto, ma lui mi spiazza semplice e diretto:
- Perché, lo sai? – Ed il silenzio risponde al posto mio.
È vero…
- No. – Dico poi, così lui alzandosi dal divano si dirige alla cucina, la stanza adiacente a quella in cui siamo ora, non lo seguo ma lo guardo senza perdermi una sua mossa. Ma come fa a capire così al volo le persone?
- Non sono in casa da un po’ di giorni, non ho nulla di commestibile, cosa ti va di mangiare che lo ordino? – E penso che questa sia la frase più articolata che gli ho sentito da quando l’ho conosciuto.
Non ci penso molto e dico la cosa che normalmente preferisco:
- Pizza con salsiccia e peperoni. – Anche se poi, pensandoci meglio, mi rendo conto che ha dato per scontato un paio di cose, ad esempio che io rimanessi qua a cena e che avessi fame.
- E’ positivo. – Dice improvvisamente mentre continuo ad osservare il suo fisico in forma attraverso gli abiti formali da lavoro.
- La pizza condita? – Mi viene spontaneo e non capisco cosa pensi, ma mi illumina subito:
- Che hai fame. –
- Perché? –
- Significa che una cosa la sai. –
- Cosa voglio mangiare? –
- Che vuoi vivere. –
Di nuovo il silenzio cala e mi ritrovo a chiedermi sbalordito per la seconda volta chi sia quest’uomo.
Come fa a capire così profondamente uno che ha visto così poco? Non abbiamo nemmeno parlato molto… ma lui sembra già sapere tutto.
È pazzesco e sbigottito rimango zitto.
È vero, ho espresso il fatto che non so cosa fare ora, però da lì a capire il resto ce ne passa.
Però se ho intenzione di mangiare significa che non voglio mollare, che comunque qualcosa voglio fare lo stesso.
È positivo, già.
Mi attira come una calamita questa persona che in due minuti mi ha dato già delle risposte.
- Come hai capito che… -
- Che sei in crisi? Non ci vuole un genio. – La sua risposta è molto semplice ma non sono convinto fosse così facile come l’ha messa lui.
Dopo che ha chiamato per la cena si siede di nuovo vicino a me ricambiando il mio sguardo insistente. Aspetto che parli ancora, mi dia altre risposte, che faccia qualcosa e lui probabilmente aspetta che sia io a decidermi a parlare, così senza saper bene che dire l’accontento. In fondo sono io l’ospite.
- Ho mollato la polizia. –
- Dopo il nostro caso? – Chiede serio, non capisco il suo grado di interesse in tutto questo ma continuo a parlare, penso sempre più che mi farà bene.
- Si. Non è quella la giustizia che volevo difendere e far valere. Non è la mia giustizia, quella che va contro i veri mostri. Mi hai mostrato che i veri mostri sono quelli che comandano. È uno schifo. –
- La giustizia, eh? – Ripete colpito da questo concetto, così lo ribadisco con fermezza e ribrezzo:
- Si, la giustizia che non esiste. Non come la dico io. –
- Così molli. – Afferma a bruciapelo. Trattengo il fiato mentre improvvisamente il suo sguardo è diventato insostenibile.
Cosa sta cercando di dire?
Sento un profondo disagio, non mi piace. Cominciavo a sentirmi meglio con lui ma così… è come se mi stesse accusando. Non sono io quello corrotto.
- Si, mollo. Non è quello che voglio fare io, quello. Non in quel modo. –
Lui non esita ed è questo che mi lascia ancora di stucco.
- Ed io? – Tanto che trattengo il fiato.
- Tu? –
Lo guardo senza capire. Cosa dice?
- Io non sono come loro. –
Deciso e risoluto, mi colpisce una volta di più. Non è un grande conversatore come forse sarei io in condizioni ottimali, ma dice le cose giuste al momento giusto, colpisce sempre nel segno.
Non è solo in gamba, è uno prezioso, da seguire e non farsi sfuggire mai.
È per lui se ora io ho aperto gli occhi e non voglio più stare là… e non so cosa fare ora!
- Sono tanti quelli che non vanno, è vero, e pochi quelli degni d’attenzione. Però se tutti gettano la spugna le cose non possono mica migliorare. –
È addirittura oltre le mie aspettative.
Mollerei, giuro.
Ci sono dentro a questo buttare la spugna e chiudere questa porta, dimenticare tutto… però è sbagliato e lui mi sta dicendo questo.
È sbagliato e sciocco.
Ma ci voleva lui a farmelo capire, lui che fa sbattere contro il muso fino a far male però che aiuta, a modo suo, in una maniera o nell’altra.
- Però io ora non ho un posto dove andare. –
Perché laggiù non ci torno.
Perché se devo stare in un posto non vorrei fosse così lontano da colui che vorrei riuscire a diventare.
Sorride facendomi trattenere il respiro di nuovo, ha un bel sorriso, poi dandomi un’amichevole pacca sulla schiena si alza andando verso la porta d’ingresso, dicendo sicuro:
- E questo cos’è? –
Già, questo cos’è?
Il posto in cui io voglio stare.
Con lui.
E mentre me ne rendo conto come un ebete, lo guardo mettere la mano sulla maniglia proprio sul suono del campanello.
Questa poi… non è mica normale, Gibbs!
Spero solo di diventare anche io come lui.
Mi piace, voglio stare con lui.”


/ The moment i said it – Imogen Heap /

So che dal suo punto di vista non sono stato molto normale ad avergli parlato così francamente e ad averci preso subito, lo posso immaginare.
Però sto solo facendo quello che hanno fatto con me quando sono caduto in una crisi come la sua. Mia moglie e Kelly erano appena morte e quelli dell’NIS (che ora è diventata NCIS) che si sono occupati del mio caso in quanto io ero ancora un marine, mi hanno raccolto cercando di ridarmi una vita, di far di me qualcuno che potesse andare comunque avanti.
È stato Mike a darmi quel qualcosa e a modellarmi giorno dopo giorno.
Lui ha fatto quello che stasera io ho fatto per quel ragazzo e sento che va bene così, un giorno lui lo farà con qualcun altro dando un senso a tutto.
L’ho fatto perché mi ha ricordato tanto quel me stesso dalla strada smarrita che insultava la giustizia comune.
Certo offrirgli in questo modo il mio aiuto incondizionato, addirittura farlo rimanere qua con me fino a che non troverà un posto suo, è azzardato ma sento che posso fidarmi, va bene così.
Ha saputo aprire gli occhi e vedere il marcio in cui era, ne è rimasto ferito ma si è rifiutato di farsi corrompere, di scendere a compromessi e rimaner magari sporco lui stesso.
È uno che combatte in ogni momento anche non fisicamente e mi piacciono quelli così.
Quelli che non si arrendono comunque e che vogliono uscirne, non avere rimpianti, che cercano sempre di farcela.
Lui se ne è andato da là per questo, per girare pagina e darsi ancora da fare.
Mi trovo a riflettere su di lui mentre riordino la cucina, alla fine abbiamo mangiato e l’ho mandato a farsi una doccia, dandogli degli abiti di ricambio.
Mi ha parlato un po’ di sé e delle sue esperienze precedenti al mio arrivo, non credo sia uguale a me al cento per cento però ha qualcosa di molto simile, qualcosa che mi spinge ad istinto verso di lui a fidarmi e a studiarlo con attenzione. Non si spiegano queste sensazioni, Mike mi ha insegnato a fidarmi di questo genere di intuizioni ed ora che lo faccio costantemente ammetto di non essermene mai pentito.
Non potrò dare spiegazioni quando insisterò per averlo nella mia squadra all’NCIS, dirò semplicemente che è idoneo e che garantisco io per lui. Così come ognuno che troverò e vorrò in questa mia personale famosa squadra.
Non c’è nemmeno da chiedersi se sia la cosa giusta farlo arruolare dove lavoro io, so che andrà bene.
Sono fatto così, so buttarmi una volta che sono certo di ciò che sento, arrivo a dare tutto in quei momenti e non perdo tempo in mezzo a troppe parole. Mi secca dimostrare apertamente quel che penso e che provo, però provo, sono umano. Dimostro e dimostrerò a modo mio, se lui è quello giusto saprà capirmi al volo ed un giorno gli lascerò le mie redini così come Mike le ha lasciate a me.
Non so spiegarlo meglio ma va bene così.
Certi legami si sentono.
- Gibbs… - La sua voce mi distrae dalle mie considerazioni, così mi giro verso di lui e la certezza che è vero ciò che ho appena pensato riguardo i legami, arriva come un treno mentre lo vedo bagnato in accappatoio coi capelli spettinati sul viso. Ha un aria colpevole e questo decisamente comincia a preoccuparmi…
- Si? – Non dimostro turbamento ma non distolgo nemmeno gli occhi da lui, che problemi ci sono se lo guardo diretto dopo che lui l’ha fatto per tutto il tempo con me?
- Ecco… non so bene cosa sia successo, ma il bagno si è allagato… - Sgrano gli occhi istintivamente cercando di immaginare se scherzi o se dica la verità, poi dando un occhiata attenta al suo sguardo sempre più da beagle che ne ha combinata una grossa, capisco che è uno di quelli che appena si riprendono dalle crisi esistenziali diventano dei piantagrane unici!
Sospiro emettendo insieme al fiato un profondo ringhio seccato, non maschero i miei pensieri, voglio esattamente che capisca tutte le maledizioni che gli sto lanciando e penso le capti visto che indietreggia col mio avanzare. Alza le mani davanti a sé in segno di resa e mi fissa implorante, spero proprio che non abbia anche QUEL lato di me che avevo da ragazzo… quello che mi faceva venir sempre punito con delle punizioni corporee esemplari!
Le mani mi prudono mentre mi guarda in questo modo: sarà pure un bel tipo, specie svestito così, e ci saranno pure tutti i legami che vuoi, però queste non pregiudicano delle sane lezioni di disciplina.
Gli passo vicino senza toccarlo, gli lascio solo i miei occhi furenti poi salgo le scale andando al bagno, mi ha seguito coraggiosamente, bisogna dargli atto dell’audacia che ha. Tuttavia una volta che vedo il lago sul pavimento mi rendo conto una volta di più che decisamente non sono uno che frena i propri istinti.
Ecco perché senza pensarci un attimo alzo la mano dove i muscoli del braccio indicano il desiderio di prenderlo a pugni e gli do uno schiaffo deciso ma non esagerato sulla nuca. Il necessario per fargli capire che ha appena fatto una cavolata e che non deve rifarla.
Non c’è niente di male, sono utili… anche Mike ha adottato lo stesso sistema con me quando doveva addomesticarmi, hanno funzionato. Ora io farò semplicemente la stessa cosa con lui, o ne andrà della mia sanità mentale visto che dovremo convivere per un po’ e che lo vedrò a lungo a lavoro.
- Scusa, non l’ho fatto apposta, non so nemmeno come sia successo… -
In un istante la sensazione di spiazzamento che ho avuto appena l’ho visto in accappatoio e nudo, svanisce.
Prima di qualunque altro istinto su quella strada, bisogna ammaestrarlo come si deve!
Gli lancio uno sguardo altrettanto di fuoco che parla più di mille parole o gesti e cercando la pazienza di non tirargli altri dieci schiaffi sulla testa, comincio con la prima lezione:
- Non si chiede mai scusa, Tony. È un segno di debolezza. –
Lui ascolta e annuisce facendo l’espressione da soldato diligente ed attento, a parte questo lato da buffone che capisco è insito nel suo DNA e che non riuscirò mai a mandargli via, penso, si vede la convin`°one che ha nel far suoi tutti gli insegnamenti e le parole che gli dirò da ora in poi.
È questo, anche, che comunque mi fa capire che non sarà qualcosa che finirà nel vento ma che andrà avanti.
Ne sono certo.
Bisogna solo trattarlo come un beagle (fedele ma fastidioso per l’allegria e i guai che combina ad ogni millesimo di secondo) ha bisogno di essere trattato.
Per trasformarlo in un San Bernardo (più utile e diligente e soprattutto sempre comunque fedelissimo!).
Il mio fedele San Bernardo!”