Mente Perduta

CAPITOLO III:

SINFONIA DOLCE AMARA

La mia vita è solo una sinfonia dolce-amara, non sarò mai di convenienza, ma solo come io vorrò essere…”


Le dita correvano sui tasti del piano veloci e abili, si destreggiavano come se non avessero fatto altro dalla nascita e forse era proprio così. Era una melodia lenta e veloce al contempo, trasmetteva un infinita tristezza e malinconia però al momento di dover partire, la voce non uscì, consapevole probabilmente che così sarebbe stato meglio quindi continuò la canzone.
Immaginava il cantante originale dal timbro graffiante ed acuto pieno di rabbia ed inquietudine, cantare accompagnando il suo pianoforte, sentirlo con la fantasia crescere d’intensità finché anche le note dello strumento esplosero dando l’idea perfetta del significato del testo. Era una canzone che mescolava rock ad hip hop, rimbombava altisonante con la sua confusione encomiabile, suonata in quel modo, però, appariva terribilmente straziante e penetrante, come se sussurrasse nel cuore di chi ascoltava proprio le parole che volevano sentire. Le dita magre ed affusolate, proprie da pianista, non smettevano di suonare, mentre le braccia sottili e prive di muscoli, come tutto il resto del corpo sotto peso, era immobile. Il ragazzo, tuttavia, pur essendo così magro non era basso quindi faceva ancora più impressione vederlo, semplicemente avrebbe dovuto mangiare di più, peccato che Daniel non era tipo che sentiva facilmente fame. Quello di cui avrebbe voluto nutrirsi, di cui aveva bisogno, non c’era. Era tutto insopportabilmente finito e sparito e a metterci del suo arrivava anche la canzone che suonava, con cui era difficile rimanere allegri, rendeva l’atmosfera ancor più pesante tanto da far venir voglia di piangere. Eppure lui resisteva.
Gli occhi nocciola dalle pagliuzze dorate erano chiusi, mostravano un espressione concentrata, sotto sforzo, la musica lo penetrava sempre, non riusciva a starne indifferente. Entrava totalmente in essa e ne veniva risucchiato senza speranza. Completamente fra le sue braccia, gli unici sentimenti li prova con lei, ormai, ed era così intensa, ogni volta, che finiva quasi sempre per crollare e lasciarsi andare.
Erano lineamenti semplici, tipici francesi, piccoli e perfetti, armoniosi. Aveva un bel viso e quando aprì un attimo gli occhi appannati dalla tristezza del suono creato, si mostrarono né grandi né piccoli, solo molto espressivi, al contrario delle labbra sottili che non ridevano mai, era un peccato poiché se l’avessero fatto sarebbero diventate simpaticamente scherzose tanto da contagiare tutto il volto. Un vero dispiacere vista anche la ruga che solcava perennemente la fronte, a dimostrare le pene che aveva già dovuto sopportare e che non aveva intenzione di mascherare – o di affrontare? -
La porta si aprì interrompendolo sul finale. Entrò un ragazzo identico a lui, era vestito in maniera semplice, ben pettinato, curato ed ordinato. A parte questa differenza era identico come una goccia d’acqua.
- Dany, devi andare a scuola, fai tardi anche questa mattina…-
Il gemello gli parlò con un tono lieve e delicato, gentile ma paterno. Seppur fossero della stessa età, solo Daniel andava all’ultimo anno scolastico poiché era stato bocciato, al contrario dell’altro.
Si interruppe e si girò fissandolo un po’ seccato, sbuffò mostrandosi poco tenero, al contrario di quanto poteva far credere il suo volto che ora appariva chiaramente tagliente.
- Etienne, che stress…anche se non ci vado cosa importa?-
Il fratello alzò un sopracciglio stupito:
- Cosa? Guarda che non è mica un hobby, per me, lavorare anche al posto tuo! Se vogliamo mantenerci da soli e cavarcela senza mamma e papà dobbiamo darci da fare e finché tu sei a scuola, a darmi da fare sono solo io! Non fare quello che hai sempre fatto e vai!-
A ciò Daniel si alzò pigramente dallo sgabello rotondo, si stirò i muscoli poi disse ironico con quella sua inclinazione deliziosa delle labbra e degli occhi furbi:
- ‘Cosa’ lo dico io! A scuola mi chiamano ‘stacanovista’!-
Si riferiva agli ottimi voti che effettivamente aveva. Se era stato bocciato tutti sapevano che non era per il suo rendimento che non aveva una pecca, anzi. ‘Quella’ brutta storia l’aveva letteralmente distrutto, Etienne lo sapeva e scherzava per sdrammatizzare, dargli un po’ l’incoraggiamento di continuare nonostante tutto.
Sapeva quanto fragile fosse il gemello omozigote. Fragile e lunatico. Era incomprensibile ma estremamente sensibile, i complessi li aveva fin da piccolo e cadeva regolarmente in crisi qualora si scontrava con la chiusura mentale della gente che lo condannava per la sua diversità interiore.
Essere gay era una colpa? Se lo chiedeva sempre ed ogni volta si ripiegava in sé stesso. Aveva passato un infanzia impossibile preso in giro da tutti ed emarginato, solo il fratello lo aveva aiutato in ogni occasione a tirarsene fuori, poi era arrivata ‘quella cosa’ che l’aveva del tutto demoralizzato.
Come aveva fatto ad uscirne? Nemmeno Etienne era riuscito a far qualcosa per lui, solo il padre con cui aveva un rapporto meraviglioso.
Ad ogni modo ricadere nei ricordi era una fase mattutina di ogni giorno, un rito ormai per entrambi.
Daniel si guardò brevemente allo specchio poco convinto sul suo aspetto decisamente impresentabile. Capelli castani che andavano dove volevano, frangia un po’ sugli occhi, occhiaie per le ore NON dormite, pallore perenne dovuto alla mancanza di sole nella sua vita, vestiti pietosi da spaventapasseri rovinati ove il rosso era sempre presente, sul mento un filo di barba leggera dovuta alla trascuratezza generale. Era il suo stile, non gli interessava apparire in un certo modo. Ad un omosessuale poteva importare un aspetto da ‘macho’? Se lo chiedeva spesso, per questo alzava le spalle e andava avanti così com’era.
Inoltre in aggiunta a tutto questo, lui era un artista ed in quanto tale non si curava di certe cose.
Lo era a partire dalla sua voce e da come cantava, testimonianza di arte pura. Lui quando cantava era musica, si trasformava nella sua essenza ed era puro quanto un bambino.
Mosse un braccio prendendo lo zaino coi libri della giornata, infine si decise ed uscì di casa respirando finalmente aria pulita.
Se era ancor lì ad affrontare quella vita ingrata e terribile, significava che nonostante fosse fragile, era anche più forte di quanto sembrasse.
Una volontà d’animo impareggiabili.
La sua vita era una sinfonia, forse dolce, forse amara, forse tutte e due. L’importante era che andasse sempre avanti affrontando tutto e tutti a modo suo, in quel suo strambo modo di fare le cose, che non sprofondasse mai sotto il peso delle brutte cose che gli capitavano, che non si facesse prendere male dai momenti out ripetuti, che si convincesse che l’amore esisteva e che era anche per lui anche se sembrava tutto il contrario.
Daniel. Un ragazzo, un arte seguito da un punto di domanda. Decifrarlo era così utopistico.