Puro Amore
CAPITOLO
III:
VITA
ETERNA
/Halleluja
– Jeff Bukley /
Stava
ore ed ore lì, ferma immobile come una statua a guardarli e
ascoltarli suonare.
Ogni
tanto si trovava a chiudere gli occhi e concentrarsi con molta
profonda attenzione, fino a riuscire a comporre con la mente un
balletto adatto a quel che udiva. Era solo la sua mente,
però
perfino lì si trovava ogni volta in difficoltà a
ballare una cosa del genere.
Lei
che era perfetta per il suo genere musicale, la danza classica, ora
si trovava a non riuscire a ballare altrettanto perfettamente un
altro genere musicale, seppure solo con la mente.
Figurarsi
con il corpo …
Si
indispettiva, mostrava questo stato d’animo con un solo breve
movimento del sopracciglio, induriva l’espressione del
bellissimo
viso e poi tornava a riascoltarli.
Loro
potevano stare a suonare per ore, lei stava lì per ore,
senza
muoversi e fare altro che quello.
Perché
aveva accettato?
Perché
si era detta si?
Lei
aveva dato la vita per il ballo classico poiché era quello
tutto ciò che le era unicamente piaciuto, il senso
più
alto dell’esistenza, la purezza nella grazie dei movimenti,
qualcosa che salvava chiunque; poi si era trovata ad odiarla senza
capirne il motivo, eppure non per quello aveva provato attrattiva per
un altro genere di danza.
Nemmeno
morta, si era detta quando per la prima volta ci aveva pensato da
sola.
Cambiare
stile non sarebbe stata forse la cosa più sensata?
Poi
era arrivato uno sconosciuto diametralmente opposto a lei, il quale
tutto ciò che riceveva era la sua disapprovazione per il
modo
in cui viveva e si conciava.
Eppure
lui glielo aveva chiesto e lei aveva accettato.
Ballare
quella musica, quel punk …
“No,
non è del punk. Né il punk. Si tratta solo della
SUA
musica.
Ho
sentito l’istinto di accettare e provarci perché
sarebbe
stata della musica che lui avrebbe creato per me.
Lui
non me l’ha detto però io l’ho sentito.
Avremmo
creato ognuno qualcosa per l’altro.
Sconosciuti
che collaborano provando ad andare nell’intimo
dell’altro.
Presunzione
allo stato puro.
Ecco
perché ho accettato.
Perché
questo potrebbe essere abbastanza interessante per una come me.
Una
che di umile ha molto poco.”
Ma
non era stato solo questo, era stato anche per un altro motivo molto
più semplice.
Lui
era riuscito a salvarla in qualche modo, le aveva detto quelle famose
parole giuste, il dialogo che avevano avuto successivamente
l’aveva
colpita ancor di più.
Ora
c’era solo una cosa logica da fare, seguire la sua richiesta
senza
chiedersi perché, senza dirsi: non mi piace, è
folle,
non è da me.
Normalmente
non l’avrebbe fatto ma le persone fanno qualcosa contro la
loro
volontà se sono costrette da una minaccia, oppure se hanno
stima e rispetto per colui che glielo chiede.
Il
punto era solo questo e la domanda reale di conseguenza mutava: come
aveva potuto uno come Syd prendersi in così poco tempo la
sua
stima e il suo rispetto?
Quelli
di una come Sylvie?
Forse
la risposta non ci sarebbe mai stata, però
l’importante era
non fermarsi alle prime domande insolute.
L’importante
era trovare un minimo motivo – istinto – per andare
avanti e
farlo.
Proseguire.
Avanzare.
Passava
così ore ad osservarlo, lui in special modo, ad elencarsi i
dettagli di lui e del suo aspetto o modo di fare che non incontravano
la sua approvazione, che non andavano bene o che doveva cambiare.
Poi
si tornava a concentrare sulla musica, sulle sue dita che si
muovevano agili sulle corde dello strumento, tanto da affascinarla e
sconvolgerla per questo.
Sconvolgerla
dal profondo.
In
lei qualcosa stava cambiando, ma ancora non se ne era resa conto.
-
Allora a che punto sei? –
La
voce atona e bassa di Syd le arrivò da vicino, facendola
riscuotere con una certa grazia naturale.
Aprì
gli occhi che aveva mantenuto chiusi per provare a ballare con la
mente e posando l’azzurro cielo sul blu notturno quasi
impercettibile di lui, entrambi provarono un brivido che cercarono di
ignorare.
Le
ci volle un attimo per capire di cosa parlasse e come mai gli altri
suoi compagni erano andati via lasciandola sola con lui
nell’ampia
sala che usavano per le prove.
Aveva
concesso loro la propria stanza di specchi, quella che usava per i
suoi allenamenti. Finché non avrebbe trovato qualcosa da
ballare, non l’avrebbe più usata e questo
dipendeva da loro.
Sylvie
non parlava con altri che non fosse Syd e per gli altri era un
chiarissimo segno di come le cose sarebbero andate a finire.
Nessuno
però osava parlare con loro dell’argomento, un
certo timore
lo incutevano su chiunque.
Si
perse per un secondo a guardare di nuovo le sue dita che non si
fermavano, affusolate e rovinate, arrossate. Sicuramente ruvide al
tatto. Le aveva toccate quella volte però non ricordava la
sensazione che le avevano dato, era finita come in un altro universo,
in quell’istante ormai lontano.
Mantenendo
la posa eretta ed immobile in cui era, rispose solenne e col suo
perenne fondo di saccenza:
-
Non riesco a completarlo come si deve, mi manca qualcosa. –
Lui
alzò un sopracciglio rasato senza crearsi problemi, che
stava
dicendo? Non l’aveva mai vista provare, a meno che non lo
facesse
al posto di dormire … cosa in effetti probabile.
-
Provi al posto di riposare, la notte? –
Lei
non capì dove voleva arrivare, per cui rispose piatta:
-
No. –
-
Allora quando? –
Facevano
a gara a chi usava un tono di voce meno espressivo, probabilmente.
-
Quando voi suonate! –
-
Sei scema? –
Si
stupì che quella fosse una domanda e non un affermazione
…
di solito gli insulti non si chiedono, si danno e basta. Per questo
non se la prese ma si chiese da quale pianeta arrivasse quel ragazzo
sempre più incomprensibile.
Si
alzò in piedi per guardarlo meglio negli occhi,
più
vicini; non si toglievano tanta differenza d’altezza.
-
Perché? –
Aveva
parlato con voce leggermente più bassa di prima.
-
Non ti ho mai vista muovere un dito, dolcezza! –
Cominciava
a provare un certo piacere nel dimostrarle quanto lei fosse fuori di
testa: per lui lo era, per lei era lui ad esserlo … punti di
vista,
no?
Sylvie
si mise improvvisamente a fissarlo come se fosse un verme strisciante
che avesse appena osato affrontarla impunemente, se avrebbe potuto
l’avrebbe schiacciato con un piede.
-
Sei un inetto. –
“Questa
poi!”
Pensò
velocemente lui con un certo scandalo.
Era
lento ciò che cambiava in loro, ma succedeva solo quando
stavano insieme, l’uno a stretto contatto con
l’altro.
-
Mostrami cosa hai PROVATO, allora! –
Marcò
sulla parola ‘provato’ per intendere che quel
discorso aveva
dell’assurdo, visto che lei non aveva mai provato fisicamente
nessun ballo durante le loro prove.
Lei
strinse le labbra come per trattenere un altro scatto
d’insulti,
non si lasciò andare solo per mantenere la sua immagine di
ragazza per bene. Poiché lei lo era, ignorò
quell’istinto.
Aveva
appena deciso di lasciarlo stare ed andarsene, a farle cambiare idea
fu la mano tesa del moro, tesa verso di lei ad indicare che doveva
fargli vedere cosa aveva creato.
Lei
si trovò a sospendere il fiato e ad afferrare proprio quella
mano che le porgeva.
“Che
cosa si potrebbe sentire dalla sua mano? Sembra così
spiacevole al tatto … magari è veramente
così.
O
forse no.
Se
non la tocco non lo saprò mai!”
Era
più importante sentire com’era toccare quella sua
parte del
corpo, piuttosto che riprendersi la sua dignità offesa.
Così
lieve ed aggraziata come se già stesse ballando, mise le sue
piccole dita sul palmo più grande di Syd e trattenne il
respiro per captare quel che cercava.
Fece
più attenzione a quell’attimo piuttosto che ai
passi che
avrebbe dovuto fare.
Guardava
quella breve ed insignificante unione, non lui, non la stanza, non
altro … le loro mani che si erano prese fugacemente.
“Cos’è?
Non so, però … però è
piacevole. Cazzo se lo
è! E’ liscia, non ho mai sentito nulla di
così liscio
e morbido, delicato, leggero … come il petalo di una rosa.
Fantastico!
…
chissà
… chissà se il suo corpo è tutto
così.
Come
dev’essere averla fra le braccia? Baciarla, leccarla,
toccarla,
entrare in lei, averla, possederla … come
dev’essere?
Voglio
farlo.
Voglio
fare l’amore con lei.”
Questo
pensiero percorse la mente vuota, fino ad un momento fa, di Syd e
spostando il pollice sul dorso della sua mano, spingendo quel tanto
da farle capire che voleva il resto, la senti scivolare via con passi
che sembravano dei battiti d’ali di farfalla, la vide andare
oltre,
al centro della stanza dove non v’erano più gli
strumenti di
prima, dove ora l’aria sembrava plasmarsi e cambiare per
renderla
più bella e facilitarle il compito a cui si apprestava
compiere.
Una
magia?
L’atmosfera
che si trasformava gli fece dimenticare anche di accendersi una
sigaretta, improvvisamente non ricordava nemmeno che intenzioni
avesse. Perché Sylvie si era messa in mezzo alla stanza in
quella posa magica?
Attendeva
immobile, sicuramente non respirava ed il suo sottile corpo rivelava
una perfezione tale da dimostrare che lei era una vera ballerina, non
una che cercava di diventarlo.
Forse
era una maga.
Forse
lo stava solo ipnotizzando.
E
se anche lui avesse potuto farlo con lei?
Poi
magari … poi magari avrebbe potuto realizzare quel desiderio
di far
l’amore con lei, quel desiderio rude e grezzo che aveva avuto
solo
con quell’innocente contatto.
-
Prego … suona qualcosa per me. –
Un
invito dalle sue labbra uscì raggiungendolo in quel posto
lontano in cui era finito, dovette farselo ripetere, solo dopo si
ricordò che doveva suonare per lei.
Per
lei.
Lui
doveva suonare qualcosa per lei per farla ballare.
Uno
scambio equo di pensieri. Cosa le trasmetteva lei?
Cosa
gli trasmetteva lui?
Manifestarlo
per farlo vivere, un improvvisazione momentanea.
Cominciò
a pizzicare le corde, consapevole che non sarebbe stata la stessa
cosa che avere anche gli altri strumenti, ma lo fece e non come
sapeva farlo, bensì come sul momento si sentiva di farlo.
Lei
l’avrebbe seguito qualunque cosa avrebbe suonato?
Non
sapeva cosa ne sarebbe uscito, partì così, come
veniva.
Senza
staccarle un solo minuto gli occhi di dosso, fece uscire le note di
una nuova canzone mai creata, mai immaginata, mai nemmeno pensata,
solo sognata.
Sogni
in cui lei era protagonista.
Quella
melodia aveva decisamente poco del punk, pure del rock o di qualsiasi
altro genere musicale di quei tempi o di altri.
Quella
musica non poteva categorizzarsi se non come quella dedicata ad una
perfetta e bellissima rosa rossa, una rosa che veniva guardata da una
specie di erbaccia raggrinzita e brutta, imparagonabile a lei.
Una
musica nostalgica e triste, come il canto dell’ultimo alito
di vita
di una creatura orrenda che sta per morire ma che è felice
perché finalmente ha visto qualcosa che vale, qualcosa che
gli
ha valso l’esistenza.
Però
sta per morire e non potrà più vederla se non
dall’alto
del suo cielo.
Un
cielo bello solo se guardato dai suoi occhi, quegli occhi azzurri e
freddi.
-
Voglio accenderti … -
Mormorò
come in trance mentre la vedeva muoversi per lui, improvvisare
veloce, lenta, veloce, lenta, saltare, girare, interpretare,
emozionarsi e piangere.
Mormorò
quella frase senza nemmeno rendersene conto, esternando sicuramente
per la prima volta cosa provava.
Perché
sempre per la prima volta guardava qualcosa per cui valeva la pena
mostrarsi nudi.
Lei
era spenta in ogni istante, aveva tentato di uccidersi e non
l’aveva
fatto per miracolo, un miracolo che ancora non aveva capito.
Ma
era spenta e vuota, ancora così indifferente alla vita e a
tutto …
Si
aggrappava a lui.
Perché?
Lui
non l’avrebbe mai compreso ma non sarebbe più
stato in grado
di fare a meno di lei.
Mai
più.
Come
in un sogno, con la pelle che si induriva per l’emozione di
quanto
stava accadendo da parte di entrambi, lui cominciò ad
avvicinarsi febbrilmente, imitato da lei a passi di danza melodiosi
disperati.
Disperati
come quello che le trasmetteva quella melodia a poche note,
struggenti, indefinibili.
Passi
impercettibili d’avvicinamento.
E
poi il finale.
Un
finale di morte, dove l’erba veniva strappata dal terreno per
permettere alla rosa di crescere più bella che mai, da sola
in
quel luogo curato appositamente per lei.
Un
finale triste e straziante oltre ogni dire ma anche pieno
d’amore,
di quell’amore che ad entrambi era sempre stato negato.
Un
sentimento che non avevano mai creduto di avere.
Ed
infine anche la rosa appassiva poiché triste e sola, non
trovava il senso della sua esistenza, senza nessuno che le facesse
capire quanto importante fosse.
Questo
finale nel silenzio vide Sylvie che posava le sue sottili e fredde
labbra su quelle di Syd, senza altri tocchi fisici se non quello.
Un
momento plastico dove nemmeno i respiri si levavano.
Un
momento di vera e pure sofferenza e magia al contempo.
Un
momento da vivere senza rovinarlo, senza svegliarsi, senza far nulla
che imprimersi a fuoco le labbra dell’altro,
l’unico tocco che si
erano concessi.
Senza
domande, senza spiegazioni.
Perché
così andava fatto e basta.
Perfezione.
Si.
Esisteva.
Ma
dipende sempre dai protagonisti.
Da
come viene vissuta, non da come viene vista o pretesa.
Poiché
perfezione è anche amare ed essere amati senza motivazioni.
Come
avere la vita eterna.