TRE
CAPITOLO
II:
COMPITI
E DOVERI
/What
i’ve done – Linkin Park /
-
Portman, c’è un emergenza! –
La
voce alterata e preoccupata dell’infermiera accolse Matt
agitandolo
in partenza, se non fosse stato uno che di natura manteneva la calma,
sarebbe stata dura. Posò gli occhi grigi con pacatezza e
serietà su quelli della donna già vestita e
pronta per
entrare in sala operatoria. Perché chiamarlo con tanta
urgenza? Lui era solo un specializzando, in fondo …
-
Non è di turno mio padre? –
Ormai
tutti lo conoscevano, anche troppo bene … si era rassegnato
a
parlare in quel modo senza troppe formalità.
Era
tranquillo, dopo tutto c’era suo padre, no?
Vide
invece l’ansia e l’inquietudine nel volto
dell’altra:
-
Doveva esserci ma non si trova da nessuna parte e non risponde al
cerca persone … gli altri chirurghi sono impegnati in altre
urgenze, non rimane che lei … -
Ecco,
questo fu motivo di preoccupazione, decisamente. Un lampo
attraversò
il suo volto maturo, si poteva dire allarme. Qualcosa non quadrava.
-
Come? Cos’è successo, un incidente di massa? E
cosa
significa che mio padre non si trova e non risponde? Io sono ancora
uno specializzando, non posso operare da solo … -
-
E’ stato un brutto incidente e tutti i medici sono impegnati
con
altri pazienti gravi anch’essi ma rimane un ragazzo che
è da
operare subito, rischia grosso e … il Dottor Portman non si
trova …
-
Rispose
in fretta mentre l’aiutava a cambiarsi. Matt provò
ad
immaginare le cause che potessero spingerlo ad assentarsi da lavoro
senza avvisare, sperava vivamente fosse un motivo più che
valido e, anzi, che stesse bene. Poi ci rifletté
… certo che
stava bene, in caso contrario sarebbe capitato lì e tutti
l’avrebbero saputo!
Quell’uomo
stava più che bene, ne era certo. Non esisteva persona con
più
salute di lui, considerando che da solo non andava nemmeno in bagno,
visto tutti quelli che lavoravano per lui; poteva cominciare ad
irritarsi.
Già,
irritarsi.
Pericoloso
per uno che doveva apprestarsi ad operare. Razionalmente dovette
elencare alla velocità della luce tutte le regole da
seguire.
Non poteva ASSOLUTAMENTE operare da solo, se avesse sbagliato di chi
sarebbe stata la colpa? Sarebbe anche stato espulso, il pericolo
maggiore era comunque dettato dal fatto che se fosse accaduto, ci
sarebbe andata di mezzo la vita di una persona.
Non
si sgarrava mai in quei casi perché in ballo c’era
molto,
molto di più. Troppo.
-
Io non posso operare da solo … rintracciate mio padre. Avete
visto
a casa? –
Era
ovvio che avessero visto a casa ma era anche ovvio chiederlo. Si
stava lavando e l’infermiera che l’assisteva si era
lanciata in
un lungo monologo in cui spiegava la situazione del ragazzo,
l’incidente, ciò che avrebbe dovuto fare secondo
gli ordini
degli altri medici, il permesso che aveva avuto se il primario non
sarebbe tornato subito e che quest’ultimo era stato fatto
cercare
di persona da un assistente con grande urgenza.
-
Ho il permesso di operare da solo? Ma siamo impazziti? È una
responsabilità enorme … -
Cominciava
ad agitarsi anche lui, in fondo era normale. Aveva le competenze
adatte ed essendo figlio del primario di chirurgia, aveva avuto modo
di esercitare più rispetto agli altri del suo stesso
livello,
era una specie di chirurgo ufficioso e non ufficiale ma ad ogni modo
il rischio c’era ugualmente.
Non
era uno scherzo e al moro non piaceva per niente quella situazione.
-
E’ l’unico che può farlo, sono tutti
d’accordo, è
un’operazione a cui ha già assistito altre volte
con suo
padre … -
-
Si, ma era lui a dirigere e operare, dannazione! –
Si
concesse una specie di imprecazione, era sempre più nervoso
tuttavia, nonostante le proteste, quando un altro chirurgo di ruolo
già impegnato gli aveva dato l’ordine, non aveva
potuto far
altro che obbedire.
Cosa
rimaneva? Obbedire e sperare. Sperare che tutto sarebbe andato bene,
che oltre al saperlo teoricamente fare, non sarebbero sorte
complicazioni e che ci sarebbe veramente riuscito … sperare
anche
nell’arrivo miracoloso di suo padre.
Erano
ordini? Erano solo quelli?
No,
non si trattava di semplici ordini, né di doveri particolari
se non uno … quello di salvare la vita al ragazzo che stava
rischiando.
-
Matthew Portman, parliamoci chiaro. Sappiamo tutti che sei
perfettamente all’altezza e che il titolo di specializzando
è
una formalità poiché giudicandoti dalle
capacità
e dalla preparazione, saresti già all’altezza di
un ruolo
fisso come chirurgo vero e proprio. Ringrazia tuo padre e i privilegi
d’operazioni che ti ha dato fin’ora! Ora
va’ e fa quello che
sei in grado di fare. Salvargli la vita! –
Quelle
parole dure e quasi urlate erano state rivolte a lui da uno degli
altri medici in piena operazione. Non era stato un modo per
convincerlo a fare, era stata la verità, ciò che
molti
pensavano da un po’ di tempo a quella parte senza osare dirlo
per
decenza formale. Era stata pura verità. Che fosse giusto o
meno aveva poca importanza, i fatti erano quelli e se c’era
uno in
grado di operare realmente già da solo, era proprio Matthew.
Inghiotti,
chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e bardato alla
perfezione, con una fredda calma nuova addosso, entrò in
sala
operatoria pronto ad adempiere al suo dovere.
Era
stato certamente molto professionale e sicuro, Matt era
all’altezza,
certo, eppure davanti ad un imprevista complicazione nel quale il
ragazzo aveva rischiato, si era trovato ad improvvisare con un
agitazione adrenalinica crescente il modo in cui poteva salvarlo.
Aveva ricevuto i dovuti suggerimenti dei superiori nella sala accanto
ed aveva dato fondo a tutto il suo sapere del momento, aveva fatto
quanto di meglio era riuscito nonostante l’ansia.
Aveva
una giovane vita fra le mani e se non ce l’avrebbe fatta, se
non
fosse stato veramente all’altezza della situazione, se le
cose
avrebbero continuato a storcersi a quel modo, cosa avrebbe fatto?
Cosa?
Stringendo
i denti e col sudore che gli imperlava la pelle scoperta, rimase
concentrato mentre l’ira si impadroniva di lui.
Era
una persona testarda ma anche rigorosa che stava al suo posto,
pretendendo che altri lo facessero come lui. Che adempissero ai
propri doveri.
Quell’uomo
non solo si era assentato ingiustificatamente, gli stava dando anche
involontariamente un grosso peso sulla coscienza, un macigno allo
stomaco … se avrebbe veramente sbagliato, se si sarebbe
presentato
qualcosa di cui non era in grado di fare?
Se
il ragazzo sarebbe morto?
Di
chi sarebbe stata la colpa?
Una
sola cosa era certa … se le cose sarebbero andate veramente
male
come sembrava stessero andando, Matt avrebbe trovato suo padre e non
solo l’avrebbe fatto cacciare, gli avrebbe seriamente messo
le mani
addosso.
Lui
era la classica brava persona con un gran cuore ed una coscienza
spropositati, eppure aveva dei valori che superavano ogni cosa.
Compiti e doveri vitali che non si potevano trascurare a piacimento.
Non
esistevano scuse all’assenza di quel giorno, non faceva uno
stupido
lavoro qualunque. Lavorava in un ospedale.
Guardò
in viso il giovane, era decisamente un gran bel ragazzo con un
probabile ottimo futuro davanti … pensare di poter porre lui
stesso
fine alla sua vita era inconcepibile, era troppo per uno come lui.
Non
poteva ammettere sbagli, né da sé stesso,
né da
chi stava sopra di lui.
Nessuno.
Erano
casi che non potevano essere presi alla leggera.
Ora
invece era tutto finito, i giochi erano stati fatti, tutto
ciò
che aveva potuto fare, l’aveva fatto, rimaneva solo
un’attesa
massacrante per verificare l’esito, per vedere se il giovane
si
sarebbe svegliato, per sapere se la sua coscienza l’avrebbe
ucciso
o se si sarebbe sollevato, se avrebbe ripreso a vivere con un certo
sollievo.
Attesa.
Un’attesa
massacrante, senza scelta.
L’intervento
era finito, si era adoperato con tutte le sue capacità sul
corpo di quel ragazzo che non avrebbe dovuto subire complicazioni di
alcun genere, che sarebbe dovuto star solo bene e che invece aveva
portato quell’imprevedibile aggravamento … dovuto
in realtà
a cosa? A chi?
Un’inevitabile
sfortuna o un’evitabile errore di uno non totalmente esperto?
/Shape
of my heart – Sting /
Era
seduto nella sedia accanto al letto dove il magro corpo appena aperto
e ricucito, dormiva. Non si sarebbe svegliato a meno che non si
sarebbe ripreso veramente, a meno che le funzioni vitali non fossero
state realmente riparate dal chirurgo e non danneggiate.
Attendere
un risveglio, un esito che significava così tanto e non solo
la vita di qualcuno, era una tortura, una punizione che non era
giusto scontasse lui.
Non
si sarebbe staccato finché il paziente non avrebbe aperto
gli
occhi.
Stava
curvo sulla sedia, coi gomiti appoggiati alle ginocchia e il viso
preso fra le mani, il corpo sudato per la tensione e la semplice
paura di non farcela, per l’umanità dimostrata
insieme a
quell’ira che a stento aveva domato.
Aveva
dovuto farlo o non avrebbe potuto agire con lucidità. Ora,
però, era diverso.
Ora
poteva lasciarsi andare, no?
No,
magari poteva tenersi a bada ed attendere l’esito.
Erano
venuti in molti a tirarlo su, dicendogli che se qualcosa non fosse
andato bene non sarebbe stata comunque colpa sua e che non avrebbe
passato nessuna commissione disciplinare, avevano cercato di tirarlo
su in molti eppure lui non aveva staccato gli occhi di dosso da quel
viso, il bel viso delicato che sembrava semplicemente dormisse, il
viso di uno sconosciuto che avrebbe avuto impresso a memoria per
sempre.
Come
un marchio ammonitore.
Non
si era cambiato, non aveva ripreso il turno, non aveva cercato
nessuno … si era messo lì e aveva preso a
guardarlo pensando
a tutto e a niente, rivedendosi l’operazione, immaginando i
possibili errori, cosa avrebbe fatto suo padre al suo posto,
riflettendo sui comportamenti di tutti ma principalmente sul suo. Se
avrebbe rifiutato di operare sarebbe comunque morto, però
così
non era comunque sicuro della sua salvezza.
Quel
peso era così difficile da portare per uno come lui.
Era
passato già molto tempo e l’orario del suo turno
era finito
da un pezzo, ancora non aveva fatto altro che assistere personalmente
a quel giovane che ancora dormiva, tenendo a stento a bada la sua
rabbia, trattenendola con tutte le sue forze per lasciarla andare
solo in presenza dell’unico vero colpevole.
A
nulla serviva risentirsi nella mente le passate parole dei capi
dell’ospedale, quando gli avevano esposto i suoi dubbi
riguardo al
Signor Portman che ormai cominciava a perdere la mano per fare il
chirurgo ed anche la responsabilità … altri
episodi si erano
verificati che avevano fatto nascere dubbi sul suo conto, per cui gli
avevano chiesto di tenerlo d’occhio, però non
erano stati
gravi come quello.
Ora
aveva decisamente passato quel limite, un limite difficile da passare
per Matthew.
-
Matt … -
Lo
chiamò con voce sommessa ed incerta, non da lui, ma
l’aveva
fatto insicuro sul modo di porsi; a prima vista aveva capito che non
era una situazione facile e comune. Era entrato nella stanza che gli
avevano indicato e appena l’aveva visto ricurvo sulla sedia
tutto
sudato, gli era suonato un campanello d’allarme
però era
entrato e l’aveva chiamato, senza avere idea di
cos’altro dire.
Si sentiva spaesato e sentirsi così proprio in presenza di
Matt, a CAUSA sua, era un fatto abbastanza sconvolgente, per Ryan.
L’aveva
subito visto fare un cenno con le spalle e girare il capo
guardandolo, fare un respiro sollevato, solo per un istante
impercettibile, poi tornare rivolto al lettino.
L’aveva
capito subito appena si erano scambiati quell’attimo di
sguardo, i
suoi occhi grigi erano cupi e arrossati, aveva le occhiaie, era
pallido ed era completamente madido di sudore ovunque. Non era solo
stato il suo aspetto pietoso a fargli capire che non era in
sé,
era stata la morsa alla bocca dello stomaco che gli veniva solo
quando Matt era pericolosamente arrabbiato. Era difficile vederlo a
quel modo, di norma era così calmo e ragionevole che quando
accadeva erano guai poiché diventava pericoloso e nessuno
era
in grado di calmarlo, fino a che non sarebbe realmente scoppiato,
esploso con la causa della sua pesante ira.
Osservò
il resto della stanza vuota tipica di terapia intensiva,
c’era
silenzio interrotto solo da loro e dal rumore dei battiti cardiaci
della persona stesa priva di sensi. Era bianca e anonima.
Ryan
sospirò grattandosi ancora interrogativo il capo,
arruffandosi
ulteriormente i capelli su quel punto; non sapeva bene cosa dire,
cosa fosse il caso di dire e gli urtava quel suo stato
d’animo,
detestava stare così. Rimase in piedi a qualche metro
dall’amico, poi decise di spiegare cose ci facesse
lì:
-
Non tornavi più e non rispondevi così ho chiamato
l’ospedale e mi hanno detto che eri qua. Mi hanno suggerito
di
venire a prenderti che non stavi bene … mi sono preoccupato,
è
successo qualcosa? –
Non
era comunque un tipo che si preoccupava facilmente, anzi, parlava
sempre, aveva sempre qualcosa da dire in ogni caso, anche quelli in
cui non c’entrava.
Mosse
qualche passo e portò finalmente la sua attenzione sul
ragazzo
operato, non ci volle molto ad immaginare che doveva essere qualcosa
di importante per ridurre uno come Matt in quello stato, erano poche
le volte in cui l’aveva visto così.
Inghiottì
osservando distratto il bellissimo viso, sembrava una specie di
angelo provocante, in quel sonno profondo e, nonostante il
respiratore che aveva in gola e le contusioni, si capiva essere
decisamente un bel tipo, un peccato saperlo addormentato in un
ospedale.
Successivamente,
dopo avergli lasciato degli istanti di silenzio, aveva ripreso a
parlare, non era tipo da non ricevere risposte, qualora le volesse:
-
Lo conosci? –
Era
strano sentirlo così gentile e delicato, sarebbe certamente
stato apprezzato in condizioni normali.
L’altro
scosse il capo dopo alcuni momenti in cui aveva faticato a far mente
locale sulle parole che gli venivano rivolte.
Ryan
cominciava seriamente a preoccuparsi, voleva sapere, DOVEVA sapere,
ma sembra che nessuno avesse il coraggio di spiegarglielo e Matt in
quello stato … no, non gli piaceva.
Non
gli piaceva per niente.
-
Matt, parla! –
Il
grado di esasperazione era già stato raggiunto, non ci era
voluto molto … era stato imperativo e fermo con la voce,
dando le
spalle allo sconosciuto per guardare in viso l’amico ricurvo
e
fisicamente pietoso, come se avesse corso una lunga maratona.
Sospirò
ma non gli donò il suo sguardo, non voleva staccarlo dal
paziente. Parlava con voce bassa e penetrante, si sentiva che in
sé
teneva una falsa calma gelida, ira pericolosa.
-
Ho dovuto operare questo ragazzo da solo, al posto di mio padre
…
perché lui ha pensato bene di sparire proprio quando era il
suo turno e c’era una grossa emergenza! Ora se
vivrà o morrà
sarà dipeso da me e la colpa è solo sua,
perché
così non DOVEVA essere. –
Aveva
capito che non aveva intenzione di parlare ancora, gli dava la netta
impressione che ogni parola a riguardo era motivo di grande fastidio
e nervoso per lui, come se l’angoscia alla bocca dello
stomaco
fosse provocata in qualche modo dal suo stato d’animo, tanto
più
che era aumentata quando aveva parlato riguardo l’accaduto.
Gli
stava a cuore quella situazione, così tanto da riuscire a
trasmettergli ciò che provava e riversare quelle sensazioni
in
fattori fisici insopportabili.
Non
ci voleva un genio per capire che Matt si sentiva in colpa anche se
non era giusto perchè era suo padre ad aver sbagliato
… il
problema era la coscienza, il moro ne aveva troppa e non gli
permetteva di risollevarsi facilmente.
-
Vedrai che avrà buoni motivi … -
Provò
con una frase che tentasse in qualche modo di quietare il suo animo
in subbuglio … spesso accadeva il contrario, ovvero che
l’altro
quietasse lui, quindi non era certo su cosa dire per tirarlo su ed
aiutarlo. Aiutarlo a far cosa? A non esplodere? Tanto sarebbe
successo ugualmente appena avrebbe visto suo padre e se, nel peggiore
dei casi, quel ragazzo non ce l’avrebbe fatta.
L’ennesimo
sospiro, l’ennesima grattata di capo, l’ennesimo
pignoramento da
parte del centro dei suoi pensieri momentanei. La cosa migliore era
farlo riposare, in modo da recuperare le forze e farlo tornare lucido
e ragionevole … per evitare qualche esagerazione di un
futuro
probabilmente prossimo.
Si,
se c’era un modo per aiutarlo era quello eppure lo conosceva
molto
bene, come se fosse suo fratello, sapeva che non esisteva forza al
mondo di fargli cambiare idea. Si era messo in testa una cosa e
sarebbe stata quella, sicuramente … perché la
facciata di
persona buona e gentile era, appunto, solo una cosa per momenti
generalmente tranquilli e positivi … qualora si presentavano
momenti che attiravano la sua ira, diventava intrattabile.
Quali
fossero questi momenti era facile da capire.
Matthew
era praticamente un medico chirurgo ed era così severo con
sé
stesso da pretendere lo stesso da coloro che stimava e rispettava.
Era un punto su cui non transigeva, doveri e compiti ma soprattutto
fiducia.
Si
poteva dire che era faticoso essergli amico ma così non era,
non per Ryan il cui unico vero amico era, per l’appunto,
proprio il
moro!
Dal
canto suo non aveva nemmeno il tempo di avere impressioni su colui
che chiamava zio e che improvvisamente era diventato colpevole di
qualcosa di piuttosto grave, aveva la sua bella gatta da pelare con
quell’insolito Matt.
Un
Matt che spaventava.
-
Me li dovrà spiegare. –
Era
sempre secco.
-
Devi riposare … oltre ad aver finito il turno sei
più
distrutto del normale, non puoi stare ancora qua … -
-
No, questo è il mio posto, almeno finché non
saprò
se gli ho salvato la vita o no! –
Era
stato immediato, uno scatto rivolto a colui che sicuramente non
c’entrava ma l’unico che era riuscito a farlo
parlare.
-
Così crolli … è già notte
ed hai iniziato
stamattina, non avrai mangiato e non hai staccato un attimo
…
potrebbe star così 3 anni, per quel che ne sai …
starai qua?
–
Aveva
dei modi molto diretti e spesso duri, non sapeva essere diverso,
andava d’accordo con lui per questo.
-
C’è sempre qualcosa da fare qua, fra
l’altro sembra non
abbia parenti o conoscenti … e poi … -
Aveva
cercato di ragionare attenuando il tono della voce, come se
finalmente ragionasse con un certo distacco, o per lo meno cercasse
di farlo, però si era fermato su quell’ultimo
pezzo. Ryan
insistette.
-
E poi? –
Non
solo curioso ma anche impiccione!
Matt
sospirò ripassandosi le mani sul viso sudato e sulla testa
dai
corti capelli scuri. Di nuovo nervoso, di nuovo duro e secco come gli
occhi grigi che si puntavano sul ragazzo addormentato:
-
E poi devo esserci quando lui arriverà! –
Risoluto
e determinato, nessuna forza al mondo gli avrebbe fatto cambiare
idea, Ryan lo sapeva.
-
Tuo padre? –
Per
questo gli aveva rivolto lo sguardo, uno sguardo tetro e cupo che lo
fece rabbrividire.
-
E’ colpa sua. Doveva esserci, era suo compito e dovere, non
il mio.
Suo. C’è stata una complicazione che con lui non
ci sarebbe
stata e se così fosse stato l’avrebbe superata
subito senza
l’incognita ce c’è ora. Se si salva o
no. –
-
Non si è ancora fatto vivo? –
Aveva
avuto l’istinto di sedersi sul bordo del letto ma un occhiata
al
giovane steso gli aveva fatto venire un minimo di coscienza ed aveva
evitato posizionandosi accanto a Matt, con un altro sgabello. Questi
lo guardò interrogativo.
-
Tornerà ed io sarò pronto … - Lo disse
con un tono
meno convinto chiedendosi che intenzioni avesse
quell’imprevedibile
individuo. – Che fai? –
Gli
chiese infatti.
-
Prendo il tuo posto, appena arriva ti avverto e lo placco in modo che
non scappi, ora va a casa, lavati, mangia e magari fa un sonnellino
…
qua ci penso io! –
Rispose
risoluto dandogli una pacca sull’ampia schiena forte e tesa,
la
stoffa del camice era bagnata di sudore e con una smorfia spontanea
si asciugò la mano sperando di sdrammatizzare. Aveva la
sensazione che per quel giovane sarebbe andato tutto bene e quindi
anche per la sua coscienza. D’altra parte si spaventava un
po’
sentendo il calmo amico in quello stato, non gli piaceva spaventarsi
ma poteva succedere solo per Matt.
Il
moro era testardo e rigido ma lui era insistente e stancante
…
otteneva per sfinimento ciò che voleva. Sempre.
-
Non riuscirei comunque a dormire e non ho fame … -
Cercò di
porre resistenza, non era tipo comunque da fare ciò che non
voleva, il tasso d’arrabbiatura era sempre alto, anche se
tenuto a
stento sotto controllo. Poteva esplodere da un momento
all’altro,
era pericoloso anche lasciarlo solo, in effetti, ma Ryan sapeva come
prenderlo.
-
Non ti ho mai visto così, sei sconvolto e appunto per questo
devi distrarti e cercare di riprenderti o rischi di crollare prima di
punire i peccatori! –
Usò
una metafora religiosa con un tocco di ironia, cercava sempre di
alleggerire la situazione e sapeva che Matt glielo concedeva senza
ucciderlo solo perché era lui, ne approfittava. Doveva
riuscire assolutamente nel suo intento di fargli riprendere le forze,
doveva farlo uscire da quell’ospedale, da quella stanza,
staccarsi
da quel ragazzo.
Continuò
a tamburellare con i polpastrelli sulla schiena, su tutta la
superficie, per spingerlo ad andarsene, cercava di avere meno
contatto possibile con quella parte così fradicia
… del
resto era tutto così!
-
Non crollerò prima di allora. –
Borbottò
l’altro ancora contrastandolo, non era convinto di lasciare
quella
stanza, aveva una sorta di calamita ad attaccarlo al suo paziente
…
probabilmente si chiamava coscienza, quella cosa in lui troppo
grande.
Il
biondo sbuffò mostrando un’espressione seccata e
slacciandosi la felpa della disordinata tuta, puntò il suo
sguardo dorato sul compagno squadrandolo molto male, cercò
il
modo migliore per cacciarlo … forse i calci andavano bene!
Senza
trovare altra scelta lo prese di petto, batté irritato una
mano sulla propria gamba, si torse e prendendogli il viso fra le mani
lo girò verso di lui, facendosi guardare da vicino. Stava
perdendo la pazienza, sapeva di aver ragione e quando era
così
non cedeva nemmeno pagandolo!
-
Senti un po’, testa di cazzo … guarda che faccia
hai … non ti
vedi? – Iniziò così scollegando il
cervello e usando
il linguaggio che riteneva migliore in quel momento.
Matt
aveva veramente un viso stanco che faceva impressione, le goccioline
di sudore che gli imperlavano la pelle pallida e la fronte spaziosa,
gli colavano copiose ai lati del volto dove le occhiaie sembravano
aumentare e gli occhi stessi cerchiati di rosso facevano contrasto
con il chiaro delle iridi. Era legittimo preoccuparsi per lui.
Eppure
… eppure nonostante si potesse definire
‘pietoso’, aveva sempre
il suo fascino, seppure in quelle condizioni.
-
Sei un esagerato del cavolo … è ancora vivo e si
salverà
e sarà merito tuo! Certo, tuo padre va punito ma non ti
cambia
l’esistenza se lo fai dopo esserti riposato! E poi
… - Si
interruppe con una smorfia, avvicinò il naso al suo collo
annusandolo, infine concluse serissimo: - … puzzi, mio caro!
Che tu
lo voglia o no devi lavarti! Fila! –
Lo
mollò tendendo il braccio verso la porta, indicandola col
dito
ed un espressione truce molto convinta di quanto diceva: sembrava lui
il padre, in quel momento!
Matt
sospirò dopo aver miracolosamente ascoltato le sue parole,
non
era d’accordo al cento per cento però tutto
sommato aveva un
fondo di ragione, avrebbe anche sorriso normalmente alla rievocazione
di quella che solitamente era una sua frase, quella sul puzzare e sul
lavarsi. Non era certo in uno stato normale, quindi non sorriso,
però
si concesse un respiro rassegnato e mentre le campane suonavano a
festa per il miracolo che stava per compiersi, si alzò dalla
sedia lanciando uno sguardo intenso al paziente che dormiva ancora.
Non era facile, per nulla … lasciarlo lì con la
consapevolezza che poteva succedere QUALUNQUE cosa nella sua assenza,
era inaccettabile, però come
‘gentilmente’ Ryan gli aveva
fatto notare, di lì a poco sarebbe crollato e magari proprio
al momento di affrontare quell’uomo, il vero colpevole.
Decise
di andare ma senza riposare, giusto per lavarsi, cambiarsi e bersi
qualcosa di energetico e veloce, poi sarebbe tornato subito.
-
Non starò molto, se c’è anche il minimo
cambiamento
chiamami subito. Non credo si presenterà qualcuno per lui ma
in caso assicurati che lo conoscano veramente e siano a posto
… non
dire nulla dell’accaduto, voglio essere io a farlo.
–
Dopo
le varie raccomandazioni dette professionalmente ma anche stanco al
tempo stesso, rivolto all’amico, si decise a voltarsi.
Udì,
tuttavia, la frase decisa e seria di Ryan:
-
Matt, si salva! –
Sorrise
appena ma lo fece, mantenendosi di schiena rispetto all’amico
che
però, ne era certo, aveva percepito
quest’espressione
positiva, infine se ne andò.
Lo
fece, uscì però solo dalla stanza. Non
riuscì ad
arrivare a casa e compiere i suoi buoni propositi ma questa volta non
per sua volontà.
Proprio
in fondo al corridoio del piano della stanza, si presentò il
padre di Matthew. Il Dottor Portman.