TRE

CAPITOLO II:

COMPITI E DOVERI


/What i’ve done – Linkin Park /
- Portman, c’è un emergenza! –
La voce alterata e preoccupata dell’infermiera accolse Matt agitandolo in partenza, se non fosse stato uno che di natura manteneva la calma, sarebbe stata dura. Posò gli occhi grigi con pacatezza e serietà su quelli della donna già vestita e pronta per entrare in sala operatoria. Perché chiamarlo con tanta urgenza? Lui era solo un specializzando, in fondo …
- Non è di turno mio padre? –
Ormai tutti lo conoscevano, anche troppo bene … si era rassegnato a parlare in quel modo senza troppe formalità.
Era tranquillo, dopo tutto c’era suo padre, no?
Vide invece l’ansia e l’inquietudine nel volto dell’altra:
- Doveva esserci ma non si trova da nessuna parte e non risponde al cerca persone … gli altri chirurghi sono impegnati in altre urgenze, non rimane che lei … -
Ecco, questo fu motivo di preoccupazione, decisamente. Un lampo attraversò il suo volto maturo, si poteva dire allarme. Qualcosa non quadrava.
- Come? Cos’è successo, un incidente di massa? E cosa significa che mio padre non si trova e non risponde? Io sono ancora uno specializzando, non posso operare da solo … -
- E’ stato un brutto incidente e tutti i medici sono impegnati con altri pazienti gravi anch’essi ma rimane un ragazzo che è da operare subito, rischia grosso e … il Dottor Portman non si trova … -
Rispose in fretta mentre l’aiutava a cambiarsi. Matt provò ad immaginare le cause che potessero spingerlo ad assentarsi da lavoro senza avvisare, sperava vivamente fosse un motivo più che valido e, anzi, che stesse bene. Poi ci rifletté … certo che stava bene, in caso contrario sarebbe capitato lì e tutti l’avrebbero saputo!
Quell’uomo stava più che bene, ne era certo. Non esisteva persona con più salute di lui, considerando che da solo non andava nemmeno in bagno, visto tutti quelli che lavoravano per lui; poteva cominciare ad irritarsi.
Già, irritarsi.
Pericoloso per uno che doveva apprestarsi ad operare. Razionalmente dovette elencare alla velocità della luce tutte le regole da seguire. Non poteva ASSOLUTAMENTE operare da solo, se avesse sbagliato di chi sarebbe stata la colpa? Sarebbe anche stato espulso, il pericolo maggiore era comunque dettato dal fatto che se fosse accaduto, ci sarebbe andata di mezzo la vita di una persona.
Non si sgarrava mai in quei casi perché in ballo c’era molto, molto di più. Troppo.
- Io non posso operare da solo … rintracciate mio padre. Avete visto a casa? –
Era ovvio che avessero visto a casa ma era anche ovvio chiederlo. Si stava lavando e l’infermiera che l’assisteva si era lanciata in un lungo monologo in cui spiegava la situazione del ragazzo, l’incidente, ciò che avrebbe dovuto fare secondo gli ordini degli altri medici, il permesso che aveva avuto se il primario non sarebbe tornato subito e che quest’ultimo era stato fatto cercare di persona da un assistente con grande urgenza.
- Ho il permesso di operare da solo? Ma siamo impazziti? È una responsabilità enorme … -
Cominciava ad agitarsi anche lui, in fondo era normale. Aveva le competenze adatte ed essendo figlio del primario di chirurgia, aveva avuto modo di esercitare più rispetto agli altri del suo stesso livello, era una specie di chirurgo ufficioso e non ufficiale ma ad ogni modo il rischio c’era ugualmente.
Non era uno scherzo e al moro non piaceva per niente quella situazione.
- E’ l’unico che può farlo, sono tutti d’accordo, è un’operazione a cui ha già assistito altre volte con suo padre … -
- Si, ma era lui a dirigere e operare, dannazione! –
Si concesse una specie di imprecazione, era sempre più nervoso tuttavia, nonostante le proteste, quando un altro chirurgo di ruolo già impegnato gli aveva dato l’ordine, non aveva potuto far altro che obbedire.
Cosa rimaneva? Obbedire e sperare. Sperare che tutto sarebbe andato bene, che oltre al saperlo teoricamente fare, non sarebbero sorte complicazioni e che ci sarebbe veramente riuscito … sperare anche nell’arrivo miracoloso di suo padre.
Erano ordini? Erano solo quelli?
No, non si trattava di semplici ordini, né di doveri particolari se non uno … quello di salvare la vita al ragazzo che stava rischiando.
- Matthew Portman, parliamoci chiaro. Sappiamo tutti che sei perfettamente all’altezza e che il titolo di specializzando è una formalità poiché giudicandoti dalle capacità e dalla preparazione, saresti già all’altezza di un ruolo fisso come chirurgo vero e proprio. Ringrazia tuo padre e i privilegi d’operazioni che ti ha dato fin’ora! Ora va’ e fa quello che sei in grado di fare. Salvargli la vita! –
Quelle parole dure e quasi urlate erano state rivolte a lui da uno degli altri medici in piena operazione. Non era stato un modo per convincerlo a fare, era stata la verità, ciò che molti pensavano da un po’ di tempo a quella parte senza osare dirlo per decenza formale. Era stata pura verità. Che fosse giusto o meno aveva poca importanza, i fatti erano quelli e se c’era uno in grado di operare realmente già da solo, era proprio Matthew.
Inghiotti, chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e bardato alla perfezione, con una fredda calma nuova addosso, entrò in sala operatoria pronto ad adempiere al suo dovere.

Era stato certamente molto professionale e sicuro, Matt era all’altezza, certo, eppure davanti ad un imprevista complicazione nel quale il ragazzo aveva rischiato, si era trovato ad improvvisare con un agitazione adrenalinica crescente il modo in cui poteva salvarlo. Aveva ricevuto i dovuti suggerimenti dei superiori nella sala accanto ed aveva dato fondo a tutto il suo sapere del momento, aveva fatto quanto di meglio era riuscito nonostante l’ansia.
Aveva una giovane vita fra le mani e se non ce l’avrebbe fatta, se non fosse stato veramente all’altezza della situazione, se le cose avrebbero continuato a storcersi a quel modo, cosa avrebbe fatto? Cosa?
Stringendo i denti e col sudore che gli imperlava la pelle scoperta, rimase concentrato mentre l’ira si impadroniva di lui.
Era una persona testarda ma anche rigorosa che stava al suo posto, pretendendo che altri lo facessero come lui. Che adempissero ai propri doveri.
Quell’uomo non solo si era assentato ingiustificatamente, gli stava dando anche involontariamente un grosso peso sulla coscienza, un macigno allo stomaco … se avrebbe veramente sbagliato, se si sarebbe presentato qualcosa di cui non era in grado di fare?
Se il ragazzo sarebbe morto?
Di chi sarebbe stata la colpa?
Una sola cosa era certa … se le cose sarebbero andate veramente male come sembrava stessero andando, Matt avrebbe trovato suo padre e non solo l’avrebbe fatto cacciare, gli avrebbe seriamente messo le mani addosso.
Lui era la classica brava persona con un gran cuore ed una coscienza spropositati, eppure aveva dei valori che superavano ogni cosa. Compiti e doveri vitali che non si potevano trascurare a piacimento.
Non esistevano scuse all’assenza di quel giorno, non faceva uno stupido lavoro qualunque. Lavorava in un ospedale.
Guardò in viso il giovane, era decisamente un gran bel ragazzo con un probabile ottimo futuro davanti … pensare di poter porre lui stesso fine alla sua vita era inconcepibile, era troppo per uno come lui.
Non poteva ammettere sbagli, né da sé stesso, né da chi stava sopra di lui.
Nessuno.
Erano casi che non potevano essere presi alla leggera.
Ora invece era tutto finito, i giochi erano stati fatti, tutto ciò che aveva potuto fare, l’aveva fatto, rimaneva solo un’attesa massacrante per verificare l’esito, per vedere se il giovane si sarebbe svegliato, per sapere se la sua coscienza l’avrebbe ucciso o se si sarebbe sollevato, se avrebbe ripreso a vivere con un certo sollievo.
Attesa.
Un’attesa massacrante, senza scelta.
L’intervento era finito, si era adoperato con tutte le sue capacità sul corpo di quel ragazzo che non avrebbe dovuto subire complicazioni di alcun genere, che sarebbe dovuto star solo bene e che invece aveva portato quell’imprevedibile aggravamento … dovuto in realtà a cosa? A chi?
Un’inevitabile sfortuna o un’evitabile errore di uno non totalmente esperto?

/Shape of my heart – Sting /
Era seduto nella sedia accanto al letto dove il magro corpo appena aperto e ricucito, dormiva. Non si sarebbe svegliato a meno che non si sarebbe ripreso veramente, a meno che le funzioni vitali non fossero state realmente riparate dal chirurgo e non danneggiate.
Attendere un risveglio, un esito che significava così tanto e non solo la vita di qualcuno, era una tortura, una punizione che non era giusto scontasse lui.
Non si sarebbe staccato finché il paziente non avrebbe aperto gli occhi.
Stava curvo sulla sedia, coi gomiti appoggiati alle ginocchia e il viso preso fra le mani, il corpo sudato per la tensione e la semplice paura di non farcela, per l’umanità dimostrata insieme a quell’ira che a stento aveva domato.
Aveva dovuto farlo o non avrebbe potuto agire con lucidità. Ora, però, era diverso.
Ora poteva lasciarsi andare, no?
No, magari poteva tenersi a bada ed attendere l’esito.
Erano venuti in molti a tirarlo su, dicendogli che se qualcosa non fosse andato bene non sarebbe stata comunque colpa sua e che non avrebbe passato nessuna commissione disciplinare, avevano cercato di tirarlo su in molti eppure lui non aveva staccato gli occhi di dosso da quel viso, il bel viso delicato che sembrava semplicemente dormisse, il viso di uno sconosciuto che avrebbe avuto impresso a memoria per sempre.
Come un marchio ammonitore.
Non si era cambiato, non aveva ripreso il turno, non aveva cercato nessuno … si era messo lì e aveva preso a guardarlo pensando a tutto e a niente, rivedendosi l’operazione, immaginando i possibili errori, cosa avrebbe fatto suo padre al suo posto, riflettendo sui comportamenti di tutti ma principalmente sul suo. Se avrebbe rifiutato di operare sarebbe comunque morto, però così non era comunque sicuro della sua salvezza.
Quel peso era così difficile da portare per uno come lui.
Era passato già molto tempo e l’orario del suo turno era finito da un pezzo, ancora non aveva fatto altro che assistere personalmente a quel giovane che ancora dormiva, tenendo a stento a bada la sua rabbia, trattenendola con tutte le sue forze per lasciarla andare solo in presenza dell’unico vero colpevole.
A nulla serviva risentirsi nella mente le passate parole dei capi dell’ospedale, quando gli avevano esposto i suoi dubbi riguardo al Signor Portman che ormai cominciava a perdere la mano per fare il chirurgo ed anche la responsabilità … altri episodi si erano verificati che avevano fatto nascere dubbi sul suo conto, per cui gli avevano chiesto di tenerlo d’occhio, però non erano stati gravi come quello.
Ora aveva decisamente passato quel limite, un limite difficile da passare per Matthew.

- Matt … -
Lo chiamò con voce sommessa ed incerta, non da lui, ma l’aveva fatto insicuro sul modo di porsi; a prima vista aveva capito che non era una situazione facile e comune. Era entrato nella stanza che gli avevano indicato e appena l’aveva visto ricurvo sulla sedia tutto sudato, gli era suonato un campanello d’allarme però era entrato e l’aveva chiamato, senza avere idea di cos’altro dire. Si sentiva spaesato e sentirsi così proprio in presenza di Matt, a CAUSA sua, era un fatto abbastanza sconvolgente, per Ryan.
L’aveva subito visto fare un cenno con le spalle e girare il capo guardandolo, fare un respiro sollevato, solo per un istante impercettibile, poi tornare rivolto al lettino.
L’aveva capito subito appena si erano scambiati quell’attimo di sguardo, i suoi occhi grigi erano cupi e arrossati, aveva le occhiaie, era pallido ed era completamente madido di sudore ovunque. Non era solo stato il suo aspetto pietoso a fargli capire che non era in sé, era stata la morsa alla bocca dello stomaco che gli veniva solo quando Matt era pericolosamente arrabbiato. Era difficile vederlo a quel modo, di norma era così calmo e ragionevole che quando accadeva erano guai poiché diventava pericoloso e nessuno era in grado di calmarlo, fino a che non sarebbe realmente scoppiato, esploso con la causa della sua pesante ira.
Osservò il resto della stanza vuota tipica di terapia intensiva, c’era silenzio interrotto solo da loro e dal rumore dei battiti cardiaci della persona stesa priva di sensi. Era bianca e anonima.
Ryan sospirò grattandosi ancora interrogativo il capo, arruffandosi ulteriormente i capelli su quel punto; non sapeva bene cosa dire, cosa fosse il caso di dire e gli urtava quel suo stato d’animo, detestava stare così. Rimase in piedi a qualche metro dall’amico, poi decise di spiegare cose ci facesse lì:
- Non tornavi più e non rispondevi così ho chiamato l’ospedale e mi hanno detto che eri qua. Mi hanno suggerito di venire a prenderti che non stavi bene … mi sono preoccupato, è successo qualcosa? –
Non era comunque un tipo che si preoccupava facilmente, anzi, parlava sempre, aveva sempre qualcosa da dire in ogni caso, anche quelli in cui non c’entrava.
Mosse qualche passo e portò finalmente la sua attenzione sul ragazzo operato, non ci volle molto ad immaginare che doveva essere qualcosa di importante per ridurre uno come Matt in quello stato, erano poche le volte in cui l’aveva visto così.
Inghiottì osservando distratto il bellissimo viso, sembrava una specie di angelo provocante, in quel sonno profondo e, nonostante il respiratore che aveva in gola e le contusioni, si capiva essere decisamente un bel tipo, un peccato saperlo addormentato in un ospedale.
Successivamente, dopo avergli lasciato degli istanti di silenzio, aveva ripreso a parlare, non era tipo da non ricevere risposte, qualora le volesse:
- Lo conosci? –
Era strano sentirlo così gentile e delicato, sarebbe certamente stato apprezzato in condizioni normali.
L’altro scosse il capo dopo alcuni momenti in cui aveva faticato a far mente locale sulle parole che gli venivano rivolte.
Ryan cominciava seriamente a preoccuparsi, voleva sapere, DOVEVA sapere, ma sembra che nessuno avesse il coraggio di spiegarglielo e Matt in quello stato … no, non gli piaceva.
Non gli piaceva per niente.
- Matt, parla! –
Il grado di esasperazione era già stato raggiunto, non ci era voluto molto … era stato imperativo e fermo con la voce, dando le spalle allo sconosciuto per guardare in viso l’amico ricurvo e fisicamente pietoso, come se avesse corso una lunga maratona.
Sospirò ma non gli donò il suo sguardo, non voleva staccarlo dal paziente. Parlava con voce bassa e penetrante, si sentiva che in sé teneva una falsa calma gelida, ira pericolosa.
- Ho dovuto operare questo ragazzo da solo, al posto di mio padre … perché lui ha pensato bene di sparire proprio quando era il suo turno e c’era una grossa emergenza! Ora se vivrà o morrà sarà dipeso da me e la colpa è solo sua, perché così non DOVEVA essere. –
Aveva capito che non aveva intenzione di parlare ancora, gli dava la netta impressione che ogni parola a riguardo era motivo di grande fastidio e nervoso per lui, come se l’angoscia alla bocca dello stomaco fosse provocata in qualche modo dal suo stato d’animo, tanto più che era aumentata quando aveva parlato riguardo l’accaduto. Gli stava a cuore quella situazione, così tanto da riuscire a trasmettergli ciò che provava e riversare quelle sensazioni in fattori fisici insopportabili.
Non ci voleva un genio per capire che Matt si sentiva in colpa anche se non era giusto perchè era suo padre ad aver sbagliato … il problema era la coscienza, il moro ne aveva troppa e non gli permetteva di risollevarsi facilmente.
- Vedrai che avrà buoni motivi … -
Provò con una frase che tentasse in qualche modo di quietare il suo animo in subbuglio … spesso accadeva il contrario, ovvero che l’altro quietasse lui, quindi non era certo su cosa dire per tirarlo su ed aiutarlo. Aiutarlo a far cosa? A non esplodere? Tanto sarebbe successo ugualmente appena avrebbe visto suo padre e se, nel peggiore dei casi, quel ragazzo non ce l’avrebbe fatta.
L’ennesimo sospiro, l’ennesima grattata di capo, l’ennesimo pignoramento da parte del centro dei suoi pensieri momentanei. La cosa migliore era farlo riposare, in modo da recuperare le forze e farlo tornare lucido e ragionevole … per evitare qualche esagerazione di un futuro probabilmente prossimo.
Si, se c’era un modo per aiutarlo era quello eppure lo conosceva molto bene, come se fosse suo fratello, sapeva che non esisteva forza al mondo di fargli cambiare idea. Si era messo in testa una cosa e sarebbe stata quella, sicuramente … perché la facciata di persona buona e gentile era, appunto, solo una cosa per momenti generalmente tranquilli e positivi … qualora si presentavano momenti che attiravano la sua ira, diventava intrattabile.
Quali fossero questi momenti era facile da capire.
Matthew era praticamente un medico chirurgo ed era così severo con sé stesso da pretendere lo stesso da coloro che stimava e rispettava. Era un punto su cui non transigeva, doveri e compiti ma soprattutto fiducia.
Si poteva dire che era faticoso essergli amico ma così non era, non per Ryan il cui unico vero amico era, per l’appunto, proprio il moro!
Dal canto suo non aveva nemmeno il tempo di avere impressioni su colui che chiamava zio e che improvvisamente era diventato colpevole di qualcosa di piuttosto grave, aveva la sua bella gatta da pelare con quell’insolito Matt.
Un Matt che spaventava.
- Me li dovrà spiegare. –
Era sempre secco.
- Devi riposare … oltre ad aver finito il turno sei più distrutto del normale, non puoi stare ancora qua … -
- No, questo è il mio posto, almeno finché non saprò se gli ho salvato la vita o no! –
Era stato immediato, uno scatto rivolto a colui che sicuramente non c’entrava ma l’unico che era riuscito a farlo parlare.
- Così crolli … è già notte ed hai iniziato stamattina, non avrai mangiato e non hai staccato un attimo … potrebbe star così 3 anni, per quel che ne sai … starai qua? –
Aveva dei modi molto diretti e spesso duri, non sapeva essere diverso, andava d’accordo con lui per questo.
- C’è sempre qualcosa da fare qua, fra l’altro sembra non abbia parenti o conoscenti … e poi … -
Aveva cercato di ragionare attenuando il tono della voce, come se finalmente ragionasse con un certo distacco, o per lo meno cercasse di farlo, però si era fermato su quell’ultimo pezzo. Ryan insistette.
- E poi? –
Non solo curioso ma anche impiccione!
Matt sospirò ripassandosi le mani sul viso sudato e sulla testa dai corti capelli scuri. Di nuovo nervoso, di nuovo duro e secco come gli occhi grigi che si puntavano sul ragazzo addormentato:
- E poi devo esserci quando lui arriverà! –
Risoluto e determinato, nessuna forza al mondo gli avrebbe fatto cambiare idea, Ryan lo sapeva.
- Tuo padre? –
Per questo gli aveva rivolto lo sguardo, uno sguardo tetro e cupo che lo fece rabbrividire.
- E’ colpa sua. Doveva esserci, era suo compito e dovere, non il mio. Suo. C’è stata una complicazione che con lui non ci sarebbe stata e se così fosse stato l’avrebbe superata subito senza l’incognita ce c’è ora. Se si salva o no. –
- Non si è ancora fatto vivo? –
Aveva avuto l’istinto di sedersi sul bordo del letto ma un occhiata al giovane steso gli aveva fatto venire un minimo di coscienza ed aveva evitato posizionandosi accanto a Matt, con un altro sgabello. Questi lo guardò interrogativo.
- Tornerà ed io sarò pronto … - Lo disse con un tono meno convinto chiedendosi che intenzioni avesse quell’imprevedibile individuo. – Che fai? –
Gli chiese infatti.
- Prendo il tuo posto, appena arriva ti avverto e lo placco in modo che non scappi, ora va a casa, lavati, mangia e magari fa un sonnellino … qua ci penso io! –
Rispose risoluto dandogli una pacca sull’ampia schiena forte e tesa, la stoffa del camice era bagnata di sudore e con una smorfia spontanea si asciugò la mano sperando di sdrammatizzare. Aveva la sensazione che per quel giovane sarebbe andato tutto bene e quindi anche per la sua coscienza. D’altra parte si spaventava un po’ sentendo il calmo amico in quello stato, non gli piaceva spaventarsi ma poteva succedere solo per Matt.
Il moro era testardo e rigido ma lui era insistente e stancante … otteneva per sfinimento ciò che voleva. Sempre.
- Non riuscirei comunque a dormire e non ho fame … - Cercò di porre resistenza, non era tipo comunque da fare ciò che non voleva, il tasso d’arrabbiatura era sempre alto, anche se tenuto a stento sotto controllo. Poteva esplodere da un momento all’altro, era pericoloso anche lasciarlo solo, in effetti, ma Ryan sapeva come prenderlo.
- Non ti ho mai visto così, sei sconvolto e appunto per questo devi distrarti e cercare di riprenderti o rischi di crollare prima di punire i peccatori! –
Usò una metafora religiosa con un tocco di ironia, cercava sempre di alleggerire la situazione e sapeva che Matt glielo concedeva senza ucciderlo solo perché era lui, ne approfittava. Doveva riuscire assolutamente nel suo intento di fargli riprendere le forze, doveva farlo uscire da quell’ospedale, da quella stanza, staccarsi da quel ragazzo.
Continuò a tamburellare con i polpastrelli sulla schiena, su tutta la superficie, per spingerlo ad andarsene, cercava di avere meno contatto possibile con quella parte così fradicia … del resto era tutto così!
- Non crollerò prima di allora. –
Borbottò l’altro ancora contrastandolo, non era convinto di lasciare quella stanza, aveva una sorta di calamita ad attaccarlo al suo paziente … probabilmente si chiamava coscienza, quella cosa in lui troppo grande.
Il biondo sbuffò mostrando un’espressione seccata e slacciandosi la felpa della disordinata tuta, puntò il suo sguardo dorato sul compagno squadrandolo molto male, cercò il modo migliore per cacciarlo … forse i calci andavano bene!
Senza trovare altra scelta lo prese di petto, batté irritato una mano sulla propria gamba, si torse e prendendogli il viso fra le mani lo girò verso di lui, facendosi guardare da vicino. Stava perdendo la pazienza, sapeva di aver ragione e quando era così non cedeva nemmeno pagandolo!
- Senti un po’, testa di cazzo … guarda che faccia hai … non ti vedi? – Iniziò così scollegando il cervello e usando il linguaggio che riteneva migliore in quel momento.
Matt aveva veramente un viso stanco che faceva impressione, le goccioline di sudore che gli imperlavano la pelle pallida e la fronte spaziosa, gli colavano copiose ai lati del volto dove le occhiaie sembravano aumentare e gli occhi stessi cerchiati di rosso facevano contrasto con il chiaro delle iridi. Era legittimo preoccuparsi per lui.
Eppure … eppure nonostante si potesse definire ‘pietoso’, aveva sempre il suo fascino, seppure in quelle condizioni.
- Sei un esagerato del cavolo … è ancora vivo e si salverà e sarà merito tuo! Certo, tuo padre va punito ma non ti cambia l’esistenza se lo fai dopo esserti riposato! E poi … - Si interruppe con una smorfia, avvicinò il naso al suo collo annusandolo, infine concluse serissimo: - … puzzi, mio caro! Che tu lo voglia o no devi lavarti! Fila! –
Lo mollò tendendo il braccio verso la porta, indicandola col dito ed un espressione truce molto convinta di quanto diceva: sembrava lui il padre, in quel momento!
Matt sospirò dopo aver miracolosamente ascoltato le sue parole, non era d’accordo al cento per cento però tutto sommato aveva un fondo di ragione, avrebbe anche sorriso normalmente alla rievocazione di quella che solitamente era una sua frase, quella sul puzzare e sul lavarsi. Non era certo in uno stato normale, quindi non sorriso, però si concesse un respiro rassegnato e mentre le campane suonavano a festa per il miracolo che stava per compiersi, si alzò dalla sedia lanciando uno sguardo intenso al paziente che dormiva ancora. Non era facile, per nulla … lasciarlo lì con la consapevolezza che poteva succedere QUALUNQUE cosa nella sua assenza, era inaccettabile, però come ‘gentilmente’ Ryan gli aveva fatto notare, di lì a poco sarebbe crollato e magari proprio al momento di affrontare quell’uomo, il vero colpevole.
Decise di andare ma senza riposare, giusto per lavarsi, cambiarsi e bersi qualcosa di energetico e veloce, poi sarebbe tornato subito.
- Non starò molto, se c’è anche il minimo cambiamento chiamami subito. Non credo si presenterà qualcuno per lui ma in caso assicurati che lo conoscano veramente e siano a posto … non dire nulla dell’accaduto, voglio essere io a farlo. –
Dopo le varie raccomandazioni dette professionalmente ma anche stanco al tempo stesso, rivolto all’amico, si decise a voltarsi. Udì, tuttavia, la frase decisa e seria di Ryan:
- Matt, si salva! –
Sorrise appena ma lo fece, mantenendosi di schiena rispetto all’amico che però, ne era certo, aveva percepito quest’espressione positiva, infine se ne andò.
Lo fece, uscì però solo dalla stanza. Non riuscì ad arrivare a casa e compiere i suoi buoni propositi ma questa volta non per sua volontà.
Proprio in fondo al corridoio del piano della stanza, si presentò il padre di Matthew. Il Dottor Portman.