Tre

CAPITOLO III:

CONFRONTARSI

/ The bitter end – Placebo /
Lì.
Lui era lì davanti, precisamente ed inconfondibilmente lì.
Ci fu un istante veloce in cui provò, ci provò veramente a ragionare ma fu vano, fu solo un istante.
Per il resto fu solo istinto, fece semplicemente quello che da ore voleva fare.
Vide il proprio padre, l’uomo che al momento rappresentava esattamente ciò che odiava di più al mondo, avanzare verso di lui con una finta aria dispiaciuta addosso, lo vide fare quei famosi passi in sua direzione e poi fermarsi ad un certo punto, così senza ragioni apparentemente sensate. Infine l’udì parlare.
Matt stava ancora in silenzio ed immobile, ascoltava.
Ascoltava non suo padre bensì la sua rabbia muoversi.
Poi però gli arrivò anche la voce di suo padre:
- Caro, sono dispiaciuto, mi hanno raccontato … ho avuto un impegno veramente improvviso ed inderogabile … -
Lo guardò senza vederlo. Se l’avrebbe visto forse sarebbe stato peggio, perché in quel caso avrebbe notato il pessimo abbigliamento sgualcito, i capelli spettinati, la barba del giorno prima cresciuta, gli occhi arrossati e, se avesse anche odorato con attenzione e da più vicino il suo alito, avrebbe capito che era pieno d’alcool in corpo.
La voce non era nel suo tono migliore ma questo, Matt, non lo notò, come non notò tutto il resto. Ascoltava più la sua rabbia e la falsità dell’uomo fermo a qualche metro davanti a lui.
- Sei solo un bastardo … -
Non fece alcun passo ma disse quel che pensava. Aveva una voce pericolosamente bassa e controllata ma, in realtà, cominciava già a tremare.
Certo il figlio non aveva un aspetto migliore … si vedeva quanto stralunato e stanco fosse per quei suoi occhi chiari e liquidi, rossi e cerchiati, pallido, sudato e trascurato. Si vedeva che era suo figlio, per l’aspetto si vedeva.
- Matty, mi dispiace, ti ho detto … sono sicuro che non è stata colpa tua e che tutto si risolverà … -
- No, papà. Non puoi saperlo. L’avresti saputo se, come doveva essere, ci saresti stato. Dovevi essere tu al mio posto, o magari accanto a me a supervisionare. Dovevi solo fare il tuo dovere ma non l’hai fatto ed ora se quel ragazzo muore, e tu non sai se sarà così o meno, sarà colpa mia anche se in realtà è solo tua. Sai perché sarà colpa mia anche se in realtà non è così? –
- Matty … - Provò ad interrompere il figlio senza successo, Matt parlava e lo faceva con un crescendo da batticuore, parlava ed avanzava, parlava più veloce, parlava più forte, parlava e si avvicinava, parlava e finalmente lo vedeva, finalmente sentiva. Finalmente capiva.
- NIENTE MATTY! – Urlò il moro: - SARA’ COSI’ PERCHE’ SARO’ IO A SENTIRMICI IN COLPA, INGIUSTAMENTE! PERCHE’ IO HO UNA COSCIENZA AL CONTRARIO DI TE! PERCHE’ SE TU NE AVESSI AVUTA UNA NON SARESTI SPARITO PER UBRIACARTI! –
Una sola scusa, gliene bastava una piccola e sarebbe scoppiato, gli avrebbe messo le mani addosso.
Al sentirlo urlare Ryan da dentro la camera chiusa, si affacciò e vedendo la scena impallidì temendo il peggio. Si chiese se sarebbe bastato a placarlo ma gli occhi di tutti i passanti per quel corridoio, infermieri per lo più, si puntarono curiosi su padre e figlio a confronto.
Era una situazione difficile arrivata agli orecchi di tutti, non c’era nessuno che non avrebbe voluto vedere cosa avrebbero fatto a quel punto.
Non provò nemmeno a chiamarlo per nome.
- Mi dispiace ma tu non conosci la mia situazione, ho tutte le motivazioni valide per … -
Cercava di spiegarsi, fargli capire che aveva avuto una ragione per tutto, che non doveva prendersela così però non ci fu verso, più tentava e più sembrava peggio. Il fatto che fosse venuto quando era riuscito a smaltire la sbornia, non avrebbe comunque giovato minimamente.
- Ma non dire palle … - Disse a denti stretti, una cosa inudibile.
- Come? –
- MA NON DIRE PALLE! NIENTE VALE PIU’ DI VITE CHE DIPENDONO DA TE E DALLA TUA SERIETA’! TU SEI VENUTO A MENO AI TUOI DOVERI E BASTA! –
- Matty, ti ripeto che mi dispiace, io non potevo … -
Un urlo superiore agli altri, una specie di ringhio e un fulmine arrivò contro l’uomo adulto; era Matt che non ne poteva più di ascoltarlo, di sentire la sua voce ripetere falsità. Lui aveva bevuto, lui era ubriaco e aveva preferito divertisti, qualunque cosa fosse successa non lo giustificava e l’averlo trovato a bere era peggio.
La scintilla scattò e l’acqua uscì dal vaso.
Il figlio si precipitò contro l’uomo ormai a pochi metri da lui, infine veloce e imprevedibile lo colpì con potenza e forza facendolo cadere a terra. La bottiglia d’alcolico scivolò via dalla tasca e il silenzio calò mentre solo Ryan reagiva seguendolo per cercare di fermarlo.
- COSA NON POTEVI FARE? SALVARE LA VITA A QUEL RAGAZZO? CONTINUARE A OPERARE? ESSERE IL PRIMARIO DI CHIRURGIA? COSA NON POTEVI FARE? COSA? E PERCHE’ TI DISPIACE? PERCHE’ MAI DOVREBBE DISPIACERTI? -
Prima che fosse afferrato dall’amico, riuscì a prenderlo di nuovo fra le mani, l’aveva per il colletto e lo scuoteva gridandogli a pochi centimetri dal viso, sentiva la puzza di alcool e capiva fin troppo facilmente che le voci sul suo conto erano più che fondate.
- Matty, se io avessi operato quel ragazzo sarebbe morto. Sei tu che gli hai salvato la vita operandolo da solo … -
Sentirgli dire queste parole non furono d’aiuto infatti riuscì a colpirlo nuovamente con un pugno in faccia, cadde a terra col sangue che gli usciva dal naso e il labbro spaccato, ci era andato giù pesante ma questo sembrava non dare ugualmente sollievo al giovane. Non ci vedeva più.
Semplicemente non ci vedeva più dalla rabbia, per lui era inconcepibile e quel che gli diceva quell’uomo era pura bestialità.
Per lui cresciuto in modo così rigido, severo, inquadrato, serio e pieno di doveri, dove suo padre era sempre stato un Dio, seppur veramente molto duro e freddo, essere in una situazione simile e vedere che era proprio lui a venire a meno a quei famosi doveri che l’avevano quasi fatto impazzire da piccolo, era una cosa insostenibile.
Si parlava comunque di vite da salvare, persone che mettevano la propria nelle mani di qualcuno che rappresentava un eroe. Per Matt sputare su quella fiducia era da carogni.
Si sentì strattonare per le braccia, era al colmo della sua ira, avrebbe fatto veramente male a suo padre, ma qualcuno riuscì a toglierlo da lì, alzarlo e farlo indietreggiare a forza. Effettivamente per fermare Matthew in quelle condizioni serviva una specie di carro armato. L’unico che rispondeva a quelle esigenze era Ryan.
Il giovane ballerino aveva sviluppato negli anni di danza dei muscoli niente male ed una forza necessaria per alzare di peso un corpo adulto.
Matt non era d’accordo con l’interrompersi dallo sfogo, voleva continuare a mettergli le mani addosso e gridare ma si trovò a poter solo gridare mentre si agitava come un forsennato, cercando invano di liberarsi:
- E’ SOLO COLPA TUA, LO CAPISCI? E PER COLPA TUA LA SENTIRO’ ANCHE SULLA MIA PELLE! BEVI! HAI BEVUTO! HAI PASSATO TUTTA LA GIORNATA A BERE E QUA CHISSA’ QUANTE PERSONE SONO STATE IN SERIO PERICOLO! MA TANTO CHI SE NE FREGA, VERO? NON SEI MICA TU IN QUEL LETTO IN COMA AD ASPETTARE IL MIRACOLO! –
Non lo chiamò nemmeno per nome, non disse nulla, semplicemente si mise fra lui e il signor Portman a terra che si massaggiava dolorante il volto con aria sconvolta e colpevole, quasi mortificata e vergognosa.
La rabbia e la frustrazione di Matt erano tali da impedirgli di calmarsi e vedere le cose nella giusta dimensione.
Fu in mezzo a questa prova di forza in cui cercava di prevalere su Ryan, che nemmeno vedeva, per andare ancora contro al padre, che la testa cominciò a girargli e ad indebolirsi sempre più. Sempre più finché non impallidì maggiormente e le forze non gli vennero a mancare del tutto.
Finché non si accasciò fra le braccia dell’amico che con sorpresa si trovò a sostenerlo.
Matthew privo di sensi fu appoggiato a terra e fu messa fine così al suo scoppio.
Era a digiuno e senza riposo da molto tempo, naturale che in uno scatto d’ira simile il fisico ne risentisse, per quanto forte fosse era del tutto normale.
Una volta steso sul pavimento con la testa appoggiata sulle sue gambe, Ryan sospirò tenendosi la testa con le mani, indeciso se essere sollevato dell’esito dell’esplosione oppure insoddisfatto.
In ogni caso, queste situazioni, non andavano bene.
Lo capiva solo quando non era lui protagonista di esse, come normalmente era, ma il suo amico Matt.
E adesso che diavolo faccio?”
Pensò nervoso e preoccupato, non si riferiva certo allo stato fisico del moro svenuto, i medici stavano già arrivando a soccorrerlo; si riferiva al suo stato mentale.
Quando si sarebbe svegliato sarebbe stato uno straccio e tutto per colpa del padre che ancora impietrito dalla scena, li guardava colpevole.
La delusione delle persone che si considerano una specie di dèi è sempre la cosa più insostenibile e distruttiva possibile.
Tanta più fiducia, ammirazione, rispetto e amore si dona ad esse, tanto più si sta male.
Tanto da non reggere.
- Merda … -
Sussurrò il biondo con amarezza. Non era proprio adatto a quel cambio di ruoli, normalmente lo straccetto da consolare dopo essere stato placato era lui, non Matt … non sapeva come si consolava qualcuno!

/ Perfect – Simple Plain /
Dormì per quasi una giornata intera, quando si risvegliò trovò al suo capezzale Ryan addormentato anch’esso, appoggiato con le braccia e la testa al suo letto mentre al braccio una flebo di qualcosa che lo rimettesse in sesto aveva finalmente fatto il suo dovere.
Quando i suoi occhi grigi si aprirono si sentì subito di nuovo in forze, la testa non gli doleva più e non sentiva nemmeno quella stanchezza schiacciante. Gli occhi infatti erano tornati del loro colore normale, le occhiaie erano sparite ed il pallore anche: stava decisamente meglio.
Rimase un attimo fermo immobile cercando di ricordare gli ultimi momenti, quando ci riuscì un moto d’insofferenza gli oscurò il volto dai lineamenti regolari.
Suo padre ormai era finito, colui che aveva sempre idolatrato e cercato di emulare, il salvatore della vita di Ryan e di molte altre, ormai, era caduto, caduto in basso e ci era caduto di faccia. Di nascosto.
Sospirò strofinandosi gli occhi con le mani e poi il resto del viso, cercando di scacciare quella triste e malinconica sensazione di consapevolezza per ciò che a breve sarebbe successo.
Il confronto calmo con lui dove avrebbe sentito perché era in quelle condizioni e aveva bevuto.
Il fatto che lo conoscesse bene e sapesse che non era da lui ubriacarsi e bere in generale, gli faceva capire che sicuramente c’era un brutto motivo.
Non avrebbe mai voluto, mai, ma sapeva che era d’obbligo.
Che era giusto così.
Lo sapeva.
Doveva farlo, spettava a lui.
Si alzò lentamente a sedere sul materasso e sperò quasi che un giramento improvviso lo rimettesse giù, questo non accadde e si disse che il dovere era dovere e doveva andare. Accarezzò lieve con lo sguardo l’amico che era rimasto con lui tutto questo tempo, un sorriso lontano e tenero di ringraziamento aleggiò sulle sue labbra sottili che svanì appena distolse lo sguardo per togliersi la flebo e alzarsi in piedi.
Uscì dalla stanza facendo silenzio e quando fu fuori la luce colpì i suoi occhi abituati alla penombra.
Un infermiera appena lo vide gli andò incontro semi preoccupata, gli disse di riposare ancora ma non fu ascoltata, lui gentilmente le chiese quanto avesse dormito e alla risposta si stupì, era veramente tanto.
- Dimmi, dove si trova ora mio padre? –
Lei lo guardò e capì l’importanza di quella risposta, di quel momento, fu quasi curiosa di sapere cosa avrebbe fatto. Si chiese se fosse il caso di dirglielo ma un’occhiata più attenta al suo viso calmo e in piene forze le fece capire che andava bene, che quello era il Matthew Portman conosciuto.
- Nel suo ufficio … -
Avrebbe potuto dirgli che era tornato a casa per ripulirsi e rimettersi in sesto e che era già stata fissata la data e l’ora per il provvedimento disciplinare in cui era coinvolto anche lui stesso, ma preferì lasciare il compito all’interessato.
Lui se ne andò in direzione dell’ufficio lasciandola a guardare pensierosa la sua ampia schiena forte allontanarsi.
- Che Dio l’aiuti … -
Mormorò preoccupata. Chi doveva aiutare? Lui o il padre?
Risposta più precisa non ci fu, probabilmente colui che aveva più bisogno di aiuto …
La porta si aprì facendo entrare il ragazzo ormai adulto, l’uomo in camice bianco era in piedi ad osservare l’esterno dalla finestra chiusa.
Quando sentì l’entrata nella stanza di una persona si voltò con calma, probabilmente sapeva già chi si sarebbe trovato davanti. Lo vide e si scambiarono degli sguardi molto seri e consapevoli. Forse dopo tutto erano inutili le parole.
- Ho fatto delle analisi in gran segreto ed ho ricevuto la notizia l’altro ieri mattina, momento in cui sono sparito distrutto dal dolore. Appena ho avuto i primissimi sintomi, o sospetti tali, mi sono precipitato a verificare. Erano sospetti più che fondati. –
Si fermò guardandolo solenne, mostrava una certa forza di volontà e padronanza della situazione, quello era l’uomo venerato dal figlio, non quello odiato dei giorni passati.
Matt cominciava a capire profondamente il significato di ogni cosa e come aveva immaginato si trattava di qualcosa di serio e di molto brutto. Si preparò mentalmente a ricevere la notizia, nonostante esteriormente non rivelasse altro che freddezza. Non mosse un solo muscolo, contrasse solamente la mascella ma rimase in silenzio ed immobile controllando il proprio respiro ed i propri movimenti facciali e corporei.
- Ho il principio d’Alzhaimer. Appena me ne sono reso conto che qualcosa non andava ho fatto il possibile ma ora sono costretto a dare le mie dimissioni e a prepararmi al meglio a ricevere questa malattia senza cura. –
Qualcosa.
Qualcosa sicuramente avrebbe dovuto fare, qualcosa sicuramente avrebbe dovuto dire.
Qualcosa sicuramente avrebbe dovuto provare.
Poteva essere solo impietrito?
Semplicemente impietrito all’idea completamente incontemplata.
Non aspettarselo era facile e normale ma trovarsi davanti alla notizia certa e fare i conti con essa era un'altra cosa.
Non si era accorto di altro che non fosse un non precisato qualcosa che non andava in lui. Gli avevano chiesto da tempo di tenerlo d’occhio e indagare ma mai avrebbe immaginato una cosa simile.
Non gli aveva fatto capire assolutamente nulla tale era il suo controllo.
Si chiese se lui avesse anche solo un unghia di quel controllo e improvvisamente dimenticò che ce l’aveva con lui, dimenticò tutto e l’ammirò per l’ultima volta prima di voltargli le spalle definitivamente.
- Non hai da dirmi nulla? –
Azzardò infine l’uomo con un certo timore di fondo nella pacatezza della voce.
Matt fissò talmente intensamente gli occhi nei suoi che quasi si ipnotizzarono a vicenda. Dentro aveva sicuramente provato e sentito qualcosa, il ragazzo, dall’esterno però non un solo minimo cambiamento.
- Una sola, padre. – Iniziò. Era difficile per lui anche se a sentirlo e basta non sembrava. Sembrava molto calmo e severo. – Reagendo a quel modo hai fatto una scelta. Ed è stata una probabile condanna per qualche vita che quel giorno si era affidata alle tue mani e alla tua esperienza. Hai avuto ragione ad essere sconvolto ma hai avuto ogni torto quando invece di parlarmene subito te ne sei andato sparendo e ubriacandoti. Lì hai condannato quel ragazzo al coma, chissà, ma sicuramente più di chiunque altro hai condannato te stesso. Mi dispiace, non dovevi farlo. Non dovevi. –
Questo fu come un ulteriore pugnale in pieno petto per il padre, aveva sperato in un po’ di comprensione ed addirittura consolazione, aveva sperato in una reazione più dispiaciuta, aveva sperato di vederlo alterato per la notizia, aveva sperato molto, di tutto, tranne che quel rimprovero gelidamente pacato e distante.
Cosa fare?
Cosa dire?
Rimase senza parole a fissarlo inebetito cercando ancora di controllarsi mentre invece qualcosa dentro gli bruciava dal profondo. Lui che ne aveva viste tante ora si sentiva un nodo ed un fuoco dentro che lo divorava, voleva esplodere ma il suo contenerlo a tutti i costi l’uccideva ancor di più.
Matthew così si girò e dandogli la schiena andò alla porta per non parlargli più.
Non parlargli più nonostante dentro volesse piangere e gridare e opporsi per la malattia che aveva preso quel genio quale era suo padre.
Dì qualcosa, ti prego. Dillo. Dì qualcosa, salva la situazione, il nostro rapporto. Scusati e basta. Chiedimi aiuto. Chiedimelo, ammetti di averne bisogno, ti darò tutto quel che posso. Aggiusta il rapporto, non lasciare l’abisso che si è formato. Non lasciarlo … “
Pregò mentalmente così mentre metteva una mano sulla maniglia stringendo forte gli occhi e lasciandosi andare un attimo.
La voce dell’altro lo fermò.
- Mi dispiace di non essere perfetto, Matty … -
No, non era questo il punto, non era questa la frase. Così era troppo comodo. Così non risolveva niente. Così non cambiava niente.
Matt lasciò il proprio volto contrarsi in una smorfia di dolore per il dispiacere che provava in tutto quello, ma mantenne la schiena dritta e la testa alta, mentre duramente gli rispondeva.
- Anche a me, credimi, papà. –
Questa fu l’ultima cosa che gli disse.
Poi uscì e mantenendo un apparente calma tornò nella stanza di prima con la scusa di riposarsi ancora un po’ poiché non si sentiva ancora bene.
Dentro Ryan dormiva ancora in quella posa scomoda, lui non lo vide veramente, si sedette accanto a lui e curvandosi su sé stesso si prese il viso fra le mani, poi pianse.
Pianse finalmente le lacrime di quei giorni e di quel momento per lui straziante e doloroso.
Uscì quel piccolo Matty che avrebbe voluto reagire nel modo voluto e non dovuto.
Pianse silenzioso con singhiozzi che gli scotevano il corpo e le spalle. Pianse non facendocela più.
- Già … nemmeno io sono perfetto, mi dispiace … -
Questo svegliò l’amico che ancora nel dormiveglia, capendo che era in crisi e che come aveva precedentemente immaginato piangeva, si alzò dritto seduto sulla sedia, si trascinò davanti al moro e appoggiando la fronte alla sua testa, gliela prese fra le mani senza dire assolutamente nulla. Ascoltando il suo pianto, il suo vero e nascosto sfogo.
L’unica cosa che poteva fare era quella e nonostante si sentisse inutile poiché poco attivo, capì che era l’unica.
Poteva solo esserci.
Spesso, però, è tutto quello che chi è in crisi cerca.
Qualcuno che ci sia senza pretese di parole o consolazioni particolari. Solo che ci sia e basta.