Un Posto Per Me
CAPITOLO
3:
MEMORIA
Accadeva
troppo spesso, per i suoi gusti, di stare sola con
quell’essere
così spaventoso.
Astrid,
le pareva si chiamasse.
Stava
sempre in casa quando c’era anche lei. A parte per la scuola,
Nike,
non usciva mai, ovviamente era per sua volontà: stava molto
meglio in casa al sicuro. Preferiva evitare i luoghi aperti e
affollati ma c’erano, nel pomeriggio, troppo spesso momenti
in cui
si trovava completamente sola con la sorellastra maggiore, la seconda
per ordine d’età.
Quella
che le incuteva più timore.
Luca
era a basket per cui aveva quelle due ore circa in cui si dileguava,
Selene aveva diversi impegni, stava poco a casa il pomeriggio. Elisa,
quella che preferiva, e la madre, la seconda preferita, erano una a
lavoro e una a portare in giro i figli. Il padre a lavoro anche lui.
Di
fatto, Astrid sembrava l’unica a non aver nulla da fare!
Se
ne stava sempre lì davanti al computer e vi smanettava a
volontà, con la musica a tutto volume, cose inascoltabili
per
la violenza con cui emettevano rumori assurdi. Non si voltava mai,
non si interrompeva per nessun motivo, la sua attenzione non si
spostava da quello schermo luminescente. Portava gli occhiali da
vista, incrociava le gambe su quella seggiolona comoda con le rotelle
e non dava cenni di vita.
Nessuno
esisteva.
Ne
era un po’ sollevata, in cuor suo.
Preferiva
evitare di essere calcolata da lei, tuttavia questo rendeva quella
Astrid ancora più strana.
Nike
se ne stava per lo più chiusa in camera sua in silenzio a
fare
un po’ di compiti per imparare in fretta la lingua, guardava
l’esterno con un certo disgusto e terrore di perdercisi senza
poter
più tornare al sicuro.
Sicuro.
Si
era trovata a riflettere molte volte sul significato di quella
parola.
Dov’è
che poteva considerarsi al sicuro?
Certamente
in un luogo chiamato casa. E c’era?
Veramente
pensava che ci fosse un posto tutto per lei dove stava bene e si
sentiva, appunto, sicura?
Quella
casa dove viveva ora era certamente calda e accogliente a modo suo,
questo lo capiva, anche se moltissime cose le evitava come la peste e
la spaventavano poiché troppo improvvise, caotiche,
ipotetiche
pericolosità per lei. Insomma, nonostante tutto era una
famiglia a posto, eppure … eppure non sapeva ancora. Non
riusciva
ad amalgamarsi bene, stava sulle sue; erano cose naturali, col tempo
si sarebbe fidata di tutti e sarebbe riuscita ad amalgamarsi, si
diceva.
Attualmente
però preferiva andarci piano e capire come funzionava quel
mondo così strano.
Ancora
non aveva trovato un vero posto per sé. Un alcova, un angolo
di paradiso.
Doveva
capire, prima, cos’era per lei il paradiso.
Quando
l’avrebbe capito, sarebbe stato tutto diverso.
Anche
se non aveva assolutamente fretta di andarsene da lì per
affrontare una vita tutta sua, non si sentiva ancora parte della
famiglia, era cosciente di essere un pesce fuori dall’acqua,
eppure
dopo aver assaggiato il mondo selvaggio avrebbe afferrato e
trattenuto con tutte le sue forze ogni mano tesa. Con vergogna e
imbarazzo, ma l’avrebbe fatto.
Era
scesa al pino inferiore dopo aver sentito lo stomaco brontolare dalla
fame.
Con
cautela aveva sceso le scale ed era arrivata in soggiorno.
Luogo
X per lei, poiché ospitava quella strana persona soggetto
per
Nike di profondo disagio e terrore.
Rallentò
il passo studiandola attentamente, gli occhi non battevano ciglio,
intenta al massimo a captare ogni mossa insolita ed improvvisa che
potesse andare a suo discapito.
La
sua solita posa, a gambe incrociate, pantaloni larghi e strappati,
maglia leggera e larga a maniche lunghe che copriva gran parte delle
mani.
Gli
abiti che indossava di solito non erano malaccio, era solo che su di
lei assumevano un aria ancor più lugubre.
Un
passo dopo l’altro, lento, con massima cautela e attenzione a
non
fare rumore, sperava di non essere vista e notata, magari non
l’avrebbe calcolata. Quando era quasi dietro di lei, Astrid
alzò
lo sguardo dallo schermo del computer, si voltò di scatto e
sorpresa vide che Nike era scesa.
Non
sorrise per rilassarla.
La
ragazzina trasalì e sbarrò totalmente gli
occhioni
verde-dorati, trattenne tutto il fiato nei polmoni e la
fissò
come se stesse per essere mangiata, come se Astrid avesse appena
fatto un gran crimine: guardarla!
Sembrava
si preparasse al patibolo, una condannata a morte.
Attese
il verdetto con la paura chiara negli occhi.
Astrid
notò la cosa e si divertì per questo. Sorrise
sinistra
e senza rilassarla maggiormente fece la cosa peggiore che potesse
fare:
Le
parlò!
-
Nike, hai fame? -
Deduzione
ovvia visto che quando era sola con lei, scendeva dalla sua camera
solo per ingurgitare cibo.
Era
una ragazzina buona, non dava problemi, silenziosa, sulle sue,
mangiava tutto, dormiva tanto, non era sgarbata e cercava di sparire,
come, ad esempio, per non pesare sugli altri. In realtà lo
faceva per non subire chissà quali danni.
Ancora
non si fidava di nessuno, tutti l’avevano capito.
Solo
di Luca, della sua stessa età, che l’aveva salvata
la prima
volta.
Una
sorta di fiducia inconscia, se glielo avessero chiesto non avrebbe
saputo rispondere concretamente.
Alla
domanda, Nike sembrò andare in crisi. Come se avesse udito
chissà quale oscenità, scandalizzata la
fissò,
mancava solo che si mettesse a tremare!
-
Ohi, non sei obbligata a rispondere … innanzitutto respira,
torna a
battere ciglio, rilassati che ancora non ti mangio! -
L’attenzione
della ragazzina si catapultò sulla parola
‘ancora’.
Provò
a respirare, ma non batté ancora ciglio. Immobile e
silenziosa
fissava la sorellastra cercando di intuire le sue mosse.
Astrid
parve divertirsi poiché ebbe il suo ghigno tipico dei
momenti
di sadismo, e continuò:
-
Puoi anche provare a parlare, ogni tanto! Non ti tocco e non mi alzo
nemmeno! Tiè, mangia queste, so che ti piacciono! -
Così
dicendo poco gentilmente, le lanciò fra le mani un pacchetto
di patatine che era già aperto, era uno di quelli formato
famiglia, essendo che chiunque avesse fame ne mangiava un poche,
lasciando resto per gli altri; gliele cedette memore delle
scorpacciate che si faceva di quelle ‘schifezze’,
come le
chiamava la madre.
La
destinataria di tanta ‘gentilezza’ ebbe un tuffo al
cuore e
trovandosi con il pacchetto fra le mani, non sapeva onestamente se
gioire o piangere.
Optò
per un rifugio veloce nel divano, l’angolo più
lontano dove
potesse tenere d’occhio quello strano fenomeno e mangiare
avidamente silenziosa lo spuntino pomeridiano.
Astrid
si trovò a pensare che era estremamente divertente
provocarle
quelle alterazioni, come se andasse sempre in panico.
Non
era cattiveria, ma le risate se le faceva!
Si
limitava comunque a comportarsi come si comportava anche con gli
altri della famiglia e il punto era proprio questo!
Era
da poco tempo che Nike era arrivata in quella nuova famiglia. Aveva
inquadrato perfettamente tutti e si stava lentamente con molta fatica
ambientando a quel posto chiamato Italia.
Agli
inizi le erano arrivati sotto forma di sogni.
Ricordi
della sua vita prima di essere adottata. Prima di aver perso la
memoria.
Li
sognava la notte e silenziosamente non mostrava segni di sofferenza,
anche se li vedeva come chiari incubi.
Un
incendio e un esplosione, la sensazione concreta di volare e un
bruciore diffondersi sulla pelle.
Come
scene di un film d’azione o di suspance.
Poi
da sveglia le erano arrivate come violente fitte di mal di testa,
quando cercava di ricordare i sogni che faceva.
Aveva
capito che probabilmente si trattava del suo passato e desiderosa di
saperne di più, si spremeva sempre molto.
Finiva
con una fitta mostruosa e una sensazione disgustosa di dover evitare.
Evitare
di sapere.
Sapere
cosa?
Il
significato delle fiamme nei suoi sogni.
Sul
corpo riportava ancora delle ustioni di grado elevato e ferite
cicatrizzate, sintomi di qualcosa di forte subito.
Al
mal di testa si erano aggiunti nuovi flash.
Volti
di bambini.
Una
bambina bionda, sua amica forse.
Lene.
O
era Marlene?
Tanti
volti, dunque, e tutti la tormentavano, si chiedeva come potesse
averli tutti in testa.
Quel
periodo per lei fu molto brutto.
Aveva
fatto fatica ad ambientarsi quel poco in quel nuovo mondo, a lei
sconosciuto. Tornare alla vita senza ricordi non era uno scherzo.
Affidandosi
al suo incredibile istinto era riuscita a trovare un piccolo punto di
equilibrio che si basava principalmente sull’amico Luca.
Non
l’avrebbe mai ammesso a sé stessa, troppo
orgogliosa, ma il
piccolo biondo era essenziale per lei.
Dopo
tutta quella fatica erano arrivati quegli incubi e quei ricordi a
turbare la sua già labile serenità.
Paradossalmente,
solo molto tempo dopo l’avrebbe capito, era stato possibile
proprio
perché aveva accettato la sua vita e si era un po’
stabilizzata, con la calma mentale si era aperta una finestra, come
se la chiave fosse stata in lei. Come se la sua memoria avesse
aspettato una specie di permesso che era finalmente arrivato.
Impossibilitata
a far qualcosa, Nike si trovò sempre più di
cattivo
umore, un tormento crescente, e un aspetto malaticcio.
Quella
malinconia continua nello sguardo, domande su domande e di nuovo
quella paura di sapere … quella paura di vivere.
Fu
per non vederla rinchiudersi in sé stessa definitivamente,
che
la madre glielo chiese con gentilezza, facendo solo quello che delle
madri potevano fare.
Lasciò
che Astrid uscisse e che Selene fosse in camera a studiare,
chiamò
accanto a sé Luca e si assicurò che Elisa fosse
nei
paraggi.
Semplicemente,
poi, si limitò a chiederglielo.
Cosa
le prendesse in quel periodo.
Forse
era stata quella luce tenue e dolce, materna, a spingerla a non
spaventarsi come normalmente accadeva quando qualcuno le parlava, o
forse la presenza sicura e pacata di Luca.
Si
sedette vicino a lui senza rendersene conto e stringendoglisi
impercettibilmente, lo fissò come a chiedere un permesso a
lui
di parlare, come se cercasse un coraggio che a lei ancora mancava ma
che lui aveva, che lui poteva trasmetterle. Quella piccola sicurezza
di non perdersi.
E
con cautela e incertezza spiegò cosa le accadeva
Non
pianse e non mostrò panico se non tutta la
fragilità
che possedeva, disse ogni cosa e come una specie di sfogo,
arrivò
fino in fondo grazie anche a quel contatto lieve, inaspettato,
bisognoso.
La
mano di Luca si era posata leggera e imbarazzata su quella di Nike,
dispiaciuto per vederla così, assicurandole che andava tutto
bene, con una sensibilità fuori dal comune.
Un
contatto semplice e dolce, infantile quasi, che solo in due ragazzini
poteva funzionare.
Non
ci volle molto alle sorelle per recuperare il resto delle
informazioni sul suo passato.
Scoprirono
facilmente che aveva vissuto in un orfanotrofio e con fortuna avevano
anche trovato il nome e il luogo di sorgenza dell’edificio.
Elisa,
Astrid e Luca avevano accompagnato Nike in quell’orfanotrofio
per
chiedere spiegazioni, per saperne di più.
Quando
giunsero sul posto, fu quindi inaspettato trovare al posto della
costruzione che avrebbe dovuto sorgere, un campo vasto, una serie
infinita di croci piantante nel terreno, una accanto
all’altra, in
fila.
Su
ognuna un nome, un data di nascita con una data di morte.
Erano
tombe di bambini e ragazzini morti.
Non
fu soltanto inaspettato, fu sicuramente sconvolgente per Nike,
trovarsi davanti una croce di pietra con una piccola foto sua, le
incisioni del suo nome, cognome e le sue date di nascita e morte.
Nike
Polaski
Nata
il 25 Dicembre 1993
Morta
il 17 Giugno 2005
Un
cartello inciso nella pietra, ad inizio del campo, diceva:
‘Ricordiamo
con amore e tristezza le vittime dell’incendio
all’orfanotrofio
XXXXX il 17 Giugno 2005’