La
palestra della riabilitazione ospita in questo momento solo me, il
fisioterapista, l’infermiera e la scimmia rossa.
Questo
tipo ce l’ho sempre appresso ed è stancante.
Oggi
è il primo giorno di esercizi, fino ad ora mi avevano
lasciato a riposo. Mi hanno avvertito di non aspettarmi nulla di
particolare, che sarà dura…ma ugualmente sono
curioso…già, proprio curioso di vedere come va!
Rimango
concentrato mentre mi alzo aggrappandomi alle sbarre parallele, con
forza mi tiro su e arrivo in piedi, appoggio il piede sano e fin qua
nulla di strano. Poi appoggio piano piano quello della gamba rotta e
una fitta di doloro risveglia al massimo i sensi facendomi imprecare.
Quello
che mi da maggiormente fastidio non è il non riuscire a
camminare come si deve, lo sapevo in fin dei conti…ma la sua
risata. Questo tipo fastidioso che mi sta sempre fra i piedi. Mi sta
proprio prendendo in giro.
E
in nome della giustizia appena mi alzo e cammino, la prima cosa che
farò sarà prenderlo a calci e pugni per
sotterrarlo! Questo mi invoglierà maggiormente ad alzarmi in
fretta e camminare…e Hitonari vedrà che ce la
faccio anche senza di lui! Si.
Ma
intanto devo accontentarmi di altri esercizi minori, meno faticosi di
questo. Meglio non sforzarlo troppo. Alla
fine mi fa un massaggio particolare che non so quanto bene mi abbia
fatto visto le parolacce che ho inventato.
Dopo
aver visto la figura pessima della scimmia rossa, mi sento sollevato.
È sul mio stesso livello. L’importante
è che non mi superi!
Mi
lascia andare per i fatti miei. Vado in camera per starmene tranquillo.
Mi
stendo un po’ nel letto stanco. Non pensavo potessi spomparmi
così facilmente. Sono diventato un pappa molla.
Dovrò esagerare con questi esercizi, non so quanto validi
siano, forse non hanno capito che io non voglio solo tornare a
camminare ma addirittura voglio tornare a correre e saltare. A giocare
a basket.
Ora
mi riposo un attimo e poi torno in palestra e vedrò di darmi
da fare in qualche modo.
Non
sopporto di stare steso in un letto d’ospedale senza far
nulla….ad aspettare che la grazia Divina mi guarisca e che
il miracolo avvenga. Io so che tornerò a giocare a basket,
lo so benissimo, ma è una frustrazione continua. Stare fermo
a riposare e aspettare…aspettare che? Che questo cavolo di
gamba guarisca sola e mi funzioni come prima?
Non
sono convinto.
Io
devo camminare e correre e saltare di nuovo. Così perdo solo
tempo.
Non
ne posso già più.
E
penso di capirlo bene solo ora, Yamazaki. Quando l’ho
incontrato ce l’aveva a morte con me perché
riversava su di me le sue frustrazioni.
Si
comportava da gran bastardo, ma lo capisco benissimo. Anche allora, ma
adesso è diverso. Adesso ci sono dentro io anche se siamo
diversi. Glielo dissi.
Lui
si sentiva responsabile di tutto. Era ancora il capitano del Kouzu
Basketball Club. E non poteva giocare.
Non
l’ho capito subito. L’avevo scambiato per un
cretino egoista ed egocentrico nonché presuntuoso. Mi
assalì, litigammo. Però lo provocavo, non
distoglievo lo sguardo e non avevo paura di lui. Poteva farmi male,
dovevo provare soggezione e rispetto per uno come lui, era un mio
senpai, il mio capitano. No. Nulla. Non lo riconoscevo come tale.
Il
fatto era che semplicemente mi aveva scambiato per se stesso. Era pieno
di rimpianti e fragile e pensava che io fossi come lui vedendo la mia
sospensione. Si sentiva responsabile e al tempo stesso colpevole. Lo
capii giocando con lui.
Era
solo uno stupido.
Quindi
non potevo fare a meno di provocarlo a dovere. Per fargli capire che
non ero come lui e che non avevo paura di vivere e affrontare le
magagne che la vita mi poneva davanti.
Volevo
dargli a mia volta una lezione, non me ne sarei mai andato prima.
Così
mi sfidò. Lui era la difesa ed io con la
possibilità di tre palloni dovevo passarlo. Solo allora mi
avrebbe lasciato in pace.
Lì
per lì rimasi interdetto. Non sapevo esattamente cosa
pensare se non che non mi piaceva.
Ma
come è nel mio carattere non mi sarei mai tirato indietro.
Lo affrontai. E non mi importava un fico secco di sapere il suo
passato, le sue motivazioni e i perché. Non volevo sapere
proprio nulla. Volevo solo che capisse che io non avrei mai avuto i
rimpianti finchè avrei fatto sempre e solo quello che mi
sarebbe piaciuto, quello che la mia testa mi diceva, quello che secondo
me andava fatto, era giusto.
Io
i rimpianti non sapevo cosa fossero e non l’avrei mai saputo.
E
lui era solo un egoista egocentrico che faceva finta di pensare alla
sua squadra ed invece riversava il rancore e la frustrazione per il non
poter più giocare a basket su quelli che lui credeva simili
a lui.
Non
parlai, non dissi nulla. Continuavo a guardarlo e capii che gli
succedeva nella sfida.
Lui
non poteva giocare e basta. E di rimpianti ne aveva a bizzeffe.
Così
col solo linguaggio di quello sport comunicammo e compresi. Era facile
poi.
E
arrivai alla conclusione che era solo uno sciocco.
Misi
la parola fine a quello strazio…perché vederlo
ridotto in quello stato, uno stato in cui non arrivava a fare
più nulla di basket, era straziante. Lo colpii per
scuoterlo. I miei soliti modi, io non ne conosco altri, di dolci.
È contro la mia natura.
Un
colpo unico, non molto forte ma deciso.
Poi
le mie parole.
Peggio
del pugno che gli lanciai.
Gli
dissi che doveva guardarsi un po’. Solo questo. E lui ammise
da se qual era il problema.
Lo
provocai ancora un po’ perché in fondo
è l’unica cosa che so fare bene dopo il basket e
le risse!
Volevo
vedere se fino a novanta anni sarebbe rimasto là ad
aspettare il miracolo…
Ci
scambiammo qualche altra parola e mi confermò le impressioni
che avevo avuto. Mi apparve decisamente una persona migliore. Io allora
non ero ancora come lui. Non ero consacrato al basket, non sapevo
ancora che farne della mia vita, ed ora non è che sia
meglio, so solo di certo che non smetterò mai di giocare a
basket. Io sapevo unicamente come vedevo io la vita. Una scommessa
continua alla quale bisognava attingere a piene mani in ogni momento
senza lasciarsi indietro nulla…per non avere rimpianti, per
non provare invidia verso nessuno.
Io
ora non sono come lui, e non lo ero nemmeno a quel tempo. Io e Yamazaki
siamo sostanzialmente diversi. Molto. Lui poi è rinsavito ed
è diventato maturo, uno in gamba. Io sono lontano anni luce
da lui, ma nonostante la mia diversità da tutti, da Hitonari
stesso, mi sento vicinissimo a loro, alla mia squadra. A quel diavolo
bianco.
Anche
se non sono il capitano di nessuna squadra mi ci sento responsabile
ugualmente, ho fatto tanto per radunarli tutti. Mi sono essenziali dal
primo all’ultimo ed avevo una paura folle che tutto sfumasse
ora…poi però ho capito che non sarebbe potuto
succedere, grazie ad Hitonari. Basta fidarmi di lui. Ed io mi fido. Io
non ho rimpianti al punto in cui mi trovo. Invidio chi può
camminare e correre e saltare, ma so che tornerò a farlo
anche io. Lo so. Ne sono convinto. Devo solo darmi da fare. Ho
già iniziato.
Dall’esperienza
stessa di Yamazaki ho imparato molto e mi è preziosa come
ogni altra cosa.
Non
potrei certamente farne a meno. È vero.
Poi
passai tutto il resto del tempo a pensare e rimuginare sullo strano
pomeriggio. Ad Arada e Harumoto…e a Yamazaki…per
poi finire su Hitonari. Già. Sumire con me che mi parlava la
sentivo vagamente. Lei non capiva il legame fra le persone e uno sport
come il basket. Io invece cominciavo ad affacciarmi verso quel mondo
dove in cima ai pensieri di uno sportivo c’è solo
una palla di cuoio e un campo da gioco.
Riflettei
molto per poi insinuarmi la voglia di parlarne con Hitonari. Appena
realizzai che avrei voluto con me il biondo mi venne fame e mi
rilassai. Una reazione strana. Non
ne parlai più con Sumire, capivo che non poteva
capire…l’aveva detto lei stessa…ed io
volevo solo qualcuno che capisse.
Mi
sentivo strano, malinconico per Yamazaki e sollevato perché
io avevo davanti a me molto, ancora.
/Parlando con lui/
Quindi
a questo punto torna subito facile ricordare quel discorso che ebbi con
lui agli allenamenti del pomeriggio. Non il giorno dopo.
Passò un po’ di tempo nel quale continuai a
pensare a questa cosa.
Non
stavo molto bene, quella volta. Mi era venuto un bel raffreddore. Hitonari
capì subito che non stavo molto bene, mi sedetti in un
angolo a guardare gli altri con la scusa che avevo finito gli esercizi.
Lui
mi si sedette accanto. Mi chiese cosa avessi ed io risposi
‘nulla’. affrettato, senza nemmeno guardarlo. Mi
sentivo in imbarazzo, detestavo quando gli altri notavano che avevo
qualcosa che non andava.
Si
sentiva la pioggia, la ricordo, e non veniva voglia di allegri
pensieri. Buttava giù parecchio.
Mi
venne in mente quel discorso.
Glielo
accennai.
“secondo
te è possibile consacrarsi al basket?”
Lui
mi guardò stupito. Non capì come mai mi venivano
certi pensieri. Si limitò a rispondermi porgendomi la sua
bottiglietta d’acqua. Io la guardai come a cercare di vederci
qualche veleno e mi bagnò con uno schizzò
stizzito, così la presi e bevvi. Non so come ma capiva al
volo sempre come stavo. E il tempo passava e ci comprendevamo sempre
meglio. “certo…”
Rispose
così.
Ma
io sapevo che avrebbe detto così.
“cosa
serve per non avere rimpianti, un domani?”
Pensieri
apparentemente sconnessi. Si faceva fatica a starmi dietro, me ne rendo
conto solo ora. Ma lui non si fece domande e mi rispose. Tutte cose che
io sapevo.
“fare
quello che ti piace senza mai rimandare o risparmiarsi. Come fai tu,
oserei dire…”
Io
feci un mezzo sorriso. Non ero in piena forma altrimenti ne avrei
sparate una delle mie. “io
non so cosa sarà del mio futuro, e non ho nemmeno dedicato
tutto al basket, per ora…ma non voglio avere
rimpianti…e nemmeno doveri…”
Lui
ascoltò e assorto rispose:
“ma
a volte i doveri sono obbligatori. È giusto fare quello che
ti piace per non avere rimpianti, ma non devi pensare solo a te stesso
e a divertirti e basta. Altrimenti i rimpianti vengono lo
stesso.”
Era
anche quello un pensiero contorto, lo guardai torvo cercando di capire.
Così
proseguì con la frase:
“non
è giusto fare quello che più ci piace
divertendoci il più possibile, o meglio non solo. Bisogna
metterci dell’altro. Penso si tratti di maturità e
responsabilità. Non so, sai…non sono il
più adatto a risponderti. Per quel che mi
riguarda…”
Si
interruppe pensieroso e continuò.
“…ora
voglio solo giocare a basket, ma dietro non c’è
più solo egoismo. La squadra che sta diventando questa banda
di idioti mi lascia una curiosità. Voglio vedere come va
avanti. E non voglio giocare più da solo. È
questo. Poi crescendo si vedrà il modo più adatti
di giocare. Per ora penso non sia troppo sbagliato cercare di
divertirsi. Ma il senso del basket non è solo in questo.
C’è un segreto dietro…che scopriremo
più avanti. Piano.”
Ovviamente
non disse tutte queste cose in fretta ed in una sola volta. Si
interrompeva, guardava gli altri, beveva…ma ce la fece.
“si…forse
hai ragione…”
Ma
le mie ammissioni erano velate e difficili da dire. Dargli ragione era
un gran passo per me.
Ma
mi piaceva parlare con lui. Quando riuscivo ad essere serio senza
strane trovate.
Poi
mi presi la testa fra le mani iniziando a starnutire.
“è
meglio che vai, non mi sembri in forma…mi hai appena dato
ragione…e sono convinto che tu non abbia capito nulla di
quel che ti ho detto!”
Mi
aveva dato dello stupido, lo capii ma non riuscii a trovare il punto
giusto dell’offesa, così snocciolai solo un:
“imbecille!”
E
mi alzai andandomene a cambiarmi.
Erano
belli i momenti in cui parlavamo così con lui, ma mi
vergognavo un po’ a cercarlo troppo spudoratamente, facevo
finta di capitare da lui casualmente ma poi capiva sempre che lo facevo
di proposito.
Eppure
mi aiutava molto parlare con lui.
Ora
lo posso ammettere a distanza di tempo.
Ad
interrompere i miei pensieri arriva quella scimmia rossa di cui ho
scordato il nome.
-
ehi, andiamo a fare due tiri? Mi annoio da solo e voglio sfidarti un
po’!-
Poco
gentile, rumoroso e antipatico.
Gli
ringhio:
-
tanto rassegnati che oggi ti batto, deficiente!-
Il
mio repertorio non è molto fornito oggi, sono solo stanco,
ma non voglio più star fermo, risparmiarmi, riposarmi sugli
allori.
Devo
prendermi da solo quello che voglio, come ho sempre fatto.
E
ci riuscirò. Questione di poco.