Fade To Black
CAPITOLO 5:
OLTRE
LE PROPRIE FORZE
Quando
lo videro arrivare, Genzo e Jun si allarmarono subito capendo che la
visita a Tsubasa era andata male. Sospirarono sconfitti ancor prima che
lui arrivasse da loro. Taro rallentò il passo quando
arrivò loro davanti, alzò gli occhi pieni di
lacrime su Jun e poi su Genzo e la voglia di lasciarsi andare fu
immensa, il flusso di pianto aumentò e fu difficile per lui
domarsi, odiava dal profondo piangere in quel modo, mostrarsi debole e
calpestato, essere un peso per altri, una palla al piede…lui
voleva tirare su gli altri ed essere un sostegno, non sostenuto, aveva
sempre avuto paura di essere una persona troppo pesante moralmente e
troppo debole, era riuscito a mantenere quella forza pura, a sorridere
sempre pesando che c’erano cose peggiori, ma non
c’era stato molto da fare, questa volta non ci era riuscito e
questo lo turbava e lo scuoteva nell’animo dandogli solo
ancor più bisogno di piangere e sparire.
-
Scusate ragazzi…non ora…-
Così
dicendo riprese ad andare sorpassandoli, entrò in casa e si
immerse in un bagno caldo e ristoratore che confuse le proprie lacrime
che scendevano ancora copiose.
Jun
e Genzo si guardarono un po’ interdetti, non
l’avevano mai visto piangere ma in fondo fra tutti. Taro era
quello meno conosciuto. Era arrivato fra loro come un soffio di vento
leggero, la brezza fresca primaverile terribilmente piacevole
poiché accompagnata da un sole non troppo caldo ma
carezzevole…poi però se ne era andato allo stesso
modo, rimanendo nei cuori dei suoi compagni e di uno in particolare.
Era tornato, certo, però non stava mai a lungo, il tempo di
dare qualcosa di sé stesso a chi ne aveva bisogno ed ecco
che tornava a volare via. Saperlo così era un duro colpo per
loro due.
Non
avrebbero saputo cosa fare se avessero avuto altri caratteri, ma
entrambi erano sempre molto decisi e sicuri, due ‘condottieri
impavidi’ che non si trovavano mai nella condizione di
lasciar scegliere ad altri, dirigevano sempre i lavori, due capitani
veri.
Il
primo a parlare fu Genzo che puntò l’indice e il
pollice ad ‘L’ verso il castano e disse:
-
Tsubasa o Taro?-
Sapevano
che Taro aveva solo bisogno di stare solo, lo sapevano, però
lasciarlo così a piangere a quel modo, pesava più
a loro che a lui stesso. Così decisero di fare qualcosa
almeno quella volta.
Jun
fece un mezzo sorriso, uno dei suoi che infondevano sicurezza e
certezze, poi rispose calmo:
-
Io vado da Tsubasa, è ora che ci parli un
po’…-
Genzo
si sentì quasi sollevato, non aveva idea di cosa fosse
successo ma lo immaginava benissimo e se aveva ridotto così
uno come Taro non osava immaginare come lui stesso avesse reagito
vedendolo.
Detto
ciò si scambiarono un’occhiata eloquente e presero
le rispettive strade.
Genzo
arrivò in camera di Taro e bussò, non udendo
risposta decise di entrare non accettando di certo una negazione,
diciamo che lui bussava solo per formalità poiché
era tipico fare quel che desiderava comunque.
Vide
la stanza vuota e la porta del bagno interno aperta, così
capì che era lì, con voce quasi delicata, quanto
più gli riuscì, lo chiamò, poi attese
fermo che gli rispondesse, udì solo dei singhiozzi e decise
che fossero il suo: ‘entra’!
Mosse
qualche passo all’interno della stanza non molto spaziosa,
aveva piastrelle azzurre che sfumavano nel blu a seconda degli angoli
in cui erano poste, la classica doccia ed incassata nel pavimento una
piccola vasca per uno. Era tutto arredato sui toni del blu e
dell’azzurro, ricordava il mare ed era fatto tutto con gran
gusto, come tutto il resto della casa.
Si
sedette su uno sgabello a pochi metri dalla vasca e
l’accarezzò gentile con lo sguardo. Taro era
lì immerso fino alla bocca, con solo gli occhi e il naso
fuori, i capelli metà bagnati e metà solo umidi.
Quegli occhi gonfi e carichi di lacrime che ancora scendevano.
Erano
compagni di squadra, si erano visti nudi tante volte, non era quello un
problema per nessuno dei due, l’imbarazzo nasceva da ben
altro come lo stato in cui era il moro ora ammollo.
La
presenza di Genzo fu in fondo apprezzata, era un ragazzo che dava
sicurezza e forza, però si vergognava di farsi trovare
così debole.
-
è uno stupido. Questa volta basta…-
Lo
disse sapendo che così non sarebbe stato.
Genzo
non disse nulla sapeva che l’amico aveva solo bisogno di
parlare, solo quello. Sfogarsi. Non l’aveva ancora fatto da
quando si erano visti.
-
Sono arrivato e lui era lì che tentava di
uccidersi…ma come si permette? Come se la vita fosse solo
sua, come se solo lui soffrisse, se fosse il primo ad avere
disgrazie…e io dico: va bene un po’ ma poi basta,
dacci un taglio, la vita va avanti anche se tu non lo
vuoi…no, per lui senza il calcio è tutto finito.
Non camminerai più, ok, piangi e disperati pure, ma non
toglierti la vita perché se non sei morto è un
miracolo ed io ho ringraziato Dio per questo. No, lui non ci pensa a
questo, come non pensa a me. Questa volta mi sono stufato. Gli ho
gridato tutto quel che pensavo…proprio tutto…- A
questo si fermò arrossendo visibilmente, ricordando cosa
fosse quel ‘tutto’, cosa che capì anche
Genzo, poi terminò con un flebile e più calmo: -
…poi me ne sono andato…-
Non
avrebbe pensato che farsi ascoltare da lui potesse aiutarlo veramente,
le lacrime erano finite e lui si sentiva in fondo più
leggero, tirò fuori dall’acqua la testa del tutto
e gli lanciò uno sguardo di gratitudine e di scuse, Genzo
fece una specie di sorriso un po’ tirato e poi disse solo:
-
Sai bene che non hai chiuso con lui. Hai fatto bene. Vedrai che ora
cambia…-
Ma
questa era solo una sua speranza.
Jun
fece come Taro, entrò e basta. Non era nei suoi modi e si
sentì anche lui un po’ un ladro, ma lo fece,
sapeva che non l’avrebbe mai fatto entrare, altrimenti.
Lo
vide lì nel letto, mezzo seduto, che faceva a pezzi tutto
quel che gli capitava con un’espressione molto irosa in
volto, livido di rabbia, Jun sospirò impressionato di
trovarlo così.
Entrò
e si appoggiò alla finestra scrutandolo con cura, cosa che
infastidì Tsubasa, lo fissò malamente e nemmeno
salutandolo, gli disse solo sgarbatamente:
-
Sei venuto a farmi la predica?-
Jun
si preparò ad un dialogo molto difficile.
-
No, sono venuto ad ascoltarti.-
Tsubasa
fu colpito da queste parole però caricò la dose
di frustrazione e continuò a sfogarla sul giovane.
-
Ma cosa vuoi ascoltare…cosa vuoi capire…-
-
Io quando ho scoperto di avere la malattia cardiaca avrei voluto
qualcuno che semplicemente mi stesse ad ascoltare senza dirmi parole di
conforto…-
-
Tu sei diverso da me, la tua condizione lo era…se ti bastava
essere ascoltato non stavi poi così male…tu non
puoi capirmi!-
-
Davvero? Guarda che io fra tutti sono l’unico che
può comprendere il tuo stato d’animo…-
Detestava
dire quelle cose e parlare di sé in quel modo, Tsubasa
avrebbe dovuto saperlo, ma quel Tsubasa non sapeva proprio
più nulla.
-
No, che non puoi capirmi! Cosa vuoi saperne del non poter
più camminare? Tu puoi ancora muoverti, basta che ti
limiti…cosa ne sai di cosa voglio io or…io ora
voglio camminare, correre, riprendere i miei sogni, non voglio che mi
ascoltino. Voglio camminare! -
Jun
ne rimase colpito e ferito da quelle parole, non poteva sentirsele dire
proprio da lui che l’aveva aiutato così tanto
quella volta e anche i giorni a venire. Avevano legato ed erano
diventati amici, l’unico amico che lui poteva dire di avere
era sicuramente Tsubasa ce ora lo sminuiva così e gli diceva
quelle cose, ricordò tutti i momenti di rinuncia, quando
guardava i suoi compagni giocare, perdere perché non avevano
un buon regista, il bruciore che gli dava quella consapevolezza, gli
sguardi di pietà nei suoi confronti quando avevano saputo
delle sue condizioni, ricordò tutto e un nodo gli
salì alla gola, pericolante, mentre qualcosa gli premeva
sugli occhi per uscire, si domò, tentò di
calmarsi mentre l’ascoltava e il fiato gli veniva corto e i
battiti si acceleravano. Non era giusto. Non se le meritava quelle
parole.
-
Certo, io in fondo volevo e voglio solo un cuore che funziona e che non
mi faccia rischiare la vita ogni volta che faccio qualunque
cosa…-
-
Tu sei comunque messo sempre meglio di me, non puoi capirmi, non hai
passato nemmeno un unghia di quello che sto passando io…-
Jun
si innervosì passandosi le mani fra i capelli, poi si
staccò dalla sua postazione e cominciò a
camminare per la stanza, poi disse tagliente:
-
Vuoi fare la vittima? Fallo! Compatisciti, sii perdente…hai
ragione, non posso proprio capire qualcuno che ci tiene tanto ad avere
il titolo di peggiore! Tanto convivere dall’età di
7 anni con l’idea della morte è solo uno scherzo,
una sciocchezza! Tsubasa, svegliati! La vita va avanti e tu non morirai
mai a meno che non ti uccidi tu o non finisci di nuovo sotto una
macchina…ci si deve piegare davanti a certe cose, fra queste
la salute! Ma tanto io che ne posso sapere…ho solo dovuto
rinunciare ai miei sogni vivendo alla loro ombra da quando ero
bambino…alla tua ombra…non importa
nulla…Stà lì e rimanici, guarda. Io
quello che potevo l’ho fatto!-
Detto
ciò con un tono molto trattenuto ma con un fondo di
nervosismo e agitazione, ed una freddezza nello sguardo da tagliare
qualsiasi cosa, uscì anche lui con la solita camminata fiera
ed elegante, solo un po’ più veloce del solito.
Il
nodo stava per uscire, ce l’avrebbe fatta questa volta a
trattenerlo?
Appena
l’aveva visto aveva subito capito che c’era
qualcosa che non andava in lui. Qualcosa stonava. Di nuovo, come quella
sera in cui gli aveva detto dell’incidente di Tsubasa,
c’era l’impressione che dentro si sé
fosse sconvolto. Come potesse dirlo non sapeva nemmeno lui, visto che
non era tipo da capire così bene
l’interiorità altrui, ma era una chiara sensazione
che stava sviluppando soprattutto ultimamente!
Aveva
sempre visto Jun Misugi come una persona snob, con la puzza sotto il
naso, aristocratico, completamente di un altro mondo, una delicatezza
ricoperta d’oro il cui problema più grande era
ricordarsi i nomi dei suoi camerieri o cose del genere!
Non
era una grande considerazione, poi però aveva capito anche
che il suo problema del cuore era più serio e pesante di
quanto non l’avesse mai considerato, però questo
non gli aveva permesso di cambiare opinione generica sul campione di
vetro. Era riuscito a dargli più rispetto ed un briciolo di
stima in più, tutto qui!
Ora
le cose erano ulteriormente diverse, dalla malsopportazione
all’ammirazione segreta a…un qualcosa di non molto
definito, poteva chiamarsi curiosità?
C’era
qualcosa in Jun e lo stava capendo solo ora. Qualcosa che stimolava la
sua attenzione.
Erano
troppo diversi e quando il mondo di un principe viene a contatto con
quello di uno di strada, possono accendersi diversi tipi di scintille.
-
Che succede?-
Gli
chiese Kojiro.
In
quei giorni erano riuniti spesso a casa di Jun visto che era una specie
di reggia a due passi dall’ospedale di Tokyo, dove era
Tsubasa. Dipendeva dal fatto che Genzo e Taro erano ospitati
lì intanto che il loro amico non si riprendeva un
po’ meglio, Hyuga quindi capitava molte volte da loro, come
per darsi forza a vicenda e conoscere gli ipotetici e sperati progressi
del numero 10.
Gli
rispose con voce controllata e tirata, era sull’orlo del
crollo:
-
è qualcosa oltre le mie forze! Non ce la faccio
più! Non sono un tipo che si auto compassiona, detesto
farlo, per questo ho celato a lungo le mie
condizioni…io…io non lo sopporto più!
Non sopporto più Tsubasa!-
Hyuga
se ne shockò non poco, sentirgli dire quelle cose, seppur
mantenesse l’aria altolocata e le parolone da cervellone, fu
come se venisse schiaffeggiato, non era sicuro di aver sentito bene:
-
Come, come?-
Si
appoggiò con fare incerto al muro scacciando
l’idea che quella villa così linda e pura, lui,
avrebbe potuto sporcarla. Jun invece cominciò ad andare su e
giù per la sala con una camminata sempre elegante ma
più veloce, si passava nervosamente le mani fra i capelli
scompigliandoli un po’, il tono di voce cominciava a
lasciarsi più andare e mentre parlava si agitò
del tutto.
-
Secondo te cosa è peggio? Avere le capacità ma
non il corpo per realizzarsi è terribile ed io lo provo da
sempre! Arriva lui e mi dice che non avere un cuore giusto ti permette
comunque di fare qualcosa invece non avere le gambe è
peggio…ma…ma io cosa dovrei dirgli? Io cosa vuoi
che ne sappia del non poter camminare? In fondo io mi muovo, posso
correre per qualche minuto, basta che mi fermo in tempo e mi riposo,
posso starci ancora nel calcio, nel mio sogno…è
solo che non ho un cuore adatto…non ho…uno
stupidissimo cuore…che mi ha dato l’onere di
convivere continuamente con l’idea della morte…sin
da quando avevo…7, 8 anni… ti rendi conto? Io
rischio di morire se sgarro troppo, lui la vita ce
l’avrà sempre, nelle sue condizioni. Che vita
può avere dipende da lui! Non ha il calcio giocato ma
avrà altro, io ho imparato a piegarmi alla salute!
C’è poco da fare in quei casi! O così o
nulla…e piuttosto del nulla, credimi, ti abbassi a qualsiasi
cosa! Ma improvvisamente sentirmi dire che io non posso capirlo, non
posso sapere, che io non ho provato nemmeno un unghia di quello che sta
passando lui, che quello che è capitato a me è
una sciocchezza a confronto, che devo lasciarlo in pace e smettere di
dire che lo capisco…Dio, mi manda in bestia! Ti rendi conto?
Mi sono sentito pugnalato da uno che ho sempre considerato uno dei
pochi veri amici! Ho passato momenti terribili, ho detto addio al campo
da calcio un sacco di volte, ho visto la morte in faccia e lui ci sputa
sopra! Lui che si sta affacciando ora al mondo della sofferenza, delle
rinunce…delle lacrime segrete…-
Dopo
tutto questo sfogo gli passarono alla memoria tutti i momenti peggiori
dei suoi ultimi anni, a partire dalla partita contro Tsubasa, passando
per quella contro Hyuga e continuando quando aveva deciso di fare
l’allenatore. Una gran rabbia, delusione, frustrazione gli si
agitava dentro da molto ed ora gli era completamente sfuggita di mano,
esplosa. Una cosa mai successa. Menzionare la propria sofferenza, le
proprie lacrime, era stata un specie di sconfitta, scoprirsi fino a
quel punto lo urtava dal profondo, non avrebbe mai voluto che quello
accadesse ma quando ci si trovò in mezzo si rese conto che
la sua voce non usciva più per il nodo che ormai era uscito.
E
per le lacrime che di nuovo in pochi giorni uscivano dai suoi occhi.
Si
sentì quasi male per questo, insopportabile idea di
cedimento, crollo, caduta della maschera di sicurezza e perfezione, una
maschera di vetro o di cera che si scioglieva al sole, al
fuoco…e quel fuoco era sempre lui. Hyuga. Se ne
risentì senza più riconoscersi. Smise di parlare
e camminare, si girò verso il muro, dall’altra
parte rispetto al compagno, e mantenendo la sua posizione eretta di
sempre, cercò di domare gli scossoni delle spalle e della
schiena.
Non
ce la faceva più.
In
poco tempo quello era il suo limite. Da ora in poi non avrebbe
più potuto pretendere altro da se stesso.
Aveva
bisogno di qualcuno, di aiuto, una persona forte che gli stesse accanto
e lo sostenesse ridonandogli quell’unicità di un
tempo.
Hyuga
smarrito come poche volte nella sua vita era stato, fece crollare del
tutto l’immagine speciale che aveva di Misugi e in totale
imbarazzo, senza aver idea di cosa si facesse in quei casi, decise di
sedersi nel divano invitandolo a fare altrettanto, non lo fece subito,
voleva riprendersi un po’.
-
Mi dispiace…cioè…è una
testa di cazzo, io l’ho sempre detto ma non mi
ascoltavate…-
Voleva
cercare di essere e sembrare quello di sempre, gli risultò
difficile e decise di lasciar perdere.
Ci
riflettè, gli dava fastidio che Tsubasa, uno così
acuto con gli amici, pensasse questo di Misugi, ma forse gli dava
fastidio anche vederlo così, il principe del calcio non
poteva piangere e rivelarsi fragile, nessuno poteva calpestarlo e
togliere quell’immagine perfetta e regale che aveva. Nessuno.
-
È normale che reagisca male, non me lo sarei aspettato da
lui ma è normale…non so che altro dire.-
Jun
decise di sedersi asciugandosi le lacrime che gli rigavano il viso, non
si sentiva ancora bene ma sapeva che la vicinanza con Hyuga poteva
fargli bene, lui che ai suoi occhi era così forte.
Appoggiò la schiena e il capo indietro e sospirò
profondamente.
-
Scusami per lo sfogo. Non c’è niente da
disquisire. Mi dispiace per quel che afferma, so che sta male e se
ribadisco che lo so è vero, non sono uno banale che dice
cose banali in momenti banali, non parlo tanto per parlare o mettermi
la coscienza a posto.-
Si
sentiva strano e proprio per questo decise seccato di essere il solito
impulsivo ed imprevedibile di sempre, quando pensava non usciva mai
nulla di buono!
-
Tu hai avuto ragione, anche a me da fastidio che lui approfitti della
sua situazione per insultare gente che gli è sempre stata
amica e vicino…io magari no ma tu…so che tu e lui
avevate un certo rapporto. Lui per primo ti ha capito e ti ha
sostenuto. Ora si comporta così…sai, non lo
sopporto! Per come ti tratta, per quel che dice, per come si tratta da
solo. La sua tragedia lo scusa fino ad un certo punto!-
Si
stava infervorando, non gli piaceva quella situazione, tanto meno
sapere Jun in quelle condizioni ed ora come ora avrebbe preso a pugni
quell’idiota, gambe o no non poteva permettersi di sminuire
una situazione come quella di Misugi, il rispettato e stimato Misugi.
Si meritava un po’ di riguardo, se l’era
guadagnato! Da quando avevano iniziato a giocare nella stessa
città si erano visti spesso, l’altro
l’aveva tenuto d’occhio e l’aveva
riportato in carreggiata un sacco di volte…erano diventati
qualcosa, aveva imparato a conoscerlo un po’ meglio, specie
dopo quel momento.
-
Grazie…non mi aspettavo queste parole da te…mi
secca dover esprimere quel che ho passato, il mio
dolore…come se volessi vantarmi della mia sofferenza per
prendermi un primato. Non è così. Mi hai capito,
vero?-
Non
sapeva perché ci teneva così tanto a mettere in
chiaro quello e ad vere la conferma di essere stato capito da Hyuga.
Improvvisamente lo vedeva estremamente importante, lui e la sua
opinione. Non avevano mai veramente parlato di cose così
profonde e personali, era stato un rapporto strano il loro. Gli piaceva
averlo vicino in quel momento difficile nel quale si era lasciato
andare e mostrato così tanto.
-
Mmm…egoista del cavolo…ha passato il limite!-
Mugugnò.
Aveva molta rabbia ed ira che gli cresceva dentro, sembrava aver capito
alla perfezione, immaginava il motivo dell’arrabbiatura, Jun
era un tipo acuto ma era ancora molto spossato e la delusione verso
Tsubasa si leggeva nei suoi occhi chiari e molto belli.
Hyuga
lo guardò di sottecchi e notò il suo profilo
perfetto, increspato da uno sguardo perso nel vuoto, pensieroso e
preoccupato. Lesse una ferita che gli diede fastidio leggere.
-
Al diavolo!-
Sbottò
a denti stretti, con rabbia annullò la distanza e prese la
sua mano abbandonata fra i due, si era ripromesso di agire senza
pensare e così faceva! Prima di prendere a pugni la capra
ottusa doveva e voleva risolvere quello.
Non
doveva sentirsi sotto terra, lui era uno che doveva volare!
Non
si spiegò quel senso di protezione che sentiva nei suoi
confronti, protezione e possessione, in un certo modo,
poiché solo lui poteva rispondergli male e ritenerlo uno
snob cervellone!
Non
si spiegò perché tenergli la mano gli sembrava
appropriato, spostò gli occhi su quelli castano chiaro di
lui, ricambiato, mentre lo sentiva un attimo irrigidirsi e poi
sciogliersi stringendo a sua volta la mano. Il moro non capiva
più cosa gli passasse per la testa…come era
sempre stato eccezione per quegli ultimi giorni, per quegli ultimi
minuti. Poteva sembrare una stretta amichevole, guardandola
dall’esterno, ma loro non la sentivano tale.
Arrossì. Anche sentendosi una femminuccia stupida, capiva
che andava bene…
L’aveva
visto scoperto nella sua fragilità, non forte con la sua
maschera di imbattibilità addosso, non il principe
supponente, sapiente ed intelligente. Solo un ragazzo con debolezze,
rimpianti e dolori che tutto d’un tratto non ce la faceva
più. Si era lasciato andare in ogni senso e modo e gli aveva
fatto vedere così un Jun differente e diverso. Una persona
bisognosa di avere accanto a sé qualcuno forte che lo
sostenesse e gli ridonasse quel suo modo di fare nobile e unico.
Fragile
nonostante sapeva che non lo fosse e facesse di tutto per non esserlo.
Lo
investì una voglia di sbaragliare chiunque gli facesse
cambiare la sua idea su Jun.
Fu
una specie di spinta invisibile, un’atmosfera che era calata
che sapeva di innaturale, delle emozioni ed un insieme di cose per
stati d’animo instabili, agirono lenti, fu uno strazio per la
tigre ma non era nemmeno sicuro di quel che stava accadendo,
lasciò che la gestisse l’altro. Non se ne
spiegarono motivi e non si fecero più giri mentali di quanti
non ne avessero già compiuti.
Fecero
qualcosa che non avrebbero mai fatto e mai pensato di fare
nell’arco della loro vita.
Si
baciarono!
Senza
toccarsi se non con le mani, senza poi nemmeno attendere altro, specie
per Hyuga di sentirsi più imbecille di come cominciava a
sentirsi, posarono le labbra le une sulle altre e si lasciarono andare.
Fu
strano, senza ragionamenti, del resto uno dei due non ne faceva spesso;
se lo godettero e basta.
Hyuga
aveva il sapore di quel ragazzo nobile e gli piaceva averlo, giocare
con lui, inizialmente lo imbarazzò ancor di più,
ma poi si sentì quasi subito bene, capendo che era stato
giusto.
Che
se non gli aveva fatto schifo allora qualcosa fra loro poteva starci.
Cosa?
Non
era il momento di capirlo!
FINE
CAPITOLO 5