Fade To Black
CAPITOLO 7:
POCO
A POCO
Solo
semplici singhiozzi s’udivano in quella stanza semi buia,
pochi raggi di sole pomeridiano filtravano dalla saracinesca abbassata
e l’odore di chiuso e medicine era certamente intenso e poco
piacevole. Una figura alta e prestante stava assistendo alla scena
singolare, era appoggiata al muro come se vi fosse stato spinto da
qualche minuto e lì fosse rimasto senza muoversi, non per lo
shock ma perché ogni voglia di muoversi o fare qualsiasi
altra cosa era svanita nell’istante in cui era stato spinto
lì e i singhiozzi si erano levati; costui era un ragazzo
molto affascinante dall’aria selvatica, lunghi capelli neri
incolti fino alle spalle, mezzo volto coperto dagli stessi ed un
espressione dove occhi di tigre facevano il loro sfoggio puntandosi
avidi e rabbiosi sugli altri due presenti. Li fissava e li scrutava
come fossero prede da mangiare…ma poi lentamente
cominciarono a cambiare assumendo un altro tono, quasi che il
‘cibo’ che aveva tentato di mangiare si era
rivelato troppo anche per lui, o forse indegno di essere divorato o
magari avesse avuto pena o simili.
I due al lato opposto di lui ove le sue pupille confuse
con le iridi nere si posavano, erano seduti su un letto dalle disfatte
lenzuola bianche, uno portava le gambe fasciate per delle ferite
più o meno recenti e stava ricurvo col volto nascosto nella
spalla e fra le braccia dell’amico che lo copriva cercando di
consolarlo a modo suo, con fare impacciato ed incerto ma in un certo
senso sollevato. La sua espressione era mutata in un attimo da grave e
preoccupata e perfino un po’ arrabbiata ad una rilassata e
serena, come dicesse:
‘Ora
andrà tutto bene.’
Rimasero
così per un lungo momento, tutti in silenzio a guardarsi e
ad udire il pianto dell’unico che finalmente aveva ceduto e
si era arreso.
Non
si sarebbero mossi se qualcosa non li avesse interrotti. Fu lo squillo,
il solito consueto e banale squillo, del cellulare che ultimamente
suonava piuttosto spesso.
Genzo
lo lasciò andare per un po’ ma la consapevolezza
che fosse ‘lui’ a chiamare lo portò a
muoversi, non voleva che mettesse giù pensando
chissà cosa. Inoltre aveva bisogno di sentire la sua voce,
ora più che mai.
Tirò
fuori il telefonino e guardò il display dove lampeggiava il
nome del chiamante con la foto del suo sguardo ravvicinato: gelidi
occhi azzurri inespressivi.
Lanciò
uno sguardo a Hyuga sperando prendesse il suo posto e provasse a
consolarlo, sapeva non l’avrebbe mai fatto infatti il moro
nemmeno si mosse. Tsubasa si mosse per lui posandosi sul cuscino,
nascondendo di nuovo il volto stravolto dalle lacrime che continuavano
a scendere implacabili.
Genzo
si alzò pensando che comunque più di
così non avrebbe potuto fare, si diresse verso la porta e
rispose:
-
Pronto, Karl?-
Nel momento in cui apriva la porta per uscire si
trovò davanti Jun e Taro, fu lì che sorrise
dimenticando di ascoltare la voce un po’ metallica e un
po’ più umana di sempre del suo ragazzo che gli
rispondeva dall’altro capo del telefono, fu un sorriso quasi
radioso, più di gratitudine però. Molto bello nel
suo volto tenebroso fino a quell’attimo. Poi li
passò sparendo nel corridoio parlando in tedesco.
Ora
era di troppo.
Ciò
che accadde a Kojiro vedendo il viso dai perfetti lineamenti nobili e
delicati di Jun, vedendolo dopo parecchi giorni di astinenza, vedendolo
dopo quel fatto per lui shockante, fu l’apocalisse.
Andò nel caos più completo e dimenticandosi
tutto, luogo, situazione, persone, arrossì visibilmente
imbarazzato irrigidendosi. Diventò una statua di pietra che
fissava il castano, egli entrò con passo felpato dopo aver
compreso con un occhiata veloce la situazione e sorriso rassicurante,
il suo sorriso superiore a tutto e tutti che infondeva certezze o
fastidi a seconda di chi si trovava a riceverlo.
Quel
che fece invece Jun dopo aver capito quanto era accaduto, fu una fluida
camminata verso la tigre impietrita, infilarle la mano sotto il braccio
e come fossero una coppietta deliziosa, trascinarla fuori e dire con
voce carezzevole e calda:
-
Vieni, ti cercavo, dobbiamo parlare, sai? -
Solo
per lasciarli soli, senza bisogno di dirlo chiaramente o raccontare
bugie. Dire ‘lasciamoli soli’ era troppo banale e
non da Jun, dire una cosa del genere, ovvero la pura verità,
e prendere due piccioni con una fava, era proprio da lui,
invece…Kojiro non sarebbe più scappato e nemmeno
Tsubasa.
Sapeva
che quei due avrebbero avuto più successo di loro,
immaginava come, ma ce l’avevano fatta e
l’importante era il risultato.
Quando
si trovarono soli, Tsubasa e Taro inizialmente non fecero nulla.
Rimasero fermi come erano stati lasciati, il pianto cercava di essere
domato mentre una sorta di vergogna cresceva nel proprietario, non
avrebbe mai trovato il coraggio di alzare gli occhi e guardare Taro. Ne
era sicuro, ma non sarebbe servita nessuna spiegazione al compagno che
fermo sullo stipite della porta, osservava la figura che nascondeva il
volto sul cuscino. L’assorbì con cura senza dover
sforzarsi di capirlo o decifrarlo. Ora ci riusciva.
Ci
riusciva di nuovo.
Come
un tempo.
Piegò
la testa di lato facendo attenzione a respirare leggero,
assottigliò gli occhi e sprofondò le mani nelle
tasche dei jeans. In quel momento Tsubasa gli appariva come un bambino,
una persona che aveva passato la vita ad essere più maturo
degli altri per poter raggiungere presto il proprio sogno che poi per
uno shock improvviso si era trovato a regredire e voler essere solo un
semplice bambino, per vivere e affrontare le cose come non aveva mai
potuto, con l’infantilità, la
semplicità, la schiettezza e l’esagerazione dei
bambini! Ora si rivedeva sé stesso e i suoi comportamenti
come in un film e con oggettività riusciva ad essere onesto
fino alla vergogna.
Non
era il Tsubasa di un tempo, ma nemmeno l’alieno che quei
giorni terribili l’aveva ferito.
Improvvisamente
Taro riusciva a scorgere il tanto agognato schiarimento nel cielo
coperto di nuvole da troppo tempo, ormai.
Non
gli importava di ritrovare il vecchio amico pallone dipendente, anche
quel nuovo Tsubasa gli stava bene, un personaggio alla nuova ricerca di
sé stesso che cercava di risalire poiché lo
voleva.
Non
c’era una nuova definizione per lui, ma l’avrebbe
trovata presto, quando avrebbe rialzato lo sguardo e accompagnato da
lui sarebbe risalito dal fosso in cui era sprofondato.
Non
era un passaggio veloce, anzi. Era un cammino lungo, lento e faticoso,
ricominciare da zero in ogni settore possibile, fare un gran lavoro su
sé stesso, cambiare per diventare qualcuno, un altro che non
era mai stato ma diventarlo, capire chi e diventarlo.
Richiedeva
uno studio non indifferente.
Quel
che fece poi Taro fu solo un semplice gesto, pochi passi e
annullò la distanza che li separava, Si sedette sul letto
accanto a lui, posò una mano lieve sulla schiena ricurva
dell’altro che ancora tremava con fare irriconoscibile per la
fragilità rivelata, poi silenzio dalle loro labbra.
Solo
questo e Tsubasa si girò fulmineo come una saetta
aggrappandosi a lui quasi come si fa con un salvagente,
infilò le mani fra i fianchi
e le braccia del compagno facendole sgusciare fino alla
schiena ed immediatamente affondò il volto
nell’incavo del suo collo, premendo gli occhi chiusi che
gettavano fuori ancora lacrime per sé stesso, i suoi sogni
infranti, la sua vita da ricostruire, un labirinto intricato da
superare in salita e la persona più importante ferita
proprio da lui.
Avrebbe
voluto chiedere perdono e fare domande, dire qualcosa, magari anche
giustificarsi…ma non gli uscì nulla dalla gola,
nemmeno l’aria si muoveva per le vie respiratorie. Si sentiva
bruciare e con l’abbraccio ricambiato almeno una cosa del
caos che lo angosciava, era più chiara.
Non
sapeva se chiamarlo amore ma ci andava vicino.
Voleva
stare con Taro, per sempre. Senza mai più separarsi,
l’avrebbe seguito ovunque, avrebbe affrontato ogni cosa se
lui gli avesse detto di nuovo quelle parole che gli aveva urlato da
arrabbiato.
-
Ci pensiamo insieme, non sei solo. Ci sono io con te.-
Non
ebbe però il coraggio di chiedergli se lo amava ancora
nonostante tutto, non sapeva se quelle parole potevano essere una sorta
di dichiarazione o meno ma non gli importava, gli aveva detto che
rimaneva con lui. Bastava…
A
rispondergli arrivò Taro, fu lui a prendere
l’iniziativa, prese il viso del compagno fra le mani e con
fermezza lo alzò portandolo davanti al suo, Lo
guardò con cura come lo vedesse per la prima volta, gli
donò quel suo sorriso radioso e contagioso e con dolcezza e
delicatezza, lento e senza fretta, posò le labbra sulle sue
dapprima in un bacio leggero e carezzevole, poi approfondito con cura e
amore.
Non
potevano essere diversamente, loro due.
Ora
sarebbero risaliti insieme, sarebbe stato un viaggio quasi
interminabile, serviva pazienza e calma, ma ce l’avrebbero
fatta.
Poco
a poco.
Percorrevano
il corridoio ancora a braccetto quando furono incrociati da un gruppo
di persone che non abbastanza tristi per il luogo in cui si trovavano, si sgomitarono
scambiandosi sguardi maliziosi ed ironici. Fu questo che fece decidere
a Hyuga di strattonare via il proprio braccio dalla presa gentile ed
educata dell’altro, a sua volta Misugi non fece una piega e
accennò ad un sorrisino divertito per la situazione.
Uscirono
dall’edificio ospedaliero prendendo per i giardini silenziosi
e verdi sui quali qualche paziente accompagnato da parenti, passeggiava
godendosi la bella giornata.
Dopo
l’ennesima volta che il moro si sistemava i capelli
togliendoseli dagli occhi, quest’ultimo si decise, a sguardo
basso e tetro, a parlare, lo ammise a se stesso prima e poi lo disse ad
alta voce, conscio che non aveva scelta:
-
Ehi, Devo parlarti!-
Così
si fermarono bruscamente, o meglio lui brusco, l’altro come
sempre aggraziato e placido. Jun lo vide guardare giù
nonostante fosse dinnanzi a lui, tormentarsi le mani sudate ed assumere
un colorito rosso acceso per l’imbarazzo così
delizioso da fargli accentuare il sorriso di pochi attimi prima.
Tuttavia
mantenne il solito contegno e disse sornione:
-
Lo so, prego…-
Senza
puntualizzare il fatto che lui si chiamava Jun Misugi e non
‘Ehi’!
Qua
a Kojiro venne spontaneo alzare la testa per fissarlo malamente e
sbottare:
-
Macchè ‘prego’! Parla come mangi che mi
fai sentire di un altro pianeta!-
Ed
era una sensazione a dir poco sgradevole, ottenne in risposta
l’espressione da principe so tutto io e la seguente frase
logica:
-
Io non mangio come un animale ma con cura.-
-
Si, ecco, appunto…-
L’espressione
di quest’ultimo era quella di chi era consapevole di avere
davanti uno che per lui era un caso senza speranza, senza sapere che
l’altro pensava la stessa cosa di lui!
Jun
divertito fece di proposito poi a ricercare qualche termine da
sciorinargli con l’aria da saputello, si divertiva a
provocarlo e metterlo in difficoltà:
-
Di cosa devi disquisire con me?-
La
risposta adatta sarebbe stata ‘Hai detto che sapevi che
dovevo parlarti’, ma l’interlocutore non era
cos’ì sveglio, per cui seccato, cascò
nella trappola e sbottò guardando in alto:
-
Mapporca…forse è meglio di no, chi me lo fa fare?-
-
Cosa?-
Disse
di rimando il compagno che cominciava a divertirsi non poco, visto che
per lui le cose erano già belle e chiare, si
avvicinò col volto scrutandolo da finto innocente, con un
sorriso preoccupante.
In
realtà Kojiro non aveva idea di cosa dirgli, non sapeva se
aveva già preso una decisione o cosa, aveva solo intenzione
di parlargli e di dirgli che in effetti, in tutta sincerità,
il bacio, per qualunque motivo fosse uscito, non gli era dispiaciuto,
come non gli sarebbe dispiaciuto approfondire la loro amicizia,
poiché gli sembrava che Jun, in fondo, non fosse poi
così male come aveva sempre pensato dalla nascita!
Così decise di ignorare, a fatica, il
bel volto che lo fissava da troppo vicino, e di provare a parlare,
seppur con imbarazzo crescente.
“Parlagli!
Dice lui, come se fosse facile dirgli una cosa simile…che
nemmeno mi è del tutto chiara, certa, definita e
sicura…dannazione…”
-
Ho pensato…-
-
Mi stupisce!-
Intervenne
col solito tono Jun, mentre dentro di sé stava
già ridendo come poche volte gli era capitato. Una sempre
più feroce risposta:
-
Smettila!-
Subito
si intavolò un breve e veloce botta e risposta con uno
sull’arrabbiato andante e l’altro più
calmo che mai, un contrasto che dall’esterno faceva morire
dal ridere lo spettatore che per caso si trovava lì, uno a
caso….un certo super portiere che aveva fatto un patto col
Diavolo per poter vedere quella scena:
-
Di far cosa?-
-
Quello che fai!-
- Che faccio?
-
Mi fai sentire stupido!-
-
Posso non rispondere?-
-
DEVI NON RISPONDERE!-
-
Bene! Parla allora. Per cosa si è adoperata la tua materia
grigia?-
-
Per decidere come ucciderti!-
-
Ti sei sprecato!-
-
BASTA, NON CE LA FACCIO!-
-
è una conversazione troppo complessa?-
-
SGRUNT!-
-
Forza, procedi…-
-
Cosa?-
-
Fa quel che devi fare, ti concedo il permesso.-
-
Ma sei scemo? Devo parlare, mica fare!-
-
Sicuro?-
-
E cosa dovrei fare?-
-
Questo…-
Detto
ciò il principe del calcio unì fluidamente le
labbra a quelle di una sbigottita e shockata tigre che aveva
dimenticato zanne e artigli chissà dove per far assumere
alla sua pelliccia maestosa ed invidiabile, un simpatico color porpora!
Fu un bacio che di casto e puro aveva ben poco, tutto sommato. Del
resto sognare ogni notte le sue labbra deliziosamente imbronciate e
così morbide di natura, non avrebbe mai permesso nulla di
troppo romantico. Anche se non fu un divorare di bocche, nulla di
volgare, erotico o sconveniente, mostrò una certa padronanza
di sé, del bacio e del compagno che ancora immobile si
lasciava fare ogni cosa. Con fare esperto ed aggraziato ma al contempo
che trapelava desiderio, assaggiò di nuovo le sue labbra
unendo la lingua alla sua, finendo per fare una danza più a
senso unico.
Come
le danze orientali dove uno stava fermo al centro e la compagna gli
ballava intorno con fare sensuale e seducente.
Ecco
cosa aveva Jun in quel momento, con quel bacio inaspettato per Kojiro.
Sensualità,
qualcosa che nessuno gli aveva mai visto. Era una sensualità
naturale e non cercata o costruita.
Un nuovo lato di Jun gli si mostrò a lui e non
potè far altro che rimanerne ancor più attratto e
affascinato.
Quando
si staccarono, sempre per merito del castano poiché se
dipendeva dall’altro sarebbero rimasti in quel modo in
eterno, Kojiro si trovò nella confusione più
totale, boccheggiante ed accaldato nonché pieno di vergogna
per aver avuto un certo desiderio di approfondimento.
-
Avevo ragione?-
Chiese
Misugi sornione come nulla fosse, sempre rimanendo attaccato al suo
petto e vicino al suo viso.
Tutto
quel che seppe fare Hyuga fu balbettare un:
-
M-m-m-m-ma n-non p-pensavo…-
Subito
pronta la risposta mentre cercava di riunire le loro labbra, sempre
divertendosi un mondo dentro di sè:
-
Ma avevi detto che avevi pensato! Lo faccio con più calma
così ci pensi ora?-
L’altro
lo bloccò con fermezza sbottando:
-
FERMO, SMETTI!-
Il
principe scendendo dalle nuvole chiese fintamente innocente:
-
Perché?-
-
Ora ti blocco io!-
Detto
ciò afferrò a sua volta il suo viso fra le mani e
senza darsi tempo per riflettere, come suo solito, prese
l’iniziativa attaccando per non essere attaccato. Non gli era
mai piaciuto difendersi e ricevere attacchi inaspettati, per cui
preferiva essere lui l’impulsivo imprevedibile che faceva la
prima mossa, si trovava più a suo agio, anche se poi avrebbe
dovuto riflettere sulle conseguenze e raccogliere quanto seminato senza
aver usato la testa.
Era
sicuro di sé anche se non ne aveva motivo, sapeva che non
aveva mai combinato cose troppo errate e andava dritto per la sua
strada senza sprecarsi in troppi ragionamenti. Ora aveva semplicemente
capito che voleva approfondire le cose con Jun, che lo interessava e
gli piaceva baciarlo…questo bastava, il resto sarebbe
arrivato dopo, non gli interessavano le definizioni o i riconoscimenti
di sentimenti astrusi, se mai lui ne avesse provati.
Lo
baciò e basta seguendo la sua filosofia di vita,
perché prima gli era piaciuto e voleva ricambiare, voleva
partecipare attivamente, provare a gestire l’ingestibile per
non trovarsi troppo indietro e con l’acqua alla gola in un
qualcosa di troppo enorme per lui, voleva essere sicuro di stare
davanti alle cose e alle persone e non dietro…ma ancora una
volta si trovò a seguire il ritmo imposto da Jun e senza
nemmeno accorgersene desiderare di avere di più, qualunque
cosa fosse.
Mentre
questo si consumava in un angolo appartato dell’immenso
giardino, due occhi neri li osservavano divertiti e un sorrisino sbieco
si dipingeva sulle labbra, contento di aver assistito ad uno spettacolo
che mai avrebbe voluto perdersi.
Ora
erano tutti pronti per riprendere le loro nuove vite…mentre
lui avrebbe proseguito con la sua felice di averla azzeccata al primo
colpo e di non aver bisogno di cambiarla.
-
Karl? È tutto a posto, torno a momenti…-
Ovviamente
Genzo non aggiunse il seguito del suo pensiero, non avrebbe mai ammesso
che aveva una voglia matta di far l’amore con lui dopo tutto
quel periodo di astinenza!