FOLLIA OMICIDA A NEW YORK

PROLOGO:

DISSOLVENZA NEL NERO

/ One of these days – Pink Floyd /

La penombra che c’era nella stanza principale di casa sua, dove il tutto si svolgeva, indicava che ormai stava giungendo la sera e che certamente il tempo, su nel cielo serale, non prometteva bene.
Le nuvole erano molto impegnate a giocare e rincorrersi promettendo tuoni e rovesci abbondanti, per il momento però nemmeno una goccia scendeva.
La stanza del soggiorno era quella a cui portava l’ingresso ed il piccolo disimpegno, ma nonostante dentro ci fosse gente, le finestre erano serrate e le luci spente.
L’unica cosa accesa era la luce di una lampada posta nell’angolo fra i due divani, probabilmente per la lettura e non sforzare gli occhi nei momenti in cui si guardava la televisione.
Quell’illuminazione non permetteva un’ottima visuale ma una comunque buona, l’atmosfera che normalmente trasmetteva era intima e calda ma quella sera, al contrario, era agghiacciante.
L’aveva percepito appena aveva messo piede in casa sua notando quella lampada accesa, si era fermato conscio che qualcuno era entrato e già con un espressione sospettosa nel viso maturo, si era guardato intorno chiamando l’unico che oltre a lui possedeva le chiavi della sua abitazione, il suo ragazzo. Ma Danny non aveva risposto e l’unico pensiero successivo, purtroppo, fu quello giusto.
Purtroppo’ perché l’ebbe troppo tardi.
Col senno di poi, sapendo come sarebbero andate le cose solo per aver chiamato il suo nome, non l’avrebbe mai fatto, ma lì, sul momento, tutto ciò che la sua mente gli aveva trasmesso nonostante il lavoro e l’esperienza, era stata la speranza che concluse le sue ore di servizio giornaliero potesse finalmente riposarsi e staccare dai pericoli, dai sospetti e dalle solite tensioni a cui era abituato e dedicarsi all’unico che avrebbe voluto vedere nonostante la stanchezza.
Ma col senno di poi molte cose si sarebbero potute evitare e nulla, probabilmente, sarebbe successo.
La palpitazione che l’invase nell’immediato nell’ascoltare il silenzio in risposta, non gli diede comunque tempo per sentire la terribile botta alla nuca, la fitta di dolore e il buio avvolgerlo.

Di recente mi sono chiesto, dopo aver concluso al meglio un altro caso difficile e aver rischiato nuovamente la vita, chi ci sarà a prendere il mio posto quando me ne sarò andato.
Entrambi la rischiamo, sai? Però quando mi trovo con una pistola davanti agli occhi e vedo la follia omicida in quelli che me la puntano, mi fermo a pensare se io non ci sarò più e me ne andrò, poi tu come farai, Danny.
Uno come te che ha sempre un sacco di bisogno di amore per illuminare le ombra che ogni tanto il tuo viso assume pensando a quello che c’è nella tua vita che ancora non va o che hai passato.
Sei uno che richiede molte energie ma che molte ne da, in ogni singola cosa. Non sei uno tiepido che sa starsene zitto e buono senza dire o fare qualcosa anche quando non ci sarebbe nulla da dire o fare.
Avrai sempre bisogno di amore e di qualcuno che sappia calmarti un po’ quando parti, cosa che succede spesso.
Ed io non ci sarò per sempre anche se darei tutto per cambiare questa verità.
È in momenti come questo in cui la mia coscienza viene sbalzata malamente via da me e non ho il controllo e del mio corpo, che mi rendo conto che non ci sarò per sempre e che tu, prima o poi, resterai solo senza di me.
Ma tu lo sai, Danny… se potessi verrei dovunque andrai, dal posto più alto al più basso.
Ci verrei sempre, ovunque. E forse, una volta che non ci sarò più, scoprirò il modo per tornare e guardarti attraverso i tuoi giorni più neri.
Mentre attendo di capire se me ne sono già andato o se la mia anima tornerà nel mio corpo facendomi capire cosa sia successo, qualunque sia il risultato, se fosse anche quello peggiore e quel famoso momento di separarci dovesse essere ora, spero ci sarà almeno qualcuno che potrà portarmi indietro da te o che possa prendere il mio posto e farti amare ancora, proteggerti e salvarti sempre.
Ma se quel momento è ora, scappa con il mio cuore senza abbandonarlo e dimenticarti che è tuo.
Vorrei stare con te per sempre e sono certo che nel tuo cuore e nella tua mente sarà così, perché lo è nella mia.
Danny, se potessi tornare indietro nel tempo vorrei continuare a riuscire a venire dovunque tu andrai.
Oh, se solo potessi…”

- Tenente della polizia scientifica di New York, Mac Taylor… buonasera… -
Appena l’oscurità intorno alla sua anima cominciò a scemare ridonandogli un considerevole mal di testa ed insieme ad esso il resto del suo corpo, Mac si rese conto di essere in casa sua, legato ad una sedia e con un rivolo di sangue che gli correva a lato sul suo viso.
Pulsazioni, le stesse di prima, quando aveva realizzato in una frazione di secondo che cosa stava per succedere.
Pulsazioni veloci che cominciarono a dettare il ritmo sempre più incessante.
Era solo l’inizio.
La luce della sua lampada puntata sui suoi occhi glieli fece strabuzzare infastidito, per metterlo fuori gioco l’avevano colpito molto forte e probabilmente per riprendersi del tutto gli ci sarebbe voluto un po’ di più, ma il sapere di non poter attendere e di dover catturare quante più informazioni al volo per organizzarsi e reagire, lo fece sforzare e fare molta attenzione ai dettagli, tutti, anche quelli più sciocchi.
La voce dell’uomo che gli aveva parlato indicava un maschio americano fra i venti ed i trent’anni, era seduto contro luce davanti a lui e senza riuscire a delinearlo bene, cercò di vedere almeno gli occhi ma senza successo.
Fu lì che, trattenendo il fiato per non perdersi nessun particolare, sentì il rumore di una videocamera accesa che riprendeva.
Non era solo e spostando a fatica lo sguardo verso il rumore, vide a loro lato, ad una distanza media, un giovane dietro ad una telecamera che filmava. Di lui non si vedeva il viso poiché nascosto dall’oggetto non molto grande. Stava immobile senza perdersi un istante.
Fu lì che colui che probabilmente conduceva l’operazione, tornò a chiamarlo con voce bassa e divertita:
- Tenente Taylor… non vuole donarmi la sua preziosissima attenzione? –
Mac, quindi, provando a chiedersi quale mossa fosse più sensata, rispose mantenendo la sua calma e freddezza:
- E’ solo questa che volete? – Sicuramente avrebbe dovuto capire cosa volevano.
L’altro illuminandosi per averlo sentito parlare, allargò le braccia mostrando la pistola che aveva in una mano e un coltello che aveva nell’altra.
- Quale onore sentirla rivolgere la sua parola proprio a noi esseri qualunque e sconosciuti! –
- Lo siete ancora, sconosciuti. – Continuò mantenendo il controllo di sé.
- Oh, non per molto… stiamo per ottenere esattamente quello che vogliamo. –
- Solo perché otterrete quello che volete non è detto che tutti vi conosceranno. Non si sanno nemmeno i vostri nomi. –
- Rodney Hilson e Mark Scisser. Ora i nostri nomi sono noti. – Iniziò quindi quello di nome Rodney che già parlava. Poi proseguì: - Non è rimanere nascosti che vogliamo. –
Mac lo capì ancora prima di chiederglielo e di sentire la risposta, ma lo sussurrò ugualmente:
- Cosa volete? – Ed i brividi lo percorsero realizzando cosa sarebbe successo di lì a poco.
- Fama. – Lasciò il tempo alla parola di fare effetto e quando vide un impercettibile stretta contrariata di labbra, sicuramente quel detective in gamba aveva già capito ogni cosa, decise di spiegarsi meglio: - Saremo ricordati ora e sempre per ciò che metteremo in piedi. Per fare un grande effetto devi fare un grande crimine e più è raccapricciante, più verrà ricordato. Ma la carta vincente è il mezzo. –
Gli occhi di Mac si fecero sempre più di gelo mentre quel famoso ritmo in lui cresceva tempestandogli la testa ed ogni parte del suo corpo di sensazioni sgradevoli.
Non doveva dare soddisfazioni, doveva mantenere la calma anche se lo schifo che cominciava a provare dentro capendo cosa girava nelle loro follie, cercava di farlo uscire di testa. Doveva assolutamente trattenersi e farli parlare.
Danny sarebbe sicuramente arrivato come ogni sera, l’avrebbe fatto in tempo… non poteva veramente essere quello il momento in cui l’avrebbe lasciato solo.
Non poteva.
- Pensate di stupire qualcuno che ha già visto tutto? Siamo nel secolo dei massacri e dei crimini più agghiaccianti… quale mezzo originale e fantasioso pensate di possedere, per poter riuscire a diventare famosi? –
Però il suo lavoro sapeva farlo bene… gestire i criminali… Rodney se ne rese conto e non rispondendo subito respirò a fondo chiudendo gli occhi. Voleva fargli fare il suo gioco ma doveva tenere lui in mano le briglie. Assolutamente.
Quando tornò a guardarlo, il viso del tenente non aveva subito il minimo cambiamento, così sorrise. Sorrise contento:
- Sei perfetto. Proprio come ti dipingono i giornali e la televisione. L’uomo di ogni crimine. – Si alzò e annullando la distanza che li separava arrivò al lui carezzandogli il viso che non mosse di un millimetro. Poi concluse con voce più bassa. – Il nostro mezzo sei tu, tenente Taylor. –
Altri brividi lo percorsero, brividi che riuscì appena a controllare. Sapeva che sarebbe arrivato il limite anche per lui, gli era accaduto altre volte di non riuscire più a farcela ed era scoppiato lasciando dietro di sé scie spaventose, per lo più.
Non sarebbe stato facile neutralizzarlo, doveva credere in questo, Mac, o semplicemente si sarebbe lasciato fare.
Eppure, di nuovo, forse sarebbe stato proprio meglio così.
Rodney si alzò e lasciando cadere la mano dal suo viso, lasciò la pistola alla cintola dei pantaloni dove l’aveva messa per poter toccarlo. Si limitò al coltello che ancora stringeva con noncuranza troppo preso dalla sua pensata geniale, quindi continuò maggiormente elettrizzato:
- Vedi, Taylor, come giustamente dici tu sarebbe banale andare in una scuola e sparare a casaccio su chiunque cammina… come lo sarebbe fare qualche strage familiare o chissà cos’altro… no, quello che colpirebbe veramente quelle persone là fuori non sarebbero più quei massacri di innocenti… quello che li colpirebbe sarebbe vedere la carneficina di uno che combatte per loro contro i cattivi e che fa solo del bene. Non ci bastava un semplice poliziotto. Noi volevamo il migliore della Grande Mela! Il concorso, mio caro tenente, l’hai vinto tu, a giudicare dalle volte in cui finisci sui giornali ed in televisione. –
Limite.
Ci arrivano tutti prima o poi.
Quando viene oltrepassato si può solo pregare che finisca bene per la parte migliore e non quella peggiore. Anche se, ovviamente, dipende dai punti di vista.
In ogni modo, i limiti spesso sono la più grande condanna dell’uomo insieme alla paura di sorpassarli.
Dunque cosa rimane?
Solo il meglio che si possa fare in determinati momenti, con il ritmo che cresce nella mente ed il livello di sensazioni pulsanti che si ingigantisce a dismisura e pericolosamente.
Pericolosamente per chi?
Per chi?
Il giovane quindi si avvicinò di nuovo e chinandosi ancora su Mac che ancora non proferiva parola o segno di quel che pensava, sentì l’ultima frase.
L’ultima della sua vita o di cosa?
L’ultima.
- Tu sei il nostro mezzo perfetto, Taylor. –
Limiti, dunque… la più grande rovina dell’uomo.
Mac lo superò e realizzando che in un modo o nell’altro l’avrebbero ucciso comunque perché era l’unico piano che avevano nella loro mente folle, reagì veloce e probabilmente letale.
Letale in uno scontro alla pari in cui entrambi non erano armati.
Alla pari in tanti altri casi ma probabilmente non quello.
Mac scattando come nessuno sarebbe stato capace di prevederlo, si alzò con la sedia legata a sé e girandosi gliela diede addosso facendolo cadere, cadendo lui stesso per la potenza che ci aveva messo.
Rimasero solo un istante a terra, il necessario per comprendere che quello sarebbe stato il momento.
Il famoso momento della fine di qualcuno, poiché l’altro ragazzo che riprendeva la scena non si sarebbe mosso.
Quello era il film, lo spettacolo sarebbe andato avanti.
Con il ghiaccio nelle vene per quella consapevolezza ed il fuoco dall’altra parte per l’idea di poter lasciare solo Danny e non poterlo seguire come avrebbe desiderato, si rialzò e quando lo fece riuscì a lottare ancora con Rodney, lo fece così legato com’era dimostrandosi comunque una pericolosa minaccia. Dandone e ricevendone.
E forse fu solo un istante in cui pensò che sarebbe potuta finire bene, forse, invece, non perse mai tempo a dirselo ma solo lo sperò.
Veramente non c’era nessuno che potesse captare o sapere la tempesta in atto in Mac mentre combatteva con unghie e denti per la propria sopravvivenza ed i propri desideri realizzati solo pochi minuti prima.
Solo chi lo conosceva bene poi avrebbe detto che era proprio da Mac non arrendersi comunque nemmeno in quella situazione.
Ma chi lo amava, poi, avrebbe risposto ben altro, vedendo l’esito.
Però una cosa è certa.
Mentre passi l’inferno non pensi, agisci e basta. Hai passato l’istante prima a farti un elenco di possibilità lucide e precise e poi in un solo secondo hai dovuto scegliere consapevole di ogni cosa, di troppe forse.
E poi sei andato sapendo che forse non avresti più potuto ragionare, che forse sarebbe veramente finito tutto così.
Però è la verità.
Lì, nell’inferno da cui cerchi di uscire non pensi affatto.
Vai e speri solo che alla fine non possa essere proprio così terribile.
Che qualcuno arrivi.
Che qualcuno pietà per te ce l’abbia… o che tutte le volte che hai lottato in ogni modo possibile, non fossero vane.
Speri e basta.
E vai.
Mentre poi un dolore lacerante al ventre ti attraversa togliendoti il respiro, facendoti sputare sangue e provare solo un picco inimmaginabile di dolore. L’unico prima di cominciare a sentirti avvampare in ogni particella del tuo corpo pieno di dolori e ferite.
E poi freddo.
Assolutamente freddo.
E il nero più totale.
Dissolvenza senza nemmeno più coscienza.
Il nulla.
La fine?

Com’era quella canzone?
Toglimi questo distintivo, non posso più usarlo. Si sta facendo scuro, troppo scuro per vedere. Mi sembra di bussare alle porte del cielo.
Busso alle porte del cielo…
Metti le mie pistole per terra, non posso più sparare. Quella lunga nuvola nera sta scendendo, mi sembra di bussare alle porte del cielo.
Busso alle porte del cielo…
È così dunque la morte? Una canzone malinconica, dei versi tristi adatti a me e la dissolvenza nel nero?
È così?
Dio… dove sono…?”