FOLLIA OMICIDA A NEW YORK


CAPITOLO III:
PER NON IMPAZZIRE

/Running up that hill – Placebo/

Che solitudine mortale sotto questo tetto. Certo, normalmente stavamo a casa sua ma ci sono state volte in cui è stato anche qua…
Si tratta del mio tempo… è una solitudine tristemente mortale.
Sono giunto a casa con fatica accompagnato da qualcuno che ha guidato per me la mia macchina parcheggiandola sotto casa mia, poi se ne è andato e mi ha lasciato di nuovo solo.
Quindi sono così tutto bagnato e fermo in camera mia mi guardo allo specchio, me stesso e i miei vestiti strafondi appiccicati al corpo. Mi sento male.
Male come una merda.
Cosa cazzo devo fare?
Mi guardo e non comprendo che devo togliermi quello che indosso, farmi una doccia calda e mettermi a dormire. Anzi, forse dovrei anche mangiare. Non capisco che sono cose così ovvie che se non arrivo a realizzarle, sono messo proprio male.
Come una merda.
Mi giro quindi verso il letto a due piazze e lo guardo come se ci fosse il mio nemico numero uno davanti a me… mi dice che dovrei andarci su e dormire, ma non ho il coraggio di farlo da solo. Per dormire ho bisogno di qualcuno, ho paura che se dormo lo sogno e mi illudo di essere ancora con lui e poi svegliandomi mi ritroverò di nuovo solo. Non voglio dormire da solo... Mac, dove sei?
Ho bisogno di qualcuno che mi capisca, che provi le mie stesse cose e che non mi dia fastidio credendo di capirmi e di dirmi le cose giuste… ho bisogno di non stare solo ma ho bisogno di una compagnia che non mi dia fastidio.
Di calore umano.
Calore che mi scaldi, calore che mi trasmetta la tua presenza, i sentimenti che provavi per me, qualcosa che ti riguardi.
Ho bisogno di te.
Ti voglio qua, non voglio che tu sia morto.
Non voglio dormire.
Non posso.
Non da solo.
Non senza nessuno che mi tenga ancorato alla realtà senza torturarmi.
Aprirei gli occhi pensando che era tutto un sogno e poi mi troverei come un coglione a dirmi che invece era realtà… e tu non ci sei ancora.
Dove sei?
È col bussare della porta che mi scuoto e come svegliandomi da un sogno spero che come spesso accade tu abbia risolto tutto da solo… o che Don abbia fatto il fottutissimo miracolo di trovarti… e che sia lui che mi dice dove sei o tu stesso al di là di quella porta che mi guardi con quei tuoi occhi penetranti. Così mi precipito come un idiota ad aprire e il viso di Don, cupo come mai l’avevo visto, mi fa capire quanto veramente sia imbecille.
Sono un imbecille perché continuo a farmi del male da solo, sperando quelle cose.
E con l’ansia della speranza che di colpo si blocca, rimango senza fiato e la delusione mi agguanta senza pietà.
Ed io capisco.
- Nessuna novità… - Lo mormoro a mezza voce dicendolo a me stesso e quando lui annuisce aggiungendo un basso: - Mi dispiace. – una di quelle scintille di prima mi invadono nuovamente, prendendo il posto di quell’ansia e di quelle speranze.
Cazzo, Mac, non posso ridurmi così!
Dove diavolo sei?
Voglio stare con te.
Non posso stare solo, non puoi avermi lasciato così, non posso.
Ho freddo.
Ho un freddo pazzesco e questa solitudine mi uccide… è tutto troppo vuoto, troppo folle… troppo… atroce… insopportabile… crudele…
Non ce la faccio, non così.
Non è possibile.
Che qualcuno mi scaldi e mi faccia sentire da che parte di mondo sono… dei vivi o dei morti…
- Don, aiutami… - Lo sussurro con voce rotta mentre di nuovo il nodo sale, esplode oscurando la mia vista che si appanna… e gli occhi si bagnano mentre con disperazione totale, la stessa di prima, sento che se qualcuno non mi tocca in questo momento e non mi tiene di qua, vado dritto dritto dall’altra parte.
Dritto con un biglietto di sola andata.
È qua che mentre l’afferro sconvolto il colletto della sua camicia ancora fradicio come tutto lui, sento le sue braccia circondarmi con decisione e vigore, entrare e chiudere la porta con un calcio.
Mi trovo presto avvolto da lui.
Mi trovo presto in mezzo alla mia unica ancora di salvezza, la finestra sul mondo dei vivi, l’unica fonte di reale comprensione, così vicino a me… così uguale nella sofferenza identica.
Così folle… così… doloroso... “
Danny affondò il viso nell’incavo del suo collo, scendendo nel petto bagnato e circondando la sua schiena con le braccia premute con forza. Quelle di Don fecero altrettanto cingendo la sua testa come a proteggerla e dirgli senza timore o imbarazzo, con sicurezza assoluta, ‘piangi, ti proteggo io per stanotte’.
Per stanotte ci sono io e tu sei qui per me.’
Dicendo una cosa simile che sconvolse entrambi e che fu una miccia pericolosa.
La miccia della salvezza, quella per non impazzire.
Fu lì quindi che il viso di Danny si trovò ad alzarsi lento ma in un certo senso frenetico, tremante, per cercare le labbra di Don.
Labbra che trovò subito accompagnate da occhi chiusi che materializzavano Mac ed il suo corpo contro di sé, la sua bocca, la sua lingua, le sue mani, il suo calore, le sue braccia, i suoi sentimenti, il suo amore.
Materializzavano Mac l’uno nell’altro per entrambi.
E si diedero con smarrimento crescente, cercando di tornare al mondo e non continuare a scendere giù, giù e sempre più giù.
Continuando ad evitare gli abissi, cercando di scappare da essi con tutte le loro forze e solo per Mac, perché dovevano tornare lucidi per trovarlo.
Dovevano.
Ma dovevano cancellare quella follia dalle loro menti, dai loro animi, dovevano metterla sotto chiave, dovevano scaldarsi, dovevano sentirsi, dovevano entrare l’uno nell’altro e sfogare in ogni modo possibile il proprio dolore.
Dovevano.
Sentendo i rispettivi battiti andare insieme e sempre più forti e veloci, sentendo la forza delle loro braccia che si stringevano insieme, sentendo la morbidezza delle loro labbra a contatto che si aprivano subito trovando umido insieme al successivo contatto.
Trovando un gioco ed una lotta di lingue che come un vortice si inseguivano e non si staccavano.
Trovando due persone innamorate della stessa che però non c’era.
Trovando lo stesso amore.
Trovando lo stesso dolore.
Trovando lo stesso smarrimento.
Trovando lo stesso desiderio di tornare.
Trovando la stessa follia.
Le mani furono le prime a muoversi e lo fecero insieme cercando maggiore contatto, due che andarono intorno al collo di uno, immergendosi nella nuca e fra i capelli strafondi, altre due che andarono nella schiena e fin sotto la camicia a contatto con la pelle bagnata.
Come un ritmo che lento e piano, ovattato e soffocato, cominciava a farsi sentire e cresceva con ansia e pericolo, con qualcosa che viaggia sul filo del rasoio e che potrebbe fare danni, grossi danni… ma che continua a farsi sentire e ingigantirsi sempre più, fino ad esplodere.
Quando le dita corsero febbrili a slacciare i bottoni degli indumenti appiccicati al torace, Don era sceso sull’orecchio di Danny e cominciando a leccarglielo con bisogno seducente, era poi sceso sul suo collo cominciando a leccare e succhiare sul punto in cui la giugulare batteva.
Batteva forte e impazzita come la loro mente sfuggiva e a volte tornava e poi spariva nuovamente.
Con quello stesso ritmo irregolare.
Furono le dita del biondo ad arrivare ai capezzoli di Don, afferrarli, stringerli, schiacciare e poi continuare a tormentarli pensando di avere quelli di Mac.
Pensando che la bocca sul suo collo fosse di Mac.
Pensando che tutto quello accaduto in quella serata fosse solo un brutto sogno.
E scese diretto alla cintola dei pantaloni di Don che furono subito slacciati ed insieme ai suoi pantaloni andarono fino in terra, presto accompagnati dai boxer di entrambi.
Tornarono ad impossessarsi delle loro bocche e baciarsi a lungo, un bacio che sembrò decisamente un divorarsi a vicenda, leccandosi in profondità e con desiderio, con passione crescente, senza respiro, muovendo appena i volti per stare più attaccati.
Premendo coi bacini l’uno sull’altro, sentendo le rispettive erezioni crescere già come invase da una scarica elettrica.
Tutto il loro corpo fu attraversato da quei brividi continui e con quella strana musica nella testa, continuando ad abbracciarsi, toccarsi, carezzarsi e baciarsi, non si staccarono, strofinandosi con sensualità, impossessandosi anche delle natiche per sentirsi meglio, inguine contro inguine.
Don, arrivato a succhiare il labbro inferiore a quello che credeva fosse Mac ed un sogno riparatore al dolore folle di istanti prima, lo girò spingendolo contro la porta e afferrando con le mani il suo membro già eccitato cominciò a muovere e massaggiare lentamente, poi via via sempre più in fretta, fino a portarlo all’esasperazione e ai gemiti rochi di piacere sfuggiti fra lo loro labbra.
Pensando che avere Mac fra le mani fosse qualcosa di insperato, che non capiva che diavolo stesse succedendo, ricordando solo il dolore, quel dolore che poteva uccidere un anima.
Un dolore così crudele… che nessun essere umano dovrebbe mai provare.
Doveva sentirlo.
Sentire che era un dolore che si poteva scaldare, riempire, avere, unire, annullare… un dolore che si poteva sconfiggere in qualche modo.
Sentire che anche se non era veramente Mac era comunque di quanto più vicino a lui potesse esserci al momento sulla faccia della terra.
Perché era lo stesso amore che li portava a soffrire così quella notte.
Giunto al culmine Danny fu condotto febbrilmente sul tavolo da biliardo posto a pochi metri da loro e appoggiato ad esso, si trovò a sentirlo e pensare… pensare con caos bruciante.
Prendimi ora, qui come sono. Che tu sia veramente Mac o Don. Che tutto questo sia giusto o sbagliato. Che questo sfogo possa veramente servire a qualcosa. Che questo vuoto e freddo possa veramente trasformarsi in calore e pieno. Che questo amore che portiamo identico per la stessa persona possa realmente aiutarci o meno.
Non ha importanza.
Stavo per impazzire. Ho bisogno di qualcuno che mi salvi. Che mi tenga di qua. Che non mi faccia andare. In qualunque modo possibile.
Che non mi faccia dormire e non da solo. Non stanotte.
Tienimi stretto, prova a capire. So che solo tu puoi riuscirci.
Il desiderio è una fame, è il fuoco che io respiro. L'amore e' un banchetto dove ci nutriamo.
Vieni ora tu che mi capisci, che sento sai veramente cosa sto patendo; tu, unico che posso sopportare vicino a me, che ammetterei accanto a me ora perché ami al mio stesso modo la mia stessa persona.
Sta con me e col mio dubbio che gira e brucia.
Impazzirò?
Ce la farò senza Mac?
Senza, oh, non posso vivere, perdona il mio dolore che brucia.
Don, riportami alla realtà.
Aiutami.”
Possedendo la notte, possedendo loro stessi, il loro dolore, la sofferenza, la follia, l’amore per il scomparso, il dubbio, lo sfogo, la decisione, la certezza, la disperazione, lo sconvolgimento, il battito, il ritmo, la passione, il calore, il freddo, il vuoto ed il pieno.
Possedendo tutto ciò che corse con le scariche dei fulmini di quella notte.
Scariche che passarono attraverso loro quando Don entrò in Danny invocando la vita di Mac, come Danny stesso fece.
Scariche che li fecero tremare, piangere disperati e soffrire ancora di più.
Soffrire insieme a quell’abisso in cui non più soli, evidentemente, sarebbero presto sprofondati.
E se devo finirci dentro, in quel fosso, allora che sia… non ci finisco da solo. In due ci nuoteremo, in quel mare, e troveremo il modo di tornare.
In due si può, che siamo amanti o che non siamo nulla… ma si può visto che proviamo le medesime cose… è lo stesso mare alla fine dello stesso fosso.
È uguale.
Non sono solo.
Dunque posso anche permettermi di finirci.
Questa, porca puttana, è la realtà di merda in cui ci troviamo e, cazzo, non sono solo ad affrontarla.
È così che con una scarica di calore pazzesco gli vengo dentro accasciandomi teso e sconvolto contro di lui, abbracciandolo da dietro e premendo le labbra sul suo collo pulsante.
Pulsante come la mia parte intima in lui e come il suo stesso corpo che mi ha accolto piangendo.
Piangendo come le lacrime che mi scendono ancora finendo sulla sua pelle umida e lucida.
Mac, ti amo… dammi la forza di farcela.
Di farcela.
Mi hai dato lui, non sono solo, ce la posso fare. Ti trovo.
E poi a cosa serve ormai tormentarsi per capire il mondo?
Va allo catafascio e tutto quello che succede non ha senso, non dovrebbe succedere… ed ormai farsi soffiare dentro e sconvolgere da ogni evento è idiota. Siamo pronti a tutto no?
Niente sgomento, non più… ne abbiamo viste così tante, no?
Guarda invece noi due che piangiamo per l'amore perso, odiamo chi ce lo ha strappato, gridiamo quando questi nostri sentimenti gridano altrettanto forte da farci affacciare alla follia.
È tutto infinito… noi, questo dolore, ciò che proviamo…
Nessuno ormai ascolta più la disperazione della gente che soffre innocentemente, è diventato tutto cinico e visto, rivisto e stra visto. Nulla che colpisce, ci sono solo mani respinte, no?
Il pensiero comune è che ciò che non è tuo non vale niente.
Ed io posso solo pensare che anche se faccio parte di questa massa, io come Danny, noi non siamo come quell’indifferenza che uccide.
Io ascolterò fino a fare veramente qualcosa. Qualcosa per non impazzire.
Come vorrei che tu fossi qui…”
Ma in quel momento c’erano solo loro due, Don e Danny… e quanto di più potente avessero mai provato.
Potente, inspiegabile ed ingiusto.
Ingiusto nel loro venire insieme, accasciarsi senza forze, accaldati con le lacrime agli occhi e tramanti ad invocare la stessa persona nella mente e nel cuore.
Invocarla e chiedere il suo perdono.
Di tornare.
Di aspettare.
Di non mollare.
Di essere vivo.
Di rivederlo quando avrebbero aperto gli occhi e si sarebbero guardati.
Ma ecco, infine aprirli e rendersi conto che la temuta realtà invocata era veramente di gran lunga più crudele di ogni immaginabile aspettativa.
Mac non c’era.