CAPITOLO VI:
UN SENSO

will andry

'Lui cercava in continuazione, senza sosta. Sperando un giorno di trovare un senso alla sua vita. Una sensazione che valesse la pena aver provato e vissuto.'

L'altezza elevata lo vedeva al vertice.
In piedi sul ponte che dava in un vuoto e poi in un fiume, scogli e rapide.
Là. Dritto, eretto, con le mani ai fianchi, testa alta, mento in segno di sfida come il suo sguardo fiero ed impavido.
Gli occhi verdi privi di una qualsiasi paura, più che altro accattivanti, mentre si riempivano di quel pericolo concreto.
Un idea malata, derivata dall'insoddisfazione e dalla ricerca di qualcosa di forte, sempre più forte. Sempre più.
Non gli bastava mai ed ora voleva vedere se così non avrebbe finito.
Ogni volta che trovava qualcosa di dannatamente eccitante e pericoloso la faceva superando la precedente.
Ora poteva essere al vertice. Poteva veramente non farcela questa volta. Questa volta poteva essere la fine.
In fin dei conti era possibile e un sorriso preoccupante, contento, aleggiò sulla sua pelle pallida piena di lentiggini. I capelli rossicci tagliati da poco in modo da non dargli fastidio, i lineamenti maturati e migliorati ma nulla di speciale ancora: non era brutto ma nemmeno bello. Insipido. Gli andava benissimo così.
I principi devono essere belli, si dice, e per quel ruolo c'era suo fratello che se la cavava alla grande. William era perfetto come principe ed erede al trono, lui non serviva. Nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, per cui avrebbe sempre fatto quello che voleva, ora voleva vedere e sentire la vita che ancora non era riuscito a sentire e ringraziare.
Spalancò le braccia sicuro.
Nessun ripensamento, nessun rimpianto.
Così era perfetto.
Un salto e lasciò il ponte. Un breve momento di sospensione, una frazione di secondo che parve fermare tutto il tempo con lui che si buttava orizzontalmente con le gambe unite, dritte ma rilassate.
Poi mantenendo gli occhi aperti decisi a vedere dove sarebbe arrivato e chi o cosa avrebbe visto e sentito, non fece una piega nello sguardo.
L'aria lo abbracciò e la velocità si fuse alla lentezza.
Sensazione di poter controllare il tempo stesso.
Il nulla. Il nulla intorno, sopra, sotto, ai lati.
L'adrenalina scorreva violenta in lui e l'eccitazione lo portò brevemente alla felicità.
Era quella la sensazione di massima vita?
Doveva arrivare alla fine per capirlo.
Già.
A testa in giù si immerse totalmente in quell'immenso vuoto dove il vento gli tagliava la pelle. Se volare era quello allora valeva la pena rischiare la vita.
Si, ma se non si tiene alla propria vita perché non si pensa abbia senso, allora non si proverà mai la sensazione giusta nemmeno in un momento simile e anche se si pensa che valga la pena morire per quello, non lo si crede veramente perché non ha valore la propria vita, di conseguenza anche tutto quello che si sente che ha a che fare con essa non ne ha.
Arrivato quasi alla fine, con lo sguardo fisso nell'acqua che correva sopra la sua testa, l'elastico legato ai piedi si tirò trattenendolo e riportandolo su subito.
Tornò giù finché la forza e la velocità non diminuì portandolo alla fine, il viaggio si era concluso e ne avrebbe potute provare molte di cose, veramente molte.
Peccato che normalmente si sentono solo se prima ti senti vivo.
Era stato bello, incredibile e forte, tutte le solite parole che si dicono ma la vera luce che avrebbe dovuto accendersi nei suoi occhi non si accese.
Fu ritirato su e come di consueto finse poiché era l'unica cosa che ormai gli rimaneva.
Fingere di essere vivo, allegro e felice, così nessuno gli avrebbe rotto le scatole.
Quando fu di nuovo su lo accolsero gli applausi e gli entusiasmi dei suoi amici, lui sorrise e si asciugò il sudore che gli colava ai lati del viso, inventò qualche parola che li avrebbe soddisfatti, poi riuscì a tagliare corto tornando indietro.
Era quello che volevano ma la sua ricerca non era giunta a buon fine, anzi, continuava e il risultato sembrava così lontano.

Girava accompagnato da due amici per la città, tutti lo riconoscevano come il secondo principe, Andrew. Lo salutavano, lo fotografavano ma non c'era lo stesso entusiasmo che avevano per William.
- Andrew! -
Una voce femminile familiare lo chiamò.
Era sera e non si preoccupava di tornare alla tenuta, tanto suo padre non c'era, sperava che quel viaggio ridicolo di seconde nozze sarebbe durato in eterno.
Si voltò e trovò davanti a sé Kate, la ragazza di William.
- Ti prego, devo parlarti, vieni un attimo. -
Era agitata e piangeva, aveva gli occhi rossi e il volto rigato di lacrime, sconvolta e disperata era dir poco.
Lui impreparato e stupito disse ai due ragazzi di andarsene e la portò in un locale semplice e intimo dove poteva passare spesso inosservato.
Lei gli posò una mano al petto, si era alzato in altezza parecchio.
Si avvicinò e continuando a piangere disse in maniera sconnessa:
- Tu sei suo fratello... devi sapere cosa gli passa per la testa… mi ha lasciato e non so perché... ha detto che era tutto troppo perfetto... vuoto e piatto... ma non è vero... non è vero... dimmi cos'ha? Perché fa così? Non parla e non si confida... cosa gli è successo? -
Parlava veloce e a fatica la si capiva. La ragazza sempre composta ed elegante ora era un'altra.
Rimase interdetto poi realizzò.
Suo fratello aveva lasciato Kate. Questo lo lasciò un attimo incredulo ma poi con il resto delle parole capì tutto.
Un sorriso amaro, non era un tipo compassionevole.
- Se lo ami come dici dovresti averlo capito invece, ma mi pare che tu non l'hai mai fatto. E poi... -
Distolse lo sguardo indurendolo ulteriormente, c’era rimpianto e cos'altro?
- ... hai chiesto alla persona sbagliata, parlo poco con lui e non lo capisco nemmeno io... -
Rimase impietrita dal cinismo di quel ragazzo e sgranò gli occhi stupita per poi riprendersi e assottigliarli.
- Capirlo... sembra impossibile... -
- Se non l'hai mai capito come hai potuto amarlo e metterti con lui? -
Oltremodo duro. Non gli era mai piaciuta, in lei c'era solo bellezza fisica. Come lei ce ne erano molte, troppe, gente senza un minimo di cervello e sostanza, era ovvio che suo fratello l'avesse lasciata.
- Ma io lo amo veramente! -
- Ah smettila, mi fai solo ridere! -
Ebbe uno scatto che la fece allontanare e spaventare. Il disprezzo verso di lei lo leggeva chiaro negli occhi verdi e vuoti poi tornò ad avvicinarsi posando entrambe le braccia sul suo petto, lentamente combaciò i loro corpi e mormorò:
- Ti prego... parlagli e vedi cosa puoi fare. Se lo fai... -
Sospese le parole per lasciare ai gesti la conclusione del messaggio, infatti portando il volto vicino al suo, si allungò in modo da sfiorargli le labbra.
Andrew rimase rigido ed immobile senza facilitare un ipotetico bacio, non l'accolse e puntò lo sguardo di pietra in quello di Kate che sperava avesse ceduto.
Non successe.
- Vattene Kate. È finita, fattene una ragione. -
Duro.
Solo duro.
Fu così che capì che era finita del tutto quindi rivoltandosi contro di lui in una trasformazione rapida, lo insultò, lui e la sua famiglia, per poi correre via ancora sconvolta.
- Stronza... -
Mormorò con un linguaggio poco da principe mantenendo l’espressione impassibilmente dura di poco prima.
Si potevano dire molte cose su Andrew: che era tormentato, ribelle, ingrato, testardo... ma non carogna, questo no.
Il rispetto e la stima per suo fratello, anche se non la dimostrava, la provava profondamente.
Se ne vergognava perché lui era così, tuttavia alla fin fine invidiava in senso buono suo fratello anche se al contempo sapeva benissimo cosa capitava ad entrambi: non avevano più il rapporto di un tempo.
Dopo la morte della madre tutto si era perso ed aveva finito per ammirarlo da lontano sentendosi piccolo e non all'altezza. Gli andava bene vivere all'ombra del più grande, del migliore.
Sentire, tuttavia, il tormento interiore di William lo rendeva impotente e pieno di fastidio.
Avrebbe voluto aiutarlo e proteggerlo ma era sempre stato il contrario, era lui che gli procurava pensiero e del resto non sapeva cosa fare.
Non ce la faceva nemmeno lui.
Era una cosa un po' complicata, si incolpava specialmente di aver rovinato tutto come al solito.
La madre era morta e lui non si era ripreso, mai.
Eppure era consapevole che nemmeno William era mai stato bene, però l'egoismo insito in lui lo portava a non pensare ad altri che sé stesso e a modi per trovare un senso alla propria vita, dimenticandosi di suo fratello e dei propri iniziali buoni propositi di dargli una mano in qualche modo.
Pensava inoltre che il problema fosse solo lui, se non fosse esistito suo fratello sarebbe stato meglio senza preoccupazioni, senza doverlo tirare fuori dai guai continuamente.
Rimase poco ancora là decidendo con uno sbuffo stufo di uscire dal locale.
Era solo un codardo alla fine, si sentiva così: tutto fumo niente arrosto.
Il suo tormento interiore sarebbe continuato per sempre se non avrebbe smesso di guardare sé stesso.
Ci teneva a modo suo a William ma non sapeva come dimostrarlo. Sentiva il vuoto che quel ragazzo provava giorno dopo giorno, era un vuoto non depresso, solo un silenzio regale per non ferire nessuno e fare quello che sua madre, forse, avrebbe voluto.
Andrew in realtà era l'unico a capire alla perfezione il biondo principe, peccato che non capisse sé stesso.

A cena era solo, William aveva già mangiato così gli avevano servito la cena. Nessuno osava più parlargli, lo vedevano come un fantasma irriconoscibile.
Quando il fratello seppe che era tornato, venne da lui a salutarlo.
Non sapeva nemmeno della gara di equitazione, Andrew come consanguineo era effettivamente una frana, ne era consapevole ma non poteva o non voleva farci nulla.
Si scambiarono qualche parola distanti ed educati nel corso delle quali il rosso osservò attentamente l'altro di fronte a sé.
Non gli avrebbe detto nulla di Kate ma solo accennato.
Per capire meglio...
- Ho saputo che hai lasciato Kate... -
Si stupì, Will, dopotutto non era da lui avere delle informazioni sulla sua vita privata… non sapeva nemmeno mai i giorni delle sue gare!
- La nonna era contenta… -
Decise quindi di alleggerire l'argomento, non gli dava fastidio fondamentalmente, più che altro non reputava l'argomento tanto importante da parlarne a tavola in uno dei rari momenti in cui aveva la compagnia del fratello.
Tuttavia questo bastò all’altro per fargli capire tutto.
William non aveva nemmeno pianto, non era dispiaciuto, non gli era pesato.
Poteva sembrare insensibile eppure non era così.
Quel ragazzo, come lui, cercava qualcosa che ancora non aveva trovato e ognuno lo faceva nel modo sbagliato.
Non avevano un cuore di pietra.
Volevano qualcosa di vero, meno perfetto e giusto.
Assurdamente sembravano lontani, ma erano più vicini di quanto sembrassero.
Erano molto vicini.
Non proseguì l'argomento e semplicemente dopo aver concluso la cena con entrambi i propri pensieri per la testa, si alzarono da tavola per andare nelle rispettive camere a continuare nella solita solitudine le loro continue riflessioni.
Vicini ma diversi anche se alla ricerca della stessa cosa.
Si sentivano comunque soli e vuoti lasciati a loro stessi in una vita che forse era per loro e forse no.
Una vita di cui non capivano il significato a fondo.
Si sarebbero mai ripresi?
Le cose, era il caso di dirlo, non andavano affatto bene.