Mente Perduta

CAPITOLO IV:

IL GHIACCIO SOTTILE

Ghiaccio sottile, cristallo invalicabile. Potrebbe spezzarsi?”


Se lo poteva immaginare come colori che dal blu notte sfumavano in altri sempre più chiari arrivando al bianco, passando per il viola e il blu elettrico. Con una linea che partiva dal centro e girava estendendosi in un’altra estremità, si attorcigliava e nel passaggio portava sfumature diverse ma sempre quelle. Come una corda pizzicata che poi si contorceva su se stessa in diversi riccioli, provocando curiose scie chiare. Incantevole immagine.
Appariva così la sua vita.
Dare una spiegazione non sarebbe servito.
Lui era il ghiaccio.
Chiuse il rubinetto dell’acqua che scendeva quasi fredda nemmeno rabbrividì. Il corpo atletico gocciolante e bagnato si avvolse in un asciugamano bianco, si asciugò in fretta, pettinò all’indietro i capelli biondi che portava fino al collo, leggermente più lunghi avanti e un po’ più corti dietro. si fece la barba non lasciandone più nemmeno una traccia. Quando il volto apparve perfettamente ordinato senza nulla fuori posto, si vestì coprendo le lunghe gambe muscolose con bianchi pantaloni in tessuto aderente, il busto possente e le spalle larghe invece finirono sotto una maglia dello stesso colore in cotone, maniche lunghe per le mezze stagioni, lasciava ben poco all’immaginazione. Non indossò nulla sopra, lui odiava avere caldo e sudare, stava perfettamente a suo agio invece nel freddo, pareva nemmeno sentirlo.
Costui aveva una bellezza adulta, da uomo maturo pieno di quel fascino sottile e lontano che veniva sempre più apprezzato. Diede un ultima occhiata al suo volto, non gli importava il bell’aspetto di cui invece era padrone ma ci teneva ad apparire bene ed ordinato, per sé stesso, non per altri. Gli sembrava una forma di rispetto per un corpo con cui doveva convivere ancora a lungo.
Indossò degli occhiali di una classica forma squadrata e maschile senza montatura intorno alle lenti, gli donavano, erano graduati dal grigio al trasparente. Coprendosi così gli occhi sottili e blu molto suggestivi per la loro freddezza, mostrava solo dei lineamenti molto maschili e duri ad eccezione per le labbra che erano carnose. La pelle candida faceva a gara con gli abiti facendolo sembrare un fantasma.
Eppure a lui non importava.
Non lo faceva per l’apparenza, era un tipo ordinato e preciso di natura. Gli piaceva vivere stando bene con se stesso e riteneva di farlo solo così. Non sopportava chi non si curava ed era disordinato.
La gente poteva pensare quello che voleva, non era rilevante, erano solo parentesi, ma ci si doveva curare se si voleva vivere, solo se si meditava un suicidio era giustificato il mal aspetto.
Solo in quel caso.
Aveva una visione severa delle cose e delle persone, le criticava facilmente male salvo poi alzare le spalle e fregarsene di tutto e tutti.
Lui non vedeva veramente nessuno, viveva per sé egoisticamente, faceva in modo di farlo il meglio possibile col minio indispensabile. Era caduto nella depressione e ne era uscito con le sue sole forze, era in gamba e l’aveva dimostrato, tuttavia una serie di cose l’aveva portato ad una forza d’animo simile e ad un indifferenza alle vite altrui così evidente. Gli altri rimanevano affascinati da lui, inevitabilmente, eppure lui li allontanava con la sua freddezza facendosi odiare. Era trasparente eppure in scalfibile. Ghiaccio e cristallo. Tuttavia anche questo è capace di rompersi, talvolta.
Pareva aver raggiunto un suo equilibrio perfetto e stava bene con sé stesso anche se conduceva una vita di totale solitudine nella sua freddezza assoluta.
Parcheggiò l’auto nel cortile della scuola, il suo solito posto.
Entrò nell’edificio percorso da altri studenti e professori, aveva sempre un’aria molto indifferente.
Si era trasferito da poco, un ennesimo incarico, una nuova cattedra.
Aveva poco meno dei trent’anni ma con la laurea che aveva era riuscito ad ottenere presto il posto d’insegnante in una scuola superiore.
Era certamente un tipo in gamba ed invidiato ma purtroppo anche detestato da molti per quei suoi modi di fare gelidi, indifferenti e diretti.
Del resto lui non aveva paura di nessuno e lo faceva capire.
Entrò nell’aula dove aveva lezione la prima ora.
Li conosceva poco, i suoi studenti, ma non gli interessava instaurare rapporti. Erano fastidiosi, in fin dei conti. Rumorosi ed ingrati…svogliati.
Iniziò la lezione meticolosamente guardando male i ragazzi che gli dicevano di aver scordato qualcosa a casa.
Fu il colmo quando un ragazzo arrivò dopo un quarto d’ora dall’inizio. Non ricordava il nome e nemmeno il viso però come i permetteva questo di presentarsi a quell’ora?
- Mi scusi. Sono tardi…-
Spostò la sua gelida attenzione sul malcapitato squadrandolo come se fosse un insetto, poi con voce inalterata disse:
- Presentati e spiega il perché.-
L’altro rimase inizialmente spiazzato. Quel nuovo professore era decisamente seccante e con gran faccia tosta rispose:
- Sono Daniel Le Mark. Precisamente sono arrivato tardi perché mi sono perso a suonare il piano come faccio ogni mattina!-
Non gli interessava essere troppo sfacciato., voleva spiazzarlo con la sua disarmante sincerità peccato che non ci riuscì e la cosa lo infastidì maggiormente.
Immediatamente la mente del professore cominciò ad elaborare le informazioni che ricordava sul nome dell’alunno. Come se li avesse catalogati sotto dei numeri.
Daniel Le Mark. Francese, trasferitosi per l’ultimo anno dopo essere stato bocciato. Ottimi voti, studioso, stacanovista, il migliore della scuola ma arriva sempre tardi…ho presente ma non ricordavo avesse questo aspetto terribilmente trascurato e poco presentabile. Inguardabile. Decisamente troppo sfacciato e poco rispettoso. Non va bene.”
Così mantenendo la sua imperturbabilità rispose:
- Potrà spiegare quanto le piaccia suonare il piano al vice preside che ora andrà a visitare. Non mi sembra un buon motivo per arrivare a quest’ora. Credo abbia sbagliato scuola, il conservatorio è da un’altra parte. Ora esca dall’aula, per favore, che non l’accetto in classe. Presenterà la giustificazione al professore successivo e al vice preside. Dica che la manda l’insegnante Val Maloney.-
Lasciò tutti senza parole e per primo Daniel che non credette alle parole che sentiva. Era assurdo!
Spalancò gli occhi dando con l’espressione chiaramente dell’idiota all’uomo giovane seduto dietro alla cattedra.
A Val non importò minimamente, dopo avergli prestato così tanta attenzione fu come se l’avesse cancellato dalla sua mente per tornare alla spiegazione interrotta. Non notò gli alunni ammutoliti e nemmeno sentì l’odio incontaminato del moro.
Passò oltre, come faceva sempre.
Era lontano mille miglia.
Aveva il suo dovere da compiere, il resto era superfluo, per avere rapporti non serviva lasciar correre gli sgarri. Le regole esistevano per essere rispettate, per una buona convivenza, non si poteva lasciare che la gente facesse come gli pareva, altrimenti sarebbe stato un manicomio e la follia avrebbe regnato.
Queste sue convinzioni erano quasi profetiche, come a far capire a degli ipotetici spettatori che il suo destino era stranamente segnato da queste sue fissazioni.
Regole, libertà, ordine.
Tutto catalogato
Qualcosa che forse sarebbe durato oppure si sarebbe spezzato.