Mente Perduta

CAPITOLO VI:

NIENTE IMPORTA
 
“non importa quante battaglie ho vinto, quanti mi sono addosso e mi odiano. Non è mai abbastanza”
 
 
Il brandy finì bevuto in un sorso unico, bruciò la gola immediatamente dando la sensazione di aver ingoiato fuoco puro eppure non fu notato, o magari si. Il liquido scese liscio lungo l'esofago arrivando allo stomaco, la vampata istantanea incendiò le cellule del corpo provocando una sudorazione calda che subito si tramutò in fredda quando la mente iniziò a ricordare delle immagini dimenticate da tempo.
Girava a dir poco nervoso per la stanza dalla luce soffusa, il pomeriggio era inoltrato e l'estate ormai lontana. L'uomo continuava a muoversi su e giù, si dirigeva alla finestra, tornava alla poltrona in pelle nera, l'abbandonava … infine optò per un altro bicchiere dell'alcolico invecchiato, questa volta più pieno.
Le cellule corporee e neurali andarono per un lungo momento in black out, a fatica ripresero a funzionare meno attive di sempre, cosa incredibile per uno come lui.
Era inquieto, ma dopo quello che gli era accaduto era più che giustificato.
Seduto su un'altra poltrona sempre in pelle nera che si abbinava perfettamente all'arredamento generale della villa, c’era Thomas che in quel momento mostrava d’essere un ragazzo dalla bellezza classica con sguardo duro e voce corposamente maschile. Spesso la sua bocca possedeva un inclinazione ironica e il volto un lampo aggressivo, tuttavia sapeva sembrare come voleva: o solo buono o solo cattivo.
In privato era tutt'altro, si lasciava andare a quel suo ‘io’ represso in pubblico.
- Michael, io aspetto...-
Disse guardandolo serio, odiava aspettare, era impaziente di natura.
Gli occhi azzurro gelo furono penetrati da quelli verde acquatico dell’altro che sembravano lampi libidinosi velati d'assenzio.
Sostenne lo sguardo pesante che però fu distolto.
Lo sentì sospirare così tornò a scrutarlo studiando i dettagli.
Sudava ancora più copiosamente, alternava sudore freddo ad altro caldo, la camicia semi slacciata gli dava un aria di disordine mai avuta, le pupille ristrette, il bicchiere serrato in una morsa spasmodica, l'altra mano, sprofondata nella tasca dei pantaloni scuri in tessuto pregiato, se la passava spesso fra i capelli color pece dove il gel ormai era andato via.
A tutto questo si aggiungeva il pallore impressionante e le occhiaie ancor più accennate. Faceva decisamente impressione.
Raramente, da che lo conosceva, ed erano molti anni, l'aveva visto in quelle condizioni.
Chiunque al suo posto ne avrebbe avuto paura. Thomas non ne aveva, aveva un'altra sensazione definibile come ansia, questo si, il ferreo ragazzo provava limpida ansia ma sapeva che Michael in quel momento aveva bisogno di sicurezza e pacatezza e se voleva gliela poteva dare. Poteva mostrarsi in qualunque modo desiderasse.
Il moro in un bagno di sudore continuò a tenere il bicchiere mezzo pieno in mano. Prima di berlo andò alla finestra e guardò fuori contraendo  la mascella, serrando le labbra sottili e spalancando gli occhi spiritati.
- Tu lo sai cosa mi successe quindici anni fa.-
Sapeva benissimo, ma ugualmente sentire la voce ora roca e bassa, irriconoscibile, lo lasciava decisamente a disagio.
Ascoltò dicendogli quello che sentiva di dover dire:
- La violenza...-
- Si, la MIA violenza.-
Una lunga pausa pesante. Cominciò a tremare in modo impercettibile, lo si notò dal bicchiere ove il ghiaccio tintinnava.
- Quattro bastardi di diciotto anni mi violentarono…io ne avevo dieci.-
Altra pausa, gli venivano difficili le parole.
- Ti sei vendicato...-
Azzardò con calma Thomas.
- Si...ma non su tutti. Uno me ne scappò. -
Ricordi, ancora ricordi mentre parlava, non riusciva più a tenere sotto controllo la sua mente come faceva sempre. Era annebbiato dall'alcool e decisamente fuori di sé.
Le facce ce le aveva impresse indelebili, conservava ancora le foto del giornale, l'articolo che parlava della loro morte misteriosa, a detta di tutti. Ne era mancato uno che appena aveva visto la morte dei suoi compagni era scappato furbo senza lasciar traccia di sé.
Michael non si era ancora voltato.
Fissando insistentemente fuori dalla finestra senza nemmeno vedere il paesaggio, continuava a rivisitare i fatti di anni fa.
- Thomas, non mi basta.-
Il moro alzò un sopracciglio incredulo a questa affermazione sempre roca e bassa ma più decisa e tagliente, quasi inspiegabile per il brivido che lo percorse ascoltandola.
Aveva un che di freddo che in quelle condizioni stralunate erano pericolose.
Lo riconobbe subito.
Non era il Michael che conosceva, non quello a cui era abituato … era il Michael di quegli anni che l’avevano visto in un oblio senza fine.
Sapeva fin troppo bene la fatica che aveva fatto il compagno per riuscire a vivere senza la sua anima andata in pezzi, come sapeva che aveva ripreso a scuotersi solo quando si era parlato di vendetta. Non l’aveva eseguita Michael direttamente, avevano atteso solo pochi anni, i necessari, e se ne era occupato lui stesso, Thomas dalle risorse inumane.
Per un ragazzo normale non sarebbe stato possibile, lui non lo era. Lui aveva qualcosa in più, decisamente. Consapevolezze sulla sua mente che, comandando il corpo, poteva fargli fare quel che desiderava.
Un altro brivido percorse la schiena muscolosa e tesa, rimase seduto e fissarlo. Si concentrò sulla mano che stringeva sempre più il bicchiere, il respiro pesante e un pallore misto a gocce di sudore che colavano lungo la pelle.
- Anche se ho fatto fuori tutti, se mi sono perfino occupato personalmente del loro mandante … uno ne è scappato … e ha dato vita ad altri piccoli mostri che sicuramente cadranno nel male come il padre; la stirpe, il cerchio, non si chiuderà più. Per aiutare gli innocenti come me da bambino, per far si che non si ripeta quella tragedia devo provvedere io stesso. Subito. Non può rimanere in vita nessuno.-
Era un discorso che nella sua mente filava, non faceva una grinza. Thomas dal di fuori continuava ad osservarlo attentamente capendolo ma non condividendolo a fondo.
Non era uccidere che lo impensieriva, lui non era normale e aveva altri pensieri per la testa. Fra questi riuscire a riavere il proprio compagno la cui mente sembrava correre di nuovo da sola verso lidi irraggiungibili.
Avrebbe sempre fatto quello che lui gli avrebbe chiesto … per fiducia, per amore, per quel totale ‘qualcosa’  che li legava completamente.
Non gli importava.
Però desiderava riaverlo lì presente con sé e per sé.
Però aveva paura di una cosa. Se l’avesse sentito menzionare ‘il mandante’ della sua violenza, era certo che non sarebbe più tornato poiché avrebbe dato vita a reazioni sempre più devastanti e pericolose, reazioni da non ritorno. Reazioni distruttive.
Aspettava quel nome con il timore crescente ma udì un rumore. Vetro che si rompeva, qualcosa che cadeva. Il bicchiere che poco prima teneva il moro ora era a terra in pezzi. Lo vide poi chinarsi e in uno scatto rabbioso, sconvolto, premere la mano aperta sui vetri rotti, con forza e determinazione.
Si alzò e lo raggiunse accucciato.
Lo sentì tremare tutto, il corpo incontrollabile come se avesse leggere convulsioni.
Aveva il palmo della mano ferito e lasciò che il sangue si liberasse rosso intenso sulla pelle sudata, vide le gocce percorrere il polso e l’avambraccio per sotto, fino al gomito ove si fermarono e presero a gocciolare a terra creando piccoli cerchi scarlatti. Attratto momentaneamente dalla ferita e da quel colore per lui deleterio fece scivolare le dita su quel liquido che macchiava il polso, quando lo ebbe sulle sue, combaciò il palmo riempiendosi del sangue del suo ragazzo, infine come ipnotizzato portò le mani intrecciate alla sua bocca, si sporcò volutamente la pelle intorno alle labbra e le labbra stesse come se si fosse messo del rossetto, poi tirò fuori la lingua e leccò lento e languido.
Il sapore.
Quel sapore era quello che più adorava. Il retrogusto di ferro, così si chiamava quel sapore lontano, no? Era piacevole ma prevaleva la densità e il dolciastro. Era buono, gli piaceva.
Questo gesto fu per Michael una pillola calmante, sentire quel contatto lo fece smettere di tremare, lento riprese il controllo di sé.
Le pupille tornarono a dilatarsi normali e il sudore cessò di uscire.
Lontano fu il pensiero del ‘mandante’, la sua violenza, gli uomini morti, quelli ancora vivi … tutto si allontanò brevemente per poter riempirsi gli occhi di quelli dell’altro che di fronte lo fissava intenso.
Se lo chiedeva spesso, a dire il vero.
Come avrebbe fatto senza di lui?
Michael non lo sapeva ma nonostante tutto si considerava fortunato ad avere la propria intelligenza ed uno come Thomas al suo fianco.
Si inginocchiarono dove erano ignorando i vetri e il sangue per posare le labbra le une sulle altre. Sentirono tutti e due il sapore del liquido scarlatto che le lingue si passarono, diede alla testa ad entrambi e Michael, sentitosi avvolgere dal corpo caldo che gli stava innanzi, sentì la chiara sensazione di lievitare, alzarsi nell’aria leggero. Era ciò che le loro menti miracolose trasmettevano ai sensi, la sensazione di volare veramente e non di camminare. Non capivano mai dove finisse l’immaginazione ed iniziasse la realtà, fin dove era solo idea ed iniziava il concreto atto del volare?
Tutto era possibile, loro due ne erano la dimostrazione ma in quegli attimi, gli unici dove si lasciavano andare e non controllavano nulla, non capivano cosa accadesse veramente e nemmeno importava.
Volavano? Camminavano?
Cosa importava?
Nulla se potevano stare così insieme e trasmettersi tutto quello solo col semplice contatto.
Aprirono gli occhi per un secondo, capì Thomas aveva il fuoco nelle iridi azzurre, si macchiavano lentamente di rosso e giallo, accadeva in due casi: con l’eccitazione e con l’uso delle proprie capacità extrasensoriali. In quell’occasione però si trattava di eccitazione a giudicare anche dalle altre reazioni del suo corpo.
A Michael piaceva quando lui era così. Gli piaceva anche la sensazione di saper di essere capito totalmente per quel legame profondo che li univa. Solo Thomas sapeva come calmarlo, cosa dargli per farlo tornare in sé.
All’interno delle bocche congiunte, le lingue continuarono ad intrecciarsi in un gioco continuo di provocazione, si sentivano veramente e solo con quel gesto di per sé insignificante. Toccarsi la lingua a vicenda non era qualcosa di grandioso, a pensarci … con la logica uno ci arrivava, ma poi l’istinto portava a questo e a ben altro. Come animali selvaggi il cui cervello non ammette pensieri coerenti e sensati. Come se i neuroni smettessero di connettere e lasciassero il posto all’istinto puro.
Ansimavano e frenetici le mani continuavano ad accarezzarsi con il sangue abbandonato che continuava in minore misura ad uscire. Le candide pelli morbide sporcate di rosso, come gli occhi dello straordinario ragazzo dal bel corpo atletico, contribuiva ad accenderli maggiormente.
Arrivarono adagiandosi sul letto comodo e le mani esperte del più giovane presero a spogliare l’altro ormai tornato in sé, cercando un contatto più profondo e sentito.
Si strofinarono coi corpi nudi appiattendosi coi bacini, la lingua provocava piaceri sempre più intensi mentre tracciava disegni leggeri ovunque, un esplorazione che mandava in un’altra dimensione. Ansiti e gemiti cominciarono a levarsi grazie anche alle mani che Thomas sapeva utilizzare per dare piacere al ragazzo sotto di sé.
Michael aveva solo bisogno di questo, una specie di culla che lo coccolasse, una sicurezza trasmessagli dalla persona più importante, un avvicinamento totalizzante, una sincerità sconcertante. L’avrebbe lasciato fare, come una bambola nelle mani di un artista del trucco.
Pronunciava febbrile e roco il suo nome, totalmente preso da quei contatti intimi, quando sentì che lo penetrava dopo una lunga serie di piacevoli torture preparatorie, immerse le dita fra i capelli mossi del compagno scivolando poi lungo la schiena fino a graffiarla.
Deciso ma delicato, intenso e sconvolgente, riusciva a trasmettergli tutto quello che aveva un disperato bisogno di provare, solo lui ci riusciva.
Solo Thomas.
Quella giornata per lui era stata strana, una tortura. Normalmente era freddo, controllato, composto, era lui che gestiva il gioco … ma ogni tanto lasciarsi fare era bene, gli dava del tempo. Per cosa?
Alla sua mente.
Si ma per cosa?
Per ritrovarsi.
Cioè?
Ricaricarsi.
E?
Ricontrollarsi, fino a funzionare a pieno ritmo.
Gemette ad alta voce socchiudendo gli occhi, poi si morse il labbro in un’espressione di puro abbandono, solo quella bastò per aumentare il ritmo.
Sentirsi dentro, la sensazione che ‘il dentro’ e ‘il fuori’ gli portava, quella sorta di massaggio, avvolgimento stretto, sfogo al suo bisogno crescente fino allo spasmo, la persona desiderata fra le mani, andare insieme a ritmo tirando tutti i muscoli al limite, vedere l’universo formarsi istantaneamente e quello scambio d’energie che possedevano, usciva da uno ed entrava nell’altro in cambio di nuova, esplosione di cellule per sovraccarico … avere tutto un altro mondo dentro e sentire … sentirsi … averlo … entrare … diventare creatura unica nonostante a volte facessero paura.
Fargli capire che sempre sarebbe stato con lui e per lui.
Unico. In un istante.
Senza possibilità di ritorno.
Quando le loro voci gridando e gemendo si unirono come i loro corpi che non volevano smettere di muoversi in sintonia, veloci, con un ritmo crescente, si liberarono totalmente nello stesso momento mentre il resto svaniva.
Ogni pensiero, problema, dolore, sensazione.
Solo liberazione.
Totale, puro ed incontaminato benessere.
Stavano bene e potevano stare così bene nonostante una vita piena di sofferenza perché riuscivano ad unirsi e darsi in quel modo.
In quei momenti poteva accadere la fine del mondo, non importava. Loro erano insieme, in un unico corpo, con la carne fusa e i cuori palpitanti, col sangue che veloce correva nelle vene e le menti annebbiate, oscurate dalla voglia di avere ancora.
 
Erano esausti adagiati l’uno sull’altro, abbracciati.
I respiri e i battiti lenti si regolarizzavano mentre il calore che i corpi avevano sprigionato scemava anch’esso. Thomas si scostò per stendendosi accanto a Michael. Dopo un attimo che parve eterno tornarono coscienti, mentre i sensi ripresero a funzionare circa normalmente. Era stato un orgasmo violento proprio per i sentimenti e le sensazioni forti provate poco prima.
Per il nobile moro la giornata era stata uno shock e l’unico modo di risvegliarsi, sicuramente, sarebbe potuto essere per mano dell’amato.
Costui infatti gli riprese lento il polso, se lo portò davanti agli occhi e vedendo bene la ferita dalla quale ormai non usciva più sangue, notò che diverse macchie avevano sporcato le lenzuola e i loro corpi nudi ma non se ne curarono. Si portò il palmo alla bocca e leccò intorno ai tagli smistati disordinatamente sulla carne. In quel gesto intimo e quasi dolce Michael parlò sottovoce pensieroso.
- Dobbiamo occuparci anche di questo. Sarà l’ultima vendetta, per poter vivere meglio e liberare il mondo dai demoni infernali che lo abitano … mi aiuterai?-
Lo sguardo intrigante e determinato si spostò su quello del compagno che gli faceva la domanda con fare sincero ma allo stesso tempo un aria enigmatica. Era abituato e gli piaceva anche per queste ombre strane.
Un sorriso, quindi, in risposta. Un sorriso che rispecchiava sicurezza e mistero.
- Starò sempre con te.-
Dal di fuori risuonò come un messaggio inquietante.
 
 
Il giorno dopo Thomas in solitudine si diresse ad una tomba, in un cimitero.
La scritta indicava che era Damien Vincent Rosembau.
Il padre di Michael Alexander Rosembau, il suo fidanzato, la persona più importante per lui per i sentimenti e la storia che li univa.
Deceduto qualche anno prima.
Un inclinazione strana in un posto simile sulle labbra perfette del giovane. Inquietante, ignota, insolita, indecifrabile e al tempo stesso sadicamente ironica.
Un pensiero. Solo uno.
“Il mandante…”