MENTE PERDUTA

CAPITOLO IX:

L’INIZIO DELLA FINE

E così siamo all’inizio, l’inizio della meravigliosa fine, la giustizia potrà fare il suo ingresso e ridarmi ciò per cui sono impazzito anni fa. Nessuno si prenderà più gioco di me. Nessuno.”


L’edificio scolastico era deserto a quell’ora, le lezioni pomeridiane erano finite, l’ambiente era ormai tutto scuro e poche persone ancora si trattenevano all’interno della struttura. La luna era già alta nel cielo e filtrava i suoi raggi argentei dai vetri a muro, creava riflessi affascinanti e suggestivi sulle persone che camminavano per quei corridoi.
C’era un ragazzo che solitario percorreva le vie notturne scolastiche, si stava avviando all’uscita dopo essere stato trattenuto dal professore. Quell’uomo ce l’aveva chiaramente con lui e non se ne spiegava il motivo. Era nuovo e giovane, avrebbe potuto capire gli studenti eppure era ancor più severo dei suoi colleghi più anziani. Sbuffando con un espressione infastidita non fece nemmeno caso allo spettacolo serale che si mostrava al di là delle finestre a muro.
Qualcosa attirò l’attenzione di Daniel all’improvviso. La luce illuminava con quell’argento pallido due figure che gli venivano incontro, camminavano lente e distinte, con passo sostenuto, già si capiva che avevano un certo stile nobile.
Il castano era di cattivo umore e sin da subito ridusse gli occhi a due lame, era pronto a rispondere male se l’avessero infastidito, tuttavia solo quando furono gli uni di fronte all’altro riconobbe Thomas, il suo compagno di classe che lo spiava ultimamente. Si incupì. Non aveva idea di cosa volesse da lui per cui fece finta di nulla senza fermare la sua camminata, fu comunque trattenuto dal bel moro, costui aveva un espressione diversa dal solito, un modo di fare più appariscente e snob, sicuramente poco gentile e amabile, lo si capiva a pelle guardando la sua camminata e la sua espressione in penombra: il bravo ragazzo che mostrava a tutti era un ricordo, sembrava non fosse mai esistito.
Daniel rimase stupito.
Guardò il braccio teso davanti a lui a bloccargli il passaggio.
- Ciao, Daniel … vieni, vorrei presentarti il mio amico, lui ti conosce … -
Gli occhi nocciola del ragazzo si fecero taglienti a contrastare quelli sicuri ed indecifrabili degli altri due.
L’amico di Thomas stava un po’ più indietro nella completa oscurità, non riusciva a vederlo per cui gli venne la curiosità di sapere chi fosse, eppure d’altro canto sapeva perfettamente che non era una buona idea, se lo sentiva, era una sensazione sempre più chiara. Quel Thomas con cui non aveva mai avuto rapporti ora era diverso, sembrava pericoloso anche solo il suo respiro e la luce lunare che li illuminava in quel modo sinistro era sicuramente un avvertimento.
- Non mi interessa!-
Sarebbe stato riduttivo definirlo poco socievole!
Michael dietro il moro capì subito che non avrebbe mai collaborato, si capiva che Daniel era un tipo difficile.
Per lui era duro vederlo in quel modo, pareva così sinistro che fu catapultato ad anni indietro, al momento della sua violenza … quando sopra di lui c’era il padre del ragazzo, in una notte di luna alta che illuminava d’argento i loro corpi, proprio come in quell’istante presente.
Un rivoletto di sudore gli colò lungo la guancia e contrasse la mascella, si sforzo in maniera inumana per rimanere in sé ancora per un po’. Doveva tirare fuori quel suo lato furbo e diplomatico col quale ingannava chiunque ottenendo quello che voleva.
Tuttavia sarebbe stata un impresa con quelle immagini in continuo movimento nella sua mente.
Michael possedeva un ferreo autocontrollo ma si sa che a volte, quando ci si trattiene troppo su cose di enorme portata, succede facilmente l’inevitabile.
- Insisto. Potremo andare in quella stanza di musica che piace tanto a te … anche al mio amico piace la musica.-
Era risoluto e fermo, non gli dava scelta. Era strano, come se … traboccasse di potere e di forza, una forza inumana. Cosa c’era in quel ragazzo? Un fisico forte come il suo non bastava a dare quell’imponenza e l’idea di pericolosità. Non aveva solo carisma, gli trasmetteva ogni sensazione negativa possibile.
Thomas era circa come lui, sentiva che aveva qualche capacità particolare ma non parlò, si limitò a dirigersi semplicemente nell’aula di musica.
Tanto cosa avrebbero potuto fargli? Certamente non intrappolarlo in qualche posto extra dimensionale!
In fondo si sapeva difendere molto bene.
La stanza era ampia: molte sedie erano disposte a cerchio, in un angolo c’era un pianoforte nero, accanto un tavolo con diversi altri strumenti come violino, tromba, flauto dolce, a terra invece vi erano posizionati altri strumenti come la chitarra acustica, quella elettrica, un basso, una batteria; lungo il muro interno c’era anche un divano a tre posti mentre su quello esterno una serie di finestre strette e lunghe con le inferriate, infine nell’unica parete libera, quella opposta agli strumenti, c’era una libreria.
I due ragazzi si misero in angolo con le finestre e la libreria in modo da avere la completa visuale di tutta la stanza, compresa la porta per poterla controllare.
Daniel con la sua perenne aria infastidita e brusca si sedette nel divano, all’angolo, accanto al pianoforte.
Alla luce artificiale della stanza finalmente vide Michael.
Era più grande di loro di qualche anno, sui 25 anni probabilmente. Lo analizzò attentamente con quel suo occhio critico tipico di un artista lunatico ed eccentrico: era di bell’aspetto ma nulla di particolarmente appariscente come Thomas, risultava pallido con occhiaie evidenti sotto gli occhi, sembrava avesse dormito poco, le iridi verde oceano intense quasi da far male lo colpirono, era un tipo anomalo, sembrava malato. Composto e ordinato, i capelli sistemati con del gel in modo da tenerli in su e lasciar scoperta la fronte, erano corti e scuri, quasi neri. Corporatura esile ma non troppo magro come lui, vestito di nero, cappotto lungo di cachemire.
Non lo conosceva, ne era sicuro.
- Che diavolo volete da me?-
Sgarbato mise subito le cose in chiaro per potersene andare subito.
D’istinto non gli piaceva la situazione, aveva una brutta sensazione.
Gli rispose un sorriso dello sconosciuto, era un sorriso inquietante, gli vennero i brividi.
- Io mi chiamo Michael Alexander Rosembau, e lui come saprai è Thomas Mathers. Tu sei Daniel Le Mark. Figlio di Pierre Le Mark, vero?-
Il volto dal giovane si indurì notevolmente, sentiva una furia accendersi dentro solo per aver sentito pronunciare il nome di suo padre, cosa volevano da lui? Sembrava non conoscere l’esistenza di Etienne…
- E allora?-
Acidamente sentenziò.
Michael aveva con se una valigetta in pelle nera e si trattenne molto dal non tirare fuori subito la pistola, rimase freddo e controllato.
- Vengo subito al punto. Io voglio solo parlare con tuo padre. Posso sapere dov’è?-
Quel che si poteva leggere nello sguardo di Daniel, in quel momento, era ormai fuoco allo stato puro, respirava profondamente per non esplodere ma faticava, era un tipo acido ma molto passionale, si arrabbiava sempre e molto facilmente, per questo era intrattabile.
- Non dire idiozie!-
- E perché mai?-
Il moro in piedi che conduceva il gioco era suadente e calmo, in contrasto con l’irruenza e l’ira sopraggiunti del castano seduto in maniera scomposta.
Daniel si rese conto che se voleva difendere suo padre doveva mentire.
- Perché, signor tutto-mi-è-dovuto-perché-so-ogni-cosa, mio padre è morto! Perché credi che io abiti da solo? Lo so che mi seguite da un po’! Per chi mi prendete? Andatevene se non avete intenzione di dirmi cosa diavolo volete da me e mio padre!-
La definizione insolente non piacque al destinatario, la calma stava svanendo e presto avrebbe fatto l’irreparabile. Si alzò e aprì la valigetta, fu vedendo il suo contenuto che Thomas si allarmò.
Incredibilmente.
- Innanzitutto ci vuole rispetto per gente più grande, poi disponibilità per chi ha bisogno di aiuto. Tuo padre è morto, dici?-
Cercava veramente di non lasciarsi andare ma pian piano la mente lasciava scivolare lontano la ragione.
A Daniel non piacque quel tono inquisitore e arrogante, lo sentiva troppo superiore.
- Michael, cosa vuoi fare?-
Thomas intervenne con una leggera inclinazione nella voce. La valigetta conteneva una macchina fotografica e una pistola.
- Non so … sono indeciso su quale delle due usare … tu che ne dici, Daniel?-
Dapprincipio il ragazzo non capì perché il suo compagno di classe ad un tratto aveva cambiato cera, in fin dei conti a parte la pistola si trattava di una macchina fotografica … non esistevano dubbi. Che discorso in codice era?
- Senti, non mi rompere, non mi interessano i tuoi giochetti. Ti consiglio uno psicologo! Voi due non siete a posto! -
Fece scemare il discorso del padre ma l’agitazione si impadronì di lui, per cui in preda alla rabbia più acuta si alzò per andarsene.
- Io non lo farei se fossi in lei.-
Era una voce tagliente e pacata ma imperativa, quello che gli stava dando era un ordine, un avvertimento da raggelare il sangue.
Daniel lo guardò, sudavano entrambi.
- Michael, perché non hai distrutto quel maledetto aggeggio? Ti ricordi cosa ha fatto?-
Thomas sempre più fuori di sé.
- Calmati, dipende dal ragazzo. Io desidero delle risposte e le avrò.-
Fece un passo avanti.
Perché se l’altro non era d’accordo non lo fermava concretamente? Era sicuramente più forte ... ma allora? Che lo temesse? O lo comandasse in qualche modo? Che rapporto avevano? Sembrava più di capo e sottomesso.
- Che diavolo di risposte vuoi? -
Non sapeva esattamente cosa fare, minacciare con una macchina fotografica non faceva molto effetto ma lo spavento nelle iridi azzurre del moro si!
- Tuo padre!-
Daniel si fece avanti gridando fuori controllo, l’avrebbe picchiato se non avrebbe smesso!
- Adesso basta! Cosa vuoi da mio padre? È una brava persona che ha sofferto, si è riscattato ed ora non c’è più! Smettila! Non mi piaci, tu che ne sai di cosa ha passato? Perché lo vuoi?-
Un lampo e una luce pericolosa nelle pupille dell’uomo davanti a lui.
Pazzia.
Brividi e Daniel indietreggiò.
- Tu che ne sai del dolore? Pensi che lui abbia sofferto? Ma lo sai cosa ha fatto il tuo caro papà?-
Voce bassa e penetrante, sempre più incalzante, non dava tempo di riflettere, il panico si faceva strada in lui. Non si poteva ragionare con uno così, ma aveva proprio paura di quello che stava per dire e per fare … cosa significava?
- Basta…-
Mormorò, non fu ascoltato. Un sussurro penetrante come quegli occhi allucinati che lo guardavano fissi senza sbattere le palpebre, troppo spalancati per una persona normale. Il pallore era spaventoso in quel volto dai lineamenti classici, ora sudato.
- Tuo padre è solo un bastardo che quando era ragazzo andava in giro a passare il tempo violentando i ragazzini … -
Respiri ansimanti e poi un esplosione, no era troppo. Suo padre era buono, una brava persona, il suo passato oscuro non aveva nulla a che fare con una cosa simile, non aveva mai toccato i suoi figli, non poteva essere così.
Urlò d’istinto quando le parole lo colpirono arrivandogli fin dentro l’anima:
- No, basta, smettila! È morto, morto morto! -
Se ne convinse per scacciare quell’angoscia che gli opprimeva il petto non facendolo respirare, stava davanti a Michael che gli trasmetteva in qualche modo le scene da lui vissute, gli mostrava il viso di suo padre da giovane, così simile al suo, rivedeva lo stesso da adulto come padre amorevole un po’ triste, un po’ spento ma sempre pieno d’amore per lui, c’erte cose non andavano scoperte, certe cose uccidevano più di mille armi usate insieme. Inoltre certe persone venivano innalzate a déi per il bene che avevano fatto, Daniel doveva molto a suo padre, provava per lui un amore grandissimo, l’aveva aiutato a tirarsi fuori dai guai e dalla depressione, l’aveva restituito a quella che si poteva chiamare vita. Ora arrivava quella strana ed inquietante minaccia, quella realtà nella mente sparata da uno sconosciuto la cui aura nera si poteva quasi vedere. Aura di pazzia, pazzia di dolore, dolore di violenza, violenza di … suo padre?
Non ci VOLEVA credere ma al tempo stesso tutto quello che gli si presentava improvviso davanti a sé lo schiacciava, non gli permetteva di scappare per non accettare la verità.
La Verità.
Era quella la verità?
Come poteva saperlo?
Il panico e l’angoscia lo colpirono in un turbine di caos, si accasciò a terra con dei rimbombi insistenti che martellavano negli orecchi e quella voce che ripeteva cose orribili. Non poteva essere. Perché gli credeva? Perché? Perché SENTIVA che era vero?
Lo guardò alienato con gli occhi lucidi e arrossati, le pupille ristrette, quasi inesistenti. Fra i denti con un tono rauco e velenoso, non suo, disse:
- Che tu sia maledetto per le accuse che muovi e per le azioni orrende che fai. Io lo so cosa tu fai … ti credi una vittima ma in realtà sei solo un assassino come quelli che ti hanno fatto male. Sei un folle. Ti maledico per tutta la sofferenza che hai inflitto e infliggerai! -
Poi fu come se tornasse in sé da una trance.
Non sapeva cosa gli fosse successo, sapeva di essere stato male. Come se avesse sentito insieme mille voci inumane che gli gridavano i crimini di quella persona che, ora sconvolto e la mente perduta, stringeva l’oggetto convulsamente fino a gridare:
- Tu sei pazzo, non sai cosa dici … non sai nulla! Basta!!-
- No, il pazzo sei tu che parli di una persona senza conoscerla veramente! Accusi in questo modo quando sei il primo a non sapere nulla!-
- E no, io so anche troppo, è questo il punto! Sei tu quello che vive in un mondo a parte! La realtà è ben più dura e brutta!-
- Smettila! Sei solo un folle! –
- Finiscila, basta! Pagherai anche tu! -
Anche le urla di Daniel si sovrapposero alle sue e in quell’istante di panico in cui persino Thomas sentiva il peso dell’energia che emanava il ragazzo a terra, si premette le mani alle tempie serrando gli occhi, non sapeva cosa fare, non si azzardava a fermare Michael, lui sapeva perché faceva così, lui era sempre dalla sua parte, in qualunque situazione, perché era l’unico che l’amava e poteva capirlo. Però si chiese ugualmente chi fossero entrambi i due che si fronteggiavano in quel modo feroce ed insensato, cosa sapesse fare Daniel visto come lo contorceva dall’interno, in che stato mentale fosse Michael. Erano forti e sullo stesso livello mentale.
Thomas si deconcentrò riaprendo gli occhi e rivedendo la macchina maledetta nelle mani del suo compagno ora non più in sé, non l’aveva messa via.
Fu un insieme di cose a farlo sentire male, il moro e si appoggiò alla finestra aprendola per respirare meglio e fu lì che il flash arrivò dallo strumento fotografico nelle mani di Michael. Una luce pazzesca illuminò la stanza come se fosse entrato il sole e il caos cessò improvvisamente, rimase solo silenzio e deserto ed una porta aperta invece che chiusa come l’avevano lasciata all’inizio.
Un istantanea della panoramica quasi totale della stanza fuoriuscì dall’oggetto che aveva provocato quell’enorme luce, ritraeva Daniel a terra che gridava sconvolto tenendosi la testa con le mani e un’altra persona alla porta che si era aperta in quel momento per controllare, probabilmente, come mai ci fosse quella confusione.
Thomas lo riconobbe a fatica nel malessere che ancora lo opprimeva.
- Cavolo … lui è un professore … è Val Maloney! –
Imprevisto.