*Non
ho trovato il Midi di Move on now quindi ho messo quello di una canzone
che poteva andare bene comunque per l'atmosfera di questa fanfic.*
Muoviti
Ancora
/Move on now -
Hard-Fi/
Principe
del calcio... è così che mi chiamano ormai da
quando gioco a calcio e sono il capitano della mia squadra.
Non
lo ritengo un capriccio, né tanto meno un gioco da bambini,
per me questo sport è veramente una cosa importante.
So
di avere le capacità adatte per farcela e di poter diventare
qualcuno in questo ambito, ma non lo voglio per vanità o per
far successo... lo voglio perché il calcio è
semplicemente la cosa più divertente e bella che mi sia
capitata di fare e voglio dimostrare a me stesso che posso arrivare in
alto, grazie alla mia passione.
Mio
padre e mia madre mi stanno crescendo per diventare l'erede della ditta
di famiglia, sono il loro unico figlio e vogliono che io sia
all'altezza di tale compito. Li accontento, studio, faccio ogni cosa
che mi chiedono e sto al mio posto, ma quando si tratta di fare
qualcosa per me stesso... bé, gioco a calcio.
È
una passione da bambini che in questo momento, per me, conta
più degli studi che faccio e delle cose da grande che i miei
mi stanno insegnando.
Credo
che per ora l'unica cosa che io abbia veramente in testa è
questo sport.
So
che sono ancora piccolo ma so anche che se faccio qualcosa con
determinazione e serietà, mettendoci impegno e tutto
ciò che serve, il mio futuro è rappresentato
proprio da quello che ora per me è solo un gioco.
Da
grande è questo che voglio fare, il calciatore, quindi io
ora vivo in funzione di questo desiderio.
So
di potercela fare, nient'altro conta...
No,
state tranquilli, mamma e papà... non verrò a
meno ai miei doveri in qualità di figlio, ma se un giorno
potrò scegliere, è questo che farò.
Il
calcio è semplicemente il mio sogno e per far sì
che si realizzi so che devo impegnarmi seriamente e dar fondo a tutte
le mie doti, migliorare e migliorare sempre più. Devo
eccellere in ogni aspetto del calcio, è importante.
Per
ora è solo un gioco, un sogno, ma un giorno sarà
la mia realtà, ecco perché non posso riposare
negli allori, ora.
È
questo che, giorno dopo giorno, mio padre mi insegna... a prendere
seriamente ciò che per me è una cosa seria,
ciò che per me conta veramente.
Gli
allenamenti giornalieri si sono conclusi, sono stanco, oggi
più delle altre volte. È un periodo in cui mi
sento sempre più fiacco, sarà perché
ho aumentato il ritmo degli allenamenti, chissà...
però mi sento sempre più senza forze, ultimamente.
Sarà
meglio andare a riposarmi, ovviamente tornerò a casa
correndo.
Ed
eccomi qua palla al piede a correre nonostante il fiato mi venga sempre
meno, di solito ce la faccio comunque, perché ora mi sembra
così difficile arrivare alla mia meta?
C'è
qualcosa che non va, sudo freddo... non è da me ridurmi in
questo stato. Mi sto forse sforzando troppo?
Per
qualche ora in più di allenamento settimanale, sono
così malmesso?
Non
capisco... davvero...
Non
mi faccio cogliere dall'ansia ma intuisco subito che qualcosa non va e
prima che la ragione vinca sulla mia volontà, una fitta al
petto mi fa comprendere che è troppo tardi. Si espande al
braccio sinistro e alla bocca dello stomaco.
È
solo un momento velocissimo.
Non
vedo nulla e nessuno di quelli che mi circondano, non so chi mi sta
guardando e cosa pensa, so solo che mi fermo all'istante e che la palla
scorre via senza di me.
So
solo che mi fa male il petto e che me lo sto tenendo lì,
all'altezza del cuore.
Cosa
significa?
Sono
solo un bambino...
Qualcuno
me lo può spiegare?
Le
domande mi divorano insieme al dolore lancinante che mi trafigge il
petto, non respiro più e se non fosse per chi mi sorregge,
sarei caduto a terra.
La
palla si allontana sempre più scivolando nella collinetta a
fianco... va così distante...
Per
un momento mi sembra che questo corrisponda al mio futuro, la palla che
va via da me ed io che non posso più raggiungerla.
La
palla... il mio sogno... il mio futuro...
E
per la prima volta, nella mia breve vita, capisco cosa prova mia madre
nei suoi attacchi di panico che mi sembravano così
incomprensibili.
Il
non controllo totale su me stesso mi colpisce, non riesco a
riprendermi... questa è ansia?
Come
si guarisce?
Voglio
tornare come prima, voglio che tutto vada a gonfie vele. Voglio
riprendere a giocare a calcio, a correre, a saltare e a dimostrare chi
sono veramente, non solo un figlio di mio padre, ma uno che si
costruirà un nome suo.
No,
non ce la faccio.
Non
ci riesco...
Sono
sempre più lontano dalla mia volontà e dal mio
desiderio... come faccio?
Cosa
posso fare?
Che
buio... ho paura... ho freddo... sto male...
Sto
veramente malissimo.
Ho
passato tutta la giornata seduto sul letto dell'ospedale a guardare nel
vuoto. Forse questo vuoto è anche dentro di me, forse in
realtà sto guardando me stesso.
Cosa
significa che il mio cuore è malato e che non
potrò più fare certi sforzi?
Che
dovrò passare la mia vita a riposo, che alcune cose me le
devo scordare?
Cosa
significa veramente?
Che
farò il panchinaro per il resto dei mie giorni?
Sono
solo un bambino, mi hanno spiegato alla larga cosa mi è
successo e cosa dovrò fare, poi i grandi si sono allontanati
parlando nei dettagli di me. Mi hanno escluso, mi hanno lasciato fuori
perché sono piccolo e non posso certo capire tutto.
Però
io ho delle domande, chi risponderà a queste mie domande?
E
i miei sogni?
Il
mio futuro?
I
miei desideri?
Quello
che io VOGLIO FARE seriamente?
Ora
seriamente dovrò solo ascoltare il mio cuore e fermarmi
quando accelera troppo.
Ora
questa sarà la mia sola preoccupazione.
Niente
giochi da bambini, niente corse, niente salti, niente divertimento,
niente cose normali... niente di quello che, ero convinto, dovesse
essere la mia vita.
Mia
madre si agita al di là di quella porta ed io ho ancora
tutte le domande senza risposta.
Sono
solo, a guardare il vuoto, mentre mi sento uno straccio.
Non
è possibile.
Non
è veramente possibile.
Mi
rifiuto di crederci, io voglio fare altre cose, io voglio giocare a
calcio, posso farlo, mi chiamano principe del calcio perché
non è solo una mia illusione, non sono io che dico che posso
giocare a calcio, è un fattore obiettivamente vero... sono
capace di praticarlo e lo faccio bene, per essere uno della mia
età.
Non
è vero?
Che
qualcuno risponda alle mie domande... potrò ancora giocare a
calcio?
Ditemi
di sì.
Ditemi
che sono un bambino normale e che posso fare le cose che fanno tutti.
Ditemi
che posso seguire il mio destino, un destino dove sicuramente sono
veramente il principe del calcio, dove sono veramente qualcuno. Ditemi
che posso.
Ditemelo...
Ma
è quando mi dicono che potrò al massimo giocare
qualche minuto a partita, che comprendo a fondo cosa significa.
La
mia vita sarà vissuta solo a metà.
Per
sempre?
Per
sempre?
Rinunciare...
eh no, un bambino non dovrebbe scontrarsi già con questa
parola, non dovrebbe... io ho le capacità, ho la bravura, ho
il talento per fare ciò che mi piace sopra ogni cosa. Non
può mancarmi proprio la possibilità fisica.
Non
può... questo non l'avevo programmato.
Questo
no...
E
le lacrime scendono dai miei occhi.
Su
tutto ciò che mi brucia maggiormente di questa storia, non
è la possibilità di perdere la vita facendo
sport, ma quella di non fare quel che amo per poter vivere.
È
vita questa?
Vivere
senza fare quel che mi piace davvero è vita?
Ce
la potrò mai fare davvero?
È
un incubo... non può che essere così.
È
solo un incubo.
Svegliatemi.
Il
sole sorge anche oggi ed il mio cuore continua a battere.
Forse
è stato veramente un incubo.
Ogni
giorno me lo sono ripetuto.
Finché
non mi tornerà un altro attacco di cuore mi rifiuto di
credere che quel medico abbia ragione, anche se è il
più bravo del Giappone ed è amico di mio padre.
Non me ne importa.
Io
non sono più stato male. Certo, non mi sono nemmeno
più allenato però. Sono sempre rimasto in campo a
dirigere i miei compagni facendo finta di fare quel che fanno anche
loro, ho sempre fatto così da quando ho scoperto della mia
malattia.
Non
l'ho detto a nessuno.
Gli
unici a saperlo sono i miei genitori, il medico, la mia manager e
l'allenatore. Ho voluto tenerlo segreto per non essere guardato come un
disabile o un malato, preferisco che rimanga tutto un segreto.
Se
non lo dico a nessuno c'è ancora la possibilità
che un miracolo accada e che mi accorga che era tutto solo uno scherzo.
Però
non mi sono più veramente allenato e nelle partite che gioco
scendo in campo solo per dieci minuti facendo finta che sia una tattica
di squadra, mi affido al mio talento perché non posso
fidarmi del mio fisico visto che non mi alleno come invece dovrei.
La
fama di presuntuoso che pensa di poter battere gli altri in dieci
minuti, salva quella che potrei avere di campione di vetro.
Invece
che con occhi di sfida mi guarderebbero tutti con pietà e
magari mi farebbero vincere apposta.
Non
lo sopporterei, sarebbe la cosa peggiore.
Già
convivere con una cosa simile per me è insopportabile ma ce
la sto facendo, lentamente, grazie a chi mi sostiene con discrezione.
Però se dovessi ricevere gli sguardi caritatevoli e
dispiaciuti degli altri starei veramente male, finirei per arrabbiarmi,
penso.
Vivo
sempre sul filo del rasoio in molti sensi, tengo tutto sotto controllo,
il mio cuore, il mio umore, i miei modi di fare, il mio carattere, il
calcio ed i miei compagni... non c'è nulla che sfugga al mio
controllo e con freddezza sto imparando a vivere in questo modo. Ma non
sono io.
Questo
non ero io.
Sospiro.
In
fondo è l'unico compromesso per poter ancora giocare a
calcio.
Lo
faccio contro tutti, consapevole del rischio che corro.
Non
sono uno sciocco e nemmeno un adulto, forse è questo che mi
permette di essere incosciente quel che basta per fare ancora quel che
voglio. Sono consapevole che rischio molto, ma sono disposto anche a
questo.
Sono
disposto a rischiare anche la mia vita per sentirmi veramente vivo.
Il
mio non è un capriccio, è solo sopravvivenza, la
sopravvivenza dell'anima.
Morirei
seduto in panchina o in tribuna a guardare gli altri che giocano il mio
calcio.
Mi
immaginerei la partita giocata da me e mi farei ancora più
del male.
Pur
di rimanere veramente vivo sono disposto anche a questo e non mi
interessa di essere più o meno compreso, vado avanti per la
mia strada, con fatica e sicurezza.
Sicurezza...
per quanto lo si possa essere camminando su una strada di uova.
In
fondo l'apparenza è solo uno dei mezzi che ho per andare
avanti nel modo che desidero, anche se in realtà
è solo un ripiego perché il mio vero sogno ho
dovuto metterlo da parte.
Sono
sceso a compromessi con me stesso pur di non arrendermi veramente, l'ho
fatto solo per me stesso.
Sono
egoista, lo so... se mi succedesse qualcosa solo per giocare a calcio i
miei genitori ne soffrirebbero e a me dispiacerebbe anche per loro, ma
questa vita devo viverla io, con le menomazioni con cui sono nato,
quindi non mi rimane scelta che cercare di essere felice almeno per
dieci minuti al giorno.
Almeno
questo...
Non
mi rimane altro.
Ma
finché il mio cuore batte non smetterò di
muovermi ed anche quando mi farà male non
cesserò, finché ci sarà anche solo un
minimo cenno, qua dentro, di me io andrò avanti facendo quel
che mi piace, quel che amo.
Questo
è il calcio.
Non
so come sarà il mio futuro né se ne
avrò uno, so solo che ora sono vivo e voglio dimostrare a me
stesso di esserlo veramente.
Questo
è il mio metodo.
Ecco
perché ho fatto una scelta.
Questa
scelta mi è costata molte notti insonni ma non me ne pento e
non me ne pentirò mai.
Ne
sono sicuro.
Sono
cresciuto con serietà e maturità, so di essere
mentalmente più grande dei miei coetanei, grazie alla mia
malattia, quindi sono uno che, se non è sicuro di
sé stesso al cento per cento, non agisce.
Quando
faccio qualcosa è per egoismo e per la convinzione che ne
vale la pena e può valerla per diversi motivi.
Non
smetterò mai di cercare di essere felice.
Ecco
qual è la mia decisione.
Non
si tratta di battere Tsubasa ma solo di confrontarmi con lui,
sarà come confrontarmi col mio destino.
Un
destino sadico che si diverte molto con me.
Il
destino avrà la faccia di Tsubasa e giocherò
tutta la partita.
So
che così facendo, probabilmente, non potrò
più giocare a calcio ma una sfida con me stesso ed il mio
cuore non può che essere così drastica.
Non
è un gioco come per tutti gli altri, per me non è
mai un gioco.
Per
me è vitale.
Così
con la mia serena e sinceramente felice decisione, scendo in campo
contro la Nankatsu e contro il mio ultimo rivale.
Non
so cosa sarà di me ma finché la palla
correrà ed il mio cuore non si fermerà, io
giocherò e segnerò e dirigerò i miei
compagni.
Non
mi fermerò, perché è quello che mi
porterò per sempre con me, anche quando forse non
potrò più muovermi, e se non devo più
muovermi per qualche motivo, voglio che questo motivo sia quello scelto
da me, un ricordo dalla potenza tale da valere per il resto dei miei
giorni.
Questa
è la mia decisione.
Non
me ne pentirò, lo so.
Questa
sarà la mia ultima partita di calcio e sarà il
giorno più fantastico della mia vita, non potevo andarmene e
non averne uno.
Non
potevo proprio. Anche se sono piccolo voglio assicurarmi di avere un
giorno che è il più bello di tutti, per me, e non
può che essere giocando a calcio per intero, fino in fondo,
con tutte le mie forze, il mio talento e le mie capacità.
Con
tutto me stesso.
Perché
per me calcio è vita, poiché vita è
felicità e felicità è calcio.
Per
me è così e per oggi non sarò solo un
bambino ma una persona che affronta il suo destino sfidandolo con seria
convinzione.
Perfettamente
consapevole di tutto.
Di
tutto.
Ti
prego, affrontami... non puoi lasciarmi così. Tu sei il mio
destino, non puoi abbandonarmi così.
Vola,
Tsubasa, vola..
Prova
a fermarmi...
Gli
vado incontro con la palla al piede apposta per vedere se mi
fermerà, ma lui è davanti a me ed impietrito non
muove un muscolo mentre mi guarda sorpassarlo.
Io
e la palla ci allontaniamo da lui e nell'istante in cui lo sfioro col
braccio, chiudo gli occhi.
Ormai
questa partita è finita e con lei la mia sfida a me stesso,
al mio cuore ed al destino.
Segno
mentre la rabbia si impadronisce di me al posto della delusione, poi mi
rivolgo alla sua squadra ed alla mia, arrabbiato, urlando come forse
nessuno mi ha visto. Sono molto secco e diretto e tutti mi guardano,
stupiti, mentre mi rimetto in posizione di gioco.
Che
non sia l'ultima mia partita?
È
tutto qua quello che mi rimane di sperare?
Che
questa sarà una partita facile ma non la più
bella, non quella che pensavo mi desse la felicità?
È
tutto qua?
Allora
la MIA partita sarà un altra.
Non
so, quel che so, però, è che Tsubasa mi ha deluso
ed anche se è colpa della manager che gli ha detto del mio
cuore, si sta comunque rivelando solo uno come tanti che mi dimostra
pietà e che non riesce a guardarmi negli occhi sapendo del
mio handicap.
È
stato uno spreco inutile scendere in campo oggi, sarebbero bastati
dieci minuti, è stato tutto inutile.
Tutto.
Questa
consapevolezza mi rode, mi infastidisce, mi brucia dal profondo.
Perché
è andata così?
È
mentre penso a questo che interviene Wakabayashi da bordo campo.
Anche
lui è molto arrabbiato e cerca di scuoterlo, a lui si unisce
Misaki e poi i suoi compagni di squadra ed un altro suo amico.
Osservo
la scena mentre tutti quelli per cui lui conta, si impegnano anche solo
con le parole per tirarlo su.
Tira
fuori le tue ali, Tsubasa, non farmi buttare via questo che doveva
essere il giorno più bello della mia vita.
Fallo
per me.
È
poi con una certa felicità che lo vedo rialzarsi e con
risoluzione riprendere la palla in mano.
La
sua promessa che lascia ai suoi amici, ma mi arriva direttamente al
cuore. È la mia promessa, questa.
E
così non sei finito, eh?
Allora
dimostramelo e non farmi pentire di averti scelto come mio rivale.
Non
ho mai scelto nessuno, non ho mai potuto permettermi un lusso simile,
ma ora è diverso.
Tu
sei diverso, dimostramelo.
La
partita riprende con un altro ritmo e Tsubasa riduce subito il distacco
di reti che gli avevamo lasciato, ne sono felice, davvero, e con questo
entusiasmo che da tempo non provavo, che speravo mi invadesse, mi
rimetto all'opera.
Lui
è bravo ma io ho ancora molte carte nella mia manica, non
sono finito, ho ancora qualcosa da farvi vedere e proprio mentre mi
appresto con decisione e forza alla prossima azione vincente, un
battito salta nel mio petto, bloccandomi senza fiato.
È
solo un istante, riesco a passare con naturalezza ad un mio compagno ma
non seguo l'azione.
Rimango
per un attimo immobile ad ascoltare il mio cuore.
Cosa
succede?
È
già scaduto il tempo?
No,
ti prego, resisti ancora.
Respira,
Jun, respira.
Ecco,
ora il cuore è tornato come prima. È affaticato
ma c'è, non mi molla ed io non mollerò
ciò che amo, non ancora.
La
mia sfida non è ancora finita.
Mi
ripassano la palla ed è proprio quella a ridarmi la
consapevolezza di me, di nuovo, e a rifarmi muovere.
Muoviti
ancora, Jun.
Muoviti.
La
pioggia cade e limita i miei movimenti, siamo verso la fine del secondo
tempo ma io devo muovermi ancora.
Dannazione,
sono troppo affaticato.
Dannazione.
Ce
la devo fare.
Continuo
a non perdere controllo su me stesso ma anche se riesco a superare gli
avversari, Tsubasa mi prende la palla.
Il
cuore non si è fermato.
Il
cuore va.
Muoviti
Jun.
Faccio
per girarmi e rincorrerlo ma le forze mi abbandonano per un attimo, mi
accascio a terra ed il consueto dolore al petto che riconosco mi mette
in ginocchio, piegato su me stesso.
Male.
Male
al petto.
Me
lo stringo sperando che basti.
Finirà,
vero?
Finirà
questo dolore, non può continuare.
Non
sono ancora finito.
Non
lo sono.
Non
so come prosegue l'azione, vorrei seguirla ma non riesco, stringo gli
occhi e mi concentro su me stesso.
Muoviti
ancora, Jun.
Riprenditi
e muoviti.
Dai.
Non
sento nulla. Né voci che mi chiamano né persone
che mi accerchiano.
Solo
la voce del mister che chiede la sostituzione mi ferma e mi impongo di
rialzarmi.
Cerco
di parlare e di bloccarli.
Gli
faccio capire che non voglio essere sostituito.
È
appena ora che Tsubasa si è ripreso, non posso uscire, non
posso andarmene ora, questa è la mia partita, non posso
andarmene,
Tsubasa
si è svegliato ora.
Li
convinco e con il benestare di mio padre mi rialzo, tenendomi il petto
e spiegando a tutti della mia condizione.
È
solo una partita di calcio, gli occhi di tutti i presenti pensano
questo.
Non
vale la pena di rischiare a questo modo...leggo questo nei loro
pensieri.
Non
capiscono.
Per
me non è solo una semplice partita.
Per
me il calcio è molto di più.
Questo
mi darà la risposta... dovrò passare la mia vita
in panchina?
La
mia felicità saranno solo dieci minuti per volta?
O
cosa sarà?
Voglio
le mie risposte, il calcio me le darà.
La
partita riprende e rimango fermo cercando una stabilità per
riprendere a muovermi, ma vedo Tsubasa venirmi incontro con il pallone,
è la sua sfida, proprio come ho fatto prima io con lui.
Ma
anche se mi ordino di fermarlo gli arti non mi rispondono, rimango
immobile contro la mia volontà.
Non
basta?
Non
basta volerlo con tutto me stesso?
No,
non basta.
Tsubasa
mi sorpassa e mi schizza di fango correndo ed io rimango immobile senza
riuscire a muovermi e a fermarlo.
È
una sensazione terribile.
L'impotenza
del movimento.
Impotenza
totale.
Devo
arrendermi così?
No,
non sarà così.
Con
rabbia perdo il controllo di me stesso e, sempre stringendomi il petto,
grido di passarmi la palla che un mio compagno ha recuperato quindi,
una volta ricevuta, mi sembra di riscuotermi, di rinascere.
È
questo che mi tiene in vita, una palla da calcio e la rete in cui
segnerò.
Finché
riuscirò a muovermi lo farò perché
è tutto ciò che mi tiene vivo. Ecco
perché dando fondo a tutto quel che mi rimane, senza
ascoltare i richiami del mio cuore, tiro fuori ciò che
probabilmente non avrei mai tirato fuori in condizioni normali.
Amore,
voglia di farcela, tenacia e dolore.
Dolore
per me stesso.
Non
sono finito.
E
segno quello che probabilmente sarà il mio ultimo goal.
L'ultimo.
Ma
ce l'ho fatta, il destino non mi ha ancora battuto.
Siamo
ancora in vantaggio.
Realizzo
solo questo, poi calo nel buio totale.
Non
ho la forza di alzare il braccio e mettere la mia mano sul cuore, non
sono nemmeno sicuro di sentirlo.
Respiro?
Il
cuore batte?
Dove
sono?
È
un attimo di sospensione totale.
Un
attimo in cui non so assolutamente dove sono e mi cerco, cerco in me
stesso, cerco intorno a me, cerco.
Devo
esserci.
Esisto
ancora, lo so.
È
così.
Muoviti
ancora, Jun.
E
dopo aver cercato muovo la mano. Ecco, lo sento. Sento il mio movimento.
Mi
muovo ancora.
Il
cuore... appoggio la mano sul mio petto... si, il cuore batte ancora.
Ora
lo sento.
I
battiti interiori mi rimettono alla vita e la prima cosa che vedo sono
gli occhi preoccupati di Tsubasa.
Sorrido
felice, era questa la sensazione che volevo.
Va
tutto bene, il mio cuore non mi ha ancora abbandonato ed ho fatto
veramente quel che volevo, fino in fondo, con tutto me stesso.
Sono
felice.
Ce
l'ho fatta.
Questa
è la mia vittoria, indipendentemente dal risultato finale.
Forse
Tsubasa vincerà, ma io farò quel che è
possibile per impedirlo. Dirigerò dalla porta la mia squadra
e non mollerò comunque, nonostante tutto.
Lo
farò e quando finirà questa partita, vincente o
perdente che io sia, non mollerò.
Il
calcio mi ha dato la mia risposta, non sono finito ed un giorno
sconfiggerò la mia malattia.
Ne
sono certo.
Non
smetterò di giocare.
Eppure
ho ripreso a giocare, anni dopo, e di volta in volta mi sono sempre
dovuto fermare.
La
mia felicità è questa, qualche minuto di gioco
ogni tanto e poi anni di riposo lontano da ciò che amo
veramente.
Ho
le capacità ma non le possibilità... e lontano
così tanto dagli allenamenti e dallo sport, anche se
riprendo sempre, non riesco a raggiungere il livello in cui dovrei
essere.
Non
dovrebbe essere così, non dovrebbe... ma le cose sono andate
in questo modo e non c'è niente da fare, io lotto, non mi
arrendo, continuo a muovermi e a giocare, lo faccio con
serietà ed un pizzico di follia ma, principalmente, con
egoismo.
Lo
faccio e non ho rimpianti.
A
costo di perdere qualcosa di importante, ciò che conta
veramente è non morire mai dentro; eppure è
così faticoso doversi mettere da parte in questo modo.
Guardo
dalla panchina o dalla tribuna le partite degli altri e mi chiedo
quando toccherà a me, alleno e dirigo da bordo campo ma non
è la stessa cosa. Anche se guarirò davvero non
sarà come se avessi giocato per tutta la vita al pieno delle
mie forze... e nonostante io abbia dovuto fermarmi così
tanto e limitarmi, il soprannome di Principe del calcio e Campione di
vetro, non mi abbandonerà mai.
Cosa
sarei se non avessi avuto la mia malattia?
La
mia vita è questa, metà soddisfazione,
metà gioco, metà felicità.
Però
nel mio cuore porterò per sempre il giorno più
felice della mia vita.
Quella
partita contro Tsubasa, contro il mio destino, contro me stesso.
Non
so se ce la farò a vincere la mia malattia, ma il calcio
è l'unica mia felicità ed anche se ormai sto al
mio posto, come ci sto sin da piccolo, non rinuncerò alla
mia vita, non posso.
Non
rinuncerò al calcio.
A
qualunque costo.
Mi
muoverò ancora.