QUANDO CALA LA SERA


L'ombra Del Giorno/ Shadow of the day

Chiudo entrambi i lucchetti della finestra
Tiro le tende e me ne vado
Certe volte le soluzioni non sono così facili
Certe volte dire addio è l'unica strada
E il sole tramonterà per te
Il sole tramonterà per te
E l'ombra del giorno
Abbraccerà il mondo d'oscurità
E il sole tramonterà per te
E con bigliettini e fiori
I tuoi amici ti pregheranno di restare
Certe volte gli inizi non sono così semplici
Certe volte dire addio è l'unica strada
E il sole tramonterà per te
Il sole tramonterà per te
E l'ombra del giorno
Abbraccerà il mondo d'oscurità
E il sole tramonterà per te
E l'ombra del giorno
Abbraccerà il mondo d'oscurità
E il sole tramonterà per te
E l'ombra del giorno
Abbraccerà il mondo d'oscurità
E il sole tramonterà per te

/Shadow of the day – Linkin Park/


- Mac, Danny conosceva una vittima trovata stamattina a pochi isolati dalla sparatoria, si tratta del piccolo Ruben Sandoval! - Sheldon mi dice solo questo dopo essersi precipitato a cercarmi, non serve che dica altro, capisco perfettamente perché ha cercato proprio me. Danny dev'essere sconvolto e Danny sconvolto non è facile da calmare ma va calmato prima che faccia qualcosa che non deve fare. Ma non è solo per questo.
Non gli faccio dire nient'altro se non il luogo in cui si trova, poi corro dicendo di lasciarci soli. Lui quindi si ferma e non mi segue più.
Ecco perché l'ha detto a me. Sono certamente l'unico che può calmare Danny in quegli stati, l'unico la cui presenza non lo infastidisce e funge da tranquillante, ma è così non solo perché lo conosco bene e so come prenderlo, è così perché anche se non l'abbiamo mai reso pubblico, credo che qualcuno ben sveglio l'abbia capito da sé e noi non ci siamo mai preoccupati di smentire nulla.
Io e Danny stiamo insieme e non oso immaginare che periodo passerà d'ora in poi... oh, se solo potessi cancellarglielo...
Quando arrivo da lui è fermo davanti alla vetrata della sala autopsie, a pochi metri da Sid che si occupa del corpo del piccolo Ruben.
Era un bambino, avrà avuto sui 10 anni... mio Dio...
L'affianco silenzioso osservando per un po' dove il suo sguardo addolorato si perde, i suoi occhi lucidi e rossi indicano che ha pianto e non si darà pace per un bel po'. Posso immaginare tutto, posso sapere perfettamente ciò che dirà, come e cosa penserà. Posso sapere anche come si sente. Però non posso vivere al posto suo questo momento di dolore anche se vorrei, vorrei veramente per sollevarlo.
Ma so che non c'è nulla che nessuno, nemmeno io, possa fare per lui.
Però so che la mia presenza è meglio di quella di chiunque altro.
So anche questo.
Così sto qua nell'unico modo in cui io starei, con le mani lungo i fianchi a guardare estremamente serio e grave il corpo di quel bambino privo di vita.
Mi dispiace Danny, ma dirtelo non ti farebbe stare meglio, vero?
Hai bisogno di essere riportato alla realtà, che qualcuno ti dica cosa hai fatto senza lasciarti le tue convinzioni, convinzioni che ora arriveranno come proiettili.
Così lo guardo mentre lui comincia.
- Io l'ho visto. - Ha un tono molto basso ed incisivo, ringhia a tenti stretti senza distogliere lo sguardo dal suo amico. - Io l'ho visto. - Ripete senza darsi pace. Preme maggiormente sulle parole e mentre prosegue gesticola nervoso, gli occhi sempre più lucidi ma ancora una lacrima non esce, bloccata per il momento dopo lo scoppio che io so ha avuto.
- Stava bene. - Continuo a guardarlo e lui continua a guardare al di là del vetro, poi distoglie brevemente lo sguardo per mimare il piccolo che corre via in bici davanti ai suoi occhi accompagnato dal suo sguardi basso, come lo vedesse lì, e dalla sua voce che si incolpa rotta da uno scoppio che vorrebbe tornare: - L'ho visto, è montato sulla bici davanti a me. - Poi torna a fissare là, quel bambino non riaprirà gli occhi perché tu lo guardi ed osservare la sua autopsia è quanto di più doloroso da sopportare. Infila le mani in tasca che poi torna a tirare fuori, sempre fra i denti continua il suo monologo di colpe: - Oh, non dovevo fermarmi. Non dovevo fermarmi. Perché mi sono fermato? Dovevo assicurarmi che il bambino tornasse a casa salvo! -
Come sapevo che avrebbe detto questo... non mi resta poi che raccogliere questi suoi primi pezzi che sparge per terra davanti a me, pezzi di sé stesso, un sé stesso che nei rapporti e nelle cose da tutto sé stesso... e quando soffre, di lui, finisce che non rimane più nulla.
Lo guardo e mormoro con voce bassa e penetrante sapendo che a me lui mi ascolta.
- Ruben era a un isolato e mezzo dal tuo palazzo. C'era un uomo ferito a terra. Justin Scott aveva bisogno del tuo aiuto. Hai agito in base all'istinto, Danny. - Ma di slancio ribatte, cosciente che quel che dico è effettivamente reale, troppo.
- Oddio, vorrei non averlo fatto. Vorrei non averlo fatto. - Poi finalmente, sempre con quell'aria contratta e distrutta, si gira verso di me del tutto, siamo molto vicini e mi guarda dritto negli occhi, cosa che faccio anche io. Fa quasi paura questo suo sguardo però lo sostengo. Sostengo questo suo dolore palpabile, sono abituato a farlo ma per fortuna non succede troppo spesso. Poi spara un altro proiettile con la sua voce incisivamente sussurrata: - Stamattina gli avevano appena benedetto la bicicletta. - Come se non ci credesse, visto che è stato proprio su quella bicicletta che si è preso il proiettile...
È quando sente la porta aprirsi e vede entrare Linsday che se ne va svelto, senza intenzione di vedere nessun altro che me. Senza forza per sopportare altri che non sia io.
Sospiro impercettibilmente guardando la sua schiena sparire al di là dell'altra porta. Vorrebbe solo poter sparire con tutto questo dolore, dolore così palpabile che riesce a trasmettere anche a me.
Così lo lascio andare e torno a guardare il suo piccolo amico. Le cose non cambieranno in nessun modo. Anche se lo vorrei con tutto me stesso, per lui.
Però questa è la croce di noi uomini, impossibilitati a cancellare la sofferenza, obbligati solo a sopportarla fino alla fine.“

“Non posso crederci, non è umanamente sopportabile.
Più le ore passano e più mi rendo conto che se non uscivo con lui, questa mattina, per benedire quella sua bicicletta, non sarebbe finita male.
Era affidato a me, dannazione, e sua mamma me l'ha dato perché mi conosce e sono un poliziotto!
Dannazione, io non gliel'ho più riportato. Ma come è possibile?
Come faccio?
Quando gliel'ho detto non sono riuscito a far altro che sedermi lì con lei e piangere sul pavimento del corridoio per le restanti ore notturne.
E l'alba è così tornata, mentre la prima notte mi ha visto versare così tante lacrime che forse questo senso di vuoto è dovuto al fatto che non piangerò più perché non possiedo altre lacrime. O magari ora verrò riempito di altro dolore, di altro rimorso, di altri sensi di colpa.
È giusto che io stia male, è colpa mia, dovevo andare avanti anche se Mac ha ragione, ho agito in base all'istinto, dannazione... ma perché diavolo non penso mai? Non ho potuto fare nulla per quell'uomo, non era morto... se avessi accompagnato di corsa Ruben mi sarei accorto che era ferito e magari potevo salvarlo.
E per tutta la notte, questi 'se' mi hanno divorato. Continuerò per tutta la giornata?
No, ho bisogno di un'ancora di salvezza. Ne ho bisogno.
È stata la telefonata di Mac a farmi alzare da là e accompagnare la madre in casa.
Mac mi ha detto di prendermi un po' di tempo libero e rimanere a riposare. Non mi ha chiesto come va perché lui non dice cose inutili ed idiote, lui sa come sto e chiedermelo sarebbe sciocco. Vorrei essere più come lui, a lui non sarebbe successo...
Quando ho messo giù mi sono reso conto che al di là di quel muro non c'erano le urla del bambino che faceva i capricci. E se da casa mia non l'avessi più sentito mi sarebbe mancato... così la mia anima ha gridato ribellandosi di nuovo.
Dov'è la mia ancora?
Ho bisogno di Mac... non posso starmene qua… non ce la faccio proprio…

Quando dopo averlo cercato lo trovo nel suo ufficio intento a studiare qualcosa in piedi davanti al computer, entro e subito lo sguardo che mi da mi fa sentire lievemente meglio. Questo masso è più sopportabile con lui accanto, anche se non ha poteri magici per togliermi questo dolore, con lui lo posso portare meglio che se sto solo, specie se sto in casa mia.
Non mi sono sognato di entrare da me, non potevo rimanere là, Ruben era il mio vicino di casa, dannazione. È come se fossi scappato e tutto ciò che sento è questo rimorso insopportabile.
Insopportabile.
- Pensavo di averti detto di prenderti un po' di tempo libero. – Mi dice con calma e pacatezza quando l’affianco sempre ricambiando il mio sguardo. Sospiro e guardo in basso, mi sistemo gli occhiali con un gesto vuoto e poi ripenso all’idea di starmene chiuso in casa a dormire. Non ha importanza se non ho ancora chiuso occhio e se ieri ero arrivato a casa alle 5.30 e Ruben mi ha svegliato alle 7.30, ora non potrei mai stare là dentro, così mantenendo un tono molto basso e controllato, sconsolato, sussurro:
- L'hai fatto ed io non voglio proprio andare a casa. È perché non voglio percorrere quel corridoio in questo momento. Non sentirò le risate di quel ragazzino dall'altra parte muro, sai? Che piange quando non vuole andare a dormire. Ho solo paura che mi mancherà. – E mi sta divorando, questa paura… ma prima o poi dovrò affrontarla, è questo che stai pensando, vero?
Ma io come faccio ad andare a casa?
Come faccio a passare per quel corridoio?
Come?
Vedo i suoi occhi comprensivi e dolci su di me, non sempre ha questo sguardo ma con me, quando io sto male, e lui lo sente sempre quando io sto male, lui lo sa ogni volta, è con me e mi guarda in questo modo assorto e presente al tempo stesso, senza perdersi un solo attimo o centimetro di me. Facendomi sentire ancorato a qualcosa di reale che mi ama.
Questo è il suo modo di esserci e consolarmi.
Non risponde e non insiste più, lo sa che non andrei mai a casa, così dopo un attimo torna ad occuparsi di quel che stava facendo prima rendendomi partecipe.
Dovrei ringraziarlo, specie perché so che non è tutto qua quel che farà per me, ma dovrei farlo perché continua a capirmi e a starmi vicino senza sparare grosse parolone ad effetto, non ci prova nemmeno, sa che con me sono inutili.
Ma lo sarebbe anche un mio grazie…
Però grazie lo stesso, Mac… non sono bravo in certe cose eppure nonostante stia così male lo riconosco... ci sei e sei qui per me.
Grazie.”


“La giornata è finita e finalmente a casa cerco di rilassarmi, sono stati dei duri giorni ma avrei preferito che Danny venisse da me. Ha detto che doveva andare in un posto e senza aggiungere altro è andato via. Spero possa trovare un modo per stare meglio e che tutti quei sensi di colpa smettano di mangiarlo, non è colpa sua e deve capirlo. O meglio in parte potrebbe esserlo però lui non poteva agire diversamente ed anche se liberamente parlando è ovvio che poteva, il suo istinto di poliziotto ha deciso per lui e così le cose sono andate da sole. È inutile che pensi ai ‘se’, io stesso avrei agito da poliziotto… però è atroce sopravvivere ad una cosa simile, specie se conosci la madre che ti ha affidato suo figlio con tranquillità.
Lo capisco bene e facendo questo lavoro ne ho passate di molti tipi, specie nella mia vita al di fuori del lavoro.
Sospiro mentre mi tolgo la giacca e mi slaccio la camicia come i polsini, non ho molta fame per cui mangio qualcosa di veloce che mi nutra a sufficienza, non ci impiego molto. Dopo di che mi tolgo anche la camicia puntando dritto al bagno, una doccia mi farà bene…
È però quando sto aprendo l’acqua con indosso solo i pantaloni, che la porta suona così mi rimetto solo la camicia lasciando perdere la canottiera intima, non l’allaccio, penso di sapere chi è e quando apro non rimango certo deluso, sapevo che sarebbe venuto.
Sorrido guardando il suo viso ancora stravolto di lacrime che cerca di far cessare senza molto successo.
È un sorriso dispiaciuto quello che gli porgo, poi allungo la mano, prendo la sua e l’attiro dentro chiudendo la porta, nel mentre faccio scivolare l’altra dietro al suo collo attirandolo a me. Gli appoggio la fronte alla mia spalla e poi la testa alla mia.
Nessun respiro fra noi se non i suoi singhiozzi silenziosi e la sua presa sui miei fianchi, stringe fino ad abbracciarmi del tutto in modo bisognoso e disperato.
Ha resistito molto e penso che si sia anche abbastanza consumato dalle lacrime, prima di venire qua.
Chissà, forse sperava di riuscire a farcela da solo o magari pensava di dover scontare una qualche pena… o magari aspettava solo il picco di dolore massimo. Non ha importanza, io sapevo che sarebbe venuto e senza parole l’accolgo fra le mie braccia con forza, sicurezza e amore.
Non potrei mai lasciarlo solo.
- Sono… sono andato dalla madre di Ruben… sapevo che era in chiesa… anche se è sera ero sicuro di trovarla là… dove abbiamo benedetto la bicicletta ieri mattina. Guardava l’altare e piangeva silenziosamente… io… avrei voluto dirle qualcosa… speravo di scusarmi, di poter finalmente dire che… che se avessi agito diversamente ora… sarebbe vivo… o che avevamo preso il colpevole... però non sono riuscito a dire nulla, nemmeno una parola… e mi sono seduto dietro di lei a piangere… ascoltando quel silenzio e quel dolore… a pensare che era colpa mia… che un giorno prima eravamo insieme lì dentro e… poi il giorno dopo… niente… Mac, non avrei dovuto fermarmi, come potrà mai perdonarmi… me l’aveva affidato, dannazione… non è possibile… prendere il responsabile non ha alcuna importanza davanti a… a questo… Ruben è morto perché l’ho portato là e non l’ho seguito come dovevo… dannazione… dannazione… DANNAZIONE! – Termina ringhiando con voce più alta, premendosi di più contro di me e lasciandomi la spalla tutta bagnata attraverso la stoffa della camicia e poi sul mio collo.
Non dico nulla, respiro appena e gli accarezzo la schiena mentre lo tengo fermo contro di me. Non lo lascio andare, io sono qui con lui ed i suoi sfoghi.
Non era da lui tenersi così tanto dentro e sapevo di non averlo convinto ieri sera, sapevo che continuava a pensare di aver sbagliato e di essere responsabile.
In un certo senso è vero però come gli ho già detto se non avesse soccorso l’uomo ferito a terra, si sarebbe incolpato di qualcos’altro.
In un modo o nell’altro, per lui che ieri non doveva nemmeno lavorare poiché era il suo giorno di riposo ed aveva fatto la notte, sarebbero stati dei brutti momenti.
A volte partono male, queste giornate, altre bene… a volte poi finiscono ancora peggio e ti fai inghiottire dalle paure, però magari arrivi anche a farcela e di minuto in minuto, mentre sei aggrappato alla tua ancora di salvezza, senti che il tuo cuore batte ancora e che ce la stai facendo. In un modo o nell’altro.
Però io, ora, non potrei dirti nulla per aiutarti, lo sai… e se lo facessi non ti aiuterei. Però una cosa voglio dirtela lo stesso e te la sussurro all’orecchio appoggiandovi appena le labbra:
- Passerà… anche se non ti sembra possibile passerà, vedrai… sono qui con te… -
Sembra assorbire queste mie parole e so che come sempre fungo da calmante, smette di singhiozzare e si tranquillizza leggermente, rimaniamo abbracciati così, poi dopo un po’ che riesce di nuovo a parlare, mormora ancora con voce rotta:
- Non riesco ad andare a casa… non ce la faccio davvero, Mac… -
- Puoi stare qui. – Sussurro quindi sempre contro il suo orecchio, questo lo fa rabbrividire istintivamente e come a confermare ciò che so di lui, ovvero che agisce d’istinto più di chiunque altro, infila le mani sotto la camicia aperta a cercare il contatto con la mia pelle, poi febbrile mi toglie del tutto l’indumento premendosi completamente contro di me, cingendomi finendo per diventare parte di me. Non lo mando via e lo lascio fare mentre la mia pelle nell’incavo fra la spalla ed il collo, continua a bagnarsi delle sue lacrime che finalmente cominciano a venire meno.
Dopo un po’ di silenzio in cui stiamo così gli prendo il viso con una mano, gli carezzo la guancia bagnata e gliel’asciugo, sono bagnate anche le sue labbra e seguendo la scia di una che gli esce in questo momento, porto le mie sotto il suo occhio, percorro la sua stessa strada e poi arrivo laddove si ferma anch’essa. Bevo questa goccia salata e gliela lecco via dal labbro inferiore che trema, dopo di che passo su tutta questa morbida superficie calda e umida. Sa di sale e quando riesco a fargli aprire la bocca e premo la mia sulla sua, sento che oltre al sale c’è anche l’amaro.
E finalmente mi viene incontro con la sua lingua, come se avessi innescato una reazione che andrà ampliandosi, ho trovato l’interruttore ed ora troverà un modo per sentirsi meglio.
Ne sono certo.
Il bacio ha inizio così, bevendo le sue lacrime, e continua con un certo bisogno palpabile che mi trasmette, questo suo dolore, questa pace che cerca e sa che potrebbe trovare in me.
Non sono quello che gli darà le risposte che cerca perché non ci sono risposte alle sue domande, ma sono quello che l’aiuterà a convivere con questo malessere.
Anche con l’altra mano che metto a lato del suo viso, lo tengo verso di me mentre apriamo maggiormente le bocche e facciamo questa lotta erotica e disperata con le lingue fino a che per prendermi ogni particella del suo pianto, non succhio via la sua lingua e il suo labbro, così come se veramente bevessi tutto di lui, anche il suo dolore.
Questo è l’unico modo che ho di aiutarlo.
Esserci come lui vuole io ci sia.
Tenerlo con me, curarlo, leccargli le ferite e bere il suo dolore.
Questo è l’unico modo che conosco per lui.
Ed io, per Danny, ci sarò sempre.”

“Con bisogno profondo mi aggrappo a lui, alle sue spalle, alla sua schiena, cerco maggior contatto, voglio sentirlo, voglio che mi faccia tornare alla realtà strappandomi a questo stato mortale in cui sono.
Non riesco a tornare, a riprendermi, a comprendere… domande e domande si sovrappongono, paure su paure, consapevolezze e poi incertezze subito dopo.
È ancora troppo presto per stare bene, non è giusto che io possa stare meglio, mi occupavo più che potevo di quel bambino, lei è una ragazza madre e da sola doveva lavorare e stare anche con lui, così per certe cose, quando potevo, stavo io col piccolo. Eravamo amici, mi trattava al suo pari e mi ascoltava come fossi suo fratello… tanto che mi sono sentito questo quando l’ho visto su quel tavolo d’autopsie… suo fratello maggiore, un fratello che l’ha portato alla morte e non è stato in grado di occuparsi di lui.
Ed ora io cerco di stare meglio… ma con che diritto?
Stanco.
Sono solo stanco… forse cerco pace nella sofferenza, non voglio che i rimorsi svaniscano, non è giusto… però voglio un po’ di pace o penso di esplodere.
E Mac è questa mia pace.
Mac è pace, per me, ma non solo… in questo momento rappresenta il mio mondo. Lo è perché so che mi capisce e potrei ammettere solo qualcuno che mi capisce, ora.
Però… però spero solo che un giorno io possa tornare a casa mia e passare davanti alla loro porta e sopportare l’idea di non sentire quelle sue urla solite che mi facevano compagnia.
Con disperazione bacio Mac e sento che succhia via ogni mio dolore per condividerlo, lo fa davvero o forse è una mia impressione però quando mi circonda la testa con le sue braccia appoggiandomela nel suo petto all'altezza del cuore, queste lacrime smettono di scendere, finalmente, ipnotizzate dai suoi battiti leggermente irregolari ma non veramente alterati. Sono come un canto malinconico che si addice al mio stato d'animo. Vorrebbe darmi tutto quello che ha per aiutarmi.
Sembra sempre duro, freddo, diplomatico, paziente, scostante, calmo e all’altezza di tutto, ma quel che per me è… bè, Mac per me è dolcezza, amore, protezione, realtà, desiderio, unione, pace… per me Mac sta diventando tutto e mi chiedo… se lui non ci fosse mai stato nella mia vita poi dove sarei finito io?
Istintivamente porto le mani alla cintura dei suoi pantaloni e glieli slaccio febbrile. Ora tutto ciò su cui voglio concentrarmi è lui, perché è qua e mi sta aspettando, è qua e non mi caccia, è qua e mi aspettava.
Ed io voglio tutto quello che può darmi in questo momento, ma soprattutto voglio andare in un posto dove starò solo bene, mi solleverò da terra ed arriverò a consegnare la mia anima ed i miei pesi all’unico che potrebbe conservarmeli con cura, solo per stanotte.
- Mac, resta con me… - Come se dovessi chiederglielo davvero…
Sono quindi i suoi pantaloni che scendono giù e poi le sue mani che afferrano i lembi della mia maglia e l’alzano togliendomela, che mi danno la risposta.
Poi di nuovo le sue labbra sulle mie e finalmente pelle contro pelle, respiri che si trattengono e che poi tornano fugaci e alterati.
Lentamente ogni mio pensiero viene risucchiato da lui e dalla sua bocca che prende da me ogni centimetro che diventa suo.
Fino a che non riusciamo a trovarci sul suo letto ed il suo corpo che ricopre il mio mi fa capire quanto lui sia l’unica possibilità per me di restare ancorato a questo mondo senza dare di matto.
Dovrei ringraziare qualcuno per avermelo dato, non so bene, ma al momento riesco solo a pensare a lui ed a queste sensazioni incredibili che mi fa provare.
La sua lingua che passa sul mio corpo, le sue mani che arrivano laddove la sua bocca non passa, le nostre intimità che decidono di unirsi strofinandosi, di nuovo le sue labbra sulle mie e poi questa sensazione di salire.
Gli occhi mi bruciano ancora ma non escono più lacrime, le ha bevute tutte ed insieme ad esse si è preso anche il mio carico.
Per una sola notte mi lascerò cullare così da lui, per una notte mi concederò di non provare altro che quello che lui riesce a farmi provare.
Solo per questa… o veramente non ce la faccio più.
Finalmente mi penetra e proprio come immaginavo, è un strapparmi dolcemente dalla realtà di merda in cui ero, di merda fino a che non sono arrivato da lui.
È un trovarmi a sollevarmi in modo incontrollato e totale e non sentire né pesi né vuoti… è solo sentirmi bene, unicamente bene, fra le sue braccia, con la sua bocca, con lui completamente dentro di me che si muove e mi porta con sé togliendomi ogni pensiero, ogni cosa che non sia ciò che lui mi da.
Si prende e si porta via tutto lasciandomi solo questo suo immenso amore e questa pace che è capace di trasmettermi solo con la sua presenza.
Lo stringo a me e cerco continuamente le sue labbra che mi da, quando abbiamo anche le lingue allacciate giungiamo all’apice e soffocando un lungo gemito, veniamo insieme e quasi con disperazione.
Ci tendiamo tremando, stringo forte gli occhi che ancora mi fanno male, poi nascondo il viso contro di lui che si appoggia su di me, è accaldato e palpita vivo ed emozionato. Appoggio delicatamente le mani sulla sua schiena per accoglierlo e me ne rendo conto.
Ha sigillato ogni mia lacrima e dolore.
È riuscito laddove avevo fallito ma onestamente non avevo dubbi che ci riuscisse.
A volte bisogna solo lasciar fare a chi amiamo, a volte bisogna solo arrendersi e smettere di lottare, affidarsi nelle uniche mani che ci conoscono così bene da saper esattamente cosa fare e dove toccare.
A volte l’unica lotta è proprio non lottare e arrendersi al dolore, aspettare che questo aumenti, ti divori, ti faccia esplodere e poi ti lasci tregua. Perché il momento della tregua c’è sempre… poi lo sai. Ma solo dopo che passi l’inferno e sopravvivi, lo sai.
Che andrai avanti.
Però non arrivi a questa conclusione da solo.
- Ti amo, Mac. – Glielo dico al posto del grazie, penso che questo sia più appropriato. È così perché lo amo ed anche se la notte è dura da superare, è sicuramente possibile.
A patto che non siamo soli.
- Anche io ti amo, Danny. Non sei solo. –
Lo sapevo...

Ciao, Ruben… ti ho voluto un gran bene… e sai una cosa? Te ne vorrò per sempre comunque, proprio come ad un fratello. Ciao, mio piccolo amico. “