SEDUTI IN RIVA AL FOSSO

CAPITOLO X:

IL PARADISO DA QUI

La tua fede era forte, ma avevi bisogno di una prova”

/ Halleluja – Jeff Bukley /


E poi è così.
Si arriva solo inevitabilmente alla fine.
Si è rimasti così a lungo a guardare il fosso sul cui orlo ci si è seduti, che poi quando scorgi la fine, dopo che i tuoi occhi si sono abituati bene all’oscurità che vedono da tempo, capisci che è ora di smetterla e di alzarsi di nuovo per riprendere a camminare. Ma veramente e non solo con l’immaginazione.
Fu così che Miriam prese coraggio e afferrò per la prima volta la sua vita fra le dita e, mettendo un piede davanti all’altro iniziò a percorrere la via che da molto avrebbe dovuto attraversare.

Quando Alex tornò a casa coi suoi fratelli minori, dopo essere stato a prenderli dall’altra parte della città, ormai la sera era più che inoltrata e non c’era molta gente nei pressi delle case, erano tutti già nei locali od in centro.
I suoi fratelli erano molto simili a lui d’aspetto ed avevano tre anni meno di lui.
Quando scesero dalla macchina e si diressero verso il cancello del palazzo, notarono subito un ombra appoggiata lì accanto, era una ragazza che aspettava qualcuno. Lì per lì non capirono di chi si trattasse a causa della penombra in cui era, ma dopo che le passarono davanti la riconobbero.
Era Miriam.
Si stupirono non poco di vederla lì ma tuttavia non avendo un gran rapporto con lei per la differenza d’età e per il fatto che non frequentava Alex, non dissero nulla entrando nell’edificio. Quando la luce dall’interno illuminò quel po’ il viso della ragazza, si potè finalmente notare lo stato sconvolto in cui era e le grosse lacrime che scendevano copiose.
Non disse nulla, nessuno. Solo quando i due fratelli arrivati all’ascensore si resero conto di non essere seguiti, notarono che Alex al contrario delle loro aspettative si era fermato davanti a lei. Allungarono il collo per vedere meglio e l’espressione seria del biondo fece capire loro che non tirava aria e che probabilmente si erano persi qualche passaggio, così semplicemente salirono senza dire nulla.
Soli.
La scena che si presentò a degli spettatori invisibili fu molto comune, a dire il vero, con lei appoggiata al cancello con le mani dietro la schiena, una gamba piegata in modo maschile e lo sguardo basso e lui davanti che la fissava serio e penetrante con la testa rivolta verso il basso ma gli occhi fissi su di lei, le mani in tasca e le gambe leggermente divaricate in una delle sue tipiche posizioni comode.
Anche in quel momento, Alex, aveva fascino.
Rimasero in silenzio per un po’ ad ascoltare i singhiozzi trattenuti della bionda, poi non trovando nulla da dire grazie all’evidenza dei fatti, accadde solo una cosa, altrettanto semplice e comune in una situazione simile.
Alex, senza bisogno di parlare, proprio come era nel suo stile fare, fece un ulteriore passo in avanti annullando la distanza e aderendo i loro corpi, l’abbracciò.

Farsi avvolgere da due braccia forti e calde, le classiche braccia che mai si potrebbe rifiutare, braccia che fanno stare bene, braccia desiderabili, braccia che danno sollievo.
Braccia che fanno dimenticare ogni dolore e tristezza.
Farsi asciugare le lacrime dalle guance con dita di mani grandi e sicure, mani che hanno lavorato tutto il giorno e che finalmente possono toccare qualcosa di morbido e delicato. Mani che nonostante la forza che sanno tirare fuori, sanno essere anche dolci e tenere.
Mani che fanno smettere di piangere.
Farsi stringere al petto vigoroso e sicuro, un petto dove si sente nettamente un cuore battere, un cuore che va veloce, sempre di più, fino a rivelare la propria emozione.
Un petto che fa provare sollievo e dona desiderio.
Desiderio di non essere lasciati, di continuare, di rimanere abbracciata a lui ancora e ancora, dimenticando gli sbagli di entrambi, i momenti brutti di sofferenza, le umiliazioni e le testardaggini. Dimenticando ogni passo d’errore compiuto.
Dimenticando per lasciare posto a quelli giusti, buoni, ai momenti che donano felicità e gioia. Quei momenti che veramente non andrebbero mai dimenticati, momenti che devono sostituire quelli brutti.
Momenti per cui vale la pena vivere, andare avanti, piangere e gioire.
E poi… poi, finalmente, quando ci si calma, si riesce a riprendersi quel minimo che basta per smettere di tremare e piangere, quando ci si rende conto che ora va meglio e si sta bene, nonostante quanto successo prima… bè, è lì che succede.
Alzare la testa timidamente con un respiro leggermente alterato e per lo più trattenuto, un respiro che ha timore ad uscire per rovinare tutto. Alzare la testa e lo sguardo, posarlo sull’altro che serio e penetrante guarda da così vicino il proprio. Lasciarsi colpire fin nel profondo da quegli occhi chiari che sanno leggere, lasciarsi sospendere senza fare più altro e poi lasciarsi fare, lasciarsi portare da lui, lasciarsi avvicinare aiutati dalle dita che sotto il mento lievi attirano il viso verso l’altro.
Un viso bellissimo e deciso dall’espressione sicura e tesa al contempo. Un espressione che comunque non lascia capire molto di sé, solo che vuole quell’atto da molto tempo.
Solo che finalmente si è arreso.
Farsi avvicinare fino a sentire il respiro altrui sul proprio viso, sulla pelle che arrossata comincia a riportare calore in ogni parte del corpo, calore per l’emozione del momento.
Respiro impercettibilmente nervoso nonostante l’esperienza avuta.
Respiro che fa capire molto bene, con certezza, che non si tratta di un sogno.
Infine sentire le labbra che si posano sulle proprie, labbra morbide e sottili, appena umide che entrano delicate in contatto con le altrui. Labbra che accendono immediato un desiderio, come un fuoco innescato dalla benzina.
Farsi dunque invadere da una vampata improvvisa che stacca ogni connessione razionale rimanente e permette di approfondire quel bacio appena accennato, vampata che fa premere e muovere le teste per un miglior accesso alla bocca dell’altro. Una vampata deleteria che non permettere più alcun controllo.
Accettare quindi la lingua che si fa largo fra le loro labbra, superando la soglia dei denti e cercando la sua.
Trovarla, infine, e fare altrettanto in un timido ma voluto gioco sensuale di lingue che altro non fanno che amore, a modo loro, in un intimità che impedirà a chiunque di vedere come si muovono, la passione che ci mettono e la sincronia perfetta.
Solo un bacio che forse durerà un secolo o più e forse, magari, semplici secondi interminabili.
Solo un bacio accompagnato dal contatto delle mani col corpo contro il proprio e poi un susseguirsi di intrecci e sentimenti sempre più grandi, mentre comunque il resto, le sofferenze, le lacrime, gli sbagli e le ingiustizie fatte e subite, rimangono nelle loro menti ma oscurate da quei nuovi frammenti opposti fatti di serenità e sollievo.
Sollievo per aver finalmente fatto l’unica cosa giusta che dall’inizio sarebbe stata da fare.
Semplicemente arrendersi l’uno all’altra.
Semplicemente quello e basta.

Non mi interessa essere visto, trovarmi sotto casa mia e destare curiosità morbosa circa il motivo per cui ora io l’abbraccio e la bacio.
So che io e lei non abbiamo mai avuto nulla a che fare l’uno con l’altro, non nel senso che ci siamo mai frequentati né come amici né come altro.
Quindi posso capire che non si possa affatto comprendere cosa stia succedendo, come mai io ora faccia così, però non me ne potrebbe fregare di meno.
Non ho mai dato importanza alle voci, ho sempre fatto quel che mi pareva ed avendo le capacità per farle non mi sono mai sentito veramente infelice.
Però poi quando ho detto di no a questa ragazza che conoscevo ma non consideravo per nulla, ho cominciato a sentire un fastidiosissimo inspiegabile qualcosa che ha cominciato a divorarmi da dentro.
Fino a che mille e mille domande non si sono fatte strada in me e la curiosità di capire come potesse lei provare qualcosa per me, mi ha spinto a guardarla e studiarla.
Fino a che non ho visto chi è veramente e quanto bella è con chi la tratta bene, con chi ama.
È stata la gelosia per Daniele il primo sintomo che mi ha fatto capire tutto, poi però vedendoli felici insieme mi sono detto che era troppo tardi.
È lì che ho desiderato essere uno di quelle persone carogne che soffia la ragazza agli altri. Se avessi voluto l’avrei avuta, lo sapevo bene.
Però non volevo averla così, volevo averla perché lei ancora voleva me.
È stata solo una scintilla, un segno, ciò che mi ha restituito tutto ed io mi sono rialzato da quel burrone ed ho ripreso il mio cammino.
Ora, da bravo spericolato che si prende ciò che desidera, avvicino il viso al suo e lasciandole il tempo per capire cosa sta per succedere, sento il suo respiro trattenersi e il suo corpo morbido tremare contro il mio mentre le sue mani si aggrappano con forza alle mie braccia.
È questo quello che cercavo, quello che volevo sentire.
Questo.
Queste sue labbra carnose sulle mie, le labbra sempre incurvate verso il basso in qualche non sorriso.
Queste labbra dalla piega di natura invitante che ogni uomo vorrebbe poter sentire contro le proprie e che ora possiedo.
Premo le mie delicatamente sulle sue e poi la decisione che mi caratterizza mi fa prendere ulteriormente il controllo della situazione schiudendole all’istante, scivolo con la lingua nella sua bocca. Mi accoglie titubante ed ancora tremante, tenera in un certo senso, in modo inaspettato.
La sua bocca sa di lacrime, è salata ma non riesce a non piacermi.
È qualcosa che ricorderò per sempre, lei e le sue lacrime uscite per la mia ottusità e la mia cecità, per tutti gli errori che ho fatto.
E poi chissà… per un infinità di altre cose che mai potrò sapere del tutto.
Perché lei è anche questo, mistero… perché se non lo fosse stato non ci avrei impiegato tanto a perdere la testa per lei.
Inizialmente sono io a muovere le nostre lingue e lei si lascia fare, ma poi quando sente la mia sicurezza scorrerle dentro, con timidezza ricambia ed è qua che vedo anche io il paradiso.
Dio, com’è pazzesco… proprio io che non ho mai avuto paura di nulla mi sono trovato ad averne, in un certo senso, di lei.
Se non ne avessi avuta le cose sarebbero state diverse. Chissà, forse è stato il sentire la serietà estrema di ciò che Miriam rappresentava.
Ma poi, alla fine, fare supposizioni ora non serve a nulla.
Non importa nemmeno perché ora ce l’ho ed è mia, non la lascerò andare via.”


E poi è così.
Si arriva solo inevitabilmente alla fine di qualcosa afferrando finalmente l’inizio di altro.
Un inizio che si aspettava da tempo.
Un inizio giusto.
Però… quanta sofferenza prima di allora…