CAPITOLO 12:
IN FONDO AL FOSSO

Scambiare i problemi con un po' d'amore
ovunque tu sia.
Lasciati portare lontano
una vacanza ti piacerebbe.”

/Holiday – Scorpions/

Quando il giorno vinse la notte, per la prima volta portò a galla qualcosa di peggiore.
Per la prima volta tutti pensarono che sarebbe stato meglio se il sole non fosse uscito a splendere e come evocato dal desiderio di molte persone, le nuvole andarono a nasconderlo per permettere al cielo di piangere la perdita di una giovane vita stroncata in quel modo doloroso.

Le prime gocce caddero leggere sul corpo di quel ragazzo dall'aria sciupata e trascurata. Un aria mortale.
Per giorni e giorni aveva vagato sul mondo come un fantasma, dopo la morte di suo padre non si era più ripreso e nonostante l'amico e cugino gli era rimasto accanto seguendolo in quel tunnel pur di non lasciarlo solo, non era servito.
Il freddo aveva avvolto il suo cuore insieme al buio e l'abisso in cui v'era sprofondato era stato senza fine. Alzando gli occhi poteva osservare sempre più indistintamente quel suo desiderio che s'allontanava da lui, un desiderio di tornare a galla. Un desiderio rimasto in riva a quel fosso, sulla cima del burrone.
Sempre più lontano non aveva più trovato una via di fuga e gli abissi l'avevano inghiottito nel peggiore dei modi, in mezzo alle tenebre più nere.
La pioggia cercò di lavare quel ragazzo così mal ridotto nel meglio possibile per ridonargli un aria più presentabile, per rinfrescarlo e pulirlo dalla sporcizia del terreno, però l'idea che diede fu che anche lui, insieme al cielo, piangesse lacrime amare e sofferte.
Ben presto divennero così fitte e grosse, così furiose, da riflettere fin troppo bene lo stato d'animo di colui che su tutti, ora, sarebbe stato destinato a soffrire come mai in vita sua.
Fu Daniele a trovare Davis morto di overdose, fu lui a vedere la siringa vuota abbandonata accanto alla sua mano priva di vita, fu sempre lui ad abbassargli la manica della maglia sporca per coprire quei buchi sull'avambraccio.
Fu lui il primo a sospirare e a sedersi lì accanto, piegare le ginocchia contro il petto, stringersele con le braccia e premere le mani sul viso delicato ed inespressivo, coprendolo con smarrimento e disperazione.
Sapere che prima o poi sarebbe successo, aver tentato di tutto per impedirlo, averlo aiutato camminando insieme a lui fino a perdersi e poi vedere la propria sconfitta nella morte della persona che ti aveva sempre capito e che nel tuo momento di crisi ti era stata vicino a modo suo, che mai ti aveva abbandonato.
Ed infine sopportare la sua morte, la sua perdita, sopportarla senza lasciarsi cadere... utopia irraggiungibile.
Daniele, sotto quella pioggia, in quella posizione rannicchiata, si fece divorare dalla disperazione, una disperazione senza fondo e senza lacrime.
Senza fine.
Una disperazione atroce che mai anima viva dovrebbe mai provare.
Una disperazione circondata dalle tenebre, annegata nella pioggia, assordata dai tuoni, terrorizzata dai lampi.
Disperazione.
Ed eccomi qua di nuovo solo.
Come avrei voluto almeno raggiungerti... però forse sono troppo codardo per farlo. Potrei buttarmi giù da questo palazzo e finirei di soffrire per la mia nuova solitudine. Perché non c'è amore in questa vita di odio. Perché non c'è luce in questa vita oscura. Perché non c'è salvezza in questa vita disperata.
Perché non ho nulla per cui lotterei, nulla che vorrei, nulla che farei se potessi. Nulla... solo l'abbandono.
Davis, perché hai deciso di camminare da solo? Anche tu... anche tu mi hai lasciato, ed io ora che dovrei fare?
Lentamente le persone a cui tengo o che amo mi lasciano, lentamente se ne vanno, lentamente io rimango qua, sotto questa pioggia a sperare di annegare ma senza avere il coraggio di farla finita davvero come te.
Davis... cosa mi diresti, se fossi in te e stessi bene?
Se tuo padre non fosse mai morto, se tu non fossi mai andato in crisi nel mio stesso periodo, se io non fossi mai stato lasciato da Miriam, se non avessi mai deciso di seguirti per impedirti di ammazzarti, se non fossi rimasto io stesso impantanato nel tuo stesso fango. Se tu non fossi un drogato ed io un impasticcato e fumato del cazzo.
Se tu non fossi morto ed io qua senza volontà ad aspettare che un fulmine mi colpisca.
Che faresti?
Ci vorrebbe una bella vacanza per tutti e due... un po' d'amore e un posto lontano in cui andare. Ma l'amore non è per tutti. Tu ora la vacanza te la sei preso, sei andato lontano e per ora è così lontano che non so se ti rivedrò mai più.
Non so cosa si fa qua sotto. Alzo lo sguardo mentre la pioggia mi appiccica i capelli al viso, sono troppo lunghi e quasi gli occhi ne rimangono coperti. Occhi che si fanno strada a fatica fra le gocce che a volte me li fanno chiudere, ma arrivo al cielo. Cosa c'è lassù?
Solo quel nero di nuvole... un nero senza fine. Un nero che vomita acqua potente. Basterà per schiacciarmi?
Lassù per me c'è solo una tempesta che mi illumina coi lampi e mi frastuona coi fulmini. E mi bagna con la pioggia.
Non c'è altro, il sole non verrà.
Annegherò.”


- Alex, devo andare! - La voce agitata di Miriam giunse al ragazzo che appena tornato a casa da lavoro tutto sporco di grasso di macchine, si trovò la propria ragazza che usciva precipitosa con un aria preoccupata e tirata.
- Che è successo? - Chiese subito fermandola per un braccio. La presa ferrea la fece voltare e quando la bionda vide gli occhi penetranti e seri del suo ragazzo, quel verde acqua capace di infonderle sempre tranquillità, prese un respiro poi sconsolata disse:
- Non si trovano più Davis e Daniele... - L'importanza di una simile notizia con la pioggia che per tutto il giorno continuava a cadere, fu subito capita da Alex che senza nemmeno togliersi la tuta da meccanico tornò ad uscire con lei dicendo solo uno sbrigativo e deciso:
- Andiamo! - Scontato che non l'avrebbe certo mollata in un momento simile.
La sensazione che entrambi sentirono mentre si immersero sotto la pioggia infradicendosi subito, fu di ansia crescente. Qualcosa non andava e la consapevolezza sarebbe aumentata sempre più di passo in passo, fino alla decisione di dividersi per avere più possibilità.
Solo il giorno prima avevano parlato di Daniele dicendo di parlargli... solo il giorno prima.
Miriam evitava accuratamente di perdersi nei propri pensieri, li evitava con tutta sé stessa pensando solo ai posti in cui sarebbero potuti essere. Pensando solo a questo e a nient'altro, sperando di non sentire oltre quel senso sgradevole e nauseante alla bocca dello stomaco, quello che la faceva tremare come una foglia.
Avrebbe voluto avere Alex accanto a sé, poter sentire la sua presenza forte e sicura e non essere sola a cercare come un ossessa per le vie del suo quartiere.
Però un lampo arrivò ad aiutarla, un lampo che illuminò un vicolo buio dall'altra parte della strada ed il cuore le fece un battito forte a pari passo con il tuono del fulmine. Il cielo attraversato da saette in continuazione era molto suggestivo e nonostante le nubi nere, si riusciva a rimane anche incantati da uno spettacolo simile di pericolo e natura.
Fermò le sue gambe e voltandosi del tutto strinse gli occhi per vedere meglio attraverso la pioggia. Il suo viso non truccato fece subito un espressione strana nel constatare che era Daniele insieme ad un altro ragazzo steso.
Perché l'altro era steso per terra e lui seduto sotto la pioggia?
Capì subito che c'era qualcosa che non andava, subito, ma questo non l'aiutò a capire cosa e a comportarsi nel modo migliore.
D'altronde quale sarebbe potuto essere il modo migliore?
Improvvisamente però il tremore le sembrò così allucinante da impedirle di camminare più veloce di così. Un passo per volta si mosse attraversando la strada, imboccò il vicolo ceco e la paura crebbe.
Paura di trovare una verità ed una realtà troppo pesante da reggere.
Paura di non farcela, paura di vedere e di sapere, paura di non poter fare nulla e di essere arrivata tardi.
Paura della sua impotenza e per un attimo anche della vita stessa.
Una vita che proponeva un fosso ad ognuno e a cui pochi potevano scappare.
Io non l'ho mai aiutato. L'ho buttato là sotto e me ne sono fregata. Oh, dannazione! E' anche colpa mia...”
Quando fu abbastanza vicina da distinguere il corpo steso a terra, il cuore tornò a saltarle diversi battiti e poi a correre irregolare e prepotente, tutti i legamenti divennero di fuoco mentre il sangue lava pura nelle sue vene.
- Dio Santo... - mormorò mentre i brividi l'attraversavano come una scarica elettrica. Eppure essere colpiti da un fulmine sarebbe stato meglio.
Daniele seduto accanto a Davis privo di vita, udì la sua voce e percepì la sua presenza ma non si mosse di un millimetro, con la testa appoggiata al muro dietro di sé, verso il cielo, gli occhi chiusi e la pioggia che lo bagnava da ore.
Da quanto tempo era lì?
La pioggia cadeva da quella mattina...
- Daniele... - Sussurrò poi cercando una forza in sé che non pensava di avere. Facendosi largo fra i sensi di colpa, il dolore per un amico morto davanti ai suoi occhi ed una persona preziosa che non reagiva, scelse di occuparsi di colui che in teoria sarebbe dovuto essere ancora vivo.
Si morse il labbro con forza e strinse i pugni conficcando le unghie nei palmi, chiamò mentalmente Alex per farsi forza e non scappare via sommersa dalla sofferenza, si disse di non piangere, si disse di non arrendersi, si disse di fare qualcosa. Ma alla non risposta si accucciò davanti a lui senza osare toccarlo ancora. Dopo tutto quello che lei gli aveva fatto poteva anche azzardarsi a toccarlo?
E se si sarebbe buttato definitivamente?
E se la freddezza sarebbe stata esagerata?
Tornò a chiamarlo mentre i suoi occhi dorati si incupivano osservando i lineamenti di quell'angelo decaduto. Era veramente molto bello ma quel sorriso spensierato non c'era più da troppo tempo.
Fa qualcosa, dannazione! Brutta scema senza midollo... hai avuto la forza di rialzarti e di gettarlo in questo stato, ora l'avrai anche per risollevarlo ed aiutarlo. Perché anche se non so cosa è giusto io faccia, su una cosa non si discute... io non lo lascio così!”
Senza darsi soluzioni concrete, senza dire o fare nulla di particolare, solo guardandolo.
Poi si decise ed alzò una mano, la portò al viso dell'amico e da titubante divenne sempre più piena mentre con sicurezza ma delicatezza gli alzò la testa per farlo guardare.
- Guardami, Dany... - Disse poi col suo viso fra le mani, un ancora sulla dura realtà da cui aveva tentato di fuggire.
Solo dopo un istante di ulteriore silenzio in cui lei non mollò la presa e rimase accucciata davanti a lui seduto sul marciapiede, mentre un tremore interiore per essere accanto ad un Davis senza vita cercava di divorarla, lui aprì gli occhi trasparenti scavati in profonde e rosse occhiaie impressionanti. Fu lì che la forza in lei vinse sulla paura ed il dolore.
In istanti come quelli bisognava tirare fuori le palle... lei aveva passato dei momenti durissimi ma ne era uscita grazie all'aiuto di molte persone, ora era tempo di restituire ogni cosa e di essere forte.
Dannatamente forte, più forte di chiunque altro, tirare fuori tutto il coraggio che mai avrebbe pensato di avere ed aggrapparsi a ciò che poteva fare per chi poteva essere aiutato, dimenticandosi del panico e del pensiero spietato riguardo alla morte lì accanto a loro.
Si impose con ogni forza e quando le pupille dilatate fra le iridi azzurro chiaro si strinsero perché l'avevano riconosciuta, con vigore strinse la presa intorno al suo viso facendogli sentire tutto ciò che poteva con quel gesto.
- Mi dispiace di averti lasciato solo. Mi dispiace per tutto. Ora ti aiuterò io... è tempo di restituire tutto quello che ho ricevuto da te. -
Con queste parole delicate e determinate al tempo stesso, l'abbracciò stringendolo a sé, facendo sprofondare il viso sul suo petto morbido e lasciandogli quel senso di avvolto e materno che in quel momento sicuramente sarebbe servito.
Quando lui si rese conto di essere tra le braccia del suo angelo e di non essere quindi ancora annegato, si trovò a ringraziare chiunque gli avesse mandato l'unica a cui avrebbe avuto il coraggio di aggrapparsi.
E così fece avvolgendola a sua volta con le braccia, stringendosi forte a lei, premendo il viso sul suo petto senza malizia, chiudendo forte gli occhi, lasciando il viso libero in una smorfia di dolore ed un urlo silenzioso nell'aria,
Permettendo alle sue lacrime di uscire.
Lacrime trattenute da troppo tempo, lacrime che mescolate insieme alla pioggia crearono un forte contrasto di caldo e freddo, dolce e salato. Lacrime purificatrici, lacrime che portavano via in un luogo lontano chiunque vi si abbandona. Lacrime di tempi dolorosi e disperati, lacrime che scambiavano i problemi con l'amore.
Un amore diverso da quello che lui provava per lei ma un amore che comunque l'avrebbe salvato, un amore ugualmente caldo, un amore sempre giusto, buono, confortevole, comprensivo.
L'unica cosa buona nella sua vita di allora.
E rimasero stretti in quello stato a lungo cercando di tornare alla vita e lasciarne andare un'altra.

Come si sopravvive alla caduta a testa in giù da un fosso altissimo e buio?
Si sopravvive... lo si fa per chi è ancora sopra quel fosso e tende la mano, chiunque sia, qualunque cosa provi, per qualunque motivo lo faccia.
Si torna su perché anche se non la vedi, la mano c'è e aspetta che tu tenda la tua per poter fare il resto.
Perché se non chiedi aiuto nessuno può darti il suo.
Però c'è sempre, anche se si pensa di essere soli, anche se non sembra possibile.
C'è sempre.
Allora apri le tue ali e vola fino a quella mano, afferrala e lasciati trasportare da ciò che sei; un angelo decaduto rimane sempre un angelo e per lui un aiuto ci sarà sempre.
Non rifiutarlo e smetti di giudicarti. Agisci.
La luce, un piccolo spiraglio, stava tornando.