STORIE DI TUTTI I
GIORNI
CAPITOLO
11:
SPAZI
VUOTI
/
In
between – Linkin Park /
(Solitudine)
Era
tutto dorato, una vita perfetta, nulla che non andava. Ogni cosa
desiderasse l'aveva avuta, tutti i capricci accontentati.
L’unico
problema era stato quell'enorme casa vuota così lussuosa:
cercare persone là dentro era come andare alla scoperta del
tesoro. Le uniche disponibili erano le baby sitter di turno o le
governanti. Anche se i genitori non c'erano mai comunque bastava che
chiedesse e veniva esaudito, non aveva nulla di che lamentarsi, in
fin dei conti.
Quando
aveva provato a trovare un rimpiazzo per quell'assenza, per quegli
spazi vuoti incolmabili, aveva trovato lui. Il basket.
All’inizio
un gioco divertente per cui era portato, poi crescendo una
professione, qualcosa di serio.
Riuscendo
bene in ogni cosa per forza maggiore, aveva amato da subito quello
sport spontaneo diverso dagli altri, era stata la sua salvezza. Per
ognuno ce n'è una, uno sport o comunque qualcosa che salva
la
vita, per lui c'era stato quello, ai suoi occhi l'unica cosa degna di
attenzione. Senza spazi vuoti, senza incognite, segreti o
enormità
più grandi di lui.
Lui
là si era sentito un re da subito, il massimo, la vera
perfezione, non doveva fingere di esserlo. Poi quando aveva
conosciuto l'amore e gli amici, quelli veri, niente più
spazi
vuoti. Poteva essere sé stesso, non dopo aver imparato che
le
bugie, talvolta, portano a qualcosa di piacevole come l'attenzione ed
un finto riempimento di spazi.
Quel
mondo dorato, quelle assenze e quelle voragini, avevano forgiato una
persona forte perché non doveva farsi male e piangere,
doveva
mostrare di essere il migliore ovunque per farsi amare, per farsi
elogiare, per non farsi mai calpestare, perché lui otteneva
sempre tutto.
Una
tela piena di grovigli, finzioni e menzogne.
Lui
era diventato questo.
Credendo
di stare veramente bene e di essere forte, aveva vacillato la prima
volta sotto il peso della verità spiattellata in faccia da
un
mezzo sconosciuto fin troppo uguale a lui, ma era andato avanti.
Ora
tutto gli si rivoltava contro. Tutto svaniva e quegli spazi vuoti
colmati da altre cose e non quelle giuste, tornavano a solcare la sua
vita. Profondi. Il vaso già pieno di acqua aveva finito per
rovesciarsi e rompersi definitivamente.
Quei
vuoti enormi e minacciosi, dorati e perfetti ma privi di senso, di
vita, di risa e semplicità.
Il
nulla lo avvolgeva.
Era
arrivato al capolinea, le somme si tiravano e i risultati arrivavano
inevitabili.
Aveva
seminato vento e raccolto tempesta.
Alla
fine dei giochi il panico l'aveva avvolto. Costretto a guardarsi si
era reso conto di aver costruito una vita di bugie nella quale
nemmeno lui si trovava più, non sapeva com'era in
realtà.
Non
sapeva più.
La
sua testa dal QI sopra la norma non rispondeva più alle
domande ovvie come: 'cosa faccio ora?'
Era
il vuoto anche lì dentro e mentre era in quello stato a
pensare e ripensare alla sua vita, cercando l'inizio della fine, dove
aveva cominciato a perdersi e a creare un Andrea finto, fuori di lui
ognuno faceva del suo meglio per scuoterlo e farlo tornare da quel
mondo ove i suoi neri occhi si erano persi. Occhi aperti e vacui in
un volto apatico in cui lacrime scendevano automatiche, sfogo di anni
e anni.
La
solitudine si può assaggiare in molti modi.
(Il
muro)
Erano
stati per un paio di minuti a terra.
Kimberly
era arrivata di corsa e sotto la pioggia, a terra all'angolo del
marciapiede, aveva visto i due ragazzi, l'uno che proteggeva l'altro
come l'istinto li aveva mossi.
Immobili
per lo shock momentaneo.
La
rossa avrebbe voluto possedere qualche potere per tornare indietro
nel tempo e cancellare quei momenti che gli avevano provocato
sofferenza, a lui, al suo Andrea che nessuno mai avrebbe dovuto
toccare.
Lei
era veramente forte ma non sempre poteva fare qualcosa per aiutare
chi le importava e quando questo accadeva stava mille volte male
anche lei. Con frustrazione si rese conto che non avrebbe saputo
precisamente a quando tornare indietro: la discussione? No, il
momento in cui i genitori avevano negato ad Andrea di giocare a
basket, per non essere più bambino? Nemmeno quello era stato
proprio l'inizio. Quando non si erano più capiti genitori e
figlio? Ma nemmeno ... quando l'avevano lasciato solo in un posto
troppo grande. Quello sarebbe stato il momento da correggere per
evitargli ora quel punto di rottura.
Ma
se non avesse fatto quel tipo di vita e quelle scelte arrivando a
certi ambienti e modi di fare, loro non si sarebbero probabilmente
mai conosciuti o messi insieme e molte cose belle, comunque non
sarebbero successe.
Improvvisamente
si rese conto anche lei di non saper esattamente cosa voleva.
Rimase
ad aspettare che la pioggia lavasse via quelle incertezze e quel
dolore donandole un potere per risolvere la situazione.
Marco
aprì gli occhi e si tirò su a sedere trascinando
con sé
il biondo, lo guardò. Teneva gli occhi aperti, il volto
inespressivo e piangeva.
Brividi,
non per la pioggia, lo percorsero.
Kimberly
si accucciò accanto e lo vide in quello stato e l'impotenza
crebbe.
Si
maledì violentemente per non avere veramente qualche
capacità
in grado di risolvere tutto. Lei sapeva sempre cosa fare, ma ora
avrebbe solo voluto pestare sua madre e proteggere come un fiore
delicato quel ragazzo troppo piccolo, improvvisamente, per vivere in
quel mondo enorme ed infinito.
Un
forte senso di protezione la mosse e lo chiamò flebile
pensando al modo migliore per aiutarlo. Non sapeva cosa fosse la
dolcezza e la delicatezza, lei, ma sapeva che forse servivano in quel
momento.
La
precedette Marco.
Gli
strinse le spalle e con violenza lo scosse gridandogli in faccia:
-
EHI IDIOTA! COSA CAZZO STAVI FACENDO, EH? SEI IMPAZZITO? REAGISCI! -
Perché
si stava preoccupando tanto per uno scemo del genere? Se lo chiese
mentre cercava di svegliarlo.
Nessuna
risposta e allora continuò:
-
SVEGLIA! IL MONDO VA AVANTI! PARLA, ARRABBIATI, SPACCA TUTTO MA N ON
STAR COSI’. STUPIDO IDIOTA! -
Esattamente
non seppe cosa fu di preciso a farlo tornare lì, fatto fu
che
gli occhi si riempirono di fuoco e il volto si contrasse in una
smorfia di rabbia pura. Di quella che faceva paura e non per modo di
dire, perché si usa dire così, ma
perché in quel
momento quegli spazi, quei buchi che sentiva dentro di sé,
Andrea, li aveva riempiti con ira spaventosa.
Contrasse
i muscoli e il suo pugno destro si infranse con l'asfalto che fece il
rumore di una pozzanghera calpestata con forza.
Un
grido di rabbia si levò seguito da un ruggito nel quale in
mezzo c'erano parole.
-
Non voglio rinunciare! È al basket che devo quel che sono
oggi, non certo a loro! Non mi scuserò mai, non
tornerò
indietro! -
Non
guardava nessuno, il pugno chiuso forsennatamente contro la strada e
il volto a guardarlo per cancellare quel mondo di solo dolore per
tutti.
Il
muro fu eretto del tutto magnificamente.
(Un
senso)
Marco
a quelle parole potè intuire vagamente l'accaduto, ma quello
che lo lasciò di sasso facendogli spalancare gli occhi fino
ad
allontanarsi da lui, come avesse un alieno davanti a sé,
furono le sue parole e l'amore disperato che provava per una 'cosa'
inanimata come lo sport, il basket. Come si può arrivare a
tanto? Rinunciare a tutto ma non a quello ... era solo quello?
No.
Forse,
si disse, gli umani si attaccavano troppo alle cose terrene per
rimpiazzare il buco che lasciano quelle astratte ma indispensabili
che non si possono avere, la negazione di queste ultime porta ad un
esagerato legame con le prime, esaltate e viste come salvezza e non
per quello che sono. È così che ci si illude a
lungo di
star bene in questo modo, quando invece si sta solo male.
Andrea
era caduto in questa trappola.
Era
un pensiero strano, adulto, filosofico, non da lui, ma lo
colpì
come una pistola al momento dell'analisi di quel ragazzo piangente
come un bambino arrabbiato.
Cos'era
quella roba astratta ed indispensabile?
L'amore
negato poteva veramente portare a quello?
E
lui?
Era
così?
Perché
giocava a basket?
Per
riempire un vuoto?
Non
era il suo sogno, ma quello di qualcun altro, un qualcuno a lui molto
caro.
Perché
lo faceva quando invece c'erano persone così attaccate a
quello sport? Come se quello sport, per esse, fosse la vita? L'unica
sanità mentale?
Che
senso aveva, per lui?
Marco
aveva sempre giudicato male Andrea ma lui per primo era peggio
perché
si muoveva per pietà. Voleva realizzare il fratello morto
senza rendersi conto che, in realtà, lui avrebbe voluto solo
facesse ciò che lo faceva sentire veramente bene.
Non
sapeva cosa voleva dire sognare e lottare, andare contro tutto e
tutti per quel sogno. Lui era sempre andato contro tutto e tutti per
controcorrente, per principio, per prendersi gioco degli altri, per
auto vittimismo, per ... stronzate!
Si
sentì sporco e si allontanò ancora mettendosi in
piedi
in parte, teso e in lotta con sé stesso.
(Piangendo
da una donna)
Due
mani fredde gli circondarono lievi il viso, fredde e bagnate
coprivano gli occhi e le lacrime che scendevano. Gli tirarono su il
volto portandolo vicino al suo. Sapeva chi era non perché
l'aveva immaginato, ma perché aveva sentito quel qualcosa di
familiare in quelle mani, in quel tocco che mille volte l'avevano
toccato in quel modo nell'intimità.
Inoltre
aveva il suo profumo. Non di donna, ma di sicurezza e di forza.
Era
Kimberly.
-
Ti fidi di me? Lascia fare a me, ti proteggo io .. .-
Voce
bassa e carezzevole delicata.
Come
si fa ad essere così sicuri se nemmeno si ha la
più
pallida idea di cosa fare concretamente per risolvere la situazione?
Solo
una donna innamorata ci riuscirebbe a pensarlo veramente senza sapere
cosa fare e dare la vera sicurezza necessaria.
Spostò
le mani dai suoi occhi facendole posare delicate ai lati del viso
maschile, infine si avvicinò e gli sfiorò le
labbra
leggera, senza baciarlo o far altro. Successivamente si
staccò
quel tanto che bastò per portare il volto di lui contro il
proprio collo e inginocchiata a terra l'avvolse con le braccia.
Ora
sarebbe tutto andato per il meglio.
Era
lei.
Ora
poteva tornare a respirare.
Le
lacrime non smettevano, reazione alla forza d'animo e all'amore che
qualcuno provava per lui.
Si
stupì che forse un rifugio ce l'aveva. Adagiò
piano
piano il capo nel suo petto morbido e nonostante fossero entrambi
bagnati, si sentirono caldi e asciutti.
Benessere,
dopo tanto e tanto vuoto.
Pianse
ancora fra le braccia della sua donna e il silenzio fu interrotto
solo dai suoi singhiozzi e dalla pioggia che cadeva più
lenta
e meno intensa.
(Kim
prende in mano la situazione)
Quel
che accadde dopo fu da manuale, nessuno capì come fu
possibile, ma Kimberly staccando delicata il suo ragazzo da
sé,
si alzò in piedi di scatto pimpante e con quel suo sorriso
sicuro e il tono di comando, iniziò a impartire ordini come
se
avesse avuto da sempre quel piano in mente.
In
realtà improvvisava!
-
Allora! Andrea non tornerà a casa prima della finale. Alla
finale giocherà alla grande come sempre e ci saranno i suoi
genitori a guardarlo, garantisco io ... e giuro che si chiariranno
una volta per tutte. O andrà tutto a cagare, oppure
finalmente
andrà bene! -
Espresso
quel primo punto cambiò direzione cominciando a camminare su
e
giù mentre i lunghi e fluenti capelli rossi, bagnati si
appiccicavano al bel corpo coperto da una giacca non troppo pesante.
-
Poi! Non potendo tornare a casa ha bisogno di una sistemazione per
una settimana! A casa mia non può stare per vari motivi,
così
starà da Marco! -
Fu
interrotta da un'occhiataccia dell'interessato, tornato dallo shock
delle sue considerazioni sul senso della vita.
-
Cosa?
-
Marcò
su quel 'cosa' e lei col medesimo tono rispose.
-
Ho
detto
che Andrea per questa settimana dormirà da te! -
Il
moro non negò, sperò solo che si sbrigassero,
cominciava a preferire la sua casa asciutta a quel posto. Erano tutti
bagnati come pulcini, che senso aveva starsene lì fuori a
discutere sul da fare?
-
Marco, gli darai una crema da mettere sulla mano, miracolosa, deve
guarire in fretta! Quel pugno mi sa che era forte, ma lui deve
giocare a basket! -
Poi
proseguì con altri ordini e si decisero ad andare a casa di
Marco che casualmente e per fortuna era libera giusto per quel
periodo, la zia era in viaggio di lavoro.
Non
fu affatto chiaro come mai lei impartì ordini e loro
obbedirono, Andrea non aveva né la forza né la
voglia
di disobbedire a Kim in fase Capo e Marco, probabilmente, aveva solo
fame e sonno e voleva farla tacere in fretta! Inoltre chi poteva mai
contraddire il Grande Capo?
Dopo
averla fatta asciugare ed essersi sorbiti le raccomandazioni sul non
picchiarsi e fare i bravi, se ne andò portando con
sé
il casino.
Sarebbe
stata una lunga settimana!