TRE
CAPITOLO
IV:
UNO
DI TRE
/
Hello – Evanescence /
Il
suo concepimento fu un crimine.
Lei
era una bellissima ragazza ma non era nemmeno maggiorenne. Era una di
quelle altezzose ragazze alla moda che adoravano farsi guardare,
molto vanitosa. Ci sapeva fare con il gentil sesso ed era piuttosto
conosciuta nel suo giro.
Accadde
una notte.
Non
si potrebbe dire se se lo meritasse, ma accadde. Sicuramente,
però,
nessuno si merita un tale atto osceno.
La
violenza che subì non rimase impunita ma questo non
impedì
alla donna, purtroppo, di rimanere incinta proprio del suo
violentatore rinchiuso in carcere.
La
ragazza si trovò quindi a dover scegliere fra il continuare
a
vivere il proprio dolore giorno dopo giorno negli occhi di una
creatura che non riusciva a sentire sua, frutto dell’odio e
della
violenza, o cercare di dimenticare e riprendere la propria vita.
Fu
difficile ed il momento probabilmente peggiore della sua vita,
tuttavia i ricordi che riviveva nella mente ora dopo ora mentre il
suo ventre cresceva erano atroci e motivo di continue lacrime
poiché,
insieme ad essi, arrivava anche la sensazione di star rivivendo
fisicamente tutto quello scempio.
Fu
veramente molto dura e quando, alla fine, decise non di uccidere una
piccola vita innocente ma bensì di darla in adozione, si
sentì
come rinascere.
Era
giovane e i sogni erano già stati oscurati da quella notte
che
avrebbe comunque rivissuto ad ogni sonno, non poteva permettere che
qualcun altro vivesse infelice insieme a lei guardando la tristezza e
l’odio nei suoi occhi, negli occhi della madre che non
sarebbe mai
riuscita ad amare.
Lo
diede in adozione senza tenerlo fra le braccia, senza nemmeno vedere
quanto meraviglioso fosse e quanto le somigliasse.
L’unica
cosa che volle fare fu dargli un nome, lo chiamò Jude per
ricordare il tradimento di cui era testimone. Il tradimento che aveva
ricevuto dalla vita e dalle persone umane, proprio ciò che
simboleggiava il vero possessore di quel nome, Giuda il traditore,
uno degli apostoli di Gesù.
Successivamente
lo diede via e non lo vide mai più.
Ebbe
così inizio un periodo triste e difficile per quella
creatura,
un periodo che si sarebbe protratto fino al suo presente.
Le
famiglie che l’adottarono furono più di una, ne
cambiò
molte.
Erano
tutte persone molto buone ma il problema era sempre stato lui.
Lui
che non si adattava a nessuno, lui che era difficile, lui che non
voleva persone che non avessero reale amore per lui, lui che non si
sentiva parte di alcun genitore. Lui che era convinto che se nemmeno
la vera madre l’aveva voluto, nemmeno degli estranei potevano
volerlo.
Lui
che preferiva mettere alla prova tutti per vedere quanto fossero
disposti a sopportarlo.
Lui
che, alla fine, si trovava sempre ad aver ragione perché
nessuno resisteva con lui per tutta la vita.
Lui
che, scappando di casa, stufo di passare da una persona
all’altra,
aveva deciso che nato solo, sarebbe vissuto e poi morto in quello
stesso stato.
Perché
era certo che le cose non potessero cambiare se per nascita era stato
solo l’odio a concepirlo.
Jude
lentamente acquistò questa filosofia di vita. Di per
sé
non era una persona difficile solo molto complicata. Non era
veramente un bambino iperattivo e ‘terribile’, solo
che convinto
che nessuno potesse volergli bene, voleva provare quanto, quelle
persone che gli dicevano di volergliene, fossero sincere. Faceva una
parte recitando in continuazione quella del bambino e successivamente
del ragazzino cattivo. Si era detto che si sarebbe fermato solo nel
caso in cui avesse trovato quelli disposti a sopportare di tutto, per
lui.
Non
ne trovò mai ed alla fine decise di smettere di cercare il
proprio posto, il vero amore, e di cavarsela da solo.
Non
era cattivo, solo caleidoscopico.
L’aggettivo
identificativo era furbo.
Jude
era tante cose ma profondamente buono e per questo tutto ciò
che poteva sentire era la solitudine e la diffidenza verso ogni
creatura umana.
Se
la cavò sempre, in un modo o nell’altro, ma alla
fine di
ogni periodo si trovò sempre più vuoto dentro con
qualche ferita che non si sarebbe mai rimarginata e così,
capendo che probabilmente l’unico bel posto per lui fosse
l’aldilà,
ad un certo punto semplicemente smise di combattere.
Fu
lì, dunque, che si cacciò nei guai, tanti e
pericolosi.
Jude
rivisse la sua vita dalla nascita, in quel posto buio in cui si
trovò
dopo l’accoltellata alla schiena e il pestaggio a cui era
stato
sottoposto.
Infine
arrivato al momento più doloroso si trovò a
chiedersi
se fosse vivo o morto senza però trovare risposta.
Non
si immaginava così la morte ma nemmeno in modo
più
positivo. Semplicemente aveva sperato di poter avere di meglio.
Il
sentimento di contrarietà che lo invase fu immenso e
provocato
dal fatto che aveva sempre creduto che la morte dovesse essere un
posto migliore del mondo dei vivi … non sarebbe potuto che
essere
così o non ci sarebbe mai stato alcun senso nella vita.
Lui
era lì, immerso in quel buio pesto a rivedere come in un
continuo sogno la propria vita orrenda provando repulsione, tristezza
e dolore. La solitudine s’ingigantì rendendosi
conto di
quanto peggio fosse quel posto.
Lo
realizzò mentre dopo un periodo indefinito in cui il tempo e
lo spazio, probabilmente, non esisteva più.
Non
voleva morire.
Non
voleva stare lì.
Qualunque
altro posto sarebbe stato migliore ma non lì per
l’eternità
in quello stato e l’ira crebbe in lui diventando forza.
Era
ora di smetterla.
Era
ora di aprire gli occhi.
Era
ora di non starsene ancora soli per l’eternità.
Certo,
una volta in vita probabilmente non sarebbe cambiato nulla ma almeno
una cosa positiva, probabilmente, ci sarebbe stata.
Avrebbe
avuto possesso del suo corpo.
Magari
avrebbe smesso di vendersi per soldi, per sopravvivere, per poter
fare ciò che voleva.
Magari
avrebbe potuto capire cosa voleva.
Magari
avrebbe anche potuto mettersi a vivere veramente.
Cominciò
a volerlo.
A
volerlo con tutto sé stesso.
Con
angoscia, potenza, rabbia, dolore, desiderio, energia.
Cominciò
a volere di essere vivo, di andarsene da lì, di smettere di
stare in quel posto vuoto come la sua anima.
Si
disse che rispecchiava il proprio interno e che se era così,
per quale motivo poteva venir punito a quel modo? Non ne aveva subite
abbastanza?
Avrebbe
pianto.
Se
solo avesse avuto il suo corpo, i suoi bellissimi occhi azzurri
provocanti, il suo viso dai lineamenti d’angelo o magari di
demone,
la sua pelle liscia e vellutata, avrebbe pianto.
Perché
soffrire per tutta la vita se dopo di essa si continuava a
raccogliere quanto si aveva seminato?
Quella
sensazione schiacciante di sofferenza continua e crescente accumulava
ogni cosa, anni della sua vita, anni rubati dalla crudeltà
umana, anni in cui aveva dovuto ingoiarne una dietro l’altra
e
fingere di essere chi non era, di continuo, sempre e sempre senza mai
smettere, senza mai poter essere sé stesso, continuando a
ripetersi che era colpa sua che non era mai stato capace di farsi
amare, ripetendosi che si raccoglieva quel che si seminava, che era
lui che aveva voluto essere solo e vuoto. Ripetendosi che, nonostante
tutto, quella vita terribile era peggio di quel buio pieno di nulla.
Meglio
di quella follia eterna che rispecchiava il suo interno.
Gli
ci volle molto per capirlo, per arrivare a quello stato, molto del
tempo terrestre poiché in realtà, quando si
lascia il
corpo umano e si va con l’anima altrove, bè,
là non
esiste più nulla di normale, il tempo non trascorre e non
c’è
fretta. Ci sono solo i ricordi e le paure. I desideri.
L’interiorità.
Fu
lì, quindi, mentre lottava per riaprire gli occhi con ogni
briciolo di energia che cercò qualcuno
dall’esterno che
potesse aiutarlo, un collegamento. Qualcuno di vivo che potesse
trascinarlo lì dove lui voleva andare.
Qualcuno
che gli facesse capire che almeno in quello stato orrendo non era
solo.
Qualcuno.
Cercò
con volontà e disperazione e così successe.
Successe
che sentì nettamente, mentre iniziava a cercarlo, mentre lo
VOLEVA, la presenza di qualcuno. Del calore nuovo.
Una
luce.
Qualcosa
che divenne sempre più chiara, forte e netta.
La
volontà di qualcun altro era così forte da farsi
sentire fin lì, da arrivare a lui e richiamarlo.
Era
talmente potente da superare le barriere.
Fu
possibile poiché entrambi con una forza ferma e certa
vollero
la stessa cosa e si creò il collegamento.
Quando
Jude riaprì gli occhi azzurri velati, la prima cosa che dopo
un lungo attimo riuscirono a mettere a fuoco, fu il volto di chi
l’aveva vegliato giorno e notte in quel periodo indefinito.
Il
volto di un bell’uomo dai lineamenti regolari, gli occhi
grigi,
un’aria sciupata e i capelli neri corti.
Ma
fu quando questo sorrise rivelando una felicità inspiegabile
e
contagiosa che si rese conto di cosa era successo.
Se
era vivo non solo era merito di quell’uomo ma soprattutto
della sua
volontà ferrea.
Jude
era stato voluto vivo da qualcuno.