A Place For Me
CAPITOLO
4:
IL
MIO POSTO
Gli
occhi erano spalancati, le pupille rimpicciolite dalla sorpresa e le
iridi ancor più dorate di sempre. Il sole le batteva in
faccia
eppure sembrava non infastidirla, sembrava nemmeno vederlo. Le labbra
dimenticate aperte.
Una
folata di vento le portò i capelli mossi, di tutte le
tonalità
dell’arancione e del rosso, sul volto che rimase come prima.
Colpita.
Non
come lo si potrebbe essere superficialmente di qualcosa che non
prevedevi, che non avevi mai pensato, che ad un certo punto della tua
vita ti si piazza davanti e devi per forza far caso a lei, non puoi
ignorarla.
Quel
tipo di ‘colpo’ lo provi momentaneamente, ma
diventa subito
qualcos’altro, sorpresa, triste, felice …
Il
‘colpo’ che aveva preso Nike, in quel momento, era
ben diverso.
Era
profondo. Non sarebbe passato, non si sarebbe trasformato.
È
il tipo di colpo che arriva allo stomaco, mozza il fiato, i battiti
cessano, ti senti male fisicamente, non capisci più dove
sei,
lo spazio intorno a te sparisce e il tempo perde d’importanza.
Il
colpo che si abbatte su di te, impedisce qualsiasi pensiero
successivo, lascia imbambolati e senti un pugnale che si contorce.
Brividi
la percorsero da capo a piedi rizzandole i peli sul corpo.
Come
se il vento che scomponeva i lunghi capelli, fosse il soffio della
morte.
Lei
doveva essere morta.
Per
tutti lo era.
La
sua esistenza non aveva senso, per nessuno ormai aveva importanza,
per nessuno l’aveva mai avuta.
Era
stata in un orfanotrofio, il cognome l’aveva, però
i
genitori l’avevano abbandonata.
Inesistente.
Si
sentiva come se la sua nascita non avesse mai avuto motivo, se lei
non ci fosse.
Ancor
prima di scoprire che vita potesse avere, scopriva che era morta.
Cioè,
che per tutti lo era.
Sparita.
Il mondo non era più suo affare. Non aveva un posto dove
stare
se non, stando a quanto scoperto, sotto terra.
-
C’è un errore … Si sarà
trattato di omonimia,
Astrid, hai sbagliato! -
Luca
fu il primo a reagire sensatamente, come un ragazzo della sua
età.
Incurante
del vento sempre più forte che scombinava anche i suoi
biondi
capelli ricadenti così sugli occhi, il giovane
lasciò
sola Nike davanti a quella che doveva essere la sua tomba, per andare
davanti alla seconda sorella e trattenersi dallo sconvolgersi
più
dell’interessata.
-
Le palle di mia nonna! Non dire stronzate! Ha fatto le ricerche anche
Elisa e non ci sono errori! Nike Polaski è lei! Era
esattamente in questo orfanotrofio e all’anagrafe di questo
posto,
ha quella data di nascita! E poi, rimbambito, non vedi che
c’è
anche la sua foto? Io non sbaglio! -
Alzò
la voce, la ragazza, arrabbiata per sentirsi dire quelle cose. Senza
tener conto che, magari, era stata indelicata. Del resto indorare la
pillola non serviva a nulla.
Luca
cacciò il broncio arrabbiato per non riuscire ad essere
d’aiuto all’amica, guardò Elisa
implorante come a dire che
facesse qualcosa!
Così,
la castana, fece qualche passo avanti e disse dolcemente rivolta a
Nike:
-
Non devi preoccuparti … è solo un equivoco,
probabilmente
quella sera non ti hanno trovata e ti hanno messo nella lista dei
deceduti. È semplice, basta andare da chi di dovere per
sistemare le cose. -
Effettivamente
era più semplice di quanto si pensasse, ma di fatto, trovare
la propria tomba con tanto di foto, non era cosa di tutti i giorni,
specie per una con una storia come quella della piccola selvatica
ragazzina.
Non
distolse ancora lo sguardo dalla croce.
-
Si, infatti! La fate troppo tragica! C’è poco da
fare, se
qua c’è stato un incendio, vedi che è
facile che tu
sia finita, in qualche modo, lontano dagli altri a perdere la
memoria! Se poi le ricerche non sono state fatte bene, non è
colpa nostra! Non è un dramma, andiamo dalla polizia e
denunciamo la cosa! Insomma, non può mica rimanere morta per
lo stato! -
Logica
inoppugnabile, peccato per il tono sbrigativo e poco carino. Nike si
scosse e guardò le due ragazze, poi posò lo
sguardo su
Luca e improvvisamente capì che non c’era nulla di
cui
preoccuparsi.
Come
se non solo le parole, ma anche lo sguardo sereno e finalmente
disteso di Luca, la calmasse, la riportasse alla realtà,
l’aiutasse concretamente.
-
Si … -
Disse
incolore.
Il
vento cessò e i capelli si tornarono a posare sulla schiena
e
un po’ sul viso.
Quando
si girò per guardare i suoi compagni di viaggio e avventura,
con un aria tirata che si sforzava di convincersi di quanto fosse
stupida a rimaner male per una simile sottigliezza, vide qualcosa che
attirò la sua attenzione.
Qualche
metro dietro di loro, che li fissava stordita, c’era una
ragazza
poco più piccola di lei, accompagnata da un adulto.
Era
bassa e mingherlina, lineamenti delicati e molto infantili, boccoli
biondi le incorniciavano il viso un po’ scomposti per il
vento
appena passato.
Stringeva
fra le mani una rosa bianca.
Aveva
un espressione facciale pressoché sconvolta.
In
quel momento un telefono squillò spaventando un
po’ tutti
per il silenzio che era calato.
Astrid
rispose al cellulare e mentre accadeva, qualcosa si accese in Nike.
Conosceva
quella ragazza.
Ne
era certa.
La
voce di Astrid parlò seccata come suo solito e disse:
-
Lene, che vuoi?-
Lene,
era Selene, la loro sorella rimasta a casa, con mille borbottii e
contrarietà.
Lene.
Lene.
Quel
volto.
Non
quello della sorellastra a casa.
Lene
le aveva sempre richiamato un mal di testa eccessivo, un volto
diverso da quello di Selene.
Un
ricordo lontano, la sua voce che diceva: Lene, affettuosamente, come
se si rivolgesse ad una specie di sorellina minore.
Fece
qualche passo in avanti e finalmente anche gli altri notarono le
altre due persone.
Chiesero
qualcosa, salutarono, forse. Nike non avrebbe saputo dirlo.
Il
volto di quella figura fine e magra che le stava davanti ora, Lene
nelle orecchie, in continuo.
E
un rimbombo lontano, una risonanza, un ‘è vero,
è
così, è lei, la conosco. È
Lene…’ che si
faceva strada.
Lei
chi?
Confusione,
caos, la testa si sforzava, ma non rispondeva alle sue domande ed un
dolore acuto le assordò i timpani, si premette le mani alle
tempie e con una smorfia di dolore attese che passasse … e
fu
quando la piccola disse con voce sottile e stupita:
-
Oh mio Dio … Nike … -
Nella
sua lingua, in tedesco, che il botto violento che sentiva in
sé,
sparì.
Lasciandole
i ricordi tanto agognati.
-
Lene … Marlene … sei tu … -
Sospesa
fra il sogno e la realtà, mossero entrambi dei passi
incerti,
quando furono di fronte fu Nike ad alzare la mano per prima e posarla
sulla guancia della bionda.
La
toccò e fu certa di sapere chi fosse, di dove e di avere un
posto di appartenenza, ricordò ogni cosa, la sua lingua
madre,
gli episodi passati in orfanotrofio con l’amica, i suoi
malumori
continui, il bene che aveva voluto a quella piccola personcina che
aveva protetto fino all’ultimo, l’unica che mai
fosse stata
veramente sua amica.
Fu
grazie al rapporto che c’era stato fra loro due, solido,
forte,
indissolubile, grazie alla rivelazione che quel sentimento perenne
che lega, esiste, non è una banalità, e che si
chiama
amicizia, che fu permesso libero accesso alla sua memoria.
Poteva
un amicizia arrivare e ridonare i ricordi perduti? A ricucire lo
strappo che lo shock le aveva fatto subire?
Quanto
forte poteva essere un rapporto umano?
Così
tanto?
Si.
Lacrime
scorsero lungo le guance di Nike, lacrime candide, di liberazione,
come se l’oppressione che le schiacciava il petto da sempre
fosse
fumata, evaporata.
Come
se fosse finalmente libera.
Si
piegò sulle ginocchia, piangendo, vergognandosi di quello,
ma
stando infinitamente meglio.
Marlene
rimase di sasso anche lei, per tutto, per la reazione di Nike, per
averla ritrovata, per aver scoperto che non era morta … che
poteva
riaverla, ringraziarla della vita salvata, aiutarla concretamente,
restituire il bene che le aveva dimostrato, essere sua sorella
veramente, almeno per un pezzo di carta scritto da qualche parte.
L’abbracciò
forte con un esplosione di emozioni troppo violente per una delicata
come lei, e pianse accompagnando le lacrime dell’amica
ritrovata.
Non
mille domande di rito, normali. Non cercare di riprendersi, comporsi,
capire, sapere i perché, i come, i se, i ma, i dove
… nulla
… solo una frase dettata dal profondo affetto e desiderio
che aveva
provato dalla notizia della morte dell’amica.
-
Nike … rimani con me, ti accoglieranno, sarai finalmente mia
sorella, ti prego … come sognavamo; essere adottate dalla
stessa
famiglia. Per me lo faranno, non hanno problemi … sono
speciali,
vedrai. Rimani con me … -
Non
per egoismo, non perché non ci arrivava da sola, ma
perché,
semplicemente, le voleva così bene che non voleva perderla
di
nuovo.
Elisa,
Astrid ma soprattutto Luca fecero molta attenzione a quanto sarebbe
successo dopo, stupite e contente (compreso Luca), per quanto stavano
vedendo, si trovarono subito a storcere il naso e ad incupirsi a
quelle richieste.
Ma
se il volere di Nike sarebbe stato quello, non avrebbero obiettato.
Nike
si fermò di colpo e si staccò, la
guardò
profondamente negli occhi con ancora molto stupore per tutto,
soprattutto per quell’ultima frase.
Non
riusciva a riflettere, era stato un momento troppo intenso per lei.
Non era sicura, non sapeva, non capiva; fragile come mai lo era stata
si chiese cosa dovesse fare e rimanendo a terra guardò di
scatto le due sorelle, senza osare guardare Luca.
Fu
Astrid a parlare per prima, risparmiandolo ad Elisa, che sapeva
quanto teneva a quella piccola bambina.
Fu
dura, come solo riusciva ad essere quando qualcosa le premeva
veramente.
-
Se lo desideri … -
-
Come? -
Mormorò
insicura Nike.
Luca
la guardò sperando che non lo facesse, che non lo dicesse
…
Elisa chiuse gli occhi preparandosi:
-
SE LO DESIDERI! -
Urlò
arrabbiata. Nei suoi piani doveva controllarsi e non far capire la
sua contrarietà, per legarla a sé il meno
possibile,
per lasciarla più libera, però sapeva che sarebbe
finita così.
Elisa
si inginocchiò davanti alle due e parlò come lei
sapeva
fare, dolce e paziente, con un dispiacere nello sguardo:
-
Tesoro, non devi sentirti in obbligo, tu devi fare le scelte che
vuoi, hai sofferto tanto ed è giusto che vai nel posto che
senti tuo … -
Luca
non seppe dire o fare nulla, lo shock per la possibilità di
perdere una persona come Nike, nuova sorella, nuova amica, lo
lasciò
inebetito, indietreggiò e non riuscì nemmeno lui
a
nascondere ciò che aveva dentro.
Troppo
limpido come il suo azzurro sguardo cristallino.
Una
preghiera continua … ’non andartene, non
andartene, non
andartene…’
L’occhiata
successiva su cui si posò Nike, fu proprio per lui.
Non
importava nulla, se lui le avesse chiesto di rimanere sarebbe
rimasta.
Fu
una verità appresa in un secondo, un lampo.
Era
questo che voleva.
Non
far star male lui che l’aveva aiutata più degli
altri, vero
era però che tutti avevano fatto molto per lei.
Che
dopo la fatica di essersi esposta, ambientata ed aver accettato
quella strana ma affettuosa famiglia, aveva anche imparato a viverci.
Cosa
significava?
Starci
anche bene, al suo interno.
Sentirsi
a posto … a posto.
Era
questo il punto, si sentiva parte di un famiglia, ormai Udine era la
sua casa, se sarebbe tornata da qualche parte, sarebbe stato quel
posto, da quei genitori, da quelle sorellastre e da quel
fratellastro, amico, compagno.
Quel
punto di riferimento fermo e sicuro che ora indietreggiava impaurito
da qualcosa, da lei, dalla sua risposta.
Ecco
cosa voleva lui.
Che
lei rimanesse nella sua famiglia, con lui.
Lo
sentiva, ne era certa, ormai lo conosceva.
Così
le lacrime furono asciugate dal suo dorso, si alzò in piedi
alzando anche Marlene, le tenne le mani stringendole forte e
parlò
sicura, non più sconvolta, con una grande forza interiore,
una
volontà di ferro, un anima incrollabile.
-
Lene, ti ringrazio per quello che mi hai detto, vorrei accettare,
è
il desiderio più grande che ho avuto da sempre. Lo sai il
bene
che ti voglio, specie ora, dopo tutto quanto … ma non
è
giusto, sai? Nei confronti di chi mi ha aiutato ora, mi hanno tolto
dalla strada, hanno impedito che morissi di fame e malattie, mi hanno
dato la salute, la vita, una memoria, un affetto … qualcosa
da
tenere per me e me solo, di cui andarne fiera, mi hanno dato un
famiglia, qualcosa a cui tutti agogniamo. Il mio posto è con
loro. -
Le
lasciò un attimo per incassare il colpo, poi si
sollevò
sentendo la sua risposta.
Un
abbraccio spontaneo e stretto.
-
Non importa, va bene lo stesso, sono contenta per te …
possiamo
vederci lo stesso. -
E
lei ricambiò l’abbraccio.
Sorrise
leggera.
Stava
bene.
Aveva
trovato il suo posto.