NOTE:
questa storia è stata richiesta da Yukino per il suo
compleanno (me ne ha chieste ben tre, questa è una di
quelle). Voleva una su CT con coppia o Genzo e Karl oppure Kojiro e
Jun. Siccome su questi secondi ho scritto di recente, allora ho fatto
sui primi. Inoltre voleva che fosse la prima parte angst, mentre la
seconda… bè, la leggerete, visto che la fic
è divisa in due parti. La prima è proprio come la
voleva lei (anche se il fatto in sé l‘ho pensato
ed elaborato io…), quindi prendetevela con mia sorella.
Spero
che tutto sommato sia venuta bene.
Buona
lettura. Baci Akane
BIANCO
CAPITOLO
I:
SEPARAZIONE
/Travel
is dangerous - Mogwai/
Non
sai cosa ti succede finché non ci sei dentro fino al collo.
Mentre
inizia tu agisci d’istinto, non hai idea di che cosa tu stia
facendo, lo fai e basta. Solo dopo, quando le prime conseguenze ti si
affacciano cominci a capire.
E
quando ci riesci ti blocchi di botto, non ti muovi più.
Vai
in black out, scolleghi tutto e ogni cosa svanisce, soprattutto la tua
famosa razionalità.
Il
cuore che batte impazzito è la prima cosa che senti, vai
come in fibrillazione, non riesci a respirare bene e la gola si annoda
insieme allo stomaco che si contorce facendoti venire una nausea
atroce.
Stai
per vomitare in piena crisi di panico e tutto ciò che senti
è bagnato sulle mani, un bagnato caldo, un odore indefinito
che però non dimenticherai più e il rosso. Il
rosso lo vedi e lo vedrai anch’egli per sempre. Non lo potrai
dimenticare.
Tutte
quelle sensazioni non ti si staccheranno mai più.
Vedrai
sangue dappertutto, sempre, non solo lì, sulle tue mani e
sulla sua ferita che cerchi di tenere premuta.
Sei
in ginocchio accanto a lui che non si muove e non grida nemmeno,
schiacci i palmi sul suo corpo inerme, le senti inondarsi di un liquido
scarlatto che odora di… non sapresti proprio eppure ha un
odore preciso… guardi giù con occhi fissi e
sgranati ma shockati, non vedi davvero nulla.
Ti
rendi solo lontanamente conto che quello è sangue, ma non il
tuo.
No…
e sarebbe meglio se lo fosse, vero?
Non
è il tuo, dannazione… è… il
suo.
Il
suo sangue…
…
e lui non si muove…
Allora
senza rendertene conto e senza nemmeno volerlo, quando ti chiedi con
l’anticamera del cervello in mezzo al terrore che ti monta
prepotente, come diavolo siate finiti lì, il tuo cervello si
riattiva per gettarti in un vortice tremendo che, col senno di poi,
avresti volentieri fatto a meno di rivivere.
***
-
Non fare l’idiota… non qua… - La voce
fredda e controllata di Karl si levò in un sussurro quasi
metallico e raggiunse un contrariato Genzo che si limitò a
fare una smorfia infantile senza mollare la presa.
La
sua mano continuava a stare dentro ai pantaloni del compagno, proprio a
toccare il suo bel fondoschiena sodo.
C’era
freddo e quella sera il cielo carico di nuvole grigie promettevano una
nevicata storica. La temperatura era quella giusta, il fiato si
condensava a contatto con l’aria fredda e pungente, la pelle
si intorpidiva arrossendo ed anche se erano più coperti che
scoperti, la mano di Genzo aveva pensato bene di infilarsi dietro,
sotto i jeans, facendogli entrare abbastanza freddo da infastidirlo
subito.
-
E’ colpa della tua giacca così corta, ti arriva
solo alla vita… - Rispose con un ghigno divertito il moro
dai corti capelli spettinati e i lineamenti orientali che gli davano un
aria molto tenebrosa ed affascinante.
-
Fa freddo e siamo all’aperto… - Non serviva
spiegare perché questi due elementi non andavano, vero?
-
E allora? - No, evidente serviva…
Glaciale
ed impaziente il biondo tedesco dai lineamenti più duri ma
affascinanti ugualmente, rispose continuando a camminare dritto per la
via deserta:
-
Non mi piace avere freddo e all’aperto può vederci
chiunque, cosa che mi piace ancora meno. - Per i suoi canoni aveva
parlato anche troppo.
Sperava
di averlo convinto e di sentirlo ritirare la sua mano dal proprio
didietro, ma al contrario l’inserì ancor meglio
avvicinandosi maggiormente.
-
Neanche a me piace che tu sia così rigido! - Disse con la
sua logica inoppugnabile.
Karl
si fermò e lo guardò di sbieco trapassandolo con
le sue lame azzurre. Confronto a quelle, il freddo di neve di quella
sera non era nulla.
-
Togli quella mano da lì! - Aveva allora detto a denti
stretti. Più un ordine che altro. Il modo perfetto per
fargli fare tutto l’opposto!
Come
gli avesse chiesto il contrario, Genzo lo spinse poco delicatamente
contro il muro che stavano costeggiando e fregandosene altamente del
luogo gli prese il viso fra le mani, quindi dopo averlo bloccato col
corpo, lo baciò sicuro senza permettergli di reagire.
Karl
rimase di sasso e in un primo momento non fece nulla. Solo quando
realizzò che quella che si infilava nella propria bocca era
la sua lingua, tentò di respingerlo e porre resistenza. Non
era il posto giusto, l’idea di essere visti da qualcuno lo
bloccava come nessuno riusciva a fare in campo durante una partita. Non
era per la sua pace personale quanto perché semplicemente si
imbarazzava di quei gesti d’affetto in pubblico. Li limitava
parecchio persino in privato, figurarsi in piena strada!
Ma
non riuscì a scrollarselo di dosso… quando quello
era in versione demente-fastidioso, nessuno poteva fermarlo!
Non
era comunque nemmeno da lui fargli fare inerme quel che voleva e fino
all’ultimo non rispose al bacio che invece in un momento
normale gli sarebbe piaciuto.
Però
non dovette aspettare a lungo.
Qualcosa
in effetti li interruppe e non proprio qualcosa di piacevole.
Anzi,
per nulla.
Prima
che potessero rendersene conto si trovarono uno di fianco
all’altro appiattiti contro il muro con dei coltelli puntati
alla gola, dei visi sconosciuti ed una valanga di insulti pesanti
contro i gay.
Succedeva
dunque così?
Le
aggressioni erano quelle?
Prima
che te ne accorga sei con le spalle al muro con un coltello addosso e
delle parole che nemmeno registri?
Ci
fu un istante in cui Genzo tentò di riprendere in mano la
situazione chiedendo cosa loro volessero, ma la risposta non
arrivò mai.
Si
sentì infilare le mani in tasca e prendere il portafogli,
quindi uno spunto in faccia ed altri vari insulti sui suoi orientamenti
sessuali.
Arrivò
il famoso punto in cui lui non pensò, non pensò
più e mentre Karl immobile lo faceva anche per lui senza
dire o fare una sola cosa, Genzo come con un riflesso incondizionato,
colpì il ragazzo che gli aveva sputato in faccia. Il pugno
si infranse potente contro il suo viso e mentre indietreggiò
imprecando dal dolore, un altro lì accanto lo
guardò più feroce che mai.
Ed
è lì che tutto cominciò a precipitare,
giù, sempre più giù, velocissimo. Non
capisci nulla.
Non
sai cosa succede, è un lampo, un flash.
Ma
quel che succede altri non è che l’affondo di una
lama e non per difesa ma per odio.
Un
odio terribile provocato… bè, da cosa, tutto
sommato? Forse solo ignoranza.
Magari
era iniziata come una semplice rapina, il problema era che se fossero
stati un uomo e una donna, il resto non sarebbe arrivato.
Ci
si sforza, ci si sforza davvero… ma proprio non si riesce a
controllarsi e si agisce precipitosamente da stupidi. Non puoi
rimediare, dopo, ma non pensi a questo.
Pensi
solo che vuoi fargliela vedere, che quello non lo può fare,
che non può osare tanto.
Perché
ognuno ha i suoi limiti, ognuno non deve passare alcuni segni.
Però
alla fine chi ci rimette di più è solo una delle
due parti ed il più delle volte è quella che se
lo merita di meno.
Da
che il tutto iniziò a che finì passarono appena
dei decimi di secondo.
Genzo
con un dolore lancinante al ventre si sentì come una
marionetta a cui avevano tagliato i fili e prima di accorgersene e
sentire tutte le varie sensazioni fisiche, si ritrovò a
terra sorretto prontamente da un inorridito Karl che rigido e pallido
come un fantasma, agiva senza capire, senza sapere cosa stava facendo,
senza realizzare cosa era appena accaduto.
Lo
vide accasciarsi giù e lo prese al volo.
Dopo
di ché erano di nuovo soli come prima, come se non fosse
venuto nessuno, come se di nuovo tutto potesse scorrere naturale.
Il
freddo di nuovo sulla pelle scoperta, un freddo che non sentiva
più, il bagnato sulle mani che premevano febbrili e
automatiche la ferita, il sangue che le sporcava di un rosso acceso
scaldandole, e quell’odore… un odore nauseante.
Dopo
che il tempo accelerò a quel modo e si fermò
improvviso, lo shock di Karl ed il successivo panico si trasformarono
in vero e proprio terrore.
Un
qualcosa che non si può descrivere, che ti immobilizza, ti
toglie ogni funzione corporea e mentale, ti sconnette totalmente. La
realtà svanisce, rimani solo tu con la tua stupida e
impossibile realizzazione.
…
lui è stato ferito… e non si muove…
***
Quelli
che seguirono furono i momenti più angoscianti e tremendi
della sua vita.
Non
li avrebbe mai scordati eppure tutti i pensieri che ebbe e le
sensazioni che provò furono avvolte nella nebbia.
O
per meglio dire nella neve.
Lenti
e piccoli fiocchi cominciarono a volteggiare lievi nell’aria
fino a scendere timidamente sul mondo raffreddandolo ulteriormente.
A
contatto con loro si scioglievano bagnandoli.
Quella
notte la neve raggiunse un metro di altezza e il mondo completamente
bianco rispecchiò totalmente lo stato d’animo di
Karl durante le ore di attesa che lo videro all’ospedale.
Bianco.
Nulla.
Vuoto.
Eppure
angoscia, panico, caos, paura.
Un
tutto ed un niente.
Una
contraddizione, un contrasto, un incomprensibile insieme di fattori.
Sei
lì ma non capisci dove sia il lì.
Provi
e ti sembra di impazzire ma non capisci cos’è che
provi di preciso.
Aspetti
ma non sai cosa aspetti.
E
intanto il mondo continua ostinatamente a rimanere immerso in quel
bianco-nulla che lo lascia solo, abbandonato.
Lui
e le sue paure.
Quella
notte Karl non l’avrebbe mai dimenticata.
***
Rimasto
seduto accanto al suo letto tutta la notte, dopo che
l’avevano operato per salvargli la vita, l’aveva
fissato immobile e vacuo imprimendosi a fuoco nella mente i suoi
lineamenti, il suo pallore, il tubo che gli usciva dalla gola per farlo
respirare, le coperte bianche che lo ricoprivano nascondendo la
fasciatura sul ventre, altri tubicini in plastica che dai macchinari
lì accanto si attaccavano a lui.
Tutta
la notte senza sentire alcun bisogno, senza muoversi, senza bere, senza
andare in bagno, senza parlare. Solo respirare, fermo, seduto dritto
sulla sedia, gli occhi fissi su Genzo.
Una
domanda gli vorticava continua nella testa… ‘come
è potuto accadere?’, che si alternava a
‘perché proprio a lui?’.
Ma
nessuna risposta.
Lui
e la paura terribile di perderlo accompagnata da una consapevolezza
altrettanto sconvolgente. Era successo perché erano gay.
Genzo stava per morire perché era gay.
Non
li avevano avvicinati per quel motivo, volevano solo rapinarli, ma
vedendo che erano due ragazzi a baciarsi erano degenerati, specie alla
reazione brutale di Genzo.
Non
seppe quanto rimase lì ad alternare i suoi pensieri fra
domande e riflessioni, ma non si può certo dire che trovarsi
soli con sé stessi in una situazione simile fa bene.
Quando
finalmente il suo compagno cominciò a muovere gli occhi
sotto le palpebre chiuse, guardò immediatamente le sue mani.
Anch’esse si muovevano. In breve fu in piedi su di lui con un
ansia che quasi l’avrebbe fatto impazzire se non fosse che
era stato peggio prima.
Genzo
riaprì lentamente gli occhi neri come la notte e li mosse
velati cercando di mettere a fuoco ciò che lo circondava.
Quando ci riuscì delineò a pochi centimetri da
sé il viso di Karl e capì di essere tornato
davvero in vita.
Aveva
ancora il tubo in gola che lo aiutava a respirare ma era certo che
l’aria gli venisse dal sollievo di averlo visto di nuovo.
Stava
bene… fu il primo pensiero che ebbe.
Non
gli avevano fatto del male.
Avrebbe
voluto dire qualcosa ma naturalmente non ci riuscì e
successivamente cominciò a sentire una serie di altri
sgradevoli sensazioni che culminarono con il dolore al ventre.
Era
quello che ad ogni respiro gli provocava una fitta…
Lentamente
cominciò a realizzare cosa doveva essere successo e con la
muta domanda nello sguardo, Karl la colse e rispose con un filo di voce
sforzandosi di mantenersi il più naturale possibile.
Non
ci riuscì molto…
-
Sei stato accoltellato. Ora sei in ospedale. Ti hanno operato e ripreso
per un pelo. Sei rimasto in coma tutta la notte… - Si
fermò ma Genzo ebbe la netta impressione che dovesse dirgli
qualcos’altro che però non arrivò.
Forse troppo difficile dirlo.
Volle
credere che si trattasse di un ‘ti amo, mi hai fatto
preoccupare tantissimo…’, quindi fece un lieve
cenno di sorriso con gli occhi, tutto quello che poté
permettersi.
Karl
capì lo sforzo, capì cosa voleva dirgli e
sentì una nuova ondata più forte investirlo.
Un’ondata di paura e terrore, un fortissimo senso di angoscia
che gli contorse lo stomaco e gli serrò il cuore in una
morsa dolorosa.
Paura
che tutto quell’incubo potesse ripetersi. Paura di perderlo
davvero. Paura di non sopportarlo più.
Ma
non riuscì a dire nulla, non espresse con voce e parole
questo stato d’animo tremendo se non con gli occhi azzurri
che divennero lucidi. Per un attimo Genzo pensò di vederlo
piangere, ma prima che potesse succedere ed alzare una mano per
prendere la sua, egli si alzò e se ne andò senza
dire assolutamente nulla.
Uscì
e non tornò più.