CAPITOLO II:
RICONCILIAZIONE
/Take
me somewhere nice - Mogwai/
Le settimane che
passarono furono due, nonostante Genzo fece di tutto per uscire prima
promettendo che non si sarebbe mosso dal letto di casa, i medici non
glielo permisero per colpa della sua fama. Era un portiere famoso in
Germania, titolare di una delle squadre più forti del
campionato. Non se l’erano sentita di rischiare nel
rimandarlo a casa prima di un tempo più che ragionevole.
Dopo due
settimane si fecero promettere che sarebbe rimasto a casa a letto e che
prima di un mese non si sarebbe strapazzato. Ovviamente
l’avrebbero rivisto ogni 4 giorni per la medicazione.
Genzo
acconsentì a tutto, in realtà non gli
interessava, voleva solo uscire. Le telefonate che aveva fatto a Karl
non avevano mai ottenuto risposta e tutti quelli che erano venuti a
trovarlo non erano stati capaci di dargli notizie di lui. Veniva agli
allenamenti ma al di là di quello non si faceva vedere
assolutamente.
Il suo umore
raggiunse picchi di nervosismo e rabbia allucinanti, tanto che gli
ultimi giorni di degenza nessun’infermiera aveva osato andare
a visitarlo più del necessario, nonostante fosse considerato
un ottimo partito!
Ovviamente una
volta fuori dall’ospedale e salito su un taxi, non ci
pensò minimamente ad andare davvero a casa propria.
Giunto sotto il
palazzo in cui abitava Karl, salì obbligato dal proprio
fisico convalescente ad andare piano.
La rabbia e
l’agitazione che provava, però, stavano
raggiungendo picchi piuttosto alti. Non sapeva se sarebbe riuscito a
trattenersi ancora una volta davanti a lui.
Perché
era sparito?
Perché
non aveva più voluto vederlo e parlargli?
Che razza di
reazione era quella, dannazione?
Non lo capiva,
questa volta non lo capiva proprio nonostante di solito ci riuscisse
piuttosto bene…
Non
bussò, si limitò ad aprire con la sua copia di
chiavi lieto di constatare che la serratura non era cambiata!
Sbatté
la porta con poca gentilezza quindi lo chiamò con voce
tonante. Se ancora c’erano dubbi, questo li toglieva tutti:
era arrivato Genzo!
- KARL! SONO
IO, GENZO, VIENI QUA! - Non è che fosse in piena forma per
giocare a nascondino…
Dopo la terza
sempre più seccata chiamata, la figura alta, slanciata,
atletica e bionda del tedesco si affacciò da quella che era
la sua camera in fondo al corridoio.
Si
fermò alla soglia del soggiorno dove si trovava il portiere
fermo con aria battagliera e le mani ai fianchi.
Lo sguardo che
si scambiarono fu intenso e comunque molto cupo, per lo meno da parte
di uno dei due. L’altro si manteneva freddo e distaccato ma
era solo uno sforzo inutile.
Il compagno
percepiva tutto ciò che era sotto la sua maschera.
Avanzò
deciso e gli si fermò davanti, quindi trattenendo una
smorfia di dolore per i movimenti bruschi ringhiò
arrabbiato:
- Che diavolo
significa? - Non serviva andare più nello specifico.
- Non
è chiaro? - Rispose subito tagliente Karl. A questo
punto il ragazzo davanti a sé lo
afferrò per le spalle con quella di obbligarlo a parlare,
gli occhi penetranti puntati rabbiosi sui suoi, cercò di
reggere il suo sguardo furioso ma non ci riuscì, quindi con
un gesto secco se lo tolse di dosso provocandogli involontariamente
un’altra fitta.
Questo lo
fermò istintivamente e con aria liberamente apprensiva
aprì la bocca per chiedergli come stava, ma si trattenne.
Come poteva
pensare che non lo vedesse?
Che non capisse
che comunque lo amava?
- Sto bene,
Karl. - Borbottò abbassando il tono, sapeva che non glielo
avrebbe mai chiesto anche se avrebbe voluto. Sospirò
cercando un po’ di calma, quindi riprese: - Cosa ti
è successo? - Non era più domato
dall’ira. Sapere che i suoi sentimenti erano immutati e che
lo amava ancora l’aveva come tranquillizzato.
Karl si
voltò dandogli le spalle e guardò in basso.
Detestava essere così insicuro ed incerto specie davanti a
lui che invece doveva credere che fosse finita.
Soppesò
per un attimo l’idea di riprendere la linea di freddezza ma
si disse che sarebbe stato inutile con lui, quindi decise per la
semplice verità.
Era sempre
stato l’unico con cui poteva essere sé stesso, con
cui poteva parlare liberamente e aprirsi senza vergogna.
- Non voglio
che stiamo più insieme, Genzo. - E dirlo gli pesò
più di ogni altra cosa.
L’impressione
di essere stato pugnalato di nuovo lo bloccò togliendogli il
respiro, una fitta all’addome.
- Cosa? -
Chiese sperando di aver sentito male. Le orecchie presero a fischiargli
e il mondo a girare pericoloso ma facendo appello a tutta la sua forza
e determinazione, non poche in effetti, rimase in sé.
- Hai sentito
bene. Dobbiamo lasciarci. Non voglio che ci frequentiamo
più. - Difficile a partire dal fatto che giocavano nella
stessa squadra. Certo, un trasferimento al kaiser l’avrebbero
concesso senza replicare, ma rimaneva il piccolo increscioso
particolare che si amavano.
-
Perché, di grazia? - Di nuovo la rabbia cominciò
a montargli, il controllo a sfumargli e il sangue a ribollirgli nelle
vene.
- Non lo
capisci? - Karl gli dava ancora le spalle, non riusciva a dirgli quelle
cose e guardarlo negli occhi, tratteneva a stento le lacrime. Quel nodo
minacciava di uscire appena i loro sguardi si sarebbero incrociati di
nuovo.
- No, non lo
capisco! - Genzo strinse i pugni tendendo i muscoli, ciò gli
provocò un’altra fitta che preferì alle
parole del suo ragazzo. Ben presto ogni capacità di
ragionare andò a farsi benedire e rimase solo la voglia di
colpirlo, l’avrebbe fatto se il suo fisico glielo avesse
permesso…
Silenzio.
- E comunque
guardami negli occhi mentre mi dici queste cose! - Lo prese di nuovo
per un braccio e con decisione lo voltò. Non aveva creduto
di riuscirci viste le sue condizioni, invece ebbe il viso di Karl di
nuovo davanti al suo più pallido che mai e non per una
ferita al ventre rimarginata da poco. Notò solo allora le
occhiaie sotto gli occhi di nuovo lucidi e arrossati, non dormiva da
notti e forse… forse quelle erano tracce di pianti nascosti.
Questo
bastò per sconvolgerlo e lasciarlo senza parole per un
attimo. Si spompò di nuovo, rilassò i muscoli, lo
lasciò andare e quando l’altro non
tornò a voltarsi, con un filo di voce chiese di nuovo.
-
Perché? - Fu allora che lo capì da solo e mentre
nella sua mente le parole di Karl lo precedevano, un istante dopo le
sentiva con le orecchie pronunciate dalla sua voce flebile ed
irriconoscibile.
Quello non era
il suo ragazzo altero, saccente, freddo e tagliente.
Quello era un
ragazzo che aveva passato un inferno peggiore del proprio… e
che ora soffriva come lui poteva solo immaginare.
-
Perché ti amo troppo per rischiare di perderti di nuovo
come… - il resto non riuscì mai a dirlo
perché le lacrime simili a piccoli fiocchi di ghiaccio
trasparenti gli uscirono dagli occhi chiari come cristalli.
Il nodo si era
sciolto ed ogni forza in lui svanì come la neve al sole.
Genzo fu
percorso da brividi incontrollati ed immobile
l’osservò piangere rigido davanti a sé
senza riuscire a parlare più.
Non servirono
altre spiegazioni, l’abbracciò immediatamente
stringendolo a sé ignorando le altre fitte.
La testa
riprese a girargli e la debolezza lo appesantì
improvvisamente ma non cedette, rimase saldo in piedi tenendo il
compagno premuto contro il petto.
Lo
sentì nascondere il viso nella giacca e scuotersi
convulsamente in quel pianto liberatore che parve senza fine.
Non dissero
nulla, Genzo non provò a consolarlo e a parlare.
L‘abbracciò semplicemente chiudendo gli occhi e
assaporando quel momento che da due settimane non aveva più
provato.
Una serie di
sensazioni piacevoli lo fece come rinascere nonostante il suo dolore.
Come non poteva
capirlo, Karl?
Era quello il
motivo per stare insieme lo stesso.
Erano loro.
Loro gli unici
in grado di far star bene l’altro.
Per quello
potevano sopportare tutto stando insieme.
Quando smise di
tremare fra le sue braccia, gli prese il viso fra le mani e
gliel’alzò guardandolo da vicino. Era stravolto
dalle lacrime e gli occhi quasi trasparenti più belli di
quanto non li avesse mai visti. Provò il desiderio di
baciarlo ma parlò in un sussurro dolce e delicato:
- Siamo gay e
allora? Non avremo mai vita facile, lo so. Per una stronzata si
può addirittura arrivare a rischiare la vita. Molti
purtroppo non se la cavano. Ne passeremo di tutti i colori, specie se
la nostra storia non sarà segreta. È possibile
che succeda ma Karl… a me basti tu. Non mi importa del
resto. Posso passare di tutto a patto che tu ci sia. Non togliermi la
cosa più bella della mia vita… senza di te mi
rimane il calcio e che faccio… gioco fino a 90 anni? -
L’ultima
frase la disse sorridendo per alleggerire il momento, quindi si perse a
contemplare i particolare del suo viso non più duro e
spigoloso ma bensì stravolto e sofferente che finalmente si
rasserenava.
Fu quasi
impercettibile ma per Genzo fu davvero lampante.
La risposta
furono le sue labbra posate sulle proprie con trasporto e bisogno.
Una specie di
ancora di salvezza. Un modo per tornare anch’egli alla vita.
Quando le
lingue si allacciarono rimasero un attimo ferme senza muoversi, tante
scariche li percorsero e un’emozione li scaldò
mentre il terribile ricordo di quella notte veniva surclassato da
questo.
Ripresero a
baciarsi sospendendosi in quell’istante magico.
Non avrebbero
mai dimenticato nemmeno quel giorno.
***
- Non
ne potevo più di stare fermo chiuso in casa… -
Borbottò Genzo uscito dalla doccia degli spogliatoi del
club.
Solo uno
striminzito asciugamano era stretto intorno alla vita, per il resto il
suo fisico possente da calciatore era ben in mostra.
Gli occhi
azzurri dell’unico presente ormai quasi del tutto vestito,
indugiarono sul suo ventre.
Verso il fianco
una bruttissima cicatrice verticale faceva sfoggio di sé,
era rimarginata ma si vedeva che lo era da poco. La pelle rovinata era
più chiara su quella che era stata una terribile ferita.
Da allora era
passato ormai molto tempo e quello era il primo giorno di allenamento
di Genzo.
-
Com’è andata? - Chiese insolitamente Karl
indicando con lo sguardo la cicatrice che ogni volta lo ipnotizzava.
Il moro dai
capelli bagnati e spettinati sulla testa se la fissò con
aria noncurante, quindi sfiorandola appena con le dita alzò
le spalle con un guizzo. Le gocce scivolavano sulla sua pelle lucida
arrivando fino a terra, creando piccole pozze.
- Oh
bene… non mi ha fatto male. - Anche se qualche piccola fitta
ogni tanto l’aveva provata, ma nulla di insopportabile o
degno di nota. Del resto la sua sopportazione era di alti livelli.
Karl lo
conosceva bene ma decise di lasciarlo fare, tanto non valeva la pena
sprecare preziose parole per un testardo che avrebbe dovuto aspettare
ancora un po’ prima di tornare in campo.
- Mi sento
indietro rispetto agli altri ma ben presto tornerò in
forma… prima che finisca il campionato penso di riuscire a
tornare a giocare! - La sua testa continuava a pensare solo al calcio,
manco a dirlo, mentre quella di Karl unicamente alla sua salute!
Scrollando
leggero le spalle in segno di disaccordo, si infilò i jeans
dandogli la schiena. Anche lui aveva i biondi capelli bagnati che gli
ricadevano più lunghi intorno al viso che si ostinava a
rimanere impassibile.
Con un lampo di
divertimento, il moro gli si avvicinò da dietro sapendo bene
cosa gli passasse per la testa anche se si tratteneva.
Lo prese per i
fianchi e poggiò le labbra umide dietro al suo collo,
scostandogli le ciocche ancora disordinate.
- Non
preoccuparti, non forzo la mano… - Mormorò
facendolo rabbrividire per il contatto delle sue labbra che si
muovevano su quella parte così sensibile di pelle.
- Non sono
preoccupato. Puoi fare quello che vuoi! - La frase gli uscì
eccessivamente fredda e tagliente, cosa che fece capire quanto invece
fosse tutto l’opposto!
Genzo infatti
sorrise malizioso accettando questa sciocca presa di posizione, quindi
scivolò con le labbra in mezzo alle scapole, la sua pelle
asciutta da poco era molto chiara ed ancora più morbida di
sempre mentre la sua schiena nuda un invito allo stupro.
Aveva sempre
avuto un debole per quella ed ora che gli spogliatoi erano vuoti
poiché si erano fermati di più di proposito, non
trovava un utilizzo migliore di quella stanza.
Con malizia
crescente appoggiò il suo bacino avvolto
dall’asciugamano sul fondoschiena sodo evidenziato da quei
jeans stretti. Nonostante le stoffe li dividessero, si sentirono
abbastanza per capire come potevano passare il resto del tempo che
rimaneva.
Karl fece
ancora un po’ il sostenuto nonostante morisse dalla voglia di
lasciarsi andare contro il suo ragazzo, quindi non mise giù
la maglietta che aveva preso per infilarsi. Non concluse mai il gesto.
Quando le mani
di Genzo si spostarono languidamente sul davanti, sempre seguendo il
suo giro vita stretto, con una facilità disarmante gli
slacciò il bottone e tirando giù la cerniera
infilò le dita sotto i boxer. Cominciò ad
occuparsi voglioso del suo membro che, come il suo proprietario, si
ostinava a non reagire.
Karl era sempre
una sfida molto intrigante…
Leccandosi le
labbra eccitato, aderì il petto alla sua schiena
bagnandogliela di nuovo, poi fece sua una piccola parte alla base del
collo dove iniziava la spalla. Lì Karl era particolarmente
sensibile e succhiando lo mordicchiò assetato.
Fu allora che
lentamente, con le mani che continuavano il massaggio sul suo inguine,
che il biondo non riuscì a rimanere più
impassibile ed abbandonandosi contro di lui gli fece capire quanto
invece gli piacesse quel trattamento.
La testa
piegata di lato gli diede un miglior accesso mentre le mani sulle sue
che continuavano a muoversi gli indicavano di non smettere. Il respiro
cominciava ad essere più corto. Scrutando di sottecchi il
suo viso così vicino, Genzo lo vide che ormai teneva gli
occhi chiusi rilassandosi totalmente al piacere che pian piano
cresceva.
Era
così inconsapevolmente sensuale che gli veniva voglia di
mangiarselo tutto ma quando la sua erezione salì troppo,
Karl stesso si staccò da lui girandosi. Si trovarono
l’uno voltato verso l’altro coi petti che fremevano
a contatto, i cuori impazziti e l’eccitazione che continuava
a crescere.
Karl si
impossessò subito della sua bocca e dimenticando luogo ed
ogni altro impedimento possibile, si fuse con lui e la sua lingua. Un
gioco erotico che mostrava quanto l’avesse voluto, quando lo
desiderasse ancora.
Febbrile con le
dita gli fece cadere l’asciugamano e irriconoscibile rispetto
ai suoi soliti modi trattenuti e freddi, l’attirò
a sé ulteriormente stringendo i suoi glutei umidi e sodi
quanto i suoi.
Entrambi
avevano dei fisici atletici invitanti e immersi nel bacio continuavano
a farsi inebriare da quelle mille scariche elettriche, che venivano da
quei contatti intimi.
Dalla bocca,
Karl scivolò fuori divorandogli il mento, quindi scese sul
collo leccandogli la scia di alcune gocce che si staccavano dai
capelli. La seguì sui capezzoli induriti, quindi si
abbassò ancora per soffermarsi più delicato sulla
cicatrice all’addome. La pelle in rilievo e particolarmente
sensibile stimolata dalla sua lingua, provocò a Genzo un
piacere particolarmente intenso che lo spinse ad immergere le dita fra
i suoi capelli biondi spettinandoglieli ulteriormente.
Un gemito
uscì dalla sua bocca che ora si mordeva.
L’aveva
già fatto ed ogni volta lo faceva morire… lo
sapeva che ormai quello era il suo punto debole e per quanto gli
piacesse, era una sensazione strana, troppo violenta per abbandonarsi
semplicemente. Sembrava quasi che lo stimolasse dall’interno
solleticandolo. Gli bruciò per un momento tutte le
terminazioni nervose e subì un improvviso distacco con la
realtà che lo stordì. Ansimò il suo
nome e Karl continuando a tenerlo per i glutei si inginocchio
discendendo sul suo inguine. Cominciò a leccare leggero il
suo sesso ritrovandosi poi a succhiare con maggiore decisione fra altri
mugolii di piacere del compagno che, appoggiato alle panchine
lì accanto, sentiva le proprie forze scemare lentamente.
Quando Karl fu
soddisfatto del suo lavoro, con la mente annebbiata e
l’eccitazione alle stelle, si alzò e lo
girò piegandolo in avanti, quindi iniziò la
preparazione all’atto successivo.
- Ti
prego… - Mormorava Genzo fra i respiri affannati, gli occhi
ancora chiusi e l’espressione abbandonata alle sensazioni
vorticanti. - … ti prego… - continuava a dire
senza rendersene nemmeno conto, senza concludere nessuna richiesta
particolare perché comunque era troppo ovvia.
E allora Karl,
quando fu pronto, lo accontentò.
Si
tirò ancora su, lo prese deciso per i fianchi e semplice ma
sicuro scivolò in lui con un movimento fluido.
Rimase fermo un
istante permettendogli di abituarsi, ma l’eccitazione di
Genzo era già tale che non ne aveva bisogno, quindi
inarcando la schiena gettò la testa all’indietro
afferrandosi con forza allo schienale della panca davanti a
sé.
Il compagno
prese a muoversi lentamente e mentre la stanza si riempiva dei loro
gemiti e dei sospiri rochi, il ritmo cresceva sempre più
arrivando ad un intensità tale da farsi quasi male.
Se anche la
ferita del moro gli avesse provocato qualche fitta, il piacere era tale
da non farglielo nemmeno sentire.
Le spinte si
fecero profonde e forti fino a che la realtà
svanì del tutto e non sentendo altro che loro stessi, i
corpi fusi l’uno nell’altro, le voci unite, i corpi
imperlati di sudore, accaldati e pulsanti, non si trovarono a salire.
Salire sempre più. Quando poi si trovarono in
cima… bè, fu allora che con un ultima spinta
possente iniziarono a precipitare godendosi quel panorama senza
precedenti.
Un panorama che
non poteva essere descritto ma che era incredibilmente bello. Bello da
togliere il fiato.
E bianco. Un
bianco non più sinonimo di nulla ma di tutto.
Poi persero
contatto con loro stessi, come se si perdessero. Tremarono, si tesero,
si inarcarono, si fermarono, non respirarono, esplosero impazzendo, ma
non se ne resero conto.
Quando
tornarono lenti i brividi erano fortissimi ma ancor di più
la stanchezza che li fece appoggiare entrambi alla panca,
l’uno piegato sull’altro. Quasi non caddero eppure
quelle sensazioni furono tutto.
Un tutto che li
scosse dal profondo e li lasciò storditi impossibilitati a
muoversi e reagire per un po’.
Dopo un tempo
indefinito, Karl spostò la sua bocca contro
l’orecchio del compagno e baciandoglielo leggero,
mormorò a fior di labbra:
- Ti
amo… - Non ebbe la forza per dire altro, ma quello
bastò per liberare, questa volta, le lacrime di Genzo che
ancora non era riuscito a versare.
Questo
sancì la fine di qualcosa di angosciante e
l’inizio della vita.
FINE