AMBIENTAZIONE: dall’episodio 4x05.
La scena incriminata è quando Tony arriva sulla scena un
attimo dopo degli altri e porta il caffè a Gibbs (finalmente
senza baffi, tornato quindi quello di un tempo), i due si guardano e si
scambiano uno sguardo ed un sorriso particolare che la dice lunga sulla
castità dei rispettivi pensieri. E’ per la mia
serie di fanfic intitolate ‘Convivenze deleterie’,
seguito di ‘Trouble’.
NOTE: bè, sopra ho spiegato bene,
mi sa, di cosa si tratta.
Era notte fonda ed ero appena arrivata a
casa dopo aver bevuto qualcosa (più di qualcosa
effettivamente, lo ammetto) con mia sorella, per ristabilirmi ho dato
un occhio a cosa c’era in tv ed ho beccato questa puntata e
lo scambio di sguardi fra quei due non mi è affatto
sfuggito…
Non ho trovato il midi che volevo, Reckless, ma ho rimpiazzato.
Bè, non mi resta che augurare
buona lettura a tutti. Spero la storia piaccia. Baci Akane
DEDICHE: la dedico come sempre a Taila ma
anche a Dark Soul, Parsifal e Yukino e tutte le fan della coppia.
COLPA DEI BAFFI
CAPITOLO
I:
TEMPO
DI CHIARIMENTI
/
Ulysses – Franz Ferdinand /
Quella
mattina c'era qualcosa di diverso.
Se ne
resero conto subito appena lo videro.
Gibbs
aveva tagliato i baffi.
Era
bastato quello per capire che giorni sarebbero stati da lì
in poi.
Non
era stata la convinzione assurda di Tony sui baffi del loro capo, a far
pensare che lo ammorbidissero, ma alla fine ci avevano creduto e quando
l'avevano visto senza si erano detti che la sua cattiveria era tornata!
Cattivaria
intesa come severità, impazienza, poca diplomazia,
burberità e via dicendo...
McGee
e Ziva erano stati i primi a vederlo dal momento che quella mattina
Tony era in ritardo. Avevano capito che era tornato quello di un tempo
anche in virtù del fatto che davanti all'assenza del suo
primo agente, che tanto aveva fatto per tirargli fuori la sua
'cattiveria', aveva deciso di fare come se non ci fosse mai stato
andando laddove erano stati chiamati per un cadavere di un tenente
della marina.
Non
aveva detto 'avvertitelo che ci raggiunga là', né
un altro minimo accenno alla sua esistenza. Aveva detto di prendere il
furgone e di muoversi. Loro non avevano potuto contraddirlo, non
avevano osato nemmeno chiedergli cosa fare con Tony, si erano detti che
si sarebbe arrangiato dal momento che aveva tanto voluto rivederlo
senza baffi!
Se la
sarebbe vista da solo con lui, così si erano messi al lavoro
di buona lena. Ziva a parlare con la signora che aveva trovato il
cadavere, McGee con Duky e Gibbs in casa a vededere del corpo e delle
possibili tracce sul pavimento.
Come
avevano capito dal primo sguardo, Gibbs era davvero tornato quello di
un tempo, colui che borbottava seccato ordini a destra e a manca
dimostrando di non avere la minima pazienza riguardo a nulla, nemmeno
nei confronti di Duky.
Era
stato quindi esattamente lì che Tony in tutta calma era
arrivato col bicchiere di caffè in mano e appena aveva visto
il suo capo dentro aveva subito sorriso contento.
Esatto,
proprio così.
Contento.
Era
arrivato nel momento in cui Gibbs si era girato verso la porta, quindi
gli era andato incontro e si era fermato davanti a lui, poi si erano
guardati nello stesso identico modo, ad una distanza piuttosto
ravvicinata, con il medesimo sorrisetto malizioso.
Ebbene
si.
Quello
sguardo e quell'aria traboccavano di evidente malizia ed ironia, come
se avessero avuto l'identico pensiero nel modo più uguale
possibile.
Furono
salvati dal fatto che Duky era alle prese col cadavere, Palmer come al
solito con la testa da un altra parte e McGee accucciato a terra per
cercare impronte terrorizzato dal ‘despota’. Non
avevano notato.
Cosa
significavano quegli sguardi significativi e profondamente ironici, con
le labbra incurvate a metà in un ghigno divertito e complice?
E
perché Tony non era stupito o spaventato dai suoi baffi
svaniti?
Perché
non sembrava sorpreso del fatto che la sua cattivaria era tornata? In
fondo era in ritardo e non aveva avvertito nessuno...
Era
come se l'avesse già saputo e ne fosse estremamente
soddisfatto e contento... proprio lui che di norma era il centro delle
severissime mire del loro capo.
Cos'era
quella complicità?
- Sei
contento di vedermi, capo? - Disse Tony con faccia tosta senza mutare
la sua espressione che diceva tutto e niente.
Un
mugugno appena accennato in risposta, quindi Tony gli aveva dato il
bicchiere dicendo: - Il tuo caffè... - e Gibbs se l'era
preso sorseggiandolo, continuando a guardarlo di sbieco mentre
l'ascoltava parlare della vittima. Era così rilassato e
sorridente... troppo per essere in ritardo davanti ad un Gibbs senza
baffi e quindi impaziente come un tempo!
Nessuno
però, per loro fortuna, notò che Tony nonostante
fosse arrivato dopo gli altri sapesse il nome della vittima ed avesse
fatto i 'compiti' raccogliendo già delle informazioni su di
lui, come se le avesse cercate col suo palmare venendo lì.
Come poteva sapere di chi si trattava, dove erano e cosa doveva fare?
Nessuno
notò questa piccola 'incongruenza' coi fatti conosciuti e
loro non ritennero opportuno spiegarli.
Dopo
di che aveva mandato McGee all'esterno a controllare il giardino e loro
due erano tornati a guardarsi di nuovo con quell'aria maliziosa che
raccontava solo a loro due una storia decisamente particolare.
Nessun'altro avrebbe mai potuto conoscerla.
Non si
capiva a cosa pensassero, non lo si poteva immaginare di cosa erano
stati complici.
Nessuno
sapeva che lo sguardo di Gibbs oltre a chiedergli silenziosamente se si
fosse lavato e cambiato, ricordava in un flash tutto ciò che
la notte appena passata era accaduto.
Nessuno
sapeva che quello di Tony gli rispondeva affermativamente
ringraziandolo della chiamata per avvertirlo di dove doveva
raggiungerli e su chi doveva raccogliere informazioni, ricordando
anch'egli gli stessi momenti trascorsi solo alcune ore prima.
/Reckless
– Papa Roach/
“Spinto
da fin troppi sentimenti e motivazioni, mi decido finalmente ad andare
da lui.
Era
casa nostra.
Lo
è stato per molto ma ormai è di nuovo solo sua.
Io
me ne sono andato non avendo la forza di stare là da solo e
quando è tornato... bè, la storia è
dolorosa per essere ricordata, dovrò farlo già
abbastanza fra poco.
Lui
non ha volto parlarmi, chiarire, spiegarmi nulla ma è
necessario.
È
il minimo.
Me
lo deve dopo avermi abbandonato così ed essere tornato come
niente fosse.
Non
so più cosa gli passi per la testa, non lo capisco come
riuscivo prima che se ne andasse.
È
di nuovo un mistero e dopo tutta la fatica che ho fatto per arrivare a
lui e avvicinarmi, mi sembra di essere vissuto solo in un sogno, in un
illusione, come se non fosse successo davvero nulla.
Si
spiegherebbe perchè se ne è andato in quel modo
ed ora non mi parla più di noi due.
Suono
alla porta ma ovviamente non viene ad aprire, è sicuramente
giù nel seminterrato a lavorare alla barca, da là
non si sente il campanello.
Sospiro
alzando le spalle. Tanto già lo sapevo...
Tiro
fuori la mia copia delle chievi.
Le
ho ancora... le guardo chiedendomi che debba fare con loro, se
restituirgliele o tenerle ma rimane un gran punto di domanda, quindi me
le rimetto in tasca e apro la porta che non chiude mai.
A
colpo sicuro vado verso quella che dà nella cantina e mi
affaccio rimanendo lì fermo. Mi affaccio cercandolo con lo
sguardo ed eccolo lì.
Lì,
chino sulla sua barca che ormai è magicamente a buon punto
come in passato non era mai riuscito a portarla.
Cosa
gli dico, ora?
-
Pensi di star lì a lungo? - Mi toglie lui dall'impaccio del
non saper che passo fare, così mi decido e scendo le scale.
Mi
sento confuso.
Forse
perché anche se io so cosa voglio, ovvero lui, penso che lui
non voglia me.
Anzi,
credo di esserne sicuro visto cosa ha fatto.
Però
io voglio sentirglielo dire.
Me
lo deve.
No,
non sono più arrabbiato, non credo, non come l'inizio.
Ora
forse sarei pronto per accettare la realtà.
Mi
fermo alla fine delle scale appoggiandomi al muro accanto, sprofondo le
mani nelle tasche dei jeans e l'osservo continuare a trafficare coi
suoi attrezzi. Mi dà la schiena ancora un po' ed io posso
osservare quella che era la parte del suo corpo che preferivo.
Sorriderei
malizioso ma mi uscirebbe uno di malinconia perché
è passato ed ora non ho diritto di avere certe preferenze.
Ormai
è tutto finito, no?
-
Allora? - Mi chiede sentendomi piuttosto silenzioso, cosa anomala per
me.
In
effetti ha ragione ma che vuoi... questa è una situazione
particolare e critica per me ed in fondo sono solo umano.
Mi
stringo nelle spalle e cerco qualcosa da dire, qualunque cosa prima che
attacchi o mi dia il ben servito. Come
gli parlo?
È
così difficile per me farlo in privato, noi due soli, qua
sotto.
Proprio
in questo punto ci siamo messi definitivamente insieme e non
è stato troppo tempo fa. Ma forse invece è un
infinità.
Mi
aveva spinto contro il muro baciandomi furiosamente, abbassandosi e
occupandosi del mio inguine.
Dio,
che ricordi... che sensazioni... a pensarci torno a provare caldo
là sotto così cerco di distrarmi ed evito di gran
lunga la lavatrice nell'altro angolo.
Là
l'abbiamo fatto quando abbiamo iniziato con la relazione di solo sesso.
Col gelato.
E
poi sul fondo della sua barca, su quel tavolino, sulle scale,
lì per terra... no, troppi posti. Troppi.
Come
posso cancellarli tutti in una volta?
Non
tornavo qua da troppo tempo ed ora che lo rivedo capisco quanto pieno
di noi due sia.
Di
tutte le volte che abbiamo fatto l'amore, che ci siamo presi e dati...
Ed
ora sempre qua dovrei concludere tutto?
Oh,
io non so se sarà così ma visto che mi ha
lasciato suppongo di si...
Sentendo
che non dico ancora nulla, troppo distratto dal posto in cui mi trovo,
dove abbiamo passato la gran parte del nostro tempo, si alza e si gira
stizzito guardandomi poco paziente.
Quando
ci scambiamo i nostri sguardi, diversi fra loro, il mio smarrito e
forse con gli occhi lucidi, viene invaso da un profondo stupore.
Sono
i suoi baffi a farmi ricordare che Gibbs non è ancora Gibbs.
È
come se con essi i suoi artigli fossero ancora ritirati.
È
un idea che non riesco a togliermi.
Vedo
il suo viso e c'è qualcosa di troppo, non da lui, e non mi
piace.
Cioè
mi piace in ogni caso ma non mi piace che non sia lui.
Forse
è tutta colpa loro!
Devo
toglierglieli!
A
questo pensiero insolito mi viene in mente oggi quando Franks mi ha
colpito in testa facendomi svenire per potersene andare dove voleva.
È
venuto da me e mi ha toccato il viso per assicurarsi che io stessi
bene, mi ha guardato le pupille per vedere com'erano, ha avvicinato il
viso al mio, mi ha sussurrato così... così...
intimo... preoccupato... premuroso... mi ha confuso.
Mi
ha confuso così tanto che ho vacillato.
Perché?
Perché
è stato così dolce?
Non
lo è mai stato nemmeno quando stavamo insieme.
Mi
ha chiesto come stavo e si è fatto dire le mie condizioni
dal paramedico che mi ha soccorso.
Mi
ha catapultato in una realtà che non era la mia e mi ha
spiazzato.
Perché
si è permesso di essere così premuroso con me?
-
Perché oggi ti sei preoccupato a quel modo per me? - Allora
mi esce senza che più io mi chieda come iniziare.
Non
so dove finirò, se esploderò o che... ma non ce
la faccio più.
Ho
bisogno di sapere tutto quello che lui ha dentro, che prova per me, che
vuole...
Ho
bisogno di lui.
Non
intendo più farne a meno.
Non
ce la faccio.”
“Come
posso esprimere quel che sento?
Che
ho sentito?
Che
provo?
Come
posso?
Fin'ora
non era mai tornato qua.
Sono
venuto e lui aveva preso le sue cose.
Non
ho pensato a nulla.
Non
gli ho detto nulla.
Era
normale, del resto, dopo il modo in cui l'avevo lasciato.
Eppure
lui una cosa non l'ha mai saputa ed io non gliel'ho mai detta.
Io
non l'ho mai lasciato.
Però
spiegare quel che mi è successo è qualcosa che
potrebbe anche andare oltre alle mie possibilità.
Vorrei
saper usare le parole in modo normale, per non ferirlo.
Lui
non se lo merita.
Non
è giusto.
Sono
stato un bastardo con lui.
Me
ne rendo conto.
L'ho
ferito mortalmente più volte e dopo tutto questo non gli ho
ancora detto niente solo perchè non so come spiegarmi.
Perchè io quando parlo tendo a ferire. Perchè non
so usare certe delicatezze. Non con tutti.
Penso
che peggiorerei.
Che
ci starebbe peggio.
Che
non so come dirglielo.
Come
dirgli ciò che ho passato e sto passando.
Ciò
che volevo e voglio.
Mi
avvicino lentamente a lui davanti a questa domanda. Sembra campata per
aria ma io capisco a cosa si riferisce e cosa vuole dire.
La
mia espressione si rabbuia e diventa seria.
Scruto
i suoi occhi lucidi, sta per piangere e se dico qualcosa come non va
detta lo farà davvero ed io non voglio.
Quanto
è stato male per colpa mia?
Con
che diritto ora io gli dico quel che dovrei?
Non
so nemmeno come.
Io
non ho mai avuto problemi a dire quel che pensavo, l'ho sempre fatto
così come mi veniva ma con lui, ora, non ci riesco
più.
Perchè
quel che provo per lui è troppo grande e non voglio
più ferire chi amo.
Non
voglio.
Cerco
di trattenere ancora tutto, tutto quello che prima o poi
uscirà in un modo o nell'altro.
E
cosa posso dirti?
Muovo
qualche passo verso di lui rimanendo ancora a debita distanza.
Ora
li ricordo tutti i posti in cui abbiamo fatto l'amore.
Ora.
Solo
ora.
Dove
sei appoggiato adesso è stato quando ci siamo messi insieme.
Avevo tutta l'intenzione di violentarti ma poi ho capito cosa volevo
davvero.
-
Come posso non farlo? - Forse devo mandarlo via.
Se
non voglio più ferirlo devo mandarlo via e basta. Lasciarlo
nella falsa credenza che io non lo ami più.
Però
la ragione va da tutt'altra parte rispetto alla direzione della mia
bocca e dei miei gesti.
Le
mie parole escono da sole e so che presto farò qualcosa che
so è meglio di no.
Ma
lo farò comunque.
Prima
che parli di nuovo riprendo sussurrando con uno sguardo penetrante che
rispecchia il suo.
Adesso
siamo uguali.
Smarriti.
Sofferenti.
Confusi.
Mi
sono sentito così quando non avevo più la memoria
e successivamente quando l'avevo recuperata tutta in un colpo. O per lo
meno credevo di averla recuperata tutta in un colpo.
In
realtà era inevitabile che qualcosa si perdesse ma poi
è tornata.
Solo
che è tornata troppo tardi.
Io
me ne ero già andato.
L'avevo
già lasciato senza sapere di averlo fatto e mentre io
pensavo a quello lui passava l'inferno.
So
cosa ha provato, quanto è stato male e non ho voluto
arroccarmi il diritto di decidere che potevo tornare a riprendermelo
quando volevo, secondo i miei comodi.
L'avevo
fatto soffrire e la cosa mi faceva impazzire.
Sono
tornato e sapevo di non averne diritto, di non poter guardarlo come
niente fosse eppure mi sono detto che forse dopo tutto questo tempo lui
era risalito, ora stava bene, si era fatto una ragione.
E
se così era, come sembrava, non potevo rovinare tutto e
rigettarlo nell'inferno.
Perchè
stare con me non è certo il Paradiso.
Me
ne sono reso conto in quei mesi, quando ho riflettuto su come si
dovesse essere sentito mentre stavo per morire, mentre poi avevo perso
la memoria e non mi ricordavo di lui, mentre ripresala in apparenza del
tutto me ne andavo lasciandolo.
Stare
con me è sofferenza e quel che è accaduto ne
è la dimostrazione.
Ora,
i suoi occhi, il suo sguardo lo sono ed io non posso essere
così egoista da prenderlo con me in questo viaggio
all'inferno.
Per
questo pensavo che soffrire in silenzio da solo fosse la cosa migliore.
Però
ora è qua e vuole spiegazioni.
Gliele
devo, è giusto.
Ma
dopo?
Dopo
che gliele avrò date?
Che
farò?
Che
succederà fra noi?
-
Mi hai lasciato. - Ribatte cercando di mettere forza nelle sue parole e
mascherare il dolore. È un misto fra l'arrabbiato e il
disperato, non sa più nemmeno lui cosa fare e cosa sia
giusto.
Bene,
allora siamo in due.
-
No, non l'ho fatto. - Ma avrei dovuto dire di si ed ora non dovrei
avvicinarmi.
Non
dovrei.
Come
oggi non avrei dovuto toccarti e risentire di nuovo quella sensazione
che la tua pelle mi dà sotto le dita.
E
tu ora non dovresti guardarmi con quegli occhi.
Non
dovresti, dannazione.
-
Te ne sei andato senza una parola. Quello è stato il momento
in cui mi hai lasciato. Poi sei tornato e non mi hai detto nulla di noi
due. Quello è stato il momento in cui hai confermato la tua
volontà di non stare più con me! - Riprende senza
muovere un solo muscolo, non avendo probabilmente la forza.
Hai
ragione, hai ragione e basta, però non è
così facile.
Non
lo è stato.
Non
è tutto qua.
Come
te lo spiego?
Come
faccio?
Dovrei
solo dirti che è così come dici e farti andare,
non soffriresti più.
Io
non sono fatto per stare con qualcuno, ma da solo.
Però
invece muovo un altro passo, lentamente, verso di lui, con le mani
lungo i fianchi, serio in viso, gli occhi puntati sui suoi che
assorbono il suo dolore e quelle lacrime che trattiene a forza.
-
Non potrei mai lasciarti, Tony. Lo dimostra che tu ora sei qui ed io
penso che dovrei mandarti via ma invece non ne sono capace. -
Sgrana
gli occhi, non capisce. Questo suo azzurro è deleterio per
me.
-
Perché? - Ecco qua, siamo arrivati al dunque.
La
giusta domanda che per mesi si è posto e che finalmente
è riuscito a farmi. Un suo diritto di sapere.
Cosa
devo dirgli?
Non
so come esprimere ciò che ho dentro.
Non
lo so perchè penso di essere buono solo a uccidere i
criminali.
E
non merito il paradiso con te per poi rilasciarti all'inferno quando mi
succederà qualcosa di nuovo.
Non
intendo rispondere e lui allora scatta.
Scatta
come immaginavo facesse.
Esplode,
forse non ce la fa più, forse vuole solo riavermi, forse
solo sfogarsi o darmi quel che mi merito.
Ma
con un espressione rabbiosa annulla la distanza che rimane fra noi, mi
prende con forza per il collo della maglia e mi scuote attirandomi
vicino al suo viso.
Questo
suo bel viso che ho sognato ogni notte, laggiù in Messico.
-
RISPONDI! PERCHE' MI HAI MOLLATO COSI'? NON MI MERITAVO UNA
SPIEGAZIONE? ED ORA? NEMMENO ORA CHE SEI TORNATO? DIMMI PERCHE' DIAVOLO
MI HAI LASCIATO! -
Vederlo
arrabbiato è raro ma ora sembra più un animale
ferito.
No,
non toccarmi così, non avvicinarti così a me o
non riuscirò a resistere, a trattenermi ancora.
La
ragione grida ciò che io devo fare ma la mia
volontà va verso di lui, lui che mi tiene per non farmi
andar via, per obbligarmi a rispondere.
Glielo
devo.
Glielo
devo.
Ma
io voglio solo baciarlo...
Dio,
non devo...
-
JETHRO, PARLA DANNAZIONE! DIMMI QUALCOSA! SIAMO STATI INSIEME! ABBIAMO
FATTO L'AMORE UN SACCO DI VOLTE! TI RICORDI COSA CI SIAMO DETTI? -
Grida
ancora scuotendomi, completamente sconnesso, unicamente in
qualità di mio fidanzato. Anzi.
Ex
fidanzato.
E
mentre urla la voce si spezza con le lacrime sempre più
incombenti.
Certo
che lo ricordo.
Come
posso dimenticarlo?
Maledizione,
come posso?
No,
non piangere.
Non
dubitare di ciò che provavo e provo.
-
E' ALMENO VERO CHE MI AMAVI? O ERA TUTTA UNA CAZZATA? -
E'
esattamente a questo punto, con la sua esplosione al culmine, che io
non ce la faccio più e faccio altrettanto.
Senza
più freni da nessuna parte, lo afferro a mia volta per la
maglia e lo spingo con violenza verso il muro dietro di noi, proprio
laddove anni fa ci siamo messi insieme dopo aver litigato.
Proprio
come ora.
-
COME DIAVOLO PUOI DUBITARNE? -
Ma
lui non molla e senza abbassare il tono o placare la sua ira continua
come un treno troppo ferito per smettere:
-
IO?! E COME DIAVOLO HAI POTUTO TU LASCIARMI SE MI AMAVI DAVVERO! -
Dio,
non ce la faccio più... adesso basta... adesso basta
davvero...
...e
con qualcosa che mi bagna le guance metto fine a questo strazio pieno
di dolore per entrambi.
Non
è possibile soffrire così... non si
può... non si può davvero...
Al
diavolo tutto, io lo amo e non posso vivere così.”
“Faccio
appena in tempo a vedere i suoi occhi che si riempiono di lacrime in
mezzo alla furia che l'assale, che poi sento improvvise e decise le sue
labbra contro le mie.
Cos'è?
Cosa
sta succedendo?
Dopo
la mia esplosione e la sua questo... questo silenzio... questo
sapore... questo tocco... cos'è?
Cosa
sono... queste sue labbra che si premono sulle mie... aprendomele con
forza... cercando la lingua... trovandola... divorandola...
impossessandosi di me...
Cos'è...
questo bacio?
E
perché questa sensazione che le lacrime che inondano le
nostre bocche non sono solo le sue ma anche le mie?
Ho
perso completamente coscienza di me, sono fuori dal mio corpo fra il
suo ed il muro.
Fuori
dalla mia testa.
Fuori
da tutto.
Però
mentre cerco di capire senza successo non posso far altro che
rispondere al bacio, accoglierlo e con disperazione aggrapparmi a lui
spostando le mani, circondando il suo collo con le braccia,
stringendolo come se non avessi più energie, come se
mollandolo io potessi cadere.
Mi
tengo a lui abbracciandolo, attirandolo ancora di più a me e
rispondo al bacio accogliendolo con foga, desiderio, dolore,
disperazione.
Non
si può... non si può lottare contro quella che
ormai, contro tutto ciò che vuoi, è diventata la
tua ragione di vita.
Non
si può.
Ed
io non voglio.
Perché
lo amo e se anche lui mi ama non c'è ragione per non stare
insieme.
Nessuna.
Dopo
questo lungo bacio a cui non aggiungiamo nulla se non le braccia che ci
stringono l'uno all'altro, le sue intorno alla mia schiena, ci
separiamo ansimanti senza fiato, ancora viso contro viso, fronte contro
fronte, labbra contro labbra.
Occhi
negli occhi.
Mi
era mancato.
Tutto
di lui.
E
la follia per la mancanza di ciò che per te ormai
è tutto, è insostenibile.
-
Mi ami? - Glielo chiedo in un soffio non avendo forze per nulla.
Sa
che non glielo chiedo perché ne dubito. Come è
possibile dopo tutto questo?
Allora
lui allo stesso modo risponde piano:
-
…non ho mai smesso... -
-
Anche io. - Dio, quanto mi batte il cuore, sembra che sia salito in
gola, va come un matto.
Ce
l'ho. È qua davanti a me, contro di me, mi tiene, mi
stringe, mi vuole, mi ha baciato, non mi ha mandato via, non mi ha
rifiutato e contro ogni logica mi sta dicendo che mi ama. Mi ama.
Nonostante tutto quello che ha fatto... lui mi ama lo stesso...
…non
potevo volere che questo...
-
Ed ora ti chiedo di spiegarmi cosa ti è successo. Torna da
me, non startene là da solo. -
Su
queste mie parole lui torna a baciarmi leggero le labbra, quindi
interpretandolo come un ‘si’, scivolo con la testa
nell'incavo del suo collo nascondendo il viso contro la sua pelle calda.
Questo...
questo mi era mancato.
Trattengo
il fiato per poi rilassarlo.
Abbiamo
tutto il tempo per capirci, parlare, chiarire ogni cosa.
Essere
qua con lui è solo l'inizio ed ora non mi resta che
ascoltarlo lasciandomi cullare da questa sua insperata ed insolita
dolcezza che riserva solo a me e a pochi altri intimi.
Sono
felice.
La
nebbia sta svanendo.
Non
ne potevo più. “