SECONDA PARTE:
SOICHIRO
/Promises -
Cramberries /
Ed era tremendo stare là dentro ad osservare ciò
che succedeva fuori, ciò che io stesso facevo. Un estraneo. Invece no,
proprio io. Nient’altro che io.
Io che uccidevo tutto quelle persone, io che
accumulavo ancora spirito, io che diventavo sempre più feroce.
E mentre mi vedevo in quello stato, dentro di me
cercavo di contrastare la coscienza di mio padre che prevaleva.
Inizialmente era impossibile ma via via che andavo avanti prendevo
sempre più piede. Quando sono arrivati anche gli spiriti di Aya, Bob e
gli altri ho creduto di avercela fatta. Davvero. Mi sono illuso, oh, se
mi sono illuso.
Ma poi lui ha ripreso la prevalenza e tutto è
tornato come prima. Mi ha concesso una pausa, ha detto, no?
Doveva curarsi anche le sue ferite.
Tornato in superficie mi sono reso conto che mia
madre era morta per risvegliare Maya e nemmeno vederla sveglia dopo che
l’avevo creduta morta, mi ha aiutato. La follia si è impadronita di me,
il dolore più nero e terribile mai provato. Ed ero io a provarlo, a
scatenare quella forza distruttiva intorno a me, io che stavo dando
vita ad una specie di buco nero. Io, non mio padre.
Era il mio dolore, quello.
Avrei ucciso tutti, non mi importava più di niente.
È stato uno dei momenti peggiori della mia vita.
So solo che sono uscito di me, non so altro. Ho
perso il contatto con la realtà e con me stesso mentre il dolore mi
divorava insieme alla rabbia che esplodeva.
Mia madre era morta.
Come poteva essere?
Svanita.
Morta.
Ma poi lei mi ha calmato. Il mio generale. La
persona che ho creduto di amare da quando l’ho incontrata.
Maya mi ha solo abbracciato e come per magia tutto
è svanito, io sono tornato in me e il dolore è diventato stranamente
sopportabile.
Eppure non so… ero io e al tempo stesso no.
Sapevo bene il mostro che ero diventato, che il
mondo poteva essere distrutto di nuovo da me, che ero terribilmente
instabile, che potevo perdere ancora il controllo e uccidere qualcuno
dei miei amici, qualcuno che non volevo uccidere.
Ero io ma non ancora io.
Ancora trasformato in Esorcista del Male, la
versione quasi finale.
Mi sono reso conto che nessuno di loro poteva
fermarmi.
Né quell’energumeno di Mitsuomi Takayanagi, né il
mio generale Maya, né tanto meno qualcun altro dei miei amici… nessuno.
Assolutamente nessuno fra amici e nemici.
Solo una persona.
L’unico che aveva sconfitto con una facilità
allucinante quello che tutti avevano sempre creduto il più forte di
tutti, quel Mitsuomi.
Suo fratello.
Ecco chi.
E mi sono ricordato di averlo sempre saputo. Che
prima di venire al quartier generale dei Takayanagi eravamo a mangiare
insieme ed io gli ho detto che avrebbe dovuto spezzare la catena
dall’esterno mentre io l’avrei fatto dall’interno.
Mi sono ricordato e l’ho guardato ancora instabile,
ancora sull’orlo del baratro, ancora possibilmente feroce.
L’ho guardato non capendo chi ero ed ho capito che
non mi ero sbagliato.
Era davvero lui il più forte, l’autentico vero
guerriero, l’unico che poteva veramente fare qualcosa per me.
Sconfiggermi.
Uccidermi.
Porre fine alla mia follia distruttrice.
Gli ho detto di battersi con me. Mi sono preparato
a farlo. Ho sperato ci si mettesse immediatamente, che mi prendesse sul
serio credendomi ancora un nemico, ma lui dopo avermi detto che
l’avrebbe fatto, ricordandosi quindi del nostro discorso, ha aggiunto
che non era quello il momento ed il luogo.
Ha preso sulle sue spalle l’altro ragazzo ferito,
quel suo amico Bunshichi che sembrava morto, e ha ordinato a tutti di
andarsene immediatamente poiché il palazzo non avrebbe retto ancora a
lungo, ha ordinato di portare i feriti all’ospedale e mi ha come
ignorato, come se non mi considerasse importante o davvero pericoloso.
L’ho guardato incredulo come tutti gli altri lì intorno.
Non ero la sua priorità.
La sua priorità era salvare gli altri, curari e
metterli in salvo.
Io che avevo provocato tutto quello potevo
aspettare.
Fu così che capii e questa volta in modo completo e
profondo, chi lui era.
È stato sconvolgente ma quando la verità mi ha
abbracciato, sono tornato fisicamente me stesso, Soichiro Nagi.
Gli occhi entrambi a posto come un tempo, i capelli
quasi bianchi erano rimasti lunghissimi e lisci che mi coprivano tutto,
ma nessun segno strano, nessun aggeggio insolito che usciva dal mio
corpo.
Io e basta.
Una via di mezzo, in realtà, fra l’Esorcista del
Male e quello che ero sempre stato, il ragazzino immaturo, incosciente
e stupido.
Così mentre realizzavo ogni cosa a partire da chi
io fossi, ho seguito quell’unico desiderio che era sorto in me.
Masataka Takayanagi.
Volevo solo vederlo e parlargli. Assicurarmi con
lui e lui solo che non si dimenticasse di me, che da ora io sarei stato
il suo unico pensiero fisso, la sua unica ragione, tutto ciò che
contava davvero.
Io e basta.
Andai da lui e, quella sera, quando tutti furono
portati in ospedale e furono andati ognuno a casa propria, con l’intero
club di Juken rifugiato a casa Natsume insieme a Maya ora sveglia, mi
feci sentire da lui. Non volevo nessun altro. Solo lui.
Appostato sotto quell’enorme albero di ciliegi
rimasi ad aspettarlo.
Arrivò senza farmi attendere troppo. Sapeva che
l’avrei cercato. Sapeva che sarei venuto io da lui.
Quindi quando ci guardammo in mezzo ai petali rosa
che cadevano alzati dall’aria, il tempo si cristallizzò. Ci imprimemmo
bene a fondo le nostre immagini.
Lui capì che io ero una via di mezzo fra il
malvagio ed il buono, che non ero tornato del tutto ma che avevo il
controllo. Mi riconobbe capendo che ero diverso, cambiato. Quella
dolorosa consapevolezza di me ormai era visibile.
Nessuna voglia di scherzare, di fare lo sbruffone,
di straparlare e di sembrare impavido e spaccone.
Solo me stesso.
Serio, silenzioso, stanco, che faticavo a
controllarmi.
Lo scrutai cercando in lui tracce di paura, tutti
ormai ne avevano ma lui no.
Però un timore c’era.
Non potevo esserne sicuro ma mi sembrava come che
per lui contasse solo che rimanessi lì e non me ne andassi. Sapeva che
ero solo di passaggio, solo per lui, per dirgli quello che dovevo.
Strappargli quella maledetta promessa.
Non c’era molto altro da fare.
Era rimasto solo quello visto che non ero riuscito
a sconfiggere del tutto la coscienza di mio padre e che avrei dovuto
ritentare ancora e ancora, consapevole che il pericolo non era solo lui
ma io stesso.
Mio il dolore per la perdita di mia madre, non suo.
Mio il desiderio di distruggere tutto per la sofferenza che sentivo,
non suo.
Quando gli strappai la promessa, quando gli feci
capire cosa doveva fare, quando seppe che era essenziale che la
mantenesse perché faticavo a controllare il mostro che avevo sulle
spalle, pronto ad esplodere e divorare tutti, mi sentii bene.
Come se avessi in me una promessa di rinascita.
Aveva giurato che mi avrebbe ucciso, che si sarebbe
allenato per quello, non per proteggere qualcuno o per qualche suo
scopo che riguardava il fratello, ma per me. Solo per me. Avrebbe
cercato la forza necessaria per battersi con me e uccidermi.
Una sola occasione. Quando combatteremo la mia
forza tornerà a scatenarsi e sarà ancora così grande da impedirmi il
controllo che ora tengo a fatica.
Allora lui non avrà una seconda occasione. Se lui
non mi ucciderà subito ed in modo definitivo, sarò io a uccidere lui e
poi a distruggere ogni cosa. Perché se questo mostro torna a prendere
il sopravvento è questo che farà.
Quando la sua voce ha promesso che mi avrebbe
ucciso, provai l’istinto di sorridere e ringraziarlo, ma prima di ogni
cosa, prima di lasciarmi andare a fare qualcosa che lì per lì non
capii, scappai dissolvendomi insieme ai petali che vorticarono davanti
a lui.
L’aria mi schiaffeggiò il viso facendomi
comprendere quel che avrei tanto voluto fare ma che mi ero impedito.
Abbracciarlo.
Lui, ormai, era diventato tutto ciò che per me
contava.
La mia ragione di vita fino alla mia morte.
La mia speranza di salvezza non solo del mondo e
delle persone che amavo ma di me stesso.
La mia purificazione.
Tutto ciò per cui mi sarei sforzato di resistere
ancora.
Tutto.
Lì per lì non ci fu più nessuna Maya, Aya, Bob,
madre o padre. Nessuno.
Solo Masataka Takayanagi.
Ed ogni mia molecola, ogni sentimento, desiderio,
bisogno, muscolo, forza e spirito si concentrò in lui. Lui e basta.
Quello che sarebbe stato il mio angelo e tutt’ora
non sono mai stato più sicuro di qualcosa come di questo.
Sarà lui la salvezza di tutti, ma soprattutto la
mia.
Ora sono qua, isolato, da solo, lontano da tutti,
convinto che se stessi con loro potrei perdere di nuovo il controllo e
fargli del male. Non voglio, non lo sopporterei, non ancora.
E non consideriamo il fatto che non posso
assolutamente prendere altro spirito combattendo con qualcuno.
Ho anche preso il Ruggito del Drago di Inoue, mi
rimane solo l’Occhio del Drago di Aya. Non posso proprio stare con
loro. Mio padre potrebbe di nuovo prendere il sopravvento e obbligarmi
a combattere con lei per prenderlo. Se l’avessi sarebbe la fine,
nemmeno Masataka ce la farebbe.
No, così isolato lui può farcela. Loro
sopravvivranno e lui mi sconfiggerà, dopo di ché mi ucciderà. Svelto.
Smetterò di soffrire per il male che infliggo continuamente agli altri.
Perdere il controllo di me stesso è la cosa
peggiore. Sopporto le morti, sopporto le sconfitte, sopporto le
umiliazioni e quanto di brutto può succedermi, ma questo no.
Questo mio non controllo mi fa impazzire. Non ha
paragoni.
Non è un gioco, non è una sciocchezza.
Se succede ad uno qualunque non è poi tanto grave,
basta che gli altri facciano un minimo di attenzione. Se succede a me
io uccido e quando va bene uccido una o due persone. Peccato che arrivo
ad ammazzare migliaia di esseri umani in pochissimi secondi.
Senza che nemmeno ci pensi.
La follia è la cosa più oscura in cui io mi sia
imbattuto e ne ho dovute sopportare di cosa sin da piccolo. Anche
quando mia madre tornò senza un braccio ed un occhio è stato meglio di
questo.
Quando ero prigioniero di mio padre che mi faceva
combattere con le persone che chiamava ‘carne’, che accrescevano il mio
spirito, è stato meglio di questo.
Quando Masataka e Maya mi hanno sconfitto è stato
meglio di questo.
Non voglio più stare così. Non voglio più sentire
il controllo scivolare via da me mentre le dita si muovono contro la
mia volontà, mentre assisto ad un altro me stesso che si muove, agisce
e uccide disobbedendo alle mie suppliche.
Non voglio uccidere più nessuno.
E queste ore che passo isolato pregando che questo
non succeda, cercando la forza di continuare a controllarmi e non
rimanere schiacciato da quel mostro pronto ad uscire, la forza di
farcela e non cedere è solo il pensiero che lui si sta allenando per
uccidermi.
Perché io da solo non posso o l’avrei già fatto.
Quel maledetto che sta dentro di me si prende beffe
del sottoscritto ed è pronto ad impedire che io mi sgozzi!
Me la pagherà.
Gliela farò vedere io.
Masataka che mi ha promesso di aiutarmi è la mia
forza.
Il pensiero che lui ce la farà perché me lo ha
giurato, perché io so che è forte, che è lui il mio salvatore.
Lui non mi abbandonerà. E non lo farà con paura od
odio.
Lo farà perché lui è diverso da tutti.
Lui combatte per la pace delle persone, non gli
importa di sé. Per gli altri è disposto a qualunque cosa.
Si umilia, si fa insultare, si fa calpestare,
permette che tutti insinuino cattiverie pur di arrivare al suo
obiettivo. Il bene degli altri.
E lui mi ucciderà non per odio o per paura, lo farà
perché anche se non ci sopportavamo, prova del sentimento per me. Non
so se è pietà o cos’altro.
Non so cosa sia. So che è bello e positivo. So che
nessuno lo prova, specie per me.
Lui lo farà perché sa che è giusto, che non c’è
altro da fare, che va bene, che così spezzerà le catene e porrà fine
alla guerra. Lui lo sa.
In principio credevo che il mio generale sarebbe
stato Maya, mi ero infatuato di lei, la vedevo come una sorta di
obiettivo, di traguardo.
Anche Aya stessa è sempre riuscita a farmi stare
bene. Bob poi è prezioso, l’unico vero amico che io abbia mai avuto.
Gli altri del club di Juken mi sono entrati dentro in qualche modo e
penso di poterli chiamare amici. Mia madre è sempre stata la mia
ragione di vita ma ora non c’è più.
Tutti bene o male hanno significato qualcosa per
me, ma non capivo cosa fosse Masataka Takayanagi.
Non chi, ma cosa. Cosa per me.
Ci ho pensato così tanto che non ho mai capito.
Credevo che non ci fosse sintonia, che non ci sopportassimo, che fosse
questione di pelle.
Ma poi quella sera che ho mangiato con lui ho
capito. È stato l’unico a non indorare nessuna pillola, non ha cercato
di essere gentile con me per dovere o perché ci vedeva chissà cosa. Non
ha mai tentato di essermi amico. Non ha mai voluto aiutarmi ma c’è
sempre stato, a modo suo, per risolvere i casini o per sostenere la
base, per mantenerla viva ed in piedi anche se stava per crollare.
Pensavo che fosse Maya quel pilastro ma quando non
c’è più stata lui è rimasto ed ha impedito che il club si sgretolasse.
Ci ha fatto andare avanti. Ora siamo ancora qua.
Non è mai stato l’attore principale, non ha mai
fatto nulla di plateale in questo gran casino. Però ora sarà lui a
sistemare le cose.
Non si è mai fatto prendere dall’odio per qualcosa,
suo fratello in realtà l’ha sempre e solo amato. Nessuna vendetta,
nessuna ripicca, nessuna gelosia od invidia.
Nulla.
Semplice. Sé stesso. Senza giudizi per nessuno.
Senza schieramenti. Non è mai stato dalla parte di nessuno, non ha mai
alzato un dito a favore di qualcuno se non di sé stesso o di colui che
riteneva degno del suo affetto.
Lui è dove serve con la forza necessaria, pronto a
raccogliere o ad agire o magari anche solo ad ascoltare.
Pronto a ciò che serve.
Lui è la fonte più pura di tutti noi attori di
questo maledetto film.
In questo destino che sembrava averlo chiuso fuori
lui in realtà c’è sempre stato.
Era il personaggio principale, colui che da secoli
tutti attendevano.
La purezza.
Ed io che sono così empio, maledetto e blasfemo,
così pieno di male e di tenebre, così folle ed incontrollato. Io che
sono solo un assassino. Io non posso far altro che desiderarlo con
tutto me stesso.
Lui sarà la mia fine e la mia salvezza, lui mi
purificherà, lui sarà tutto per me ma mai mio.
Non potrà mai esserlo.
E vorrei capire se quel che provo è solo un
sentimento di gratitudine e ammirazione per colui che mi libererà
oppure vero e proprio amore.
E se lo fosse per cosa?
Per lui o per la luce che è o per entrambi?
Vorrei capirlo. Vorrei almeno riuscire a capirlo
prima di morire.
Quando vado a casa Natsume è notte e so di
trovarlo.
Tutti gli altri non esistono, non devono.
Solo lui.
Lui ormai è il mio pensiero fisso.
Mi apposto di nuovo sotto quell’albero di ciliegio
e aspetto che mi senta e che venga da me.
L’aria insieme ai petali rosa è calda e
carezzevole, mi scosta i lunghi capelli chiari che mi snervano. Guardo
davanti a me nel punto in cui so che arriverà, proprio come l’altra
volta.
Osservo i segni dei suoi allenamenti sul tronco. So
che non si dà tregua e questo mi fa sorridere un po’.
È proprio quello che speravo.
Io. L’unico suo pensiero.
Seduto sull’erba, l’aria mi rimanda il suo profumo.
Alzo gli occhi. È qua.
L’accarezzo con lo sguardo, mi osserva incerto
sulla mia presenza ma poi senza dire nulla si avvicina e si siede
pacifico e tranquillo vicino a me, sotto questo albero.
I miei capelli l’accarezzano spostati dal vento
insieme ai petali rosa. Non mi guarda, appoggia la testa all’indietro e
guarda avanti ammirando questi giochi di primavera.
- Ti serve qualcosa? – Mi chiede come nulla fosse.
In un primo momento mi vien da chiedere che razza
di domanda sia. Me ne servono di cose… ma non mi basta tutta la notte
per elencarle!
Andiamo, tu lo sai cosa mi serve!
Ma è ovvio che non era una stupida domanda
generica.
Lui a volte lo sembra ma non lo è.
Ha una profondità ed un’accuratezza sue.
Al mio silenzio gira la testa di lato per guardarmi
e coi suoi occhi verdi sui miei, occhi sinceri e puliti come la sua
anima ed il suo spirito, capisco quanto lo desidero. Così è puro
istinto ciò che mi fa agire.
- Stai fermo. – Prima ancora di ragionare ho usato
il Ruggito del Drago per obbligarlo a stare immobile.
Immobile alla mia mercede in modo che possa fargli
qualunque cosa.
Il tempo sembra si fermi ma in realtà è solo lui.
La sorpresa sul suo viso semplice. I capelli neri
gli si scostano sulla fronte.
Non capisce cosa io voglia fare.
Potrei ucciderlo. Ho la sua vita nelle mie mani.
Sarebbe facile.
Ma non è questo che voglio.
Voglio lui.
Voglio bagnarmi almeno una volta della sua luce
pura e splendente, di queste acqua chete che proteggono chiunque gli
stia vicino.
Mi sento bene accanto a lui, a posto, come se
potessi andare avanti a controllarmi in eterno, senza alcun pericolo.
Ma è un’illusione e lo so bene.
Così con uno scatto gli vado davanti e gli sposto
il viso con un dito.
L’osservo con cura.
I suoi lineamenti regolari e semplici, gli occhi
straniti di un verde bosco intenso, la sua pelle chiara che sembra
liscia, la bocca chiusa. Una bocca non molto grande e sottile. Una
bocca che mi fa venire sete.
Appoggio le mani sulle sue gambe che apro per
infilarmi meglio in mezzo, mi avvicino ulteriormente e poi seguendo di
nuovo quel mio famoso istinto, seguendo solo il mio desiderio di averlo
solo un po’ per aggrapparmi a qualcosa quando starò di nuovo male,
annullo la distanza dal suo viso. Prima di unire le labbra alle sue
gliele lecco assaggiandole. I brividi mi percorrono. È davvero come
bere.
Potrei non aver più sete, dopo di questo.
Allora continuo senza più pensarci, senza
incertezze, solo perché lo voglio e basta.
Almeno questo me lo devo concedere.
Con le dita gli apro la bocca e infilo la lingua
dentro a cercare volgarmente la sua, sta fermo ed inerme, mi lascia
fare ma non assume espressioni schifate, non prova ad opporsi. È
davvero così facile sopraffarlo?
No, non credo.
Tratteniamo il fiato mentre fondo la bocca con la
sua in un bacio che è il primo di mia volontà. Qualcosa che sarà unico.
Un vortice si muove in me. Uno spirito benefico.
Se prendessi altro potrei purificarmi qua e subito…
ma a che spese?
Una domanda che lascio in sospeso mentre le mani si
muovono da sole aprendo la camicia mezza slacciata. Scopro il suo
torace, sfioro la sua pelle morbida, poi arrivo ai pantaloni che
slaccio. È a questo punto che ancora senza nessuna lontana ragione
stacco le labbra dalle sue e mi concentro sul resto del suo corpo.
L’osservo con gusto.
È la prima volta che lo guardo così ma non sono più
il Soichiro di sempre. Sono un altro e non ha senso cercare motivazioni
in ciò che faccio.
Nemmeno quando le mani si infilano dentro i suoi
boxer e cominciano a massaggiarlo deciso come non facessi altro dalla
mattina alla sera!
Forse mi limito a pensare a come mi piaceva a me…
Fatto sta che mi dà alla testa e riprendo ad
assaggiare il suo corpo con le labbra lasciando scie umide laddove
succhio nutrendomi, assorbendolo.
Il suo collo sottile, i suoi capezzoli, il suo
addome scolpito e poi più giù, dove nemmeno fra anni luce pensavo mi
sarei imbattuto.
Perché no?
In questo momento riesco solo a pensare a questo ed
è già tanto che me lo chieda.
Bè, non c’è risposta.
Lo voglio perché credo sarà l’ultima cosa bella
della mia vita, ora.
Lo voglio perché è puro.
Lo voglio perché lo voglio.
È salendo così d’intensità che perdo il poco di
controllo che avevo, continuando a succhiare sul suo membro che si
eccita dandomi un incentivo a proseguire, a non fermarmi.
Piace anche a lui.
Io l’ho bloccato perché pensavo non gli piacesse,
pensavo mi avrebbe rifiutato, ma gli piace.
È a questa consapevolezza che lo sento venire,
raggiungere una cima dove vorrei tanto poterlo raggiungere. Dove sono
certo è avvolto da una luce che, per quanto io possa bere e bagnarmi,
non sarà mai mia.
Mi separo da lui risalendo il suo corpo senza però
toccarlo. Lo sfioro guardando ed annusando per imprimermi anche ogni
stupido dettaglio.
Giunto al suo viso nel piacere più totale,
abbandonato ed arrossato, incrocio i suoi occhi pieni di un desiderio
onesto che parlano da soli.
Vorrebbe poter continuare.
Vorrebbe la mia stessa cosa.
Vorremmo ma poi come riusciremmo a combattere per
ucciderci?
Perché so che nel momento in cui lotteremo anche se
solo lui dovrà farmi fuori, poi il mio istinto omicida uscirà
inevitabilmente.
Se lo faccio, se seguo questo nostro insolito ed
insano desiderio poi come potremo…
Come?
Un lampo mi attraversa ed è come se mi svegliassi.
Basta.
Non può andare oltre.
Questo è già stato troppo.
Forza. Devo trovare la forza, ora, per andarmene.
Controllo. Ancora controllo che non vorrei avere, che non so per quanto
riuscirò a mantenere.
Ma senza dire assolutamente nulla, con uno scatto
improvviso che non so da dove mi arrivi, volo via insieme al vento
liberando il suo corpo.
Lasciandolo là da solo eccitato a cercare di capire
che diavolo sia successo.
E vorrei proprio saperlo anche io.
Non dovevo farlo.
FINE