CAPITOLO
IV:
LE
STRADE SI INCROCIANO ANCORA
/ Saints of Los
Angeles – Motley Crue /
Quando
le due automobili di diverso tipo si fermarono davanti al caseggiato
indicato nella mappa da Reid e McGee, non poterono certamente notare,
parcheggiata appena dietro l’angolo, un altra macchina
dell’FBI.
Lo
stato d'animo di Gibbs sembrava peggiorare di minuto in minuto e lo si
poteva notare da tanti piccoli dettagli che solo chi lo conosceva
davvero molto bene poteva cogliere. Il fatto che si mantenesse
pericolosamente calmo e controllato faceva salire la tensione in chi,
appunto, sapeva che così facendo a breve sarebbe potuto
esplodere se le cose non sarebbero andate almeno un po' meglio. Tony
era perfettamente consapevole che il suo uomo che guidava in quel modo
allucinante, aveva mille motivi per essere furioso. Accettare l'aiuto
di chi lavorava in modo diametralmente opposto al suo era stata la
ciliegina sulla torta; concedere loro il beneficio del dubbio e
lasciarli lavorare con loro, poi, era stato quanto di più
insolito. Cosa aspettarsi, ora, una volta che sarebbero scesi?
Avrebbe
preferito riuscire a stare un attimo da soli per cercare di far
qualcosa per lui ma anche volendo non aveva trovato un solo momento.
Dopo che quei tre agenti erano arrivati era andato tutto
così veloce e Gibbs stesso si era defilato. Cosa aveva fatto?
Senza
proferire parola, una volta arrivati, i cinque agenti scesero dai
rispettivi veicoli e seri e concentrati si voltarono verso
l’edificio, una specie di vecchio magazzino in disuso da
tempo. Fu solo uno scambio di sguardi velocissimo in più
rispetto agli altri, che Gibbs e Tony si scambiarono appena chiuse le
portiere. Uno scambio che sembrava dire ‘occhi
aperti’ per uno e 'non scatenarti' per l'altro. Non servirono
altri gesti o parole. Si compresero al volo e annuendo
impercettibilmente, come avessero comunicato telepaticamente,
condussero spediti e decisi il gruppetto verso il magazzino dalle porte
socchiuse.
Quando
le videro così capirono subito che dovevano essere state
aperte da poco. Non che ci fossero plateali segni di scasso o altro, ma
la loro esperienza fece intuire che erano stati preceduti da qualcuno o
che per lo meno dentro dovesse esserci qualcuno.
Sperando
che si trattasse dei criminali che cercavano, estrassero tutti e cinque
in concomitanza le pistole e Gibbs gesticolando secco ed esperto, diede
direzioni ad ognuno di prendere un’entrata diversa, quindi
trovandosi davanti alla porta principale insieme ad Hotchner, entrambi
con la pistola tesa e stretta pronta per sparare con un espressione
concentrata, quasi omicida, diede segno anche agli altri di entrare
nello stesso istante.
Le
menti sgombre rivolte solo all’azione, pronti a seguire il
loro istinto. Sentirono l'adrenalina che cominciava ad aumentare il
ritmo e al tempo stesso come se una musica crescesse
d’intensità intorno a loro. Sapevano che di
lì a poco sarebbe successo qualcosa.
Sperarono
solo si trattasse di qualcosa di buono.
Cosa
ognuno intendesse per ‘buono’, però, era
soggettivo.
Le
porte in metallo sbatterono facendo non poco casino e immediatamente
l’attenzione di coloro che erano all’interno
dell’ampio magazzino, fu rivolta verso di loro che
già pronti a sparare sembrò come di trovarsi
davanti ad uno specchio.
Almeno
per qualcuno di loro.
-
Fermi! NCIS! - - Fermi! FBI! – Le voci aggressive dei capi al
comando delle due spedizioni si sovrapposero mentre ci fu una specie di
ferma immagine pieno di tensione dove tutti credettero di dover sparare
nell’immediato.
Le
pistole puntate da parte di tutte e due le posizioni c’erano,
così come un’agitazione esplosiva e la sicurezza
di non cedere nemmeno di un passo per nulla al mondo!
Il
cuore pompava, poteva essere arrivato il momento decisivo ma non c'era
nemmeno il tempo di realizzarlo a pieno. Nessun pensiero, nessun
sentimento che non fosse per la propria sopravvivenza. Nulla di nulla.
Solo istinto. Poi con espressioni e toni identici l’uno con
l’altro, tornarono a ripetere ognuno le rispettive sigle
d’appartenenza, quindi smisero di non ragionare e si
fermarono.
I
respiri irregolari, i battiti accelerati e quel ritmo sospeso.
Erano
entrambi agenti federali.
Hotchener,
Gibbs e l’altro agente che a quanto pareva era il capo
dell’altra squadra, continuarono a guardarsi in cagnesco
senza abbassare di un millimetro le pistole, quindi aspettarono che la
propria ragione si riattivasse prendendo il posto
dell’istinto, cosa per nulla facile almeno per due di loro.
Il
primo ad abbassare l’arma fu il capo della squadra di Analisi
Comportamentale dell’FBI di Washington, quindi fu anche il
primo a parlare con logica freddezza e diplomazia, come era sua
caratteristica fare. Era estremamente difficile che perdesse la testa:
-
Siamo tutti dalla stessa parte, mettiamo via le pistole! –
Non fu un vero e proprio ordine ma nemmeno una richiesta o un
consiglio. Semplicemente fu la cosa più ovvia e sensata da
fare che, se non fosse stata espressa in quel modo, probabilmente
nessuno dei due avrebbe eseguito. Fermo e distaccato.
Fu
allora che anche Gibbs e l’altro agente, entrambi riluttanti,
l’abbassarono senza rimetterla subito nel fodero, sicuri che
sarebbe potuta servire a breve.
I
due continuarono a guardarsi male, poco convinti della
legalità dell’altro, quindi non parlarono ancora,
aspettando le spiegazioni altrui.
Troppo
simili in realtà su certi aspetti. Entrambi diffidenti sul
mondo intero per partito preso. Entrambi che non cedevano mai per
primi. Entrambi come dei carro armati che andavano dritti per la loro
strada senza sentir ragioni di nessun tipo, o quasi.
Se
fossero stati solo loro due presenti probabilmente il giorno seguente
sarebbero stati ancora là a guardarsi in quel modo poco
umano, ma la fortuna fu che non erano soli, quindi grazie di nuovo ad
Hotchner che prese la parola, si poté sentire almeno la
prima parte di spiegazione.
Mentre
lui esponeva breve e conciso cosa ci facevano lì, anche gli
altri agenti con loro misero via le armi senza smettere di guardarsi
diretti e attenti.
Tony,
Morgan e l’unico agente che accompagnava lo sconosciuto,
sicuramente il capo squadra, si trovavano l’uno davanti
all’altro, gli sguardi che si scambiavano erano eloquenti e
seri, di chi sperava che l’azione non fosse finita
lì. Delusi, quasi. Però estremamente studiosi e
selettivi. Cosa pensavano mentre si squadravano in quel modo da capo a
piedi?
Tony
capì al volo che si trattava di un ex marine, lo
capì con un solo sguardo. Ormai li riconosceva subito visto
che stava con Gibbs da tempo. Si rese anche conto, come pure Morgan,
che non era affatto male ed inoltre aveva tutta l'aria di essere
piuttosto forte e non solo fisicamente.
“Interessante.”
Si dissero infatti allo stesso tempo osservando infine con attenzione
il colore nocciola dei suoi occhi sottili. Aveva uno sguardo strano e
diretto.
Come
se fosse uno di loro. Della loro stessa pasta, in un certo modo.
Diverso ma uguale in qualcosa.
Non
seppero spiegarsi meglio di cosa poteva trattarsi.
A
loro si aggiunse Ziva che era entrata da un'altra porta, quindi
osservando come i gruppetti si erano divisi capì anche lei
al volo che i ‘club’ si erano già
formati a seconda del carattere!
E
che quei due nuovi agenti non erano affatto male, per nulla!
-
Che succede? – Chiese subito indicando con la testa i tre
capi che si guardavano chi male e chi semplicemente serio e sostenuto.
-
Siete dell’FBI anche voi? – Chiese allora Morgan al
ragazzo che spostò riluttante gli occhi da quelli azzurri di
Tony ai soggetti poco distanti da loro che emanavano un aura
stranamente oscura!
-
Si… - Disse quindi rimanendo inizialmente sul vago, cercando
di capire cosa avesse in mente il suo capo e quanto ci avrebbe
impiegato a prendere in mano il comando della situazione.
Capì tuttavia che non sarebbe stato molto facile.
-
Mi sa che ci troviamo sullo stesso caso. – Disse allora Ziva
intuendo come stavano le cose, cominciando a mangiarsi il giovane con
quel suo modo di fare caratteristico. Molto insistente e snudante!
-
Di dove siete? – Chiese di nuovo Morgan sicuro di non
conoscerlo nonostante fosse come lui dell'FBI.
-
Los Angeles. – Fece allora tornando su di loro ben
più contento e curioso di capire che tipi fossero. Si
sentiva strano, non sapeva bene come e perché ma il suo
radar si era attivato.
Era
come se si sentisse in famiglia. Assurdamente.
-
Lui e quello che sta spiegando la situazione sono dell’FBI di
Washington mentre io, lei e quello che sembra il killer siamo
dell’NCIS. Stavamo indagando sul caso dei marines assassinati
e siamo arrivati qua cambiando completamente direzione di indagini.
– Prese dunque la parola Tony, mostrando tutto il suo
protagonismo e la sua parlantina. L’azione appena compiuta
gli aveva sospeso per un po’ la funzione demenziale, quindi
l’umorismo per il momento era messo prevalentemente da parte
ma ben presto sarebbe tornato più attivo che mai.
Fu
allora che sorprese tutti e fece la cosa più sensata che
nessuno aveva ancora pensato di fare. Tese la mano al ragazzo dai corti
capelli castano chiaro e si presentò sorridendo sicuro che
fossero dalla stessa parte e che avrebbero collaborato:
-
Piacere, io sono l'agente molto speciale Anthony DiNozzo, lei
è Ziva David mentre lui è Derek Morgan.
– Fu implicita la domanda seguente e l’altro la
colse di buon grado con un sorrisino sulle labbra per l'umorismo
ritrovato, quindi ricambiò un po’ disorientato e
stupito la stretta di mano dicendo finalmente il suo nome.
-
Agente speciale Colby Granger. Lui è il mio capo squadra,
l’agente speciale Don Eppes. – Non era di molte
parole ma sicuramente conoscendosi meglio il ghiaccio si sarebbe
sciolto e avrebbe mostrato più disponibilità nei
loro confronti. Quel sorriso dall'aria ironica lo diceva chiaramente,
ed anche quella stretta di mano vigorosa e per nulla intimorita.
-
Siete solo voi due? – Chiese incuriosita Ziva tornando a
guardare l’altro uomo che si stava per accingere a spiegare
la sua presenza lì.
-
Noi due e il nostro consulente che al momento è in macchina.
– Agli sguardi interrogativi ed interessati che ricevette, si
decise ad aggiungere accentuando il sorriso divertito, immaginando il
loro incontro con Charlie. – Consulente matematico, collabora
con noi da un po’ di tempo e in questo caso particolarmente
complicato ci ha portati addirittura qui, ma noto che non è
stato un viaggio a vuoto! – Lì per lì
Morgan e Tony non capirono se si riferiva all’incontro con
loro oppure a qualcosa che avevano magari trovato nel magazzino, ma
pensarono che scherzasse riguardo al consulente matematico. Venne
naturale dunque alzare un sopracciglio facendo l'ovvia muta domanda.
Consapevole a cosa si potesse riferire il loro evidente scetticismo
decise di limitarsi al caso evitando di parlare di Charlie, non era il
più indicato per difendere la matematica!
– E’
esattamente questo il posto che cercavamo, la base
dell’organizzazione a cui diamo la caccia da un
po’. Era completamente fuori dalla nostra sede operativa ma
ora grazie a Charlie e ad altre informazioni l’abbiamo
trovata. – All’udire ciò Tony si mise
subito attento e mettendo di nuovo da parte il suo umorismo, strinse
gli occhi seguendo un’intuizione che sapeva sarebbe stata
giusta:
-
Hanno cercato di attentare prima a Los Angeles? –
L’altro annuì osservandolo con attenzione, capendo
che stava seguendo un ragionamento da non interrompere. – Non
ci sono riusciti e dunque si sono riorganizzati cambiando sede.
– Diede per scontato che a Los Angeles non ci fossero
riusciti ma fossero stati abbastanza furbi da farcela a scappare.
Quindi incrociando le braccia al petto trionfante, concluse la sua
esposizione intuitiva della situazione: - è da un mese che
non avete loro tracce, vero? –
Quando
Colby annuì di nuovo confermando i suoi sospetti, Ziva si
illuminò capendo anch’essa, dando quindi voce al
ragionamento:
-
E’ da un mese che sono iniziati gli omicidi dei nostri
marines! –
L’agente
dai corti capelli castani, allora, corrugando la fronte in segno
interrogativo, volle capire cosa stessero dicendo quindi chiese di che
parlassero. Fu Morgan, a quel punto, a spiegare degli omicidi e delle
varie indagini condotte per arrivare poi all’ultima teoria
che ora diventava conferma.
Un
intreccio di indagini veramente unico ed insolito che probabilmente non
era mai avvenuto prima e mai si sarebbe ripetuto.
Quando
fu tutto chiaro anche ai tre capi che ognuno a modo proprio parlava
chiarendo velocemente ogni punto oscuro, tutti si trovarono
inevitabilmente a pensare alla medesima cosa: quel caso continuava a
riservare molte sorprese e tutte sempre più notevoli.
Dove
sarebbero finiti per la fine del caso?
Una
cosa era certa.
Né
Gibbs, né Don avrebbero mollato. Tanto meno Hotchner se ne
sarebbe andato prima della soluzione del caso.
Sia
per principio che per questione personale. Comunque tutti e tre
volevano la stessa cosa, prendere quei criminali.
Cosa rimaneva dunque?
Solo
la collaborazione più fuori dal comune mai avvenuta prima
nella storia delle indagini congiunte!
/The racing rats
– Editors /
Nella
mente di Don, nell’esatto istante in cui incrociò
la pistola e quindi lo sguardo con Gibbs gli parve come di trovarsi
davanti ad uno specchio che deformava solo il proprio aspetto
rendendolo diverso ma al tempo stesso uguale.
Sentì
provenire dall’uomo davanti a sé, pronto a
sparare, una sorta di aura minacciosa pericolosamente simile ad una
furia omicida.
Lo
capì che ci era vicino, a quell’estremo stato,
perché anche lui era esattamente nelle medesime condizioni.
Talmente
sotto pressione per quel caso da così tanto tempo, che ora
che sembrava essersi avvicinato a coloro che cercava sapeva essere sul
punto di esplodere e se fosse successo nessuno sarebbe stato in grado
di contenerlo.
Lo
frenavano solo due cose: il fatto che se sarebbe
‘partito’ non sarebbe stato abbastanza lucido da
proteggere suo fratello che era con lui per la soluzione del caso, e
che era il capo squadra. Se lui si lasciava andare poi gli altri si
sarebbero trovati in difficoltà. Tutti loro contavano su di
lui e sulla sua professionalità, sapevano che era sempre
decisivo nelle indagini, così come lo era quasi sempre anche
Charlie, e nonostante tutti fossero importanti, lui in special modo era
essenziale.
Lo
sapeva e non era solo una questione di ego, per nulla. La
responsabilità di proteggere chi amava, di guidare chi
dipendeva da lui, di fermare dei criminali pericolosi pronti a seminare
ancora morte e distruzione, la rabbia per esserseli fatti sfuggire la
prima e la seconda volta e poi di non aver avuto nulla per un mese di
fila!
Questo
e tanto altro aveva contribuito a far di Don, in quel momento, un
potenziale omicida invece che agente federale.
La
presenza e i modi freddi e contenuti del terzo uomo dai capelli neri,
dell’FBI come lui, l’aveva fatto tornare a fatica
in sé anche se non ci aveva minimamente pensato a mettere
via la propria arma, esattamente come l’altro agente davanti
a lui dall'aria e fattezze così fascinose.
Ascoltando
con una parte di cervello la spiegazione sbrigativa ma esauriente di
quello più calmo di tutti, continuava a fissare liberamente
male colui a cui per un pelo non aveva sparato credendolo il capo
dell’organizzazione.
Per
un attimo, quando l’aveva visto improvvisamente davanti a
sé, aveva scollegato la mente e non aveva né
sentito né ragionato. Aveva solo creduto di avere il suo
obiettivo a portata di pallottola. Le dita gli si erano informicate ed
aveva esercitato una forza mostruosa su sé stesso e sui
propri muscoli per non andare a fondo sul grilletto.
E
mentre si decideva ad ascoltare e capire cosa succedeva, sapeva che
quell’uomo davanti a sé era nel suo esatto stato
d’animo.
Identico.
Non
che loro due fossero uguali, magari solo simili. L'aspetto era
completamente diverso: Don era più giovane ed aveva un
fisico più atletico rispetto a Gibbs che comunque era forte
e pronto a qualunque azione fisica. I suoi capelli inoltre erano
più corti, spettinati e castano scuro come anche gli occhi,
mentre l'altro li aveva quasi tutti bianchi, ormai, e gli occhi erano
di un azzurro che a tratti ricordava il mare o il cielo in tempesta.
Anche i modi di vestire erano diversi. Don in jeans e maglia nera
attillati con occhiali da sole al momento chiusi sul colletto, Gibbs
preferiva abiti più comodi e fuori moda, come spesso diceva
Tony stesso. Non gli importava come doveva apparire, lui era lui.
Nemmeno a Don interessava ma aveva un impatto completamente diverso,
più di stile!
Non
era certo l'aspetto che li aveva fatti sembrare simili anche se
entrambi erano in possesso di un fascino analogo, volendo. I visi non
erano classicamente belli, non da modelli come magari potevano esserlo
Colby, Morgan e Tony, però facevano anche loro una gran
figura. Ad essere uguali erano i loro modi e come si sentivano dentro.
Era uguale ciò che stavano vivendo,
l’intensità pericolosa e spaventosa dei rispettivi
sentimenti.
Quanto
sarebbero resistiti senza scatenarsi?
Riluttante,
una volta che colui che si era presentato come Hotchner concluse la
spiegazione, toccò a lui presentandosi a sua volta.
Presentò anche Colby che parlava con gli altri agenti,
quindi si decise a parlare di questa organizzazione a cui da tempo
davano la caccia là a Los Angeles, con rabbia sbrigativa
disse anche delle due volte in cui gli erano sfuggiti riuscendo
però a stanare gli attentati e di come da un mese non
avevano più avuto loro tracce. Infine parlò della
soffiata ricevuta per conto di un contatto dell’agente
Granger e del colpo di genio provvidenziale della mente sempre
sorprendente di suo fratello.
Hotchner
ascoltò con attenzione senza perdersi un solo dettaglio del
suo modo di esprimersi e di porsi, comprendendo fin troppo bene quanto
fosse coinvolto in quel caso e di quanto ci tenesse a prendere quei
criminali. Non fece altro che osservare e farsi un idea di tutto
ciò che continuava ad accadere, al contrario di Gibbs che si
perse nella furia repressa, anche se per poco, di quel federale che gli
stava davanti.
Comprese
solo lo stretto necessario di quanto gli disse bastandogli il semplice
fatto che le loro indagini li avevano portati fin lì. Quel
che più gli interessava era venuto ben a galla, per lui.
Erano
sullo stesso caso e quell’Eppes non avrebbe mai mollato
l’indagine, a costo di mandare a quel paese ogni capo
dell’FBI esistente.
Lo
sentiva e non solo lo vedeva nei suoi occhi furenti e pieni di
recriminazioni su sé stesso. Era fuori da ogni grazia divina
proprio come lui, lo sentì così similare a
sé per quel qualcosa di emotivo e per i modi di fare, che
funse stranamente da calmante e sentendolo parlare, senza ascoltare
ogni cosa, rimise la pistola nella fondina. Dopo quel gesto anche Don
capì che poteva sotterrare le asce di guerra quindi lo
imitò facendo tirare un considerevole sospiro di sollievo a
tutti gli altri che li osservavano ed avevano temuto il peggio fino
all’ultimo.
Specie
Colby e Tony che conoscevano fin troppo bene i rispettivi capi.
-
A questo punto è evidente che si tratta della stessa
indagine e che è molto più complessa e
intrecciata di quel che pensassimo. – Fece dunque Don
passandosi nervoso una mano fra i capelli castano scuro corti, non
nascose minimamente il suo stato d’animo e distogliendo lo
sguardo cercò ancora la calma per procedere sensatamente nel
suo lavoro.
Non
poteva farsi coinvolgere così.
-
Io ho un caso di omicidi di marines da risolvere e non intendo mettermi
da parte! – Mise subito le cose in chiaro Gibbs decidendosi
finalmente a parlare per la prima volta. L’aveva fatto
continuando a fissare diretto e ferocemente determinato Don negli
occhi, questi tornò a ricambiare lo sguardo cercando di
mitigare almeno un po’ la voglia di prendere a pugni
qualcuno, ripetendosi continuamente che quel Gibbs non
c’entrava e che era solo nelle sue stesse brutali e critiche
condizioni. Dopo la centesima volta che se lo diceva mordicchiandosi il
labbro inferiore con sempre più nervoso addosso,
sospirò pesantemente e allargò le braccia in
segno eloquente:
-
E io ho un caso di attentati, non cederò certo il passo ora
che ci sono vicino! – Rispose allo stesso identico modo. Fu
allora di nuovo Hotch a venire loro in soccorso per mitigare gli animi
che si stavano nuovamente riscaldando e facendo cenno con le mani di
calmarsi tutti e due parlò con maggiore pacatezza e
sicurezza. Più loro due si agitavano più lui si
‘raffreddava’.
-
Nessuno ha bisogno di farsi da parte. Siamo tutti sullo stesso caso e
non c’è motivo per non collaborare. Cerchiamo gli
stessi uomini. In quanto a noi della Squadra di Analisi Comportamentale
ci hanno chiesto appoggio e appoggio daremo. – Al silenzio
che interpretò come un ‘sì’,
il moro continuò sentendosi più un padre severo
che sgrida i figli litigiosi, piuttosto che un collaboratore al loro
stesso livello. – Penso che sia utile, a questo punto,
approfondire tutte le informazioni del caso in rispettivo possesso e
condividerle subito prima di metterci al lavoro. – Poi si
guardò intorno spostando lo sguardo sull’interno
del magazzino con in piedi un completo laboratorio per fabbricazione di
bombe. Ci volle appena un occhiata per capirlo che era la sede
operativa di quell’organizzazione e che ciò a cui
puntavano non erano certo i marines morti. Capirono anche subito che
ciò che stavano cercando di costruire, questa volta, era
qualcosa di davvero grosso e pericoloso e che lì presenti
ormai non c’erano altro che dei resti di qualcosa
probabilmente già completato.
Però
di loro nessun’altra traccia.
-
Direi che non abbiamo molto tempo. – La conclusione fu quasi
lapidaria, come una sentenzia di morte, in un certo senso.
Non
si trattava di salvare dei marines, ormai, ma molte altre persone.
Il
punto, però, era che non avevano la minima idea del loro
obiettivo.
Nemmeno
mezza.
-
Ho solo bisogno di un attimo. – Asserì quindi Don
alzando una mano in segno di ‘stop’, quindi senza
aspettare nessun assenso si diresse in un angolo chiamando Colby con un
‘ehi’, tipico suo.
Il
compagno lo raggiunse e appartandosi notò distrattamente che
anche Gibbs aveva approfittato per fare la stessa cosa con il suo primo
agente di cui ancora non conosceva il nome.
Una
volta in disparte lontano da orecchi indiscreti, i due poterono
brevemente parlare liberamente guardandosi dritti negli occhi, senza
perdersi un solo dettaglio del viso che avevano davanti. Ogni singolo
lineamento inclinato in quel preciso modo indicava qualcosa di
particolare che entrambi sapevano interpretare perfettamente.
-
Collaboreremo con loro, hanno un caso di omicidi di marines in corso
causato proprio da loro. Sicuramente l’ordine sarà
di lavorare con loro qua ma non possiamo far venire anche gli altri,
siamo fin troppi in questo caso, ora. Ci sono anche quelli
dell’Analisi Comportamentale. Sarà già
tanto se dai piani alti lasceranno noi qua a concludere le indagini.
– Cominciò Don a parlare a ruota libera esprimendo
tutto ciò che gli frullò nell’immediato
nella testa. Colby sapeva perfettamente tutto ed anche a dove sarebbero
finiti, ma l’ascoltò assecondandolo sapendo che in
quel momento così critico aveva bisogno per lo meno di
parlare. Quello sfogo, confronto a come si sentiva, era così
insignificante.
Anzi.
Nemmeno uno sfogo in realtà.
Aveva
bisogno di ben altro, Don, per scaricare il suo nervoso ed il suo
stress. Per non parlare della sua rabbia.
Non
si faceva mai sfuggire così tanto qualcuno talmente
pericoloso. Sapeva come si sentiva e desiderava solo poter aiutarlo in
qualche modo a tirare fuori ciò che lo divorava, aiutarlo,
togliergli quella tensione minacciosa. Un modo per distrarlo e fargli
sfogare quello stress divoratore, in realtà, lo conosceva ed
era qualcosa che poteva utilizzare solo lui con Don, qualcosa che
nessuno a parte Charlie sapeva. Però non era certo quello il
luogo e il tempo adatti.
Per
nulla.
Mordendosi
la lingua per distrarsi da quei pensieri che avevano stranamente preso
una strana direzione, tornò sulle parole del suo capo.
‘Capo’,
per ora, era l’unico termine giusto per definire quello che
Don era per lui dal momento che il resto era completamente nel caos
più totale. Eppure un'altra definizione da darsi
c’era ma era così difficile trovarla… o
forse solo ammetterla…
Cos’erano
a parte compagni di squadra?
Don,
oltre ad essere il suo capo, come poteva definirsi?
Certamente
due amici, colleghi o conoscenti non facevano certe cose che loro due
in momenti particolari facevano. Non sempre, solo in stati
d’animo diversi o critici.
Presto
sarebbe successo di nuovo e la consapevolezza riuscì anche
ad eccitare Colby.
Don?
Don
aveva la testa in tutt’altra direzione.
-
Occhi aperti, visto che saremo solo noi non voglio che nessuno ci
rimetta. Né mio fratello né tu. Sono stufo di
correre come un matto a tirarti fuori dai guai! – Disse
quindi consapevole che non era proprio vero che Colby si cacciava
così tanto nei guai. Non era proprio alla stregua di Tony
che se le cercava col lanternino, ma in un modo o nell’altro
finiva sempre per trovarsi nelle situazioni più pericolose o
rognose e spesso aveva anche la peggio!
Doveva
davvero ringraziare il suo capo. Don l’aveva in effetti
aiutato in diverse occasioni e non poco.
-
Io sono per l’azione! È Charlie l’uomo
da teorie. Io con quelle mi annoio, devo fare qualcosa di concreto o
divento io il matto! – Ovvio, no?
Quest’uscita
spontanea ed ironica riuscì a strappare un minimo e veloce
sorriso all’angolo della bocca di Don che, concedendogli un
occhiata un pochino più rilassata, lo ringraziò
silenziosamente scuotendo la testa, facendogli capire cosa pensava.
“Non
cambierà mai ma ne sono contento. Mi farà
invecchiare prima del tempo però va bene visto che nei
momenti in cui sprofondo riesce a tirarmene fuori facendomi dimenticare
tutto.”
Il
loro rapporto non era molto sentimentale ed a parte il lato
professionale c’era anche quello fisico.
Già.
Il
loro, oltre a tutto il resto, era un rapporto decisamente molto fisico
che si era sviluppato a quel modo solo dopo alcuni ultimi eventi da
cardiopalma che aveva visto coinvolti in special modo loro due.
Non
avevano però avuto occasione e coraggio di approfondire quel
che avevano iniziato a provare, preferendo semplicemente 'fare' quel
che il loro istinto li spingeva a fare quando ne avevano bisogno!
Scoccandosi
degli sguardi che parlarono da soli dicendo finalmente le medesime
cose, il capo si limitò ad un diplomatico: - Fa venire qua
Charlie e vediamo di sbrigarci, non c’è tempo da
perdere! Ora ha abbastanza dati per fare quel calcolo di cui parlava
tanto! –
Ogni
volta che l’atmosfera sembrava ammorbidirsi o scaldarsi un
po’, se non potevano dare libero sfogo alle loro voglie
improvvise si mettevano a parlare di ciò che meno alimentava
l’accendere del loro animo e solitamente era la matematica e
quindi Charlie.
Senza
aggiungere altro lasciarono i loro sguardi accarezzarsi al volo, quindi
si girarono andando ognuno nella propria direzione.
La
maratona aveva inizio!