CAPITOLO IX:
SALVEZZA

/A pain that I’m used to – Depeche mode/
Quando gli occhi castani di Don si posarono sulla figura del meccanico con il volto tumefatto a causa di un recente contrasto fisico, gli parve come se il tempo si cristallizzasse per un istante. Breve o lungo che fosse, tutto si fermò. Non sentì più la voce dall'altoparlante che avvisava che tutti i voli erano stati cancellati e che per motivi di sicurezza gli aerei decollati sarebbero atterrati nuovamente, non captò l'aria fresca sul viso o il sole che lo riscaldava. Il suo stesso cuore sembrò non battere più mentre il respiro gli veniva meno. Il sudore smise di scendergli e le rughe di tensione che solcavano la sua fronte si distesero brevemente mentre il suo volto si pietrificava.
Gibbs notò subito questo suo bloccarsi immediato e capendo che qualcosa non andava si girò per guardare cosa avesse visto, ma non fece in tempo a realizzarlo e nemmeno a fare qualunque altra cosa. Prima che potesse anche solo pensare che lui era uno degli uomini che avevano organizzato tutto, Don era contro di lui a colpirlo con una serie di pugni potenti, una raffica senza sosta che non lasciarono il tempo a nessuno di reagire.
A cavalcioni sopra di lui che era caduto a terra per la sorpresa e l'impatto, scaricava tutta la rabbia repressa in quelle ore di angoscia pensando solo che per colpa sua, innegabilmente sua, Colby rischiava di morire.
Non era poca.
Una sorta di esplosione inarrestabile in realtà, qualcosa che non aveva paragoni e che stupì per primo Gibbs che assisteva a pochi metri a quella scena che di sicuro non avrebbe mai pensato di trovarsi davanti.
L'aveva creduto incapace di un totale non controllo simile.
Anche se in effetti lo comprendeva bene, l'istinto di farlo ce l'aveva avuto anche lui.
Capendo che lasciandolo fare l'avrebbe ucciso e non gli sarebbe più stato utile, si decise a scattare anche lui e afferrando Don per le spalle da dietro, strattonò con forza tirandolo via.
- Basta! - Ringhiò stupendosi di fermarlo per una cosa che onestamente avrebbe voluto fare lui stesso. Erano davvero più simili di quel che pensavano ma non del tutto. Gibbs sapeva controllarsi alla fine, erano rari i momenti in cui si lasciava andare a quel modo brutale e terribile. Succedevano, certo, ma bisognava sperare che non arrivassero!
Di norma era comunque letale anche se si controllava...
Don era diverso, sapeva perdere la testa molto più facilmente nonostante fosse un capo squadra.
La cosa poteva stupire e ci si finiva per chiedere: se lui era così, com'era il resto della sua squadra? Di norma il capo è quello meno testa calda del gruppo...
Tralasciando questi lampi che gli avevano attraversato per un attimo la testa, una volta liberato l'uomo steso a terra che si copriva il volto dolorante e sanguinante, Gibbs con il famoso controllo suddetto estrasse la pistola, mise il piede sul suo petto e schiacciando con forza premette la canna fredda alla tempia, quindi chinandosi fino ad avere il viso vicinissimo a quello dell'altro che lo fissava con un certo terrore oltre che sofferenza, chiese con una fredda calma che celava una profonda malvagità pericolosa:
- Sei tu uno di quelli che ha combinato tutto questo casino con gli aerei e coi marine? - Don accanto a loro ancora tremava violentemente dalla rabbia. Quando l'aveva visto si era sentito andare in fiamme ed ogni sinapsi era andata in tilt. Non aveva capito più nulla. Il sangue gli era ribollito furiosamente nelle vene e salito in massa alla testa non aveva tenuto più il proprio corpo che si era mosso d'istinto da solo con una tale velocità e forza che solo una cosa gli era costantemente passata per la mente annebbiata dall'ira: quell'uomo aveva tentato di uccidere Colby.
Vedendo che paralizzato dalla propria vita che si vedeva probabilmente passare davanti agli occhi, il meccanico ancora non parlava ma anzi tremava, Gibbs capì che era proprio uno di loro ma non certo il capo e che se la stava facendo sotto.
Non era il pesce grosso. Avrebbe parlato.
Quindi mantenendo la sua calma, sforzandosi di non pensare a Tony a mille miglia sospeso in aria con una bomba pronta ad esplodere, premette ulteriormente la pistola sul suo viso pieno di lividi, gli occhi stretti, le labbra piegate in una smorfia di paura.
Pietoso.
Ecco cos'era... e voleva andare in giro ad ammazzare la gente!
Prima doveva imparare per lo meno cosa significava essere uomini!
Ecco perché non li sopportava quelli così... erano solo degli idioti incapaci di stare al mondo, non degni di essere chiamati per quello che in teoria erano.
Avvicinò ulteriormente il viso cupo e sempre più basso, penetrante e minaccioso, disse fissandolo come fosse un insetto:
- Lo sappiamo che lo sei. Ora hai due possibilità: vivere o morire. Parli e vivi, non parli e muori. A te la scelta. Sappi però che io non ho problemi se scegli la seconda! - La verità era che al 90% avevano preso gli altri responsabili ed ormai rimaneva poco per mettere in salvo anche i passeggeri. La squadra artificieri per disinnescare le bombe sugli aerei era già in arrivo. In breve si sarebbe risolto tutto lo stesso. Quella persona rappresentava solo un risparmio di tempo, oltre che un buono sfogo!
Lui sembrò capire questa cosa e cercando di ragionare si disse che ormai era finita, per lo meno per lui. E se lo era per lui allora tutto il resto poteva andare a quel paese!
Così quando gli chiese di nuovo con quel tono da brivido più simile ad un killer spietato che ad altro: - Sei tu che hai messo su quegli aerei i nostri agenti? - lui si decise tremante e convulsivo a rispondere annuendo:
- Si, sono stato io con altri come me che ora però non ci sono. Mi hanno lasciato qua a controllare che tutto procedesse secondo i piani. -
Molto più di quanto non avessero sperato. Fu qua che Don intervenne di nuovo premendogli la sua di pistola sulla fronte ringhiando:
- Quali voli? - Il ragazzo guardò perplesso Gibbs pensando fosse il più ragionevole, non sapendo nemmeno di preciso cosa sperare, quindi lui con un guizzo d'ironia fece piegando la testa di lato:
- Io al tuo posto risponderei... ha una gran voglia di ammazzare qualcuno, proprio come te. Solo che lui si dedica alla feccia! -
Dopo un ultima occhiata a Don dove una luce omicida albergava, si decise e rispose con precisione anche a quella domanda fornendo il numero dei voli in cui erano stati messi i tre agenti.
Fu a malincuore che Don e Gibbs si alzarono per farlo portare via da un agente che era nei pressi... del resto c'era qualcosa di più importante da fare, ora!

/Just breathe – Pearl Jam/
Dopo aver chiesto a McGee di indicargli quali voli fossero quelli elencati dall'uomo e dove stessero atterrando, Gibbs indicò con un gesto brusco uno dei tre aerei da controllare per primo mentre lui si diresse ad un altro.
Don non si fece dire altro, si fiondò immediatamente capendo cosa intendesse, quindi sperando ardentemente di aver beccato quello giusto, andò incontro all'enorme velivolo che ormai si stava per fermare.
Per colpa del sole si era messo gli occhiali scuri ed il cappellino cercando di non perdersi un solo movimento di quel che sapeva gli interessava, quindi rimase lì ad aspettare con la tensione che cresceva a livelli storici.
Ormai era fatta, si ripeteva. Era in salvo. Certo che lo era. Non poteva che essere così. Certo Colby aveva una capacità incredibile per avere la peggio in tutto quel che faceva, ma se se l'era cavata quella volta che aveva tutti contro ed era creduto un traditore dal mondo intero, non poteva non cavarsela anche ora!
Ripetendosi sempre più ansioso queste cose, Don provò una morsa allo stomaco capace di farlo vomitare se solo non fosse stato abituato a quel genere di sensazioni. Le conosceva. Sapeva che di lì a poco, vedendo Colby, si sarebbe calmato.
Quando finalmente l'aereo si fermò e con più fretta possibile i passeggeri cominciarono a scendere dalla scaletta anteriore e posteriore, accolti da altri agenti accorsi con lui secondo gli ordini, le sue iridi castane corsero veloci su tutti quelli che uscivano e non vedendo nessun giovane dai capelli castano chiaro, gli occhi color mare e un fisico prestante, si tolse stizzito cappellino ed occhiali rivelando i suoi capelli leggermente più lunghi del suo solito taglio rado, tutti mossi e spettinati che gli stavano sciacchiati e sudati sulla testa.
- Ma dove diavolo è!? - Ringhiò sul sentiero di guerra non resistendo più fermo, poi ci pensò meglio grazie alla sua qualità di saper ascoltare il proprio istinto specie nelle situazioni più critiche, e capì. - Ma certo, non lo avrà messo fra i passeggeri... - Dicendosi questo corse nella parte relativa ai bagagli e gridando impaziente a chi di dovere di aprire la portiera ancora chiusa, salì senza pensarci.
In fretta e furia rovistò in quello che ormai era un ammasso di valigie e borsoni buttati per aria, infine riprese in mano l'illuminazione di prima.
- Il motore! - Poi si fermò e corrugando la fronte aggiunse incredulo: - Ma non può aver davvero tentato di disinnescare la bomba con un aereo in volo... è matto? -
Però non concluse la frase che un ombra si fece strada proprio dal luogo che stava fissando.
Con la luce che veniva dall'esterno potè finalmente vederlo e con la camicia mezza sclacciata e completamente scarmigliato, sudato, sporco ma stranamente non visibilmente ferito, stava Colby, colui che più di tutti aveva sperato di vedere!
Si paralizzò momentaneamente credendo di vederci male, quindi senza più controllare la sua mimica facciale che in questo momento presentava un espressione di puro stupore e ansia al contempo, si trovò a mormorare interdetto il suo nome.
Il compagno mosse stanco ma tranquillo i passi che rimanevano fra loro, quindi asciugandosi la fronte con l'avambraccio senza toccarsi con le mani sporche di nero, giunse da lui e fissandolo dritto e fiero, con una luce di ironia, disse soddisfatto:
- Questo ormai è a posto! - In un secondo istante Don registrò la sua uscita capendo cosa significasse, quindi dimenticandosi di chiedergli se stava bene riprese la sua aria severa e accigliata:
- Cosa? Hai disinnescato la bomba in volo?! Da solo? - A questa reazione che Colby si aspettava, sorrise divertito puntando i dorsi delle mani ai fianchi, cercando di sporcarsi il meno possibile, si appoggiò su un piede e piegando la testa di lato rispose schernendolo bonariamente:
- Certo che sì, quando si va a fare la guerra ti insegnano ad uccidere e a sopravvivere... saper fare e disfare le bombe era nell'addestramento! -
Però vederlo così contrariato e tormentato per lui era qualcosa di impagabile, come una cura che né ospedali né psicologi potevano dargli!
Rischiare la vita così non era mai un gioco, lo segnava sempre, ma mentre pensava a cosa poteva fare di concreto per sopravvivere e lo attuava, ciò che gli permetteva di non fermarsi e non farsi prendere dal panico era la consapevolezza che una volta finita quella brutta storia i suoi compagni sarebbero arrivati. E lì l'aveva raggiunto una consapevolezza in più, quella che Don sicuramente stava facendo il diavolo a quattro per lui.
Benzina migliore non l'aveva ancora trovata!
- Tranquillo, sapevo cosa facevo, è tutto sotto controllo! - Lo rassicurò vedendolo ancora poco convinto. Però dopo di quello non avrebbe comunque mai pensato, e non l'avrebbe nemmeno chiesto, che il suo capo squadra avrebbe finalmente reagito come un normale essere umano con dei sentimenti e non più come un maturo e responsabile dirigente che pensava prima al dovere e poi al piacere!
Sentendo la sua mano sul proprio volto che lo toccava per assicurarsi che stesse bene e che quelle macchie fossero solo sporco, gli chiese con delicata attenzione:
- Stai bene, tu? - Stupendosi del fatto che avesse rinunciato a rimproverarlo per l'enorme rischio che aveva corso, si disse che qualcosa in Don era cambiato. E ad un'occhiata più attenta alla sua espressione tirata ed ansiosa lo capì. Quella cupezza nascondeva una preoccupazione per lui che di norma non aveva per gli altri, ad eccezione di suo fratello. Non a quei livelli per lo meno.
Lavorava con lui da un paio d'anni e lo conosceva. Più di un sbrigativo 'stai bene?', non indagava mai.
Però quegli occhi, quella mano sudata che aveva appena smesso di tremare e quella vicinanza esagerata per scrutarlo nei dettagli, non mentiva.
Quella sensazione, non mentiva.
Don aveva passato le pene dell'inferno, per causa sua, ed invece che dispiacersene si trovò addosso una tale felicità che aveva dell'incoscienza!
- Si... - Poi con ancora la sua mano sulla guancia che cercava di pulirgli un punto, aggiunse addolcendo il proprio volto, rendendosi così ancor più inconsapevolmente affascinante: - Ti ho fatto passare dei gran brutti momenti, eh? - E mentre lo diceva con la sua voce roca ma carezzevole ripensava a quanto avrebbe voluto essere con lui quando invece era stato solo a doversela vedere con una bomba. A ciò che aveva pensato per darsi forza, ciò che aveva ricordato per non fermarsi e per andare avanti. A quanto ormai era coinvolto in quello che si ostinavano a non chiamare relazione.
E allora cos'era il desiderio di rivedere l'altro subito e di impazzire all'idea che potesse succedergli qualcosa?
Don si fermò ma non abbassò il braccio, quindi riportò le sue iridi penetranti e tenebrose su quelle chiare, gentili e addirittura dolci dell'altro.
- Non ne hai idea... - Ammise finalmente. Colby ripensò inevitabilmente anche alle volte in cui nessuno era mai riuscito a tirare fuori da lui più di un 'ottimo lavoro' o 'grazie'. Questo superava di gran lunga ogni aspettativa!
Non mascherò il suo stupore, quindi sgranando gli occhi prese la sua mano mentre stava per ritirarla, la portò senza pensarci alle labbra e senza baciarla o che, mormorò avvicinandosi ulteriormente a lui, sfiorando il suo corpo col proprio. Mille brividi li percorsero.
- Grazie per avermi trovato ancora. - ripensandoci si sarebbe vergognato di quel gesto così strano, ma in quel momento gli venne spontaneo.
Eppure credendo che ancora una volta la cosa finisse lì e che da lui avesse già preso più di quel che avrebbe mai osato sperare, lo lasciò andare senza riuscire a muoversi e smettere di guardarlo con intensità.
Fu allora che Don lo stupì di nuovo e non poco.
Calore.
Si accorse che stava accadendo dal calore che sentì alle labbra, quindi si trovò le sue sulle proprie che dolcemente e delicate le stava accarezzando mentre entrambe le mani gli tenevano fermo il viso.
Non foga, non passione, non bisogno o impulsività. Solo un gesto ragionato, voluto e cercato.
Chiuse gli occhi cercando di catturare quel sentimento troppo grande per lui, quindi lo prese per i fianchi, l'attirò a sé e si aggrappò per non cadere sentendo finalmente la tensione e la stanchezza scioglierlo.
Come se gli avessero tagliato i fili e dentro di sé non ci fosse più nemmeno un osso!
Si lasciò sorreggere da Don mentre la lingua si faceva strada nella sua bocca e quando finalmente trovò la propria si allacciarono fondendosi lentamente e sensualmente, con una dolcezza che, ne erano certi, non sarebbero più riusciti ad usare.
Si scambiarono un breve bacio prima di staccarsi, appoggiare le fronti l'una all'altra e schiudere gli occhi annebbiati per guardarsi vicinissimi e ansanti, scossi dalle forti sensazioni che provavano ancora.
Fu Don, di nuovo, a stupirlo fino in fondo...
- Penso di starmi innamorando di te. Che ne dici di provare a stare davvero insieme? -
Nemmeno fra i pensieri più reconditi di Colby, avrebbe sperato di sentirglielo davvero dire.
E un'ondata di emozione gli arrivò da dentro esplodendo, annodandolo.
Il bacio con cui rispose e rimase appoggiato sulle sue labbra immobile, fu la risposta migliore.
Colby e Don avevano trovato la loro strada.

/Teardrop – Gonzales/
Non così fortunato fu Gibbs che appostato davanti ad un aereo già atterrato da cui i passeggeri stavano scendendo di gran carriera scortati da altri agenti, notò sulla portiera anteriore, sopra la scaletta, il ragazzo della squadra di Analisi Comportamentale.
Morgan tutto sudato e scarmigliato con un occhio chiuso e gonfio e il sopracciglio spaccato che sanguinava su metà del viso contratto, esortava i passeggeri a sbrigarsi con un aria fremente e dolorante. Da lì capiva che non aveva disinnescato la bomba e che aveva convinto i piloti a tornare indietro e atterrare immediatamente.
E che non era quello l'aereo in cui stava Tony.
Vederlo in quelle condizioni gli permise di chiedersi in quali condizioni fosse il suo uomo.
Strinse contrariato ed infastidito le labbra, quindi con un gesto stizzito si girò in direzione del terzo aereo che il meccanico gli aveva indicato, era atterrato anch'esso e stava aprendo le portiere dei passeggeri.
Senza pensarci oltre e nemmeno imprecare, corse velocissimo in quella direzione stringendo gli occhi nella speranza di vederlo scendere da solo.
Se non è riuscito a contattarmi significa che non era di sopra con gli altri... dev'essere sotto, fra i bagagli.”
Pensò andando diretto nella parte interessata ordinando bruscamente di aprirla.
L'ansia cresceva in lui e detestava stare così, non lo sopportava. Era meglio affrontare criminali pericolosi e rischiare la propria vita... almeno poteva fare concretamente qualcosa per contrastarli. In quel caso non poteva far altro che sperare che Tony stesse bene e di trovarlo subito. Però avere a che fare con i propri sentimenti che gli toglievano il fiato e minacciavano di esplodere, non era una passeggiata per lui.
Finalmente riuscì a salire e calciando le valigie che incontrava sul suo cammino aguzzò la vista che nella penombra non gli permetteva di vedere bene quel che cercava. Quando la luce dall'esterno l'aiutò a visualizzare meglio le forme che erano in quel posto buio, sentì un colpo netto al petto, come se l'avessero fisicamente trafitto, cosa che non era vera. La sensazione però fu quella e senza respirare ancora si precipitò verso l'angolo in cui l'aveva visto.
Una forma immobile stesa a terra a faccia in giù.
- Dannazione... - Ringhiò evitando di pensare che tanto per cambiare la peggio ce l'aveva avuta lui. Lo prese svelto per le spalle e lo girò non dopo aver notato il sangue sulla schiena e sul collo che proveniva da una brutta ferita alla nuca. Aveva perso molto sangue ed il forte trauma in una parte così delicata della testa non gli aveva permesso di fare molto. Il fatto che fosse riuscito a liberarsi era notevole. Se avesse avuto più forze sarebbe riuscito anche a fare qualcosa di più per l'aereo.
Con una mano sulla sua nuca tamponando alla meglio la ferita, lo voltò sorreggendolo senza perdersi un solo particolare del suo viso. Non aveva altre ferite ma era sudato, pallido e affaticato. Avvicinò il volto al suo e lo chiamò con preoccupazione e dolcezza allo stesso tempo, dimenticando tutto il casino che era stato prima, la storia dei marine morti che l'aveva fatto quasi uscire di testa, il pericolo in cui si era incoscientemente messo da solo... dimenticando che avrebbe voluto sgridarlo e dirgli di tutto per non avergli detto nulla prima di andare in aeroporto.
Premeva solo una cosa. Che Tony si svegliasse.
- Tony... ehi... - Cercò di essere meno brusco possibile, ma non era sicuro di esserci riuscito.
In realtà il sussurro della sua voce bassa era stato quanto di più delicato avesse mai tirato fuori.
Quello era proprio il tono che il suo ragazzo adorava, gli trasmetteva sempre dei brividi da capo a piedi, come tante scosse elettriche. Solo la sua voce che bassa e penetrante, carezzevole, lo chiamava con fare intimo.
- Avanti… - Mormorò quindi a denti più stretti e con l’ansia che tornava ad impadronirsi di lui proprio come quando aspettava fuori il suo aereo.
Ce l’aveva lì e non si sentiva per niente meglio… cosa poteva fare?
Un breve senso di impotenza lo invase e per contrastarlo si sforzò di pensare da agente e non da fidanzato, quindi contrariato prese il cellulare e sbrigativo fece per chiamare qualcuno che potesse aiutarlo, qualcuno di più competente.
Non poteva davvero essere così grave… con cosa l’avevano colpito?
Mentre se lo chiedeva e componeva il numero il lamento di colui che reggeva lo fece sussultare, abbassò di nuovo gli occhi azzurri più tendenti al grigio e lo scrutò teso con un bisogno enorme di vederlo sollevare le palpebre e venir guardato da lui.
Mentre si dimenticava della telefonata e lasciava la voce dall’altro capo parlare da sola, puntò tutta la sua attenzione su Tony che finalmente si muoveva facendo una smorfia di dolore. Un altro lamento flebile dalla sua gola.
- Tony… - Avrebbe voluto dire qualcos’altro ma non gli uscì altro, sentendosi stupidamente le corde vocali annodate.
Non percepì nulla di sé stesso, troppo preso da captare ogni singolo ed insignificante cenno dell’altro. Appoggiò senza accorgersene il cellulare a terra, quindi mise la mano libera sul suo viso affaticato, l’accarezzò cercando di richiamarlo in ogni modo possibile, e portando il volto sul suo fino a sentire l’uno il respiro dell’altro, sussurrò ancora:
- Mi senti? – A quello una specie di mugolio che in un secondo momento fu percepito come una risposta. – Eh? – Chiese non avendo capito ed avendo invece un gran bisogno di riuscirci. Allora Tony raccolse le sue forze e con voce meno biascicata e più chiara ma sempre affaticata, ripeté:
- Se parli si… - Tipica risposta da scappellotto!
Lui era preoccupato e passava le pene dell’inferno e quello si permetteva di sminuire tutto con una specie di ironia del cavolo!
Eppure nonostante la propria contrarietà si sentì anche stranamente contento di sentire che aveva ancora la forza di rispondergli a quel modo, seppure con fatica!
Il sorriso di rimando che gli venne fu luminoso anche se leggermente velato di preoccupazione. Gli occhi lucidi vennero subito nascosti dalle palpebre che si abbassarono in fretta mentre di slancio si abbassava ulteriormente per posargli le labbra sulla fronte. Un lieve bacio spontaneo di sollievo e ringraziamento.
- Tutto qua? – Si lamentò allora Tony riprendendo meglio possesso di sé e della propria coscienza. Gibbs non riuscì a non staccarsi per ridacchiare, quindi con un espressione indecifrabile si alzò dalla sua fronte per guardarlo meglio. Aveva aperto gli occhi e lo guardava, erano arrossati e si capiva gli girava ancora la testa, la ferita dietro la nuca era davvero brutta, ma si sforzava di rimanere sveglio e attivo. Ci riusciva tanto da chiedergli un bacio migliore!
Con una felicità che non provava da giorni a causa di quella dannata organizzazione, si trovò a pensare che era meglio che Tony non cambiasse, dopotutto.
Quindi borbottò cercando di controllarsi:
- Magari ti meriti qualcosa di più… - Una specie di ammissione che da un lato aveva fatto circa un buon lavoro, anche se dall’altro, appena si sarebbe rimesso, gliene avrebbe dette di tutti i colori per l’incoscienza dimostrata!
Dopo quel che anche lui stesso si era meritato per ciò che aveva patito!
Senza aspettare oltre adagiò leggero e delicato le labbra sulle sue, quindi accarezzandole un po’ gliele aprì facendosi strada con la lingua. Trovatolo constatò che non stava poi tanto male visto che gli era venuto incontro cercandolo e ricambiando. Fu un bacio lento, calmo e con una certa sensualità per la scoperta che nonostante tutto riuscivano ad avere. Scoperta di alcuni sentimenti che fino ad un momento prima li avevano quasi fatti impazzire e che ora li curavano avvolgendoli in un assurdo senso di benessere incontaminato.
Il bacio durò alcuni istanti che parvero lunghi, tolse ad entrambi il fiato e la coscienza del proprio corpo. Gibbs lasciò che la mano sul suo viso rimanesse lì per tenerlo fermo e voltato verso di sé, mentre l’altra cercava ancora di fermare il sangue sulla nuca.
Per essere uno che se l’era vista brutta, se ne concedeva di cose!
Tu mi farai morire…”
Pensò l’uomo più grande mentre finalmente si sentiva meglio avendolo nella sua bocca che lo cercava e lo tratteneva a sé.
Quando si staccarono lentamente a malincuore, la smorfia di Tony fu per il dolore che non riusciva più ad ignorare, ma nonostante quella alzò la mano e posandola sulla guancia del compagno che l’osservava preoccupato e accigliato, mormorò ancora con un filo di voce, imponendosi di riuscirci:
- Grazie… - Ogni altra aggiunta sarebbe stata superflua, così come le odiate ‘scuse’ e simili. Andava bene così. Loro sapevano per cos’era quel ‘grazie’ e cosa comprendeva. Gibbs in risposta appoggiò la fronte sulla sua sudata e mormorò con un forte senso di sollievo e al tempo stesso bisogno di dirlo, come se sancisse la fine di quel terribile caso:
- Ti amo. – Qualcosa che avevano imparato a non dare mai per scontato e a non vergognarsi di dire. Le labbra di Tony si incurvarono in un sorriso a suo modo dolce e felice al tempo stesso, nonostante il male che sentiva, quindi disse a sua volta nel medesimo tono:
- Anche io ti amo. – Tutto qua.
Semplicemente.
Il resto, ora, lo si poteva finalmente affrontare.
Tony e Gibbs si erano ritrovati.

/A pain that I’m used to – Depeche mode/
L’adrenalina era alta e il tutto durò poco rispetto a quanto ci avevano messo per capire ogni cosa, chi fossero, cosa volessero fare e dove fossero.
Però l’importante era che ora ce l’avevano fatta e che non avevano sbagliato di nuovo.
Con una musica che era cresciuta d’intensità nelle loro menti e che ora esplodeva insieme a loro, Hotchner accompagnato da Ziva, Reid ed altri agenti richiamati per l’occasione, fecero irruzione nel secondo rifugio identificato.
Con soddisfazione constatarono che questa volta non si erano sbagliati e senza la minima esitazione, gridando chi fossero e di non muoversi, arrestarono gli uomini colti di sorpresa che reagirono pur non aspettandosi di essere trovati a quel punto.
Ci fu una sparatoria ed il momento che seguì fu di caos, la scena in sé si consumò in pochi atti e senza nemmeno il tempo di realizzare cosa stava accadendo, chi sparava a chi, chi uccideva chi e chi veniva ferito.
Con le giuste precauzioni si poteva ottenere con sicurezza il risultato voluto e tutto finì in fretta.
Abbassando ancora tesi e fortemente provati le rispettive arme, i tre della squadra che avevano collaborato per risolvere quel difficile caso, poterono constatare con ancora il sangue che ribolliva nelle vene e l’adrenalina che li scuoteva fortemente, che era tutto finito e che ce l’avevano fatta, anche se a discapito di molte vite innocenti di marine che non avevano avuto alcuna colpa.
Disarmandoli e assicurandosi che nessuno potesse più innescare alcuna bomba, li arrestarono portandoli immediatamente via. Erano un numero di persone non indifferenti, tutte americane.
Ne rimasero colpiti anche se Reid, Hotch e Morgan se lo erano aspettato dall’inizio della loro analisi.
Eppure nonostante tutti provarono un immediato sollievo nel mettere la parola fine a quell’indagine tremenda che aveva preso da tutti molte energie e forze, uno fra loro rimaneva ancora cupo e preoccupato. La tensione di Reid non si allentò per nulla ed anzi dovette far fatica a non lasciarsi andare ad un potente conato di vomito. I nervi pronti a saltare da un momento all’altro e il pensiero unicamente rivolta a colui che ora come ora contava maggiormente per lui.
Anzi.
Forse l’unico che contasse davvero.
Senza aspettare oltre prese subito il suo cellulare in mano e con l’istinto di fare il numero di Morgan, si fermò rendendosi conto che non l’aveva più con sé dopo essere stato rapito e messo su quell’aereo.
Chi poteva chiamare per sapere come stava?
Non aveva il numero di nessuno degli altri che probabilmente erano sul posto… e chiedere a Hotch che lo facesse per lui era pesante. Si sentiva paralizzato, le corde vocali atrofizzate e il terrore di sentire una notizia terribile gli impediva di muoversi e parlare sensatamente, cercando magari anche di nascondere ciò che provava.
Fortuna però che il suo capo sembrava leggergli nel pensiero e mettendogli una mano sulla spalla e stringendo in modo significativo per dargli coraggio, chiamò Gibbs avendo preso il suo numero per tenersi informati.
Quando rispose aveva un tono molto strano che nemmeno con la sua spiccata bravura nell’analizzare gli altri, riuscì a decifrare.
Suo malgrado lo informò dell’azione andata a buon fine e senza ancora crederci lui stesso che finalmente era finita, chiese:
Fu mentre lui sentiva la risposta con la solita espressione seria e tirata, che a Reid parve venire un collasso. Se non sapeva immediatamente qualcosa probabilmente sarebbe svenuto!
- Va bene, ci vediamo in ospedale. – Già a quelle parole il famoso collasso parve coglierlo davvero e barcollando pericolosamente si appoggiò alla prima cosa che trovò, quindi fissando spaventato il proprio supervisore, chiese con una muta domanda cosa gli aveva detto.
Hotch capendo al volo le sue condizioni lo prese per le spalle, lo raddrizzò e trasmettendogli di nuovo forza e sicurezza, lo fissò deciso rispondendogli svelto:
- Stanno tutti bene, chi più chi meno. Qualcuno è ferito. Li stanno portando in ospedale. Ci vediamo tutti là, ora. – Poi notando la brutta cera del ragazzo che già di norma non splendeva di una forte salute, si affrettò ad aggiungere: - Forza Reid, va tutto bene. È finita. – Ma la mente del giovane dai capelli biondi e scarmigliati che arrivavano un po’ ondulati fino alle spalle, era rimasta all’ospedale!
L’uomo più grande comprese che qualunque cosa gli avrebbe detto, sarebbe stato inutile, quindi stringendo dispiaciuto le labbra per non potergli essere più d’aiuto, lo cinse protettivo come un padre e lo condusse fuori alla macchina.
- Andiamo da Morgan. – L’unica cosa davvero utile.
Morgan e Reid aspettavano di rivedersi.