NOTE: Non ho trovato il midi della canzone  che avevo scelto, The funeral dei Band of horses, così ne ho messo un altra in sottofondo.
Bè, dopo le puntate che ho visto non ho potuto farne a meno di pensare che Don si è proprio dato pena per Danny! Io li ho trovati adorabilmente slashosi. O meglio. Don e tutte le sue attenzioni dolcissime e premurose verso un Danny in crisi nera. Dunque mi son detta che solo Don può aiutare Danny (o Mac, ma questa volta lo scettro viene ceduto a Don) e così ho fatto questa breve fic che ho scritto di getto senza pensarci su molto!
Auguro a tutti buona lettura. Baci Akane
DEDICHE: a chiunque piaccia questa coppia. So che molte sono incerte sulla coppia preferita di CSI NY… e che sono molto disposte verso questa! Bè, la dedico a chiunque Don e Danny gli piacciano insieme!

IO CREDO IN TE

/The funeral – Band of Horses/
Sto qua ad aspettare da più di un’ora, ormai, che da quella soglia arrivi lui, ma so bene che non sarà così.
Lo so bene com’è fatto… è partito di testa per questa storia del bambino e posso capirlo bene, ma deve anche capire che la vita purtroppo continua e che non può soprassedere la legge solo perché ha il distintivo altrimenti se tutti ragionassero come lui finiremmo all’anarchia pura e di conseguenza allo catafascio.
Quest’oggi per lui ho messo a rischio anche la mia carriera, se mi beccavano ad aiutarlo con quella donna che gli aveva rubato l’arma certamente non l’avrei passata liscia. Ma l’ho fatto per lui, ho aspettato e gli ho dato fiducia, l’ho aiutato. Sapevo che aveva bisogno e che non poteva farcela da solo come invece sosteneva. È già tanto se poi ha accettato il mio aiuto, lo so. Però quando è sparito di nuovo e non mi rispondeva mi ha costretto ad usare i miei mezzi per trovarlo di nuovo. Mi ha fatto indagare su di lui!
Quando non ragiona più arriva a fare cose fuori da ogni logica e regola, non pensa, agisce e basta. Va d’istinto e poi è finita.
L’ho aiutato di nuovo, quando l’ho ritrovato alle prese con quella povera donna che cercava solo di vendicarsi da sola, però gli ho anche detto che devo fare rapporto e che gli do un ora per venire lui a farlo in centrale, al termine l’avrei fatto io da solo. Gli ho dato un'altra ennesima opportunità per fare la cosa giusta e rimediare ma non so davvero se verrà.
Sono tornato e mi sono seduto qua alla mia sedia a guardare fisso la porta d’ingresso del dipartimento. Il mio turno è finito ore fa ed invece di andare a casa mi sono occupato di lui, cosa che continuo a fare anche ora. Non lo faccio mica per tutti...
Il punto però è uno.
Lo conosco bene e so che arriva ai limiti della follia quando sta male ed ora sta davvero tanto male, si sente in colpa per la morte del piccolo Ruben e lo capisco. Si distruggerà prima che ammetta di aver bisogno di qualcuno che lo sostenga, le proverà tutte, arriverà ai gesti più impensati e sbagliati, poi quando toccherà il fondo calpestando chi gli sta vicino, se serve, accetterà la mano che chi lo ama gli tende. Spero che lui veda presto la mia altrimenti non potrò più fare nulla per lui.
Sta affondando nel mare dei sensi di colpa e nulla al mondo riuscirà a fargli capire che non è colpa sua se quel bambino è morto. Nessuno potrà perché la verità è che in parte ne è comunque responsabile. Se non lo lasciava andare avanti in bici da solo, se non si fermava nella rapina, se non lo lasciava solo a tornare a casa anche dopo… ma i 'se' non servono ed ormai le cose sono andate così.
Non è comunque lui che ha sparato e nemmeno quella donna, penso, lo ritiene responsabile della morte del figlio.
Però lui è un carro armato e nulla e nessuno gli faranno cambiare idea.
Però nonostante questo, nonostante io so come è fatto e cosa può arrivare a fare, io credo in lui e continuo a sperare di vederlo arrivare da quella porta.
L’ansia di minuto in minuto mi uccide e sono sempre più esterno a tutto ciò che mi circonda, eppure questo posto è tutto fuorché silenzioso e tranquillo. C’è caos, lo so che c’è, e mi verrebbe mal di testa ad ascoltare tutto ciò che c’è qua, però sono così concentrato su quell’ingresso e su Danny che non c’è verso di farmi notare nulla.
Mi rivedo i suoi occhi, il suo dolore così visibile mentre convinceva quella donna che se doveva sparare a qualcuno quello era lui e non il rapinatore di quel giorno, che ho visto anche la sua delusione quando lei poi ha abbassato l’arma e se l’è fatta prendere. Mi è quasi sembrato che volesse che gli sparasse davvero. La sua sofferenza cresce ogni volta che qualcuno gli dice che non è colpa sua, per lui è peggio. Però capisco tutti quelli che glielo dicono… vedono il suo tormento, quanto sta male e come possono accusarlo? Come possono dirgli che fa bene a stare così male?
Ormai il tempo massimo è passato da un pezzo e guardo di nuovo l’ora per la millesima volta.
Io credo in te, ma tu devi venire.
Vieni, dai, Danny.
Quando invece di lui mi si avvicina la Angell che mi chiede che ci faccio ancora qua nonostante il mio turno finito da un pezzo, sospiro deluso guardandola un attimo negli occhi. È una bella donna, magari può darmi una mano a lasciar perdere Danny… ma come posso?
Dopo averle risposto vago che ormai è inutile la mia attesa, le propongo di andare a bere qualcosa insieme. Se cerco di distrarmi magari non ci penso e ci sto anche meno male.
Quando lei accetta ed io mi alzo, però, gli occhi che tornano svelti e speranzosi alla porta si accendono, finalmente, vedendo che si apre e che la varca proprio lui con la donna responsabile del casino di qualche ora fa.
Ha un aria stralunata ma mi cerca subito con lo sguardo, quando ci incrociamo il mio petto si riempie di un respiro profondo, come se fossi stato in apnea per tutto questo tempo. È una sensazione ristoratrice fantastica che non pensavo di poterla più provare.
È così, vedendolo che mi viene incontro con un espressione colpevole ma piena di tormento, che ho la certezza di aver riposto bene la mia fiducia in lui.
So come è fatto ma credo in lui e so che faccio bene. Ora lo so.
Affido la donna ad Angell che non sa che cosa succeda e quindi la prende in custodia per sentire la sua deposizione sul suo furto dell’arma di Danny, quindi lui rimane con me, ci guardiamo diretti e sembra aver bisogno di dirne molte, ma davvero molte tuttavia sta in silenzio e senza aggiungere altro sguscia via verso l’uscita, o almeno ci prova.
Io lo inseguo ed ho modo di dirgli quel che penso e porgergli di nuovo il mio aiuto. Mi chiede perché brusco dovrei volerlo aiutare e mi esce spontanea la risposta.
Sono suo amico.
Già.
È tutto qua, no?
Amico e basta.
Un amico che per lui mette a repentaglio la carriera.
No che non avrei fatto rapporto se lui non fosse venuto.
Non l’avrei mai messo nei guai. Mai.
Però doveva crederlo. Forse sarebbe venuto lo stesso, forse no, però ho provato anche quella strada ed ora è qua davanti a me.
Stavo andando via senza dire niente a nessuno, lo stavo facendo nonostante quello che è successo a Mac per aver soprasseduto ad uno dei protocolli.
Per lui l’avrei fatto.
Ed ora sono qua a dirgli che sono suo amico.
Solo suo amico.
Lui sembra non avere nulla da ribattere, il suo sguardo si incupisce ulteriormente e cerca di scappare via di nuovo, allora lo fermo tenendolo per un braccio, dunque aggiungo quel che prima pensavo fosse peggio per lui.
Che non deve colpevolizzarsi per la morte del piccolo Ruben.
A questo punto lui si ferma, si gira, mi guarda ancora da vicino, diretto, e mostrandomi tutto ciò che pensa e prova me lo dice.
Me lo dice con una semplice parola. Una domanda che mi fa rabbrividire e lasciare senza parole.
- Come? – Come fa a non sentire più i sensi di colpa?
Già… non lo so proprio nemmeno io, onestamente.
Di momenti orrendi ne abbiamo passati tutti ed io so cosa lui sta provando.
So anche che probabilmente cercherà l’unica persona che pensa possa capirlo davvero poiché prova esattamente il suo stesso inferno.
Sicuramente starà tanto con lei, la madre del piccolo, al punto che si faranno male a vicenda ancora un po’, poi lui magari rinsavirà o forse sarà lei.
Uno dei due troverà la forza per andare avanti e le cose torneranno lentamente come prima.
Però intanto lui si distruggerà con tutte le sue forze per punirsi di ciò che pensa di aver fatto.
Credo di dover fare un discorso con lui, prima che questo succeda. Che dia fondo al peggio di sé.
Però ora su due piedi non mi esce nessuna risposta e lo lascio andare.
Lo vedo scivolare via svelto con la testa bassa ed uno sguardo grave che vorrebbe solo chiedere aiuto ma non osa.
Non osa perché aiutare Danny in crisi è davvero complicato.
Mac ci riuscirebbe ma so bene che la cosa migliore è non informarlo, ora, poiché Danny passerebbe solo dei guai prima di venir aiutato. Mac è così. È prima di tutto il suo capo. Ha sempre ragionato così anche se poi l’ha aiutato ogni volta.
Però è meglio lasciarlo fuori da questo, per ora.
Ma quanto potrà andare avanti così, quel ragazzo?
Davvero non lo so.


Di tempo ne è passato, da quel giorno. Non ci siamo più parlati e non l’ho più avvicinato seriamente per parlargli di come stia o cosa faccia. Gli ho lasciato i suoi spazi ed i suoi tempi però il nostro dialogo mi risuona nella mente tormentandomi senza lasciarmi tregua un secondo. Lo osservo insistente come se lo studiassi, come se fosse lui sotto inchiesta. Cerco di capire cosa combini, come stia cercando di superare il dolore, anche se lo immagino visto che sembra che non stia più con Linsday.
Lo conosco, lo dicevo l’altra volta, no?
Probabilmente va a letto con Riky Sandoval, la madre di Ruben.
Mi brucia, certo, ma penso che sia perché non viene da me a chiedermi una mano o non ha accettato quella che gli ho offerto quel giorno, prima di andarsene dalla centrale. Quando gli ho detto che sono suo amico.
Forse, però, centra anche questo.
In qualità di amico quanti diritti ho su di lui, sul suo dolore, sul suo stato?
Come posso aiutarlo, solo in qualità di amico?
Non so bene perché mi stoni la frase che gli ho detto e da dove parta tutto questo fastidio che provo, ma voglio fare qualcosa.
È arrivato il momento di fargli quel famoso discorso.
Non può continuare così.
È sempre più trascurato e trasandato. Non che non gli doni quell’aspetto da dannato, però è ora che si riprenda.
Non voglio perderlo più di così.
Cazzo, è questo, no?
Non voglio perderlo più di così.
Per quale amico penserei una cosa simile?
Passo così tanto tempo con lui che ho assunto il suo stesso umorismo e modi di parlare, se ne sono accorti anche Mac e Stella che me l’hanno detto. E mi piace. La cosa mi piace.
Però è significativa, dannazione!
Si, è vero, devo proprio parlargli.
È ora!

Bè, quando decido qualcosa non perdo molto tempo, vado subito dritto al punto.
Ha detto che aveva bisogno di farsi un giro in moto, non mi ha detto di venire ma mi sono invitato lo stesso, così eccomi qua con la mia a raggiungerlo dove ci siamo dati appuntamento.
Siccome non siamo tipi da andare in due su una, preferiamo di gran lunga questa sistemazione. Ognuno sulla propria a correre quanto ci pare per le vie che sappiamo non essere sorvegliate. Le vie migliori per tirare il motore al massimo e sentirsi portare via dal vento.
Sono le solite strade che facciamo quando abbiamo voglia di volare un po’.
So che aveva bisogno di stare solo coi suoi pensieri ma da solo ci è stato abbastanza ultimamente e so che ha fatto solo danni, così non mi ha lasciato scelta. Sarei venuto comunque.
Arrivo all’inizio del lungo e grande stradone che presenta un paio di curve fino a salire al belvedere. È deserto e buio e non passa nessuno. Circondato dai campi da una parte e da un ampio fiume dall’altra. Una bella visuale fuori dal centro. L’ideale per chiunque voglia intimità e solitudine.
Qua nessuno ci romperà.
Mi fermo vicino a lui, è seduto sulla sua Harley ed il casco è bello che dimenticato. Probabilmente è nel sedile. Credo che abbia intenzione di andarci senza.
È già a questo livello?
Mi fermo ma non spengo il motore della mia, mi tolgo il casco e lo infilo sul mio braccio in modo da poter correre anche senza. Quindi giro la testa e lo guardo. Ricambia il mio sguardo e mi fa un cenno con la testa, proprio come faccio io.
Non abbiamo parole, non ancora.
Ho tempo per tirargliele fuori.
So bene come devo fare per trattare con lui.
Basta fare come farei per me stesso.
Una sorta di desiderio parziale di farla finita.
Scacciare via i sensi di colpa.
Sentirsi liberi e leggeri senza nessun peso.
Avere la presunzione di voler stare bene.
Rischiare la vita senza avere il coraggio di farla davvero finita.
Sentirsi in bilico e lasciar decidere al destino.
Questa sera sarò vicino a te, in questa sfida contro il tuo dolore e la sorte.
Poi raccoglierò i cocci.
E non perché sono tuo amico ma perché tengo troppo a te.
Non solo come amico.
- Ti va una gara? – Chiedo con ancora un piede sul pedalino e l’altro a terra, pronto a dare la spinta. Una mano sul manubrio dell’acceleratore e l’altra sul serbatoio pieno.
Il cielo è così sereno che non ci servirebbero nemmeno i fari, per vedere.
Fra le luci della città qua vicino e quelle del cielo non ci serve nulla.
Nulla se non ciò che ci prenderemo ora.
Si stringe nelle spalle quindi distoglie lo sguardo dal mio e si prepara alla corsa.
Riaccende il motore con facilità e senza mettersi il casco, come me, si prepara a partire. Siamo l’uno di fianco all’altro all’inizio di questo stradone buio e lungo.
È tutto per noi.
Solo noi.
- Fino al belvedere? – Dice quindi brusco come ormai è sempre.
Da quando si è lasciato con Linsday è meno tormentato ma i suoi umori non sono mai migliorati davvero.
Sembra solo abbia un peso in meno, una colpa che non deve provare più.
- L’ultimo risponde a qualunque domanda dell’altro! – è un uscita che non mi ero preparato, però funziona visto che gli strappo un mezzo sorrisino. Forse sta pensando alla domanda da farmi. - Guarda che non sarà semplice… - Aggiungo quindi accelerando il motore e puntando lo sguardo azzurro dritto davanti a me, sulla strada che a breve mi mangerò.
- Ah no? Da quanto è che non vai in moto? – Risponde lui ironico. È bello che ancora un po’ gli riesca di essere per lo meno l’ombra di quel che era. Non è tardi. Lo so. Accelera anche lui.
- Non abbastanza per farti vincere. E poi… - Sospendo la frase scoccandogli una brevissima occhiata ancora, sposta gli occhi senza girare il volto, ci incrociamo ancora, aspetta il seguito immaginando un’uscita incisiva delle mie e sembra averne proprio voglia. Così non lo deludo e piegando l’angolo della mia bocca all’insù, concludo malizioso: - Tu hai un Harley, io una Ducati! Non c’è storia, mio caro! – Così dicendo giro a fondo l’acceleratore e sgommo potentemente, quindi impenno platealmente e parto svelto imitato subito da Danny che non impenna. La sua non è una moto da corsa ma si difende bene, poi dipende da come la guida lui e so che mi darà del filo da torcere, però la mia vittoria è già segnata!
Con sicurezza cancello dalla mia mente ogni pensiero e assottigliando gli occhi mi lascio battere il viso dall’aria che punge cercando di tirarmi via, mi abbasso sul serbatoio diventando un tutt’uno con esso e come se diventassi vento io stesso, mi mangio la strada assecondando ogni curva, piegandomi insieme alla Ducati fino a sfiorare l’asfalto.
L’odore di gomme e di gas di scarico mi rende più piacevole la corsa e tenendo sotto controllo con la coda dell’occhio Danny che dà del suo meglio, cosa che in questi giorni non aveva dato in nulla, noto con ammirazione che in qualche tratto addirittura mi supera.
L’adrenalina per la corsa e la gara mi riempie di brividi di piacere e l’eccitazione mi impedisce di ricordarmi regole e norme di qualunque tipo.
Siamo solo io, Danny e le nostre moto sospinti dal vento che diamo il meglio di noi solo per una stupida gara, solo per arrivare primi, per mangiarci i kilometri, per… per cosa?
Per noi stessi, per quel che proviamo ora, per poterlo scaricare o ricordare per sempre.
Perché non ne possiamo più di nulla.
Perché qualcosa deve cambiare.
Perché è ora.
Non si vede nulla, solo una sagoma indistinta accanto ed il buio.
Le luci delle moto illuminano l’indispensabile davanti a noi ed infine eccola l’ultima curva che decreterà il vincitore.
Colui che deciderà di questa serata.
Mi permetto di lanciare una velocissima occhiata a lui accanto a me e con sommo stupore vedo che lui fa altrettanto. È uno sguardo pericoloso, a questo punto della corsa, però ce lo concediamo e ammiccando come lui non faceva da tempo, mi sento più leggero.
Come se fossi fatto di nulla.
Non lo amo ma è un sentimento che ci va vicino.
È con questa leggerezza che lo dico a me stesso e dando fondo a tutti i giri che il motore può fare, curvo superandolo quel che basta per vincere questa gara ristoratrice.
Leggerezza ed emozione.
Brividi.
Eccitazione.
Qualcosa che mi rende più vivo che mai.
Il sangue pompa a mille nelle mie vene e mentre rallento per fermarmi nello spiazzo chiamato ‘belvedere’ imitato da lui, l’adrenalina tenta di diminuire così come quel ritmo fortissimo dettato dal mio cuore.
È una sensazione davvero incredibile e lasciando che la mia espressione si allarghi in un sorriso compiaciuto e beato, fermo la Ducati a ridosso del precipizio recintato da un muretto. La strada è salita via via che la facevamo ma non drasticamente. È stata una salita moderata ed ora che siamo più in alto possiamo godere di una vista senza precedenti. Si chiama ‘belvedere’ per questo.
Era da molto che non venivo qua e penso anche lui.
Spegniamo i motori e scendiamo muovendoci lentamente come se fossimo approdati sulla luna. È una sensazione strana anche questa, ma bella. Tutto ciò che è accelerato in noi cerca di tornare normale e siamo come storditi. Allora ci guardiamo ridendo eccitati e divertiti come bambini:
- Non è stata una gara equilibrata! – Si lamenta subito gesticolando fintamente seccato.
- Io te lo avevo detto! Una moto da corsa contro una da strada, non c’è storia! – Rispondo al suo stesso modo senza prendermela. Sembra disteso, ora. Più rilassato di prima.
- Però ce l’avevo quasi fatta! –
- Si, certo, come no! –
- Ehi, ti ho anche superato ad un certo punto! E poi sei il solito esibizionista! Cos’era quell’impennata all’inizio? – Mentre discutiamo scherzando come bambini, ci dirigiamo al muretto che delimita lo spiazzo dove molti, di solito, si fermano per ammirare la città illuminata di notte. Stasera però non c’è nessuno.
- Come, cos’era? Pensavo ti piacesse! – Replico continuando a pizzicarlo mentre mi siedo con le gambe verso il burrone. Lui fa altrettanto come nulla fosse e risponde a tono.
- Oh, certo che mi è piaciuta! Mi piaceva ancora di più se non vincevi! – è come se ogni turbamento e pensiero brutto o triste sia volato via insieme a quella corsa e a quel vento che ci strappava la pelle.
A questo punto rido. Siamo distesi e rilassati come non ci capitava da tempo. È semplicemente meraviglioso. Mi sento bene ed è così perché so che anche per lui lo è.
Qua non c’è luce ma quella della città basta per permetterci di vederci. Rende tutto più d’atmosfera.
- Cos’è, non ti piace perdere o hai qualcosa da nascondere? – Chiedo dunque continuando sul tono scherzoso, cominciando però a diventare lentamente serio. Allora lui fa lo stesso assecondandomi ancora, così smettiamo di guardarci e posiamo gli occhi sul bellissimo paesaggio davanti a noi, ma non lo vediamo davvero.
- Tutte e due! – Non ha certo problemi ad ammettere la verità, non con me. Non sarebbe da lui.
Allora sospiriamo per riprenderci dalla corsa appena fatta e mantenendo le espressioni serene e divertite, spostiamo automaticamente i nostri pensieri in altre direzioni.
Cosa succederà, ora?
Te lo stai chiedendo, vero?
Io no, io so cosa sta per succedere.
Sto per dirti ciò che ti serve di sentire. Che nessuno ha osato dirti perché tiene troppo a te. Ma sai una cosa?
Io tengo a te ancora più di loro, ecco perché ti dico ciò che ti serve davvero.
Lascio correre un po’ di silenzio in modo che i nostri respiri e battiti tornino regolari, l’ilarità scema e a poco a poco siamo di nuovo seri pronti al momento di confidenza.
Sapevi che sarebbe arrivato, no?
- A questo punto mi devi qualche risposta… - introduco il discorso rifacendomi alla nostra sfida. Lui si stringe nelle spalle e sembra di nuovo un bambino sperduto e tormentato.
- Spara. – Niente più umorismo alla Danny. Solo consapevolezza.
Vediamo, come posso partire?
Qual è la cosa che mi preme più sapere?
Sono tante, ma penso che lascerò al mio istinto il piacere di parlare.
- Vai a letto con la madre di Ruben, vero? – Alla faccia del diretto! Non sono mica ad un interrogatorio con un criminale! Sono troppo abituato a fare le domande così a bruciapelo!
Lui boccheggia un attimo ma è per poco, si aspettava il mio poco tatto. E si aspettava anche che io sapessi cosa combina.
- Ci prendiamo entrambi quel che ci serve per uscire dalla merda in cui siamo. – Ed io, del resto, non mi aspettavo altro. Sincerità disarmante. Ha abbassato il tono ed ora guarda verso il basso, un nulla scuro indistinto. Così prosegue come parlasse con sé stesso: - Io ho bisogno di aiutarla perché mi sento in colpa e lei ha bisogno di non stare sola. – Sembra facile, così. Ma non lo è, vero?
Ti conosco bene ma non solo. Ti capisco. Ti capisco benissimo.
- Non è tutto qua. – Ora tirerai fuori tutto. – Lo fai anche perché pensi che solo lei che prova il tuo stesso dolore per la stessa persona, possa capirti. Vuoi che solo chi prova la tua stessa cosa ti stia accanto. Pensi che solo così tu ti senta meglio. Inoltre tu sei una persona passionale, istintiva, che vive tutto solo con le sensazioni e non con la ragione. Il tuo dolore è assoluto e lacerante, per non pensarci ti serve qualcosa di fisico, di potente. Sesso, rischiare la vita… - Ti conosco bene, vero? Ti capisco anche io, no? Dicendolo alzo lo sguardo e l’accarezzo con esso aspettando che faccia altrettanto. Osservo il suo profilo deciso dove la barba di questi giorni gli dà quell’aria trascurata portata anche dai capelli più lunghi e spettinati di quanto normalmente li tiene.
C’è un silenzio innaturale dove nemmeno i rumori della natura si sentono molto.
Siamo solo noi due.
Nessuno ci interromperà, nessuno ci sente. Solo io e te.
- E qual è la domanda? – Fa allora sentendosi confuso da come l’ho messo facilmente a nudo. Non sa bene cosa dire così lascia che sia ancora io a condurre il gioco. Lo lascia fare a pochi. Sembra che provochi in realtà aspetta che il nodo si sciolga. E spera, finalmente lo spera, che io sia quello che può riuscirci.
- Pensi di aiutarla, così? A me sembra che tu la stia solo usando. – Brutale? Questo non è niente. Con te solo così funziona.
Lui non ne rimane turbato ma gira la testa e finalmente alza gli occhi sui miei. Siamo in penombra entrambi e ci vediamo parzialmente, ci sono giochi di luci ed ombre che ci rendono più affascinanti. Siamo spinti a non fermarci. Ad andare fino in fondo.
- Si che la sto usando. Ma non so che altro fare per stare meglio. Come dici tu ho bisogno di qualcosa di forte e di fisico. Ma solo da chi so può capirmi. Che prova ciò che provo io. – Bene, arriva il colpo di grazia.
- Danny, non sono un ipocrita. È vero che è parzialmente colpa tua se Ruben è morto, dovevi stargli vicino, non lasciarlo andare avanti da solo e non fermarti alla rapina. Anche se hai agito da istinto, da poliziotto, non ti giustifica. Però non hai sparato tu e la vita va avanti. Che ti piaccia o no. Non puoi far altro. – Sgrana gli occhi colpito profondamente dalle mie parole, ferito. Mi dispiace però è quel che ti serviva, no?
Gli occhi gli diventano lucidi, lo vedo perché brillano in questo buio. Ti ho fatto male, lo so, ma è meno di quel che ti fanno tutti quelli che cercano di toglierti le tue colpe e le tue responsabilità.
Dopo un momento di silenzio in cui nemmeno respira ed ha di nuovo tolto lo sguardo dal mio, io poso la mano sulla sua spalla tesa, stringo la presa trasmettendogli tutta la mia forza e ciò che provo, quindi mi avvicino toccandolo col mio corpo. Non è proprio un abbraccio ma sono qua. Sono davvero qua, anche fisicamente.
Ed ora che ho dimostrato che lo capisco veramente fino in fondo, posso anche aiutarlo.
- E come faccio? – Chiede con voce rotta. È un sussurro che odo appena. Mi si stringe il cuore e raramente ho questo tipo di sentimento, specie per lui. Però mi brucia, mi fa star male che lui stia così.
Voglio solo che stia bene. Solo questo.
Una supplica, la tua.
La raccoglierò io, se me lo permetti.
Mi lasci entrare nella tua vita e nel tuo dolore?
Avvicino il viso al suo e con un dito dell’altra mano libera glielo giro verso di me. Ci guardiamo di nuovo e siamo più vicini. Anche tu hai i battiti accelerati?
Alla mia età emozionarmi così, come fossi un adolescente… ma sono pazzo?
- Usa me, non usare lei o non ne uscirai mai. Usa me per stare meglio. – Non stacca gli occhi dai miei lasciando che mi avvicini impercettibilmente, che scivoli con la mano intorno al suo collo, che lo attiri a me. Lascia che faccia, che conduca tutto. Lascia che lo prenda e che mi prenda cura di lui. Si arrende. Finalmente lo fa.
- Io non voglio usarti. Non mi piace usare chi per me conta sopra tutti gli altri. – Quando dice questo mi blocco. Mi immobilizzo credendo di non aver capito bene. Ha parlato ancora piano però l’ho sentito. Dunque lui… ma allora perché non mi ha chiesto aiuto subito?
- Se provi anche tu ciò che provo io non è usarmi per stare bene, quel che farai. Ma solo abbandonarti. Lascia che mi prenda cura io di te. Lasciami fare. – Glielo sussurro senza averlo pensato molto. Tanto è esattamente ciò che provo e voglio.
Permettimelo, Danny.
A questo punto non credo sia solo un impressione. I suoi occhi sono davvero bagnati e non più solo lucidi. Non posso esserne sicuro finché non gli tocco la guancia con le dita che gli appoggio al lato del viso, una carezza leggera. Sento così la sua pelle bagnata. Senza ragionarci oltre, col cuore che mi si apre senza più alcun peso e la testa libera da qualsiasi pensiero, porto le labbra al posto delle mie dita. Sono salate le sue lacrime. Le bevo e seguo la scia fino alla sua bocca.
Ha un pianto silenzioso, non me l’aspettavo.
Ma l’importante è che arrivi.
Arriva mentre la mia bocca si appoggia leggera sulla sua schiusa, salata e bagnata. Insieme alle sue mani che si aggrappano alla mia maglia, sulla schiena e sul petto.
È così in questo abbraccio e fra le sue lacrime che ci baciamo lasciando spazio solo a ciò che sentiamo. Sentimenti forti e sconvolgenti che ci trasportano da un'altra parte. Una dimensione nostra dove nessuno ci interrompe.
Siamo solo noi stessi e stiamo bene anche se per arrivarci non è stato facile.
Non penso, non rifletto. Volevo baciarlo e l’ho fatto.
Da che ho capito cosa provavo e volevo a che l’ho fatto è passato pochissimo, nulla. Ma sono così.
Se lui fosse stato meglio avrebbe fatto altrettanto e molto prima di me. Però prendere io l’iniziativa mi piace da matti, specie con lui.
Allora apriamo lentamente le labbra fondendole in un tutt’uno e infiliamo le lingue andandoci incontro, facendo altrettanto con esse. È un gioco erotico molto piacevole e calmo, di scoperta, sensuale e languido. Ci dimentichiamo di tutto mentre i nostri sapori si scambiano. Lui è salato ma le prossime volte non sarà così e non vedo l’ora di scoprirle.
Quando dopo un lungo momento d’unione e fusione ci stacchiamo, abbiamo il fiatone e appoggiamo le fronti l’uno contro l’altro. Teniamo socchiusi gli occhi e non riusciamo a vederci. Ogni cosa è andata fuori fase, non siamo ancora tornati in noi e non penso avremmo le forze per alzarci ancora.
Rimaniamo fermi e solo dopo un po’ in questo stato riesco a parlare piano:
- Così come quel giorno sapevo che saresti venuto in centrale a denunciarla ed io ti ho aspettato ansioso credendo in te, voglio che anche tu faccia altrettanto con me. Che tu creda in me e mi permetta di aiutarti. – Non sono cose che direi facilmente ma non so in che altro modo esprimerlo e lo dico come mi esce. Forse troppo svenevole per me, ma questo sono ora.
Lui trattiene di nuovo il fiato, ingoia a vuoto e ricaccia indietro delle lacrime che non vogliono saperne di smettere di uscire. Così le lascia e risponde con voce ancora rotta e disperata:
- Io credo in te. Aiutami, Don. – Dichiarazione d’amore non poteva essere più bella di così.
Non l’avrei mai immaginato così ma si sa, le cose accadono proprio nell’unico modo in cui non ci si aspetta mai. E sono le migliori, sempre.
- Andrà tutto bene. – Mormoro infine baciandogli ancora queste lacrime che non vogliono saperne di lasciarlo in pace.
- Ora si. – Ma lui preferisce che le mie labbra stiano sulle sue. Proprio come immaginavo. Danny è Danny.
Sorrido appena mentre torniamo a baciarci più presi di prima. Presto tornerà quello di sempre.
Era ora.