CAPITOLO I:
TRA CAPO E COLLO
/Tell
me it's not over - Starsailor/
Quando il responsabile dell'FBI in
persona giunse con passo sostenuto negli uffici della squadra di Don e
non lo trovò lì insieme a Megan e David, il suo
viso articolato e tutto d'un pezzo assunse stranamente un espressione
che non fu facile interpretare se non fosse che quello era proprio il
lavoro di Megan. Nella frazione di secondo che intercorse fra
quell'espressione e la sua voce, la donna seduta alla scrivania a
sbrigare qualche cartella arretrata, si tolse gli occhiali aguzzando lo
sguardo capendo in un lampo che quella era preoccupazione bella e
buona. Non facile da interpretare come tale ma lo era, non ebbe dubbi.
Così si alzò
subito per ascoltare la voce prorompente e diplomatica del gran capo in
persona rivolgerle la parola e dire:
- L'agente Eppes dov'è?
- Chiese subito senza perdere tempo a spiegarsi ulteriormente.
Megan rimase calma imponendosi di
non fasciarsi la testa prima di averla rotta solo perché la
presenza di quell'uomo lì era insolita.
- Non è ancora
arrivato, immagino sarà qui a momenti. - La sua voce non
tradiva agitazione, era brava nel suo lavoro ma la sensazione che ebbe
nel dirlo non le piacque, come non le piacque lo sguardo che ebbe
l'uomo davanti a sé che strinse appena le labbra
contrariato.
- Rintraccialo e digli che venga
subito qua! -
- Ma è successo
qualcosa? - “Questo
ordine sa tanto di protezione nei confronti di Don, non è
normale.” Pensò infatti.
- Si. Hilton Johnson è
evaso dal carcere ed ora è a piede libero per la
città! Tutte le forze dell'ordine lo stanno cercando ma
finché non lo troveranno Eppes non è al sicuro.
Fallo venire subito qua e che si prenda una scorta! Questo è
un ordine! -
Non aggiunse altro, se ne
andò subito senza ascoltare probabili domande o reazioni
incredule dell'agente speciale con cui aveva appena parlato.
- Oh accidenti! -
Imprecò diplomaticamente la donna sgranando gli occhi e
ricordandosi in un flash il politico incastrato con fatica da Don, a
cui lui in special modo aveva rovinato la vita e la carriera
incarcerandolo non solo per omicidio ma per un sacco di altri affari
sporchi di corruzione e traffici illeciti che aveva in piedi.
- Gliel'aveva giurata, quando
è stato messo dentro! - Ringhiò David preoccupato
per l'amico nonché capo guardando la collega prendere il
cellulare e chiamarlo subito.
- Dannazione, è spento!
- Fece quindi chiudendo la comunicazione mai partita con un gesto di
stizza. – Non è da lui! Sarà in un
posto in cui non prende... - aggiunse poi guardando nervosa la
direzione da cui sperava di vederlo arrivare come ogni mattina.
- Non l'avrà
già trovato e comunque sa difendersi. - Cercò di
rincuorarla David stringendo le mani sui fianchi indicando che quello
più ansioso era proprio lui!
- Spero che sia così. -
Disse solamente ancor più in pensiero Megan aggrottando le
sopracciglia sapendo che tutto quello che poteva fare, per ora, era
mettersi subito al lavoro.
La folla che di prima mattina si
muoveva per le vie della città, non era trascurabile e
già si faticava a camminare senza essere spintonati.
I due uomini, tuttavia, non
venivano nemmeno sfiorati tanto imponenti erano anche solo mentre
camminavano per il marciapiede.
Colby e Don dopo aver bevuto un
caffé insieme al bar di fronte all'edificio dell'FBI, si
apprestavano a dirigersi a lavoro.
Come ogni mattina che eseguivano
quella routine sia che dormissero insieme, sia che non lo facessero,
tenevano entrambi il cellulare spento. Avevano imparato a farlo solo
nel tempo che correva nella loro colazione insieme, anche se entrambi
avevano fatto fatica ad abituarsi visto che erano persone che
preferivano essere sempre rintracciabili per essere pronte in qualsiasi
momento a qualsiasi cosa.
Tuttavia quella
mezz’oretta che si concedevano ogni giorno prima di iniziare
il lavoro, era così piacevole che non faceva avere rimpianti
a nessuno dei due.
Fino a quel momento,
probabilmente.
Si erano messi insieme dopo il
ritorno di Colby, quando bene o male si erano snodati tutti i dubbi sul
suo ruolo e sulla sua veridicità.
Del resto dare la propria vita in
cambio della loro salvezza era un atto che da solo bastava a convincere
tutti. Con David l’aveva avuta più dura ma
lentamente le cose si stavano sistemando, mentre dopo un primo screzio
con Don per la sensazione che lo facesse controllare, tutto era andato
a posto. Del resto Don oltre ad essere il suo uomo era anche il suo
capo, come lo era di altri agenti, ma non solo, era lui stesso un
sottoposto e doveva fare il suo lavoro, eseguire ordini e rispondere a
certe aspettative seguendo le regole sia ufficiali che ufficiose. Era
normale che uno dal passato di Colby, tornato in squadra, dovesse
essere un minimo seguito e controllato.
Il punto era che mentre tutti
pensavano Don l’avesse fatto per dovere e sospetto naturale,
lui l’aveva fatto, in realtà, per assicurarsi che
si ambientasse di nuovo e fosse aiutato in tutti i modi potesse aver
bisogno.
Un po’ lui, un
po’ altri agenti della sua squadra, non l’avevano
più fatto agire da solo.
Chiarito in privato anche questa
questione, i due erano andati via via sempre più rafforzando
il loro legame che come era naturale, aveva i soliti alti e bassi e le
solite difficoltà. La loro, poi, era una relazione davvero
difficile: non solo erano entrambi due uomini, ma erano un capo squadra
dell’FBI ed un suo sottoposto e, ultimo ma non ultimo,
avevano dei caratteri davvero complessi. Nessuno dei due era troppo
incline a dimostrare normalmente i propri sentimenti e vivere una
storia come la maggior parte faceva, esternando almeno in privato
ciò che provavano. Non facevano fatica a tenere nascosta la
loro storia ed ancora non si erano detti di amarsi, avevano solo
ammesso di provare attrazione e di stare ancora innamorandosi. Era una
cosa diversa.
Nessuno avrebbe mai capito
cos’erano a meno che qualcosa non avesse dato una certa
spinta.
L’unico a conoscenza
della loro relazione era Charlie il quale l’aveva capito da
solo grazie alla sua mente analitica che applicava teorie matematiche a
qualunque situazione alla velocità della luce.
Non erano rari i momenti in cui
Don e Colby litigavano e poi sparivano dalla circolazione per far pace,
riapparendo magicamente allegri come raramente li si poteva vedere,
specie Don. Colby un minimo di serenità o ironia in
ciò che faceva riusciva a mettercela, Don era molto
più trattenuto e cupo, di norma.
Però avevano quei
momenti in cui si trasformavano diventando come più luminosi
e questo apparentemente senza ragione, per chi gli stava intorno.
A loro non importava, era comunque
impossibile capire che avessero una relazione ed essere due agenti che
di norma scoprivano i segreti degli altri, li aiutava molto a riuscire
a mantenere i loro.
Del resto della missione di Colby
nessuno era mai venuto a conoscenza, né aveva sospettato!
Quella mattina avevano appena
finito di bere il solito caffè insieme nel solito bar e come
di consueto a quell’ora si apprestavano ad attraversare la
strada abbondantemente trafficata per entrare in ufficio ed iniziare il
lavoro.
Arrivati davanti al semaforo rosso
per i pedoni, si fermarono insieme ad altre persone pronti per
ripartire appena avessero avuto il verde.
Immersi nei loro discorsi che
variavano fra i più disparati, facevano poco caso ai veicoli
che sfrecciavano davanti a loro alzando aria che andava a scostare la
giacca primaverile di Colby. Il suo abbigliamento trasandato da strada
da fuggiasco era solo un ricordo, ormai, visto che per l’FBI
era tornato un agente serio, ordinato e perfetto.
Entrambi dritti con i piedi ben
piantati sul marciapiede, le mani nelle tasche dei pantaloni stretti,
jeans per Don, occhiali da sole ed espressione distesa.
Quando erano insieme in quel
particolare istante della giornata riuscivano ancora ad esternarsi dal
resto del mondo che rimaneva fuori, facendosi assorbire completamente
dal compagno accanto che non ancora stressato per qualche caso che
avrebbero affrontato di lì a poco, si concedeva diventando
intimo per i loro standard.
Non accadde nulla di eclatante,
nulla che con maggiore attenzione si sarebbe potuto evitare.
Semplicemente successe.
Mentre loro due erano immersi
nella loro conversazione e nel sentire il profumo dell’altro
che veniva brevemente sovrapposto a quello di uno dietro di loro, fu
come un battito d’ali di farfalla, una folata di vento troppo
veloce per essere prevista, un lampo a ciel sereno.
Quel profumo che per un istante
sentirono entrambi esplose contro di loro e da che Don era
lì accanto a Colby a parlare come nulla fosse, a che si
trovò pesantemente spintonato in maniera imprevedibile ed
improvvisa, il cuore dei due agenti smise di battere per un istante.
Mancò un battito ma
quello di Colby nello specifico parve proprio paralizzarsi insieme alla
sua mente che smetteva di ragionare vedendo il suo uomo spinto
inaspettatamente in avanti, in strada, proprio la frazione di secondo
prima che un camion sopraggiungesse ad una velocità
più che sostenuta, come tutti gli altri veicoli.
Una velocità mortale
per una persona caduta accidentalmente in strada.
No, davvero non ci fu tempo per
nulla, nessun pensiero coerente, nessun rendersi conto di qualcosa,
nessuna prontezza se non quella dei riflessi di Colby che, appunto
perché non riuscì a pensare, agì
istintivamente senza riflettere prendendo il suo uomo per il braccio,
tirandolo poi verso di sé con forza proprio mentre il camion
sfrecciava davanti a loro col clacson che suonava.
Don e Colby quindi si trovarono
sbilanciati all’indietro ma ancora in piedi, col cuore in
gola che aveva ripreso vorticosamente a battere e le braccia di uno che
stringevano decise e spaventate la vita e la schiena
dell’altro, aggrappato a sua volta a lui e alle sue spalle
larghe e robuste poiché nessuna riflessione logica aveva
potuto farlo agire diversamente.
La sensazione di vedersi la vita,
per l’ennesima volta, davanti agli occhi non gli piacque a
Don, ma questa sgradevole emozione l’avrebbe affrontata dopo
che con rapidità si era raddrizzato e staccato da Colby per
girarsi a guardare chi l’aveva spinto in quel modo
apparentemente casuale ma proprio nel momento più sbagliato.
Un incidente terribile, tutti
avrebbero pensato così se lui con l’istinto di chi
diffidava di tutti tranne che della sua squadra, non avrebbe cercato un
colpevole volontario.
- Ma che diavolo… -
Borbottò col sudore freddo che già cominciava a
scendergli lungo la schiena insieme all’adrenalina che gli
scorreva a fiumi in circolo. Era pronto all’azione nonostante
la morte appena guardata in viso e come lui Colby che, messo da parte
il suo spavento, aveva trovato il responsabile che svelto e furtivo si
allontanava cercando di non farsi notare.
L’istinto di seguirlo
l’ebbero ma quando il rosso diventò verde e la
folla intorno a loro iniziò a camminare, dovettero desistere
dal loro intento perdendolo di vista.
- Ma quello… -
Mormorò allora Don togliendosi gli occhiali scuri,
tendendosi come una corda di violino e aggrottando le sopracciglia in
direzione dell’uomo appena intravisto, ormai sparito. Una
sensazione sgradevole lo invase e il sangue si raggelò nelle
vene immobilizzandolo senza dargli la forza di emettere alcun suono.
- Cosa? – Chiese Colby
capendo subito che c’era qualcos'altro che non andava. Lo
guardò con attenzione e impazienza, quello sguardo
così accigliato non diceva nulla di buono, ormai lo
conosceva. – Sembra che hai visto un fantasma. – In
effetti senza saperlo indovinò, in un certo senso.
- Già… anche
a me… - Rispose quindi vago Don sperando di rivedere quello
che gli era parso un fantasma. Non poteva essere lui, era in prigione
da un po’, l’aveva messo dentro lui stesso. Era
stato uno dei suoi nemici più ostici ma ci era riuscito e
con enorme soddisfazione, rischiando nemmeno poco. Non era di certo lui
quello che aveva intravisto andarsene in fretta.
- Lo conosci? – Chiese
infatti Colby capendo subito di cosa poteva trattarsi, lasciando che la
paura per averlo quasi perso scemasse da sola senza essere
riconsiderata. Soffermarsi troppo tempo su certi sentimenti non era mai
bene, si doveva avere la prontezza per andare subito avanti. Non
l’aveva perso, l’aveva salvato. Ora era ancora
lì con lui a fissare stralunato un punto ormai riempito da
un sacco di persone sconosciute. Pensarci troppo significava richiamare
una sensazione sgradevole e lui non voleva affatto. Aveva rischiato
grosso ma non era successo nulla, questo contava. Ora bisognava andare
avanti.
Don semplicemente se ne
dimenticò subito a causa di ciò che gli era parso
di vedere, qualcosa di decisamente impossibile ma abbastanza forte da
fargli scordare la vita che aveva appena rischiato, come molte altre
volte del resto. Abituarsi a sfiorare la morte non era proprio la cosa
migliore, significava che la vedeva troppe volte e che presto sarebbe
anche potuto succedere davvero.
- Sembra Johnson, un politico
criminale che ho catturato diverso tempo fa, rovinandogli la vita e la
carriera. Me l’aveva giurata più di molti altri
che ho messo dentro. – A parlare di lui entrambi sentirono
dei brividi lungo il corpo, come a confermare che avevano indovinato.
Ma preferirono accantonare anche
questa sgradevole sensazione senza fasciarsi la testa prima di romperla.
Era stata un impressione, era in
carcere quel tipo, no?
Così come la sua quasi
morte… era vivo, ora, no?
Questo contava.
Riprendendosi, senza troppa
convinzione, Don si rimise gli occhiali scuri addosso quindi girandosi
verso il suo uomo si concesse un breve sbilanciamento con un: - Oh,
grazie, eh? – appena udibile. Più un borbottio che
altro. Colby sorrise tornando apparentemente in sé, senza
però riuscire a cacciare del tutto quella strana sensazione.
Qualcosa non andava. La giornata
era iniziata male e sarebbe anche potuta finire peggio.
Di norma non avevano quei pensieri
ma lì, stranamente, li ebbero entrambi.
Tuttavia non li avrebbero mai
detti nemmeno sotto tortura.
- Non potevo mica lasciarti
diventare una frittella… - Disse quindi battendogli una mano
sul braccio, ricambiando il suo sguardo da dietro le lenti scure.
– Chi mi avrebbe pagato, poi, la colazione ogni giorno?
– Concluse con ironia che fece distendere per un attimo
entrambi in un sorriso divertito.
- Mi sembrava una cosa
simile… - Commentò su un tono fintamente offeso
che al contrario stava perfettamente allo scherzo. Gli
scoccò un’ultima occhiata nascosta come per
ringraziarlo anche per quel sdrammatizzare, per quel non permettergli
di pensare a ciò che sarebbe potuto essere, a cosa sarebbe
quindi stato fra loro facendo di conseguenza partire un pesante e
svenevole scambio di miele che comunque non sarebbe mai stato da loro.
Ogni giorno rischiavano di morire,
non potevano mica pensare alla loro separazione in tragedia ogni
volta… era come uccidere il loro rapporto così
singolare...
Andava bene così, senza
romanticherie e frasi del tipo ‘non potrei mai vivere senza
di te’ che gli avrebbero fatto venire il diabete.
Erano adulti ed onesti, sapevano a
cosa correvano incontro stando insieme e facendo quel lavoro.
Bisognava sempre andare avanti e
dimenticare la morte sfiorata. Alla fine ne contava solo una, quella
decisiva. Ma non era ancora il momento.
Quando Colby e Don giunsero al
loro piano si videro venire incontro Megan e David tutti trapelati ed
agitati.
Era successo qualcosa e sommando
quella consapevolezza con quanto appena accaduto ed alla sensazione
istintiva di entrambi, specie quella di Don, furono sicuri di sapere
già tutto.
- Don! Ti abbiamo chiamato ma hai
il cellulare spento! Non arrivavi e… - Megan
cominciò pensando che lui già sapesse tutto,
sapendo che comunque non poteva essere così
perché la notizia era rimasta interna all’FBI per
il momento e anche se lui era Don e di norma sapeva le cose prima di
loro, non era certo un mago.
- Cosa è successo?
– Chiese l’uomo togliendosi di nuovo gli occhiali
scuri imitato da Colby che la guardò allo stesso modo del
compagno, accigliato e con urgenza di sapere.
- Hilton Johnson… - E
bastò quello per avere la conferma di tutto.
Nuovamente il flash lo
colpì dall’ultimo scontro con lui per giungere
veloce fino al primo, a quando si erano giurati odio. Gli
sembrò di finire per un attimo in un altro mondo, non
sentì nessuno ma già sapeva che cosa stava
dicendo Megan, gli bastò sentire il suo nome dopo che
l’aveva visto giù in strada ed aveva tentato di
spingerlo sotto un camion.
Azione ingenua, tutto sommato,
quasi sciocca e poco organizzata. Non da lui. Ma forse non
l’aveva nemmeno progettata. Se l’era trovato
fortunatamente davanti e ci aveva provato senza considerare la presenza
di Colby che pronto l’aveva salvato.
- … e così
è evaso di prigione. Il capo vuole che ti prendi una scorta.
Sei fra i più a rischio. – Concluse quindi
riportandolo alla realtà.
- Cosa?! –
Esclamò incredulo fissandola come avrebbe fatto con un
alieno. L’aria sempre più stralunata. –
Non se ne parla, non mi serve… - Cominciò a
protestare come era nella sua natura davanti ad una cosa simile.
- Come no! Ma se ti ha quasi
ucciso, ora! – Intervenne quindi scettico e deciso Colby
allarmando immediatamente tutti gli altri che li guardarono
interrogativi ed ansiosi chiedendo spiegazione. Don lo
guardò immediatamente ed in breve si intavolò un
duello di sguardi molto sfrontato, nessuno dei due avrebbe ceduto ma
non servirono parole, si capirono subito. Cosa che non accadde per
David e Megan che invece volevano capire eccome.
- Stavamo attraversando la strada,
eravamo fermi al semaforo e qualcuno ha pensato bene di spingerlo
proprio mentre passava un camion, è stato per un soffio che
l’ho riportato di qua! – Spiegò con aria
di rimprovero beccandosi per questo uno sguardo assassino dal suo capo,
a poca distanza da lui.
- Quando ti ho chiesto se lo
conoscevi mi hai detto che ti era sembrato Johnson! Guarda che
coincidenza! – Esclamò quindi sempre
più sul piede di guerra. Sapeva di avere ragione ad
insistere così, con Don era necessario o come sempre avrebbe
fatto di testa sua senza proteggersi. E le conseguenze sarebbero state
ovvie!
- Era lui! – Fece
sconcertato ed agitato David partendo già per la tangente
con quella di setacciare subito tutta la zona intorno
all’edificio dell’FBI!
- Non era un consiglio, quello del
capo, Don. Era un ordine. Devi prenderti qualcuno che ti guardi
costantemente le spalle! Scegli chi vuoi ma io sono
d’accordo! Quello che è appena successo
è la conferma che ne hai bisogno! Gli hai rovinato la vita,
Don, te l’ha giurata. Devi prendere le giuste misure!
– Lo rimproverò Megan come una mamma arrabbiata
per l’incoscienza ripetuta del figlio.
Don l’ascoltò
con metà cervello mentre con l’altra pensava a
come prenderlo e a chi mandare dove. Non ci pensava minimamente a stare
in panchina a guardare altri che si facevano sfuggire il suo nemico
giurato!
Se pensava di spaventarlo e
metterlo fuori gioco si sbagliava di grosso!
- Va bene, va bene… non
girerò mai da solo. Ho capito! Ora però iniziamo
la caccia all’uomo prima di perdere altro tempo! –
Accettò solo per zittirla ed iniziare le indagini, senza
pensare davvero di attuare quanto detto. Voleva agire liberamente senza
essere legato agli ordini di protezione di un altro, ma prima di tutto
voleva sbrigarsi e trovare quel dannato che aveva osato sfuggirgli di
nuovo!
- Scegli chi ti farà da
scorta fissa! – Riattaccò quindi di nuovo,
conoscendo l’amico e collega.
- Che? – Chiese quindi
pensando di aver capito male, con l’aria perenne da
‘che cazzo dici?!’.
- Avanti, decidi chi
sarà la tua scorta o decido io! –
- Ma… -
Provò di nuovo a protestare in perfetto disaccordo, come
fosse un bambino, quindi a quel punto lo interruppe Colby stesso che
subentrò più deciso che mai.
- Lo farò io.
– Sparò nell’immediato senza averci
riflettuto molto. Gli altri lo guardarono straniti della sua scelta,
quindi corresse il tiro con aria più diligente: - Se vi va
bene. – ricordandosi che loro due stavano insieme ma doveva
rimanere una cosa privata!
Don sospirò
insofferente girandosi dall’altra parte, quindi Megan
parlò per lui prendendo le redini come tendeva a fare in sua
assenza: - Ve bene. Non devi mai staccarti
da lui, nemmeno la notte! Speriamo comunque di prenderlo subito.
–
“Non sarà un
dispiacere!” Riuscì anche a pensare
con una certa malizia ben mascherata mentre guardava Don scrollare le
spalle e grugnire un vago ‘si’ di assenso. Non che
avesse avuto molta scelta in effetti.
Del resto Colby era quello
più indicato, fra tutti l’uomo più
d’azione insieme a Don stesso, quello che nei guai riusciva a
cacciarsi anche senza impegnarsi troppo e che aveva il dono di
vedersela sempre peggio degli altri. Salvato ogni volta in corner da
Don. Comunque un agente molto valido che nell'azione pericolosa ci si
buttava a capofitto senza esitazione.
Era giusto che per una volta fosse
lui a ricambiare i favori e lo proteggesse come si doveva.
Una serie di sensazioni lo
percorsero fra cui anche una certa incosciente contentezza per potergli
stare ufficialmente attaccato senza risultare strano ed anomalo.
Quando dopo di quello un cellulare
cominciò a suonare tutti guardarono in direzione della tasca
di Don dal momento che pareva venire proprio da lì, quindi
il primo a stranirsi della cosa fu lui.
- Che c’è?
– Gli chiesero vedendolo poco convinto che il suo cellulare
potesse squillargli.
- Non è il mio,
è ancora spento! – Fece quindi senza perdere poi
tempo e tirando fuori l’oggetto pieghevole sconosciuto che
suonava ancora lampeggiando sul display la parola ‘numero
privato’.
- Ecco a cosa è servito
il contatto di prima, non ad uccidermi, sapeva che non sarebbe stato
facile. Era per mettermi in tasca questo! – Asserì
mettendo immediatamente in moto la sua mente da agente federale, gli ci
volle un millesimo di secondo per entrare nell’ottica giusta
e trovare il suo sangue freddo, quindi con attenzione maniacale rispose
alla chiamata con gli occhi ansiosi di tutti puntati addosso, specie
quelli già sul piede di guerra di Colby.
- Agente Eppes! – Disse
la voce al di là della linea telefonica. Una voce familiare
che Don non avrebbe mai potuto dimenticare. – Da quanto
tempo! – Continuò poi con ironia e finta allegria.
- Johnson! –
Borbottò invece Don, breve e conciso come al solito. E
rabbioso.
- Sono lieto di vedere che non hai
dimenticato il mio nome. Sai, nemmeno io ho dimenticato il tuo,
così come non ho dimenticato il tuo viso e tutto quello che
hai fatto per me. – Di secondo in secondo la sua voce
cominciava ad assumere un tono sempre più teso e tagliente
per diventare via via più sgradevole e velenoso, pieno di
odio.
- Io invece sono riuscito a fare
sonni tranquilli, in tutti questi anni. Grazie al fatto che ti sapevo a
marcire in prigione! – Disse quindi Don incisivo e sferzante
consapevole che comunque quella chiamata sarebbe stata
irrintracciabile, naturalmente.
- Lieto di saperlo. Ancora
più lieto di farti sapere, però, che da ora i
tuoi sonni diverranno pieni di incubi poiché sono di nuovo
libero e come ormai già sai, ti sto cercando. Voglio
ringraziarti di persona ed in modo speciale per come mi hai rovinato.
Ci tenevo a fartelo sapere perché gli ospiti più
graditi sono quelli attesi! –
- Ma che gentile. – Fece
allora Don scurendo ulteriormente il suo viso, poi assunse un
espressione profondamente buia e risoluta, quasi agghiacciante, che
fece rabbrividire tutti quelli che lo videro e ascoltarono la sua voce
sussurrare basso e penetrante: - Visto che lo sei voglio ricambiare
anche io dicendoti che puoi fare quello che vuoi, figlio di puttana, ma
ovunque tu andrai e qualunque cosa tu farai ti prenderò di
nuovo e sarò sempre io a rovinarti, dopo di ché
ti farò visita ogni giorno per ricordarti a chi devi
l’Inferno che passerai per la seconda volta! –
Questo probabilmente non piacque a
Johnson il quale dall’altro capo del telefono, dopo una breve
pausa in cui si poté solo immaginare la sua espressione
furente, sibilò a denti stretti somigliando ad un serpente:
- Sei morto, Don Eppes.
–
Infine la comunicazione fu
interrotta con quella che era non solo una promessa ma un vero e
proprio giuramento solenne da parte di entrambi.
La caccia all’uomo era
partita, capitando a tutti inaspettatamente tra capo e collo, come una
manna pericolosa che gravava sulla vita di Don. Una manna pronta a
cadergli addosso e portarselo via da un momento all’altro.