CAPITOLO I:
TRA CAPO E COLLO

/Tell me it's not over - Starsailor/
Quando il responsabile dell'FBI in persona giunse con passo sostenuto negli uffici della squadra di Don e non lo trovò lì insieme a Megan e David, il suo viso articolato e tutto d'un pezzo assunse stranamente un espressione che non fu facile interpretare se non fosse che quello era proprio il lavoro di Megan. Nella frazione di secondo che intercorse fra quell'espressione e la sua voce, la donna seduta alla scrivania a sbrigare qualche cartella arretrata, si tolse gli occhiali aguzzando lo sguardo capendo in un lampo che quella era preoccupazione bella e buona. Non facile da interpretare come tale ma lo era, non ebbe dubbi.
Così si alzò subito per ascoltare la voce prorompente e diplomatica del gran capo in persona rivolgerle la parola e dire:
- L'agente Eppes dov'è? - Chiese subito senza perdere tempo a spiegarsi ulteriormente.
Megan rimase calma imponendosi di non fasciarsi la testa prima di averla rotta solo perché la presenza di quell'uomo lì era insolita.
- Non è ancora arrivato, immagino sarà qui a momenti. - La sua voce non tradiva agitazione, era brava nel suo lavoro ma la sensazione che ebbe nel dirlo non le piacque, come non le piacque lo sguardo che ebbe l'uomo davanti a sé che strinse appena le labbra contrariato.
- Rintraccialo e digli che venga subito qua! -
- Ma è successo qualcosa? - “Questo ordine sa tanto di protezione nei confronti di Don, non è normale.” Pensò infatti.
- Si. Hilton Johnson è evaso dal carcere ed ora è a piede libero per la città! Tutte le forze dell'ordine lo stanno cercando ma finché non lo troveranno Eppes non è al sicuro. Fallo venire subito qua e che si prenda una scorta! Questo è un ordine! -
Non aggiunse altro, se ne andò subito senza ascoltare probabili domande o reazioni incredule dell'agente speciale con cui aveva appena parlato.
- Oh accidenti! - Imprecò diplomaticamente la donna sgranando gli occhi e ricordandosi in un flash il politico incastrato con fatica da Don, a cui lui in special modo aveva rovinato la vita e la carriera incarcerandolo non solo per omicidio ma per un sacco di altri affari sporchi di corruzione e traffici illeciti che aveva in piedi.
- Gliel'aveva giurata, quando è stato messo dentro! - Ringhiò David preoccupato per l'amico nonché capo guardando la collega prendere il cellulare e chiamarlo subito.
- Dannazione, è spento! - Fece quindi chiudendo la comunicazione mai partita con un gesto di stizza. – Non è da lui! Sarà in un posto in cui non prende... - aggiunse poi guardando nervosa la direzione da cui sperava di vederlo arrivare come ogni mattina.
- Non l'avrà già trovato e comunque sa difendersi. - Cercò di rincuorarla David stringendo le mani sui fianchi indicando che quello più ansioso era proprio lui!
- Spero che sia così. - Disse solamente ancor più in pensiero Megan aggrottando le sopracciglia sapendo che tutto quello che poteva fare, per ora, era mettersi subito al lavoro.

La folla che di prima mattina si muoveva per le vie della città, non era trascurabile e già si faticava a camminare senza essere spintonati.
I due uomini, tuttavia, non venivano nemmeno sfiorati tanto imponenti erano anche solo mentre camminavano per il marciapiede.
Colby e Don dopo aver bevuto un caffé insieme al bar di fronte all'edificio dell'FBI, si apprestavano a dirigersi a lavoro.
Come ogni mattina che eseguivano quella routine sia che dormissero insieme, sia che non lo facessero, tenevano entrambi il cellulare spento. Avevano imparato a farlo solo nel tempo che correva nella loro colazione insieme, anche se entrambi avevano fatto fatica ad abituarsi visto che erano persone che preferivano essere sempre rintracciabili per essere pronte in qualsiasi momento a qualsiasi cosa.
Tuttavia quella mezz’oretta che si concedevano ogni giorno prima di iniziare il lavoro, era così piacevole che non faceva avere rimpianti a nessuno dei due.
Fino a quel momento, probabilmente.
Si erano messi insieme dopo il ritorno di Colby, quando bene o male si erano snodati tutti i dubbi sul suo ruolo e sulla sua veridicità.
Del resto dare la propria vita in cambio della loro salvezza era un atto che da solo bastava a convincere tutti. Con David l’aveva avuta più dura ma lentamente le cose si stavano sistemando, mentre dopo un primo screzio con Don per la sensazione che lo facesse controllare, tutto era andato a posto. Del resto Don oltre ad essere il suo uomo era anche il suo capo, come lo era di altri agenti, ma non solo, era lui stesso un sottoposto e doveva fare il suo lavoro, eseguire ordini e rispondere a certe aspettative seguendo le regole sia ufficiali che ufficiose. Era normale che uno dal passato di Colby, tornato in squadra, dovesse essere un minimo seguito e controllato.
Il punto era che mentre tutti pensavano Don l’avesse fatto per dovere e sospetto naturale, lui l’aveva fatto, in realtà, per assicurarsi che si ambientasse di nuovo e fosse aiutato in tutti i modi potesse aver bisogno.
Un po’ lui, un po’ altri agenti della sua squadra, non l’avevano più fatto agire da solo.
Chiarito in privato anche questa questione, i due erano andati via via sempre più rafforzando il loro legame che come era naturale, aveva i soliti alti e bassi e le solite difficoltà. La loro, poi, era una relazione davvero difficile: non solo erano entrambi due uomini, ma erano un capo squadra dell’FBI ed un suo sottoposto e, ultimo ma non ultimo, avevano dei caratteri davvero complessi. Nessuno dei due era troppo incline a dimostrare normalmente i propri sentimenti e vivere una storia come la maggior parte faceva, esternando almeno in privato ciò che provavano. Non facevano fatica a tenere nascosta la loro storia ed ancora non si erano detti di amarsi, avevano solo ammesso di provare attrazione e di stare ancora innamorandosi. Era una cosa diversa.
Nessuno avrebbe mai capito cos’erano a meno che qualcosa non avesse dato una certa spinta.
L’unico a conoscenza della loro relazione era Charlie il quale l’aveva capito da solo grazie alla sua mente analitica che applicava teorie matematiche a qualunque situazione alla velocità della luce.
Non erano rari i momenti in cui Don e Colby litigavano e poi sparivano dalla circolazione per far pace, riapparendo magicamente allegri come raramente li si poteva vedere, specie Don. Colby un minimo di serenità o ironia in ciò che faceva riusciva a mettercela, Don era molto più trattenuto e cupo, di norma.
Però avevano quei momenti in cui si trasformavano diventando come più luminosi e questo apparentemente senza ragione, per chi gli stava intorno.
A loro non importava, era comunque impossibile capire che avessero una relazione ed essere due agenti che di norma scoprivano i segreti degli altri, li aiutava molto a riuscire a mantenere i loro.
Del resto della missione di Colby nessuno era mai venuto a conoscenza, né aveva sospettato!
Quella mattina avevano appena finito di bere il solito caffè insieme nel solito bar e come di consueto a quell’ora si apprestavano ad attraversare la strada abbondantemente trafficata per entrare in ufficio ed iniziare il lavoro.
Arrivati davanti al semaforo rosso per i pedoni, si fermarono insieme ad altre persone pronti per ripartire appena avessero avuto il verde.
Immersi nei loro discorsi che variavano fra i più disparati, facevano poco caso ai veicoli che sfrecciavano davanti a loro alzando aria che andava a scostare la giacca primaverile di Colby. Il suo abbigliamento trasandato da strada da fuggiasco era solo un ricordo, ormai, visto che per l’FBI era tornato un agente serio, ordinato e perfetto.
Entrambi dritti con i piedi ben piantati sul marciapiede, le mani nelle tasche dei pantaloni stretti, jeans per Don, occhiali da sole ed espressione distesa.
Quando erano insieme in quel particolare istante della giornata riuscivano ancora ad esternarsi dal resto del mondo che rimaneva fuori, facendosi assorbire completamente dal compagno accanto che non ancora stressato per qualche caso che avrebbero affrontato di lì a poco, si concedeva diventando intimo per i loro standard.
Non accadde nulla di eclatante, nulla che con maggiore attenzione si sarebbe potuto evitare.
Semplicemente successe.
Mentre loro due erano immersi nella loro conversazione e nel sentire il profumo dell’altro che veniva brevemente sovrapposto a quello di uno dietro di loro, fu come un battito d’ali di farfalla, una folata di vento troppo veloce per essere prevista, un lampo a ciel sereno.
Quel profumo che per un istante sentirono entrambi esplose contro di loro e da che Don era lì accanto a Colby a parlare come nulla fosse, a che si trovò pesantemente spintonato in maniera imprevedibile ed improvvisa, il cuore dei due agenti smise di battere per un istante.
Mancò un battito ma quello di Colby nello specifico parve proprio paralizzarsi insieme alla sua mente che smetteva di ragionare vedendo il suo uomo spinto inaspettatamente in avanti, in strada, proprio la frazione di secondo prima che un camion sopraggiungesse ad una velocità più che sostenuta, come tutti gli altri veicoli.
Una velocità mortale per una persona caduta accidentalmente in strada.
No, davvero non ci fu tempo per nulla, nessun pensiero coerente, nessun rendersi conto di qualcosa, nessuna prontezza se non quella dei riflessi di Colby che, appunto perché non riuscì a pensare, agì istintivamente senza riflettere prendendo il suo uomo per il braccio, tirandolo poi verso di sé con forza proprio mentre il camion sfrecciava davanti a loro col clacson che suonava.
Don e Colby quindi si trovarono sbilanciati all’indietro ma ancora in piedi, col cuore in gola che aveva ripreso vorticosamente a battere e le braccia di uno che stringevano decise e spaventate la vita e la schiena dell’altro, aggrappato a sua volta a lui e alle sue spalle larghe e robuste poiché nessuna riflessione logica aveva potuto farlo agire diversamente.
La sensazione di vedersi la vita, per l’ennesima volta, davanti agli occhi non gli piacque a Don, ma questa sgradevole emozione l’avrebbe affrontata dopo che con rapidità si era raddrizzato e staccato da Colby per girarsi a guardare chi l’aveva spinto in quel modo apparentemente casuale ma proprio nel momento più sbagliato.
Un incidente terribile, tutti avrebbero pensato così se lui con l’istinto di chi diffidava di tutti tranne che della sua squadra, non avrebbe cercato un colpevole volontario.
- Ma che diavolo… - Borbottò col sudore freddo che già cominciava a scendergli lungo la schiena insieme all’adrenalina che gli scorreva a fiumi in circolo. Era pronto all’azione nonostante la morte appena guardata in viso e come lui Colby che, messo da parte il suo spavento, aveva trovato il responsabile che svelto e furtivo si allontanava cercando di non farsi notare.
L’istinto di seguirlo l’ebbero ma quando il rosso diventò verde e la folla intorno a loro iniziò a camminare, dovettero desistere dal loro intento perdendolo di vista.
- Ma quello… - Mormorò allora Don togliendosi gli occhiali scuri, tendendosi come una corda di violino e aggrottando le sopracciglia in direzione dell’uomo appena intravisto, ormai sparito. Una sensazione sgradevole lo invase e il sangue si raggelò nelle vene immobilizzandolo senza dargli la forza di emettere alcun suono.
- Cosa? – Chiese Colby capendo subito che c’era qualcos'altro che non andava. Lo guardò con attenzione e impazienza, quello sguardo così accigliato non diceva nulla di buono, ormai lo conosceva. – Sembra che hai visto un fantasma. – In effetti senza saperlo indovinò, in un certo senso.
- Già… anche a me… - Rispose quindi vago Don sperando di rivedere quello che gli era parso un fantasma. Non poteva essere lui, era in prigione da un po’, l’aveva messo dentro lui stesso. Era stato uno dei suoi nemici più ostici ma ci era riuscito e con enorme soddisfazione, rischiando nemmeno poco. Non era di certo lui quello che aveva intravisto andarsene in fretta.
- Lo conosci? – Chiese infatti Colby capendo subito di cosa poteva trattarsi, lasciando che la paura per averlo quasi perso scemasse da sola senza essere riconsiderata. Soffermarsi troppo tempo su certi sentimenti non era mai bene, si doveva avere la prontezza per andare subito avanti. Non l’aveva perso, l’aveva salvato. Ora era ancora lì con lui a fissare stralunato un punto ormai riempito da un sacco di persone sconosciute. Pensarci troppo significava richiamare una sensazione sgradevole e lui non voleva affatto. Aveva rischiato grosso ma non era successo nulla, questo contava. Ora bisognava andare avanti.
Don semplicemente se ne dimenticò subito a causa di ciò che gli era parso di vedere, qualcosa di decisamente impossibile ma abbastanza forte da fargli scordare la vita che aveva appena rischiato, come molte altre volte del resto. Abituarsi a sfiorare la morte non era proprio la cosa migliore, significava che la vedeva troppe volte e che presto sarebbe anche potuto succedere davvero.
- Sembra Johnson, un politico criminale che ho catturato diverso tempo fa, rovinandogli la vita e la carriera. Me l’aveva giurata più di molti altri che ho messo dentro. – A parlare di lui entrambi sentirono dei brividi lungo il corpo, come a confermare che avevano indovinato.
Ma preferirono accantonare anche questa sgradevole sensazione senza fasciarsi la testa prima di romperla.
Era stata un impressione, era in carcere quel tipo, no?
Così come la sua quasi morte… era vivo, ora, no?
Questo contava.
Riprendendosi, senza troppa convinzione, Don si rimise gli occhiali scuri addosso quindi girandosi verso il suo uomo si concesse un breve sbilanciamento con un: - Oh, grazie, eh? – appena udibile. Più un borbottio che altro. Colby sorrise tornando apparentemente in sé, senza però riuscire a cacciare del tutto quella strana sensazione.
Qualcosa non andava. La giornata era iniziata male e sarebbe anche potuta finire peggio.
Di norma non avevano quei pensieri ma lì, stranamente, li ebbero entrambi.
Tuttavia non li avrebbero mai detti nemmeno sotto tortura.
- Non potevo mica lasciarti diventare una frittella… - Disse quindi battendogli una mano sul braccio, ricambiando il suo sguardo da dietro le lenti scure. – Chi mi avrebbe pagato, poi, la colazione ogni giorno? – Concluse con ironia che fece distendere per un attimo entrambi in un sorriso divertito.
- Mi sembrava una cosa simile… - Commentò su un tono fintamente offeso che al contrario stava perfettamente allo scherzo. Gli scoccò un’ultima occhiata nascosta come per ringraziarlo anche per quel sdrammatizzare, per quel non permettergli di pensare a ciò che sarebbe potuto essere, a cosa sarebbe quindi stato fra loro facendo di conseguenza partire un pesante e svenevole scambio di miele che comunque non sarebbe mai stato da loro.
Ogni giorno rischiavano di morire, non potevano mica pensare alla loro separazione in tragedia ogni volta… era come uccidere il loro rapporto così singolare...
Andava bene così, senza romanticherie e frasi del tipo ‘non potrei mai vivere senza di te’ che gli avrebbero fatto venire il diabete.
Erano adulti ed onesti, sapevano a cosa correvano incontro stando insieme e facendo quel lavoro.
Bisognava sempre andare avanti e dimenticare la morte sfiorata. Alla fine ne contava solo una, quella decisiva. Ma non era ancora il momento.

Quando Colby e Don giunsero al loro piano si videro venire incontro Megan e David tutti trapelati ed agitati.
Era successo qualcosa e sommando quella consapevolezza con quanto appena accaduto ed alla sensazione istintiva di entrambi, specie quella di Don, furono sicuri di sapere già tutto.
- Don! Ti abbiamo chiamato ma hai il cellulare spento! Non arrivavi e… - Megan cominciò pensando che lui già sapesse tutto, sapendo che comunque non poteva essere così perché la notizia era rimasta interna all’FBI per il momento e anche se lui era Don e di norma sapeva le cose prima di loro, non era certo un mago.
- Cosa è successo? – Chiese l’uomo togliendosi di nuovo gli occhiali scuri imitato da Colby che la guardò allo stesso modo del compagno, accigliato e con urgenza di sapere.
- Hilton Johnson… - E bastò quello per avere la conferma di tutto.
Nuovamente il flash lo colpì dall’ultimo scontro con lui per giungere veloce fino al primo, a quando si erano giurati odio. Gli sembrò di finire per un attimo in un altro mondo, non sentì nessuno ma già sapeva che cosa stava dicendo Megan, gli bastò sentire il suo nome dopo che l’aveva visto giù in strada ed aveva tentato di spingerlo sotto un camion.
Azione ingenua, tutto sommato, quasi sciocca e poco organizzata. Non da lui. Ma forse non l’aveva nemmeno progettata. Se l’era trovato fortunatamente davanti e ci aveva provato senza considerare la presenza di Colby che pronto l’aveva salvato.
- … e così è evaso di prigione. Il capo vuole che ti prendi una scorta. Sei fra i più a rischio. – Concluse quindi riportandolo alla realtà.
- Cosa?! – Esclamò incredulo fissandola come avrebbe fatto con un alieno. L’aria sempre più stralunata. – Non se ne parla, non mi serve… - Cominciò a protestare come era nella sua natura davanti ad una cosa simile.
- Come no! Ma se ti ha quasi ucciso, ora! – Intervenne quindi scettico e deciso Colby allarmando immediatamente tutti gli altri che li guardarono interrogativi ed ansiosi chiedendo spiegazione. Don lo guardò immediatamente ed in breve si intavolò un duello di sguardi molto sfrontato, nessuno dei due avrebbe ceduto ma non servirono parole, si capirono subito. Cosa che non accadde per David e Megan che invece volevano capire eccome.
- Stavamo attraversando la strada, eravamo fermi al semaforo e qualcuno ha pensato bene di spingerlo proprio mentre passava un camion, è stato per un soffio che l’ho riportato di qua! – Spiegò con aria di rimprovero beccandosi per questo uno sguardo assassino dal suo capo, a poca distanza da lui.
- Quando ti ho chiesto se lo conoscevi mi hai detto che ti era sembrato Johnson! Guarda che coincidenza! – Esclamò quindi sempre più sul piede di guerra. Sapeva di avere ragione ad insistere così, con Don era necessario o come sempre avrebbe fatto di testa sua senza proteggersi. E le conseguenze sarebbero state ovvie!
- Era lui! – Fece sconcertato ed agitato David partendo già per la tangente con quella di setacciare subito tutta la zona intorno all’edificio dell’FBI!
- Non era un consiglio, quello del capo, Don. Era un ordine. Devi prenderti qualcuno che ti guardi costantemente le spalle! Scegli chi vuoi ma io sono d’accordo! Quello che è appena successo è la conferma che ne hai bisogno! Gli hai rovinato la vita, Don, te l’ha giurata. Devi prendere le giuste misure! – Lo rimproverò Megan come una mamma arrabbiata per l’incoscienza ripetuta del figlio.
Don l’ascoltò con metà cervello mentre con l’altra pensava a come prenderlo e a chi mandare dove. Non ci pensava minimamente a stare in panchina a guardare altri che si facevano sfuggire il suo nemico giurato!
Se pensava di spaventarlo e metterlo fuori gioco si sbagliava di grosso!
- Va bene, va bene… non girerò mai da solo. Ho capito! Ora però iniziamo la caccia all’uomo prima di perdere altro tempo! – Accettò solo per zittirla ed iniziare le indagini, senza pensare davvero di attuare quanto detto. Voleva agire liberamente senza essere legato agli ordini di protezione di un altro, ma prima di tutto voleva sbrigarsi e trovare quel dannato che aveva osato sfuggirgli di nuovo!
- Scegli chi ti farà da scorta fissa! – Riattaccò quindi di nuovo, conoscendo l’amico e collega.
- Che? – Chiese quindi pensando di aver capito male, con l’aria perenne da ‘che cazzo dici?!’.
- Avanti, decidi chi sarà la tua scorta o decido io! –
- Ma… - Provò di nuovo a protestare in perfetto disaccordo, come fosse un bambino, quindi a quel punto lo interruppe Colby stesso che subentrò più deciso che mai.
- Lo farò io. – Sparò nell’immediato senza averci riflettuto molto. Gli altri lo guardarono straniti della sua scelta, quindi corresse il tiro con aria più diligente: - Se vi va bene. – ricordandosi che loro due stavano insieme ma doveva rimanere una cosa privata!
Don sospirò insofferente girandosi dall’altra parte, quindi Megan parlò per lui prendendo le redini come tendeva a fare in sua assenza: - Ve bene. Non devi mai staccarti da lui, nemmeno la notte! Speriamo comunque di prenderlo subito. –
Non sarà un dispiacere!” Riuscì anche a pensare con una certa malizia ben mascherata mentre guardava Don scrollare le spalle e grugnire un vago ‘si’ di assenso. Non che avesse avuto molta scelta in effetti.
Del resto Colby era quello più indicato, fra tutti l’uomo più d’azione insieme a Don stesso, quello che nei guai riusciva a cacciarsi anche senza impegnarsi troppo e che aveva il dono di vedersela sempre peggio degli altri. Salvato ogni volta in corner da Don. Comunque un agente molto valido che nell'azione pericolosa ci si buttava a capofitto senza esitazione.
Era giusto che per una volta fosse lui a ricambiare i favori e lo proteggesse come si doveva.
Una serie di sensazioni lo percorsero fra cui anche una certa incosciente contentezza per potergli stare ufficialmente attaccato senza risultare strano ed anomalo.
Quando dopo di quello un cellulare cominciò a suonare tutti guardarono in direzione della tasca di Don dal momento che pareva venire proprio da lì, quindi il primo a stranirsi della cosa fu lui.
- Che c’è? – Gli chiesero vedendolo poco convinto che il suo cellulare potesse squillargli.
- Non è il mio, è ancora spento! – Fece quindi senza perdere poi tempo e tirando fuori l’oggetto pieghevole sconosciuto che suonava ancora lampeggiando sul display la parola ‘numero privato’.
- Ecco a cosa è servito il contatto di prima, non ad uccidermi, sapeva che non sarebbe stato facile. Era per mettermi in tasca questo! – Asserì mettendo immediatamente in moto la sua mente da agente federale, gli ci volle un millesimo di secondo per entrare nell’ottica giusta e trovare il suo sangue freddo, quindi con attenzione maniacale rispose alla chiamata con gli occhi ansiosi di tutti puntati addosso, specie quelli già sul piede di guerra di Colby.
- Agente Eppes! – Disse la voce al di là della linea telefonica. Una voce familiare che Don non avrebbe mai potuto dimenticare. – Da quanto tempo! – Continuò poi con ironia e finta allegria.
- Johnson! – Borbottò invece Don, breve e conciso come al solito. E rabbioso.
- Sono lieto di vedere che non hai dimenticato il mio nome. Sai, nemmeno io ho dimenticato il tuo, così come non ho dimenticato il tuo viso e tutto quello che hai fatto per me. – Di secondo in secondo la sua voce cominciava ad assumere un tono sempre più teso e tagliente per diventare via via più sgradevole e velenoso, pieno di odio.
- Io invece sono riuscito a fare sonni tranquilli, in tutti questi anni. Grazie al fatto che ti sapevo a marcire in prigione! – Disse quindi Don incisivo e sferzante consapevole che comunque quella chiamata sarebbe stata irrintracciabile, naturalmente.
- Lieto di saperlo. Ancora più lieto di farti sapere, però, che da ora i tuoi sonni diverranno pieni di incubi poiché sono di nuovo libero e come ormai già sai, ti sto cercando. Voglio ringraziarti di persona ed in modo speciale per come mi hai rovinato. Ci tenevo a fartelo sapere perché gli ospiti più graditi sono quelli attesi! –
- Ma che gentile. – Fece allora Don scurendo ulteriormente il suo viso, poi assunse un espressione profondamente buia e risoluta, quasi agghiacciante, che fece rabbrividire tutti quelli che lo videro e ascoltarono la sua voce sussurrare basso e penetrante: - Visto che lo sei voglio ricambiare anche io dicendoti che puoi fare quello che vuoi, figlio di puttana, ma ovunque tu andrai e qualunque cosa tu farai ti prenderò di nuovo e sarò sempre io a rovinarti, dopo di ché ti farò visita ogni giorno per ricordarti a chi devi l’Inferno che passerai per la seconda volta! –
Questo probabilmente non piacque a Johnson il quale dall’altro capo del telefono, dopo una breve pausa in cui si poté solo immaginare la sua espressione furente, sibilò a denti stretti somigliando ad un serpente:
- Sei morto, Don Eppes. –
Infine la comunicazione fu interrotta con quella che era non solo una promessa ma un vero e proprio giuramento solenne da parte di entrambi.
La caccia all’uomo era partita, capitando a tutti inaspettatamente tra capo e collo, come una manna pericolosa che gravava sulla vita di Don. Una manna pronta a cadergli addosso e portarselo via da un momento all’altro.