CAPITOLO II:
PROVOCAZIONE

/What i’ve done – Linkin Park/
- Vedi cosa puoi fare! – Concluse Don chiudendo bruscamente e sbrigativo la comunicazione con suo fratello, al di là del cellulare.
- Per me non è una buona idea… - Si inserì subito Colby con un tono che non nascondeva affatto la propria contrarietà.
- Cosa? – Fece Don parcheggiando al volo l’auto, una volta arrivato a destinazione in un tempo più breve del normale. Più che una domanda parve un tuono, già sapeva che non era d’accordo con quanto il suo uomo avrebbe detto di lì a poco.
Colby però non se ne preoccupò ed andò dritto come un carro armato dicendo né più né meno quel che pensava, più deciso che mai: - Che te ne occupi tu! Che vai ad indagare partendo da dove è evaso, che ti esponi così tanto! Che esci dall’edificio sicuro e blindato dell’FBI! – Ne aveva di cose con le quali non era d’accordo…
Don parve non ascoltarlo nemmeno ed anzi scese senza nemmeno dargli risposta, come se il vero carro armato fosse proprio lui.
Tutti sapevano come era fatto, suo fratello e suo padre per primi.
Se si metteva in testa una cosa era impossibile fargli cambiare idea.
Sarebbe stato lui a prendere Johnsson, punto e basta.
Colby lo seguì a passo spedito senza mollare:
- Don, così fai il suo gioco! Gli renderai la vita più facile! – Sperava sempre di riuscire ad entrare nella sua testaccia dura ed infilarvi un po’ di sale, ma era una battaglia persa in partenza ed in fondo lo sapeva bene.
- E’ un compito che spetta a me, prendere di nuovo quel bastardo. A me. E poi sono io che gli renderò la vita un inferno, puoi contarci! – Ribatté finalmente il capo gesticolando in modo secco con le mani, come a chiudere il discorso una buona volta e a non volerne più riparlare.
Una volta giunti a destinazione Colby decise di rimandare l’opera di convincimento lasciandolo fare, poi sarebbe ripartito all’attacco. Era piuttosto testardo anche lui e non voleva che il suo uomo finisse davvero come una frittella.

Dopo aver accertate le modalità di fuga di persona si trovò a dover tornare indietro con non molto in mano.
Era stato aiutato ed il tutto organizzato molto bene tanto che non avevano lasciato indizi su cui indagare, nessun dato utile nemmeno a Charlie. Solo più grane.
Più persone, uguale più pericoli.
Eppure era come se non se ne curasse affatto, come se non sentisse davvero il peso di quella ghigliottina che minacciava di cadergli sul collo da un momento all’altro.
Incoscienza o cosa?
Come definirla?
Guardandolo correre come un matto da una persona all’altra, da un luogo all’altro e da una pista all’altra, Don parve a tutti, a Colby e Charlie per primi, come ossessionato da quell’uomo tanto da fregarsene altamente del rischio che lui stesso correva.
E a loro, questa sua incoscienza volontaria e consapevole dava davvero sui nervi.
Perché lui, per gli altri, metteva sempre troppo a repentaglio la sua vita?
Gli era andata sempre bene, era vero, ma mettendosi così in prima linea ogni volta, non sempre gli sarebbe andata così bene.
- Don, hai un momento? – La voce di Charlie che lo seguiva per i corridoi dell’FBI non lo fece né sobbalzare né distrarre dai propri ragionamenti e senza alzare gli occhi dalle carte che consultava né rallentare il passo, a cui il fratello per starci dietro doveva quasi correre tanto che era svelto, borbottò un secco e deciso: - No! – che comunque non fece desistere affatto il moro dai capelli ricci tutti in disordine intorno al viso.
- Per me non dovresti occupartene tu. Corri troppi rischi! Per una volta dovresti lasciar fare a qualcun altro! – Fece quindi come se non gli avesse detto nulla. Don alzò la testa di scatto e quasi seccato dal dover ripetere per l’ennesima volta la stessa cosa in poche ore, tralasciò il particolare che Charlie normalmente non dimostrava mai la sua preoccupazione per lui e posò i suoi occhi esasperati e brucianti su quelli tanto simili ai propri ma comunque non identici.
- Vi siete messi tutti d’accordo? – Disse con un tono che non tradì per nulla la sua espressione. – Ho deciso che me ne occupo io, spetta a me, Johnsson l’ha giurata a me, sono io il suo obiettivo. Non voglio che pur di arrivare a me passi sul cadavere di tutti quelli che mi stanno intorno! – A lui concesse una spiegazione in più, anche se seccato e alterato e sempre senza fermarsi. Poi senza dargli tempo di ribattere, chiese alleggerendo appena il tono: - Hai qualcosa per me? – anche con un po’ di speranza, in realtà.
- Si! – Fece quindi Charlie ricordandosene solo in quel momento.
- E cosa aspettavi a dirmelo? – Chiese corrugando la fronte di nuovo sul piede di guerra. Per quel caso avrebbe litigato con tutti, sarebbe sicuramente finita in quel modo.
- Ecco, secondo la teoria del XXX che dice… -
- Charlie, ti prego, arriva subito al colpo di scena, per favore! – Lo interruppe sbrigativo e brusco Don citando una frase di Colby sulle sue elucubrazioni matematiche che aveva divertito tutti. L’altro si ridimensionò e piegando le labbra in segno di rassegnazione, gli concesse di essere più incisivo del solito dicendo la scoperta minima che per il momento aveva fatto anche in virtù della consapevolezza che Johnsson non agiva da solo, fornendogli la prima pista generica in mezzo a tanti buchi nell’acqua che l’avevano solo fatto innervosire ulteriormente. Per poi concludere svelto e testardo almeno quanto il fratello: - Ma comunque l’unica certezza assoluta è rappresentata dal fatto che appena uscirai da qua lui sicuramente in qualche modo tenterà di ucciderti. Ti segue e sa perfettamente i tuoi spostamenti. – Non ci sarebbe voluto un genio della matematica per quell’affermazione ed infatti non era stata portata da nessun calcolo, solo dalla consapevolezza di quanto in un modo o nell’altro sarebbe successo di lì a poco.
E dalla sensazione sgradevole che di minuto in minuto gli faceva contorcere la bocca dello stomaco dandogli un senso di nausea destinato a crescere sempre più.
- E allora è ora di avere un altro contatto con lui, o non gli arriverò mai abbastanza vicino per prenderlo. Charlie, fammi un calcolo in base alla pianta degli edifici e delle entrate, trovami il posto migliore in cui un cecchino si piazzerebbe per uccidere un obiettivo che esce da qua. –
Azzardato e folle come solo lui in certe situazioni sapeva essere. Anzi. Osava essere.
- Non vorrai… -
- Esatto, voglio provocarlo. Vedrai che funzionerà e si scoprirà il necessario di permetterci di arrivargli più vicino. –
Continuò Don esponendo più sicuro che mai quello che era un piano decisamente semplice da seguire e capire.
- Ma io non penso che… - Si lamentò indeciso se fare quanto di più logico ed illogico al tempo stesso ci fosse.
- Charlie, lo puoi fare o no? – Si fermò Don guardandolo diretto negli occhi da quella vicinanza che avrebbe messo in soggezione chiunque. Aveva una luce determinata nello sguardo. Una luce che diceva una cosa precisa: con o senza l’aiuto degli altri lui sarebbe andato dritto per la sua strada ed allora era meglio seguirlo e assecondarlo per proteggerlo il più possibile!
- Si, lo posso fare però è… -
- Che succede? – Li raggiunse Colby allontanatosi per un momento solo perché il luogo in cui si trovavano era certamente sicuro. Vedendo l’espressione preoccupata e contrariata nonché ansiosa di Charlie capì che Don aveva avuto un idea azzardata ed incosciente a cui nessuno, comunque, sarebbe riuscito ad opporsi.
- Colby, diglielo anche tu che non è una buona idea provocare Johnsson uscendo di qua per farsi colpire di proposito! – Quando il giovane comprese completamente ciò che il suo compagno voleva fare, gli prese quasi un colpo e avanzando ulteriormente con le mani ai fianchi, strabuzzò gli occhi credendo di avere allucinazioni uditive e visive.
- Vuoi fare da esca! – La voce gli uscì più alta del necessario e grazie a questo anche gli altri della squadra poterono sentire il suo 'geniale' intento.
- Si, è esattamente la cosa più veloce ed immediata da fare! Lui è là fuori, ora, mi ha seguito ed ha avuto abbastanza tempo da organizzare la prossima mossa, sicuramente un attentato per me. Finché starò qua dentro a pensare a come beccarlo senza farmi beccare, non andremo da nessuna parte, nessuno farà la sua mossa ed perdiamo tempo. La cosa più veloce è proprio questa. Andare là fuori e lasciargli fare la sua dannata mossa. Noi staremo tutti pronti e qualunque cosa faccia agiremo in tempo con la nostra contro mossa! –
- Don, è troppo rischioso, non sappiamo come intende ucciderti… - Si lamentò Megan dimostrando apertamente la propria preoccupazione.
- Esatto, non è detto che è appostato con un fucile da cecchino su uno degli edifici che circondano questo, pronto a spararti appena metterai piede là fuori! – La sostenne Charlie anche lui chiaramente in ansia.
- E’ una probabilità. Tu non lavori su probabilità? – Rispose Don con la pazienza che stava raggiungendo i minimi storici!
- Su probabilità alte, non così basse e pericolose! Mi serve più tempo per elaborare tanti piani quanti sono quelli che lui potrebbe usare per ucciderti! Sai in quanti modi si può attentare ad una vita? – Rimbeccò Charlie alzando a sua volta il tono ansioso e gesticolando nervoso davanti al fratello più alto di lui che lo ricambiava battagliero ed infastidito di essere contraddetto da tutti.
- Si, li conosco più o meno tutti, grazie. È per questo che ti chiedo di darmi la posizione più probabile per un cecchino e non anche le altre! Per non perdere… -
- Altro tempo! – Finì per lui di nuovo Charlie esasperato. Non c’era verso di spuntarla e sarebbero finiti per litigare inutilmente quando invece quel che doveva fare lui era trovare un modo matematicamente sicuro di aiutarlo.
- Don, però ha ragione, devi considerare che è veramente troppo azzardato buttarsi fuori così alla ceca, con la sola consapevolezza che tenterà di ucciderti! – Cercò di farlo ragionare Megan con più dolcezza e diplomazia. Don allora spostò la sua attenzione su di lei e sospirando per trovare una calma persa diverse ore prima, si concesse un secondo per riordinare le idee ed evitare di licenziare tutti i presenti, quindi si passò le mani sul viso sudato per la pressione che subiva sempre più crescente, chiuse gli occhi e capì che non avrebbe mai cambiato idea e che prendere Johnsson era davvero la cosa che più contava, in quel momento. Altrimenti nessuno delle persone che lo circondavano e che nella sua vita contavano, sarebbero più state al sicuro.
A partire da suo fratello.
Faceva così non perché aveva paura per la sua vita ma per quella degli altri che lui amava. Non centrava né l’orgoglio, né il principio come forse qualcuno pensava.
E Colby lo capì perfettamente così come Charlie, visto che glielo aveva anche detto brutalmente.
Non c’era molta scelta, se voleva prenderlo in fretta quello era il metodo più sbrigativo ed efficace. Lasciare che lui lo raggiungesse per primo.
- Capisco che vi preoccupate per me e vi ringrazio, ma non andrò là fuori da solo e so che quando metterò piede all'esterno non esisterà forza al mondo in grado di spazzarmi via ed uccidermi. So che tu, Megan, David e Colby farete il vostro lavoro. Ed anche la matematica di Charlie lo farà… Io devo fare quello che va fatto o presto sarete tutti in pericolo. –
Ci fu un breve momento di silenzio in cui ognuno pensò a qualcosa che c’entrava con la persona al centro della discussione, ognuno cominciava finalmente a capire cosa si agitava in quell’ossessione incosciente, ognuno si sentiva toccato da quello che ora era diventato un gesto d’altruismo e non di egoismo. Come faceva tutto il resto, in fondo.
Fu duro da accettare ma non trovarono alternativa, in realtà non aveva affatto torto, Don.
Così fu proprio Megan a parlare per tutti, proprio come una mamma che prende le decisioni più difficili per la sua famiglia:
- Ragazzi, facciamolo, allora, il nostro lavoro. E bene! Forza! – con questo ognuno annuì più serio che mai, consapevole dell’importanza che di lì in poi avrebbero avuto le loro gesta.
Una volta soli, Don e Colby si scambiarono un ulteriore sguardo significativo che disse più di mille parole, ma solo a loro due. Dall’esterno nessuno avrebbe potuto capire ciò che quegli occhi così seri e consapevoli intendessero comunicare al compagno dinnanzi.
Non servirono parole, capendosi profondamente si girarono per andare ognuno a prepararsi a quella che sarebbe anche potuta essere l’ultima azione, per qualcuno.
Spero solo che non lo sia…” Pensò Colby mostrando solo a sé stesso quella vena di preoccupazione angosciante che non gli permetteva di essere freddo e distaccato come sapeva essere in ambito lavorativo.

Ognuno aveva un compito preciso, erano in molti gli uomini impiegati discretamente in quella manovra volta a far cadere in trappola l’uomo che, a sua volta, ne stava ponendo una ai danni di Don Eppes.
Tutti uno specifico ordine, ognuno appostato in modo da agire nel modo più veloce e preciso possibile, qualcuno che già si dirigeva nel punto indicato dal professor Eppes.
Il più vicino, naturalmente, era Colby il quale aveva deciso di esporsi in prima linea accanto all’obiettivo principale, da brava guardia del corpo.
Ovviamente ognuno con un giubbotto antiproiettile sotto i vestiti per evitare di destare inutili sospetti.
Facendo finta di parlare come sempre di quella che era la loro indagine e quindi di seguire chissà quale traccia, sia Don che Colby, insieme agli altri appostati nell’ombra, osservavano attentamente l’ambiente circostante.
Gli altri con precisione maniacale mentre loro due con finta noncuranza.
E trovatisi lì a dover parlare comunque di qualcosa, decisero che nonostante tutte le riceventi collegate ad ogni uomo impiegato in quell’azione, potevano sbilanciarsi almeno un po’. In fondo sarebbe potuta essere l’ultima chiacchierata fra loro e non avevano ancora avuto il tempo nemmeno di sfiorarsi decentemente.
Niente.
Nemmeno dire che non avrebbero ancora voluto separarsi.
Così fu Colby a dire la sua verità nascosta, una sorta di linguaggio in codice che però non lo distrasse dal suo compito:
- Se questa volta muori giuro che ti perseguito anche dopo, non ti farò mai riposare in pace! – Con un pizzico di ironia che fece sorridere Megan e David all’ascolto, mentre Don, capendo il reale significato di quella frase, provò solo un gran desiderio di appartarsi con lui in privato e per lo meno baciarlo. Certe ammissioni non erano per lui di norma, figurarsi se si trovava ad essere ascoltato da orecchie indiscrete!
Suo malgrado piegò le labbra in un vago segno d’apprezzamento ed utilizzando il suo stesso tono, rispose sempre continuando a camminare naturale ma sostenuto, guardando in alto verso l’edificio indicato da Charlie:
- Ora mi sento più sollevato! E poi senti da che pulpito viene la predica! – In effetti Colby fra tutti era quello che era riuscito a far preoccupare di più la sua squadra. Quest’ultimo non disse nulla e limitandosi a scuotere il capo preferì evitare di darsi la zappa sui piedi da solo.
- Nessun movimento sospetto. Fra poco saremo fuori portata da un probabile cecchino posizionato là dove ha detto Charlie. – Disse quindi tornando serio e in argomento.
- Ma non è detto che attenti in quel modo. – Lo riportò alla dura realtà Don pronto a proseguire la sua passeggiata sul filo della morte.
La tensione continuava a salire alle stelle e nonostante facessero di tutto per rimanere freddi e pronti e non perdere la testa e la calma, si sentivano davvero troppo sotto pressione. Se nessuno avesse fatto nulla presto, sarebbero esplosi loro stessi. Come si poteva andare avanti in una situazione simile?
Camminare alla ceca immaginando le buche in cui sarebbero potuti inciampare ma senza conoscerle e vedere chiaramente.
E il pensiero sempre più fisso di stare per perdere la persona che al momento contava così tanto.
Rimanere in sé nonostante tutto, con lo stomaco che si contorce e ti provoca spasmi nauseanti, la spiacevole sensazione che presto tutto finirà e sarà male, i sensi accentuati al millesimo, l’adrenalina che corre a fiumi.
Addestramento, esperienza, abitudine, certo… e chissà quante altre cose che però non toglievano nulla al fatto che nessuno dovrebbe mai trovarsi in situazioni simili.
Mentre i due stavano per sparire dal raggio d’azione ipotizzato alla svelta da Charlie, una specie di lampo accecò per un brevissimo istante Colby prendendo completamente la sua attenzione ed in successione quella di Don e degli altri.
Non ci fu tempo nemmeno per pensarlo, ‘l’eccolo’. No, nessun pensiero, nessun respiro, nessun ragionamento, nessuna realizzazione, nessun ordine.
Solo lo spazio per l’istinto, per i riflessi pronti come se si fosse in guerra, in un campo di battaglia.
Solo lo spazio per agire e basta, senza nient’altro, come si è abituati a fare, come si fa sempre, come si fa ogni volta che si scollega la mente per anteporre la vita di chi, in quell’istante fulmineo, conta molto di più di te.
Non si sentì nemmeno un rumore di sparo, nulla.
Solo che Colby si buttò ugualmente addosso a Don svelto come la saetta che attraversa un cielo tempestoso un istante prima del rombo del tuono che prorompe creando panico ed agitazione.
Nessun rumore, come se il sonoro fosse andato via un istante.
Nulla se non Colby che buttava giù Don coprendolo col suo corpo, venendo lui stesso sfiorato di un soffio dal proiettile che si conficcava nel cemento veramente troppo vicino ai due ormai a terra.
Nel giro di un istante ci fu davvero il panico, lo spiazzo si riempì di agenti già pronti in precedenza, mentre altri che aspettavano solo quello, già presero a sparare nell’esatto punto indicato da Charlie nel suo calcolo.
Lontano, però.
Troppo per un azione così improvvisata e gettata nel caos da Colby steso su Don, nessuno capiva se stessero bene o no.
Quando realizzarono che comunque ormai era finita e che Johnsson ormai era sicuramente andato via, il fuoco cessò e Don stesso gridò un: - BASTA! – che fece desistere tutti.
Mentre ognuno si fermava ed altri accorrevano pronti ad eseguire altri ordini, Megan e David raggiunsero i due colleghi ancora a terra ma interi. Quando videro Colby alzarsi e guardare subito Don sotto di sé per assicurarsi che stesse davvero bene, non avrebbe comunque sentito nemmeno se quel proiettile si fosse conficcato nella sua schiena invece che nel marciapiede a pochi centimetri da loro, tanta era alta la tensione e la paura per aver davvero rischiato di perderlo.
Si sentì come se gli sospendessero tutte le funzioni vitali e solo costatando che il suo viso non presentava segni di dolore, si sentì sollevato tanto da tornare a respirare.
- Stai bene… - Disse quindi senza chiederglielo, vedendolo da solo.
- Ormai è un vizio salvarmi la vita, eh? – Disse Don al volo capendo che alleggerire la situazione, ora, toccava a lui visto quello che per colpa sua il suo compagno aveva passato.
La paura della perdita della persona magari non amata ma che comunque contava molto.
Si rendeva conto di avergli dato un peso non indifferente ma se non fosse stato lui accanto a proteggerlo, non l’avrebbe mai fatto.
Solo a lui avrebbe affidato la sua vita e più tardi, quando tutto quell’inferno sarebbe finito, gliel’avrebbe detto concedendosi di scoprirsi di più.
- Che vuoi, le brutte abitudini sono le più dure da mandar via! – Rispose a tono sforzandosi di tornare non solo a respirare ma anche a vivere!
Si era sentito davvero male, come essere buttato nello spazio aperto senza protezione addosso.
Però ormai era andata ed anche bene, nonostante avessero sperato in meglio.
Era ovvio che non sarebbero riusciti a prenderlo, nel caso fosse stato davvero a fare il cecchino lassù, il punto era demolire un possibile modo di attentare alla sua vita e guadagnare prove che li conducessero a lui. Dati.
Farlo innervosire notando quanto lui pronto fosse.
Provocarlo.
- Ora si arrabbierà davvero, ha capito che era tutto programmato e che in un certo senso l’ho sfidato ad uccidermi. Non solo l’ho provocato ma l’ho anche previsto e sventato. Sarà su tutte le furie, progetterà qualcosa di più avventato in modo da scoprirsi maggiormente e lì lo prenderemo. – Disse poi Don sbrigativo e razionale tornando a Johnsson con freddezza e sicurezza, alzandosi ed ignorando la sensazione che il suo corpo, tremando, gli mandava.
Proprio come quella mattina, quando era quasi finito sotto un camion.
Ignorare la sensazione della morte scampata era un vizio per lui, lo faceva in continuazione per non cessare di fare quel lavoro e proteggere qualcuno di importante.
- E sarà anche più pericoloso. – Asserì Megan calcando sull’aspetto più grave che Don aveva accuratamente sminuito, come fosse una passeggiata.
- Va con David là dove era appostato e vedete cosa ha lasciato. Ci sono già altri agenti. – Fece quindi tornando il capo duro e severo di sempre, i cui ordini non ammettevano repliche se erano detti sotto pressione, riferendosi al fatto che sicuramente Johnsson lassù aveva lasciato qualche prova per loro.
Quando si trovò di nuovo solo con Colby a rientrare nell’edificio dell’FBI, questi gli chiese realizzando quale fosse stato il suo ragionamento:
- Quindi ora diventa una roulette russa. È questo che hai intenzione di fare? – Il tono inquisitore e sostenuto era quello di chi aveva appena capito le sue reali intenzioni ed ora aveva l’istinto di fargli una lavata di capo nonostante lui fosse un suo superiore.
Le porte dell’ascensore si richiusero davanti a loro inglobandoli nell’oggetto metallico che si levò silenzioso trasportandoli in alto da soli. I cuori battevano ancora forsennati, ignorati dai proprietari.
- E’ l’unica cosa veloce ed efficace, ora. – Però sapeva che per farlo avrebbe di nuovo dovuto lottare per farsi ascoltare, nonostante fosse lui il capo!
- Charlie ti direbbe che a volte perdere un po’ di tempo per impostare un piano più sicuro, non fa male! –
- Tu sei stato troppo tempo con Charlie! – Lo liquidò deciso a non mollare l’osso. Ovviamente non lo guardava, al contrario di Colby che invece era completamente rivolto verso di lui e come se non credesse alle sue orecchie lo fissava stranito asciugandosi il sudore dal viso con l’avambraccio.
- La soluzione non è mettersi là fuori e passeggiare finché lui non tenta di farti la pelle per sfuggirgli quante più volte puoi, finché non sei tu poi a prenderlo! Non è così che operi, non l’hai mai fatto! Segui le indagini in modo umano, per favore! – Il tono sempre più sostenuto e alterato. Averlo quasi perso non gli era affatto piaciuto.
Don sapeva perfettamente che Colby aveva ragione ma non poteva stare ad aspettare idee, prove o indizi che lo portassero da quel dannato uomo. Aspettare mentre quello faceva i suoi sporchi comodi attentando alla sua o magari peggio alla vita di quelli che lo circondavano.
Non poteva permetterlo, assolutamente.
Doveva sbrigarsi, prendere la strada più breve e veloce, fare in fretta, davvero in fretta.
Non sapeva cosa dirgli di preciso però gli dispiaceva vederlo così preoccupato per lui. Sospirò stanco e si girò verso di lui ricambiando finalmente il suo sguardo diretto ed ansioso nonché battagliero. Si prese un istante per perdersi in lui e in quello che dimostrava apertamente di provare, chiedendosi perché anche lui non ci riusciva così bene e facilmente, poi senza sapere cosa dire di preciso, aprì semplicemente la bocca e parlò posando la mano sul suo braccio, unico gesto di intimità che in tutta la giornata gli aveva ancora concesso.
- Perdonami se agisco così fuori dagli schemi, ma voglio solo far finire al più presto tutto questo. – Le cose più vere e più semplici, nonché disarmanti, che avrebbe potuto sussurrargli a tu per tu in quell’istante. Colby parve come sciogliersi e smontando tutta la sua linea d’attacco, sospirò a sua volta spompandosi, scuotendo appena la testa sconsolato:
- Lo so, ma non voglio che ti succeda nulla… - Mormorò a sua volta concedendosi di più dell’altro mettendogli la mano sulla sua. Il calore di quel contatto gli restituì un po’ di puro ossigeno e si concessero ancora qualche secondo così, a fondersi con gli sguardi senza osare avvicinarsi di più.
- Non potrei affidare la mia vita ad altre che non siano le tue mani. – Questo fu davvero molto di più di quello che Colby avrebbe anche solo sognato di sentirsi dire da Don e riempiendosi l’animo ed il cuore di quello che significava per lui una frase simile, al pari di un ‘ti amo’, per loro due, distese le labbra ben disegnate in un sorriso spontaneo e dolce che riempì il compagno di quella forza che per qualche minuto gli era vacillata.
- Ed io ci sarò sempre, come tu ci sei sempre per me. – Rispose riferendosi alle molte volte che Don stesso l’aveva coperto o addirittura salvato.
Averlo dalla sua parte, in quell’attimo, fu quanto di più appagante e importante ci fosse.
Un breve secondo di scambi nel quale poterono solo stringere ulteriormente quella presa l’uno sull’altro che trasmise ad entrambi molti brividi e li calmò, poi sentendo l’ascensore rallentare dovettero separarsi a malincuore tornando a girarsi.
Le loro espressioni tornarono serie e non più brevemente distese, quindi ogni sentimento tornò dentro la corazza che ergevano fra loro ed il resto del mondo mentre le ante dell’abitacolo si aprirono gettandoli nel caos del loro piano.
La roulette russa era appena iniziata.