CAPITOLO
II:
PROVOCAZIONE
/What
i’ve done – Linkin Park/
-
Vedi cosa puoi fare! – Concluse Don chiudendo bruscamente e
sbrigativo la comunicazione con suo fratello, al di là del
cellulare.
-
Per me non è una buona idea… - Si
inserì subito Colby con un tono che non nascondeva affatto
la propria contrarietà.
-
Cosa? – Fece Don parcheggiando al volo l’auto, una
volta arrivato a destinazione in un tempo più breve del
normale. Più che una domanda parve un tuono, già
sapeva che non era d’accordo con quanto il suo uomo avrebbe
detto di lì a poco.
Colby
però non se ne preoccupò ed andò
dritto come un carro armato dicendo né più
né meno quel che pensava, più deciso che mai: -
Che te ne occupi tu! Che vai ad indagare partendo da dove è
evaso, che ti esponi così tanto! Che esci
dall’edificio sicuro e blindato dell’FBI!
– Ne aveva di cose con le quali non era
d’accordo…
Don
parve non ascoltarlo nemmeno ed anzi scese senza nemmeno dargli
risposta, come se il vero carro armato fosse proprio lui.
Tutti
sapevano come era fatto, suo fratello e suo padre per primi.
Se
si metteva in testa una cosa era impossibile fargli cambiare idea.
Sarebbe
stato lui a prendere Johnsson, punto e basta.
Colby
lo seguì a passo spedito senza mollare:
-
Don, così fai il suo gioco! Gli renderai la vita
più facile! – Sperava sempre di riuscire ad
entrare nella sua testaccia dura ed infilarvi un po’ di sale,
ma era una battaglia persa in partenza ed in fondo lo sapeva bene.
-
E’ un compito che spetta a me, prendere di nuovo quel
bastardo. A me. E poi sono io che gli renderò la vita un
inferno, puoi contarci! – Ribatté finalmente il
capo gesticolando in modo secco con le mani, come a chiudere il
discorso una buona volta e a non volerne più riparlare.
Una
volta giunti a destinazione Colby decise di rimandare l’opera
di convincimento lasciandolo fare, poi sarebbe ripartito
all’attacco. Era piuttosto testardo anche lui e non voleva
che il suo uomo finisse davvero come una frittella.
Dopo
aver accertate le modalità di fuga di persona si
trovò a dover tornare indietro con non molto in mano.
Era
stato aiutato ed il tutto organizzato molto bene tanto che non avevano
lasciato indizi su cui indagare, nessun dato utile nemmeno a Charlie.
Solo più grane.
Più
persone, uguale più pericoli.
Eppure
era come se non se ne curasse affatto, come se non sentisse davvero il
peso di quella ghigliottina che minacciava di cadergli sul collo da un
momento all’altro.
Incoscienza
o cosa?
Come
definirla?
Guardandolo
correre come un matto da una persona all’altra, da un luogo
all’altro e da una pista all’altra, Don parve a
tutti, a Colby e Charlie per primi, come ossessionato da
quell’uomo tanto da fregarsene altamente del rischio che lui
stesso correva.
E
a loro, questa sua incoscienza volontaria e consapevole dava davvero
sui nervi.
Perché
lui, per gli altri, metteva sempre troppo a repentaglio la sua vita?
Gli
era andata sempre bene, era vero, ma mettendosi così in
prima linea ogni volta, non sempre gli sarebbe andata così
bene.
-
Don, hai un momento? – La voce di Charlie che lo seguiva per
i corridoi dell’FBI non lo fece né sobbalzare
né distrarre dai propri ragionamenti e senza alzare gli
occhi dalle carte che consultava né rallentare il passo, a
cui il fratello per starci dietro doveva quasi correre tanto che era
svelto, borbottò un secco e deciso: - No! – che
comunque non fece desistere affatto il moro dai capelli ricci tutti in
disordine intorno al viso.
-
Per me non dovresti occupartene tu. Corri troppi rischi! Per una volta
dovresti lasciar fare a qualcun altro! – Fece quindi come se
non gli avesse detto nulla. Don alzò la testa di scatto e
quasi seccato dal dover ripetere per l’ennesima volta la
stessa cosa in poche ore, tralasciò il particolare che
Charlie normalmente non dimostrava mai la sua preoccupazione per lui e
posò i suoi occhi esasperati e brucianti su quelli tanto
simili ai propri ma comunque non identici.
-
Vi siete messi tutti d’accordo? – Disse con un tono
che non tradì per nulla la sua espressione. – Ho
deciso che me ne occupo io, spetta a me, Johnsson l’ha
giurata a me, sono io il suo obiettivo. Non voglio che pur di arrivare
a me passi sul cadavere di tutti quelli che mi stanno intorno!
– A lui concesse una spiegazione in più, anche se
seccato e alterato e sempre senza fermarsi. Poi senza dargli tempo di
ribattere, chiese alleggerendo appena il tono: - Hai qualcosa per me?
– anche con un po’ di speranza, in
realtà.
-
Si! – Fece quindi Charlie ricordandosene solo in quel momento.
-
E cosa aspettavi a dirmelo? – Chiese corrugando la fronte di
nuovo sul piede di guerra. Per quel caso avrebbe litigato con tutti,
sarebbe sicuramente finita in quel modo.
-
Ecco, secondo la teoria del XXX che dice… -
-
Charlie, ti prego, arriva subito al colpo di scena, per favore!
– Lo interruppe sbrigativo e brusco Don citando una frase di
Colby sulle sue elucubrazioni matematiche che aveva divertito tutti.
L’altro si ridimensionò e piegando le labbra in
segno di rassegnazione, gli concesse di essere più incisivo
del solito dicendo la scoperta minima che per il momento aveva fatto
anche in virtù della consapevolezza che Johnsson non agiva
da solo, fornendogli la prima pista generica in mezzo a tanti buchi
nell’acqua che l’avevano solo fatto innervosire
ulteriormente. Per poi concludere svelto e testardo almeno quanto il
fratello: - Ma comunque l’unica certezza assoluta
è rappresentata dal fatto che appena uscirai da qua lui
sicuramente in qualche modo tenterà di ucciderti. Ti segue e
sa perfettamente i tuoi spostamenti. – Non ci sarebbe voluto
un genio della matematica per quell’affermazione ed infatti
non era stata portata da nessun calcolo, solo dalla consapevolezza di
quanto in un modo o nell’altro sarebbe successo di
lì a poco.
E
dalla sensazione sgradevole che di minuto in minuto gli faceva
contorcere la bocca dello stomaco dandogli un senso di nausea destinato
a crescere sempre più.
-
E allora è ora di avere un altro contatto con lui, o non gli
arriverò mai abbastanza vicino per prenderlo. Charlie, fammi
un calcolo in base alla pianta degli edifici e delle entrate, trovami
il posto migliore in cui un cecchino si piazzerebbe per uccidere un
obiettivo che esce da qua. –
Azzardato
e folle come solo lui in certe situazioni sapeva essere. Anzi. Osava
essere.
-
Non vorrai… -
-
Esatto, voglio provocarlo. Vedrai che funzionerà e si
scoprirà il necessario di permetterci di arrivargli
più vicino. –
Continuò
Don esponendo più sicuro che mai quello che era un piano
decisamente semplice da seguire e capire.
-
Ma io non penso che… - Si lamentò indeciso se
fare quanto di più logico ed illogico al tempo stesso ci
fosse.
-
Charlie, lo puoi fare o no? – Si fermò Don
guardandolo diretto negli occhi da quella vicinanza che avrebbe messo
in soggezione chiunque. Aveva una luce determinata nello sguardo. Una
luce che diceva una cosa precisa: con o senza l’aiuto degli
altri lui sarebbe andato dritto per la sua strada ed allora era meglio
seguirlo e assecondarlo per proteggerlo il più possibile!
-
Si, lo posso fare però è… -
-
Che succede? – Li raggiunse Colby allontanatosi per un
momento solo perché il luogo in cui si trovavano era
certamente sicuro. Vedendo l’espressione preoccupata e
contrariata nonché ansiosa di Charlie capì che
Don aveva avuto un idea azzardata ed incosciente a cui nessuno,
comunque, sarebbe riuscito ad opporsi.
-
Colby, diglielo anche tu che non è una buona idea provocare
Johnsson uscendo di qua per farsi colpire di proposito! –
Quando il giovane comprese completamente ciò che il suo
compagno voleva fare, gli prese quasi un colpo e avanzando
ulteriormente con le mani ai fianchi, strabuzzò gli occhi
credendo di avere allucinazioni uditive e visive.
-
Vuoi fare da esca! – La voce gli uscì
più alta del necessario e grazie a questo anche gli altri
della squadra poterono sentire il suo 'geniale' intento.
-
Si, è esattamente la cosa più veloce ed immediata
da fare! Lui è là fuori, ora, mi ha seguito ed ha
avuto abbastanza tempo da organizzare la prossima mossa, sicuramente un
attentato per me. Finché starò qua dentro a
pensare a come beccarlo senza farmi beccare, non andremo da nessuna
parte, nessuno farà la sua mossa ed perdiamo tempo. La cosa
più veloce è proprio questa. Andare là
fuori e lasciargli fare la sua dannata mossa. Noi staremo tutti pronti
e qualunque cosa faccia agiremo in tempo con la nostra contro mossa!
–
-
Don, è troppo rischioso, non sappiamo come intende
ucciderti… - Si lamentò Megan dimostrando
apertamente la propria preoccupazione.
-
Esatto, non è detto che è appostato con un fucile
da cecchino su uno degli edifici che circondano questo, pronto a
spararti appena metterai piede là fuori! – La
sostenne Charlie anche lui chiaramente in ansia.
-
E’ una probabilità. Tu non lavori su
probabilità? – Rispose Don con la pazienza che
stava raggiungendo i minimi storici!
-
Su probabilità alte, non così basse e pericolose!
Mi serve più tempo per elaborare tanti piani quanti sono
quelli che lui potrebbe usare per ucciderti! Sai in quanti modi si
può attentare ad una vita? – Rimbeccò
Charlie alzando a sua volta il tono ansioso e gesticolando nervoso
davanti al fratello più alto di lui che lo ricambiava
battagliero ed infastidito di essere contraddetto da tutti.
-
Si, li conosco più o meno tutti, grazie. È per
questo che ti chiedo di darmi la posizione più probabile per
un cecchino e non anche le altre! Per non perdere… -
-
Altro tempo! – Finì per lui di nuovo Charlie
esasperato. Non c’era verso di spuntarla e sarebbero finiti
per litigare inutilmente quando invece quel che doveva fare lui era
trovare un modo matematicamente sicuro di aiutarlo.
-
Don, però ha ragione, devi considerare che è
veramente troppo azzardato buttarsi fuori così alla ceca,
con la sola consapevolezza che tenterà di ucciderti!
– Cercò di farlo ragionare Megan con
più dolcezza e diplomazia. Don allora spostò la
sua attenzione su di lei e sospirando per trovare una calma persa
diverse ore prima, si concesse un secondo per riordinare le idee ed
evitare di licenziare tutti i presenti, quindi si passò le
mani sul viso sudato per la pressione che subiva sempre più
crescente, chiuse gli occhi e capì che non avrebbe mai
cambiato idea e che prendere Johnsson era davvero la cosa che
più contava, in quel momento. Altrimenti nessuno delle
persone che lo circondavano e che nella sua vita contavano, sarebbero
più state al sicuro.
A
partire da suo fratello.
Faceva
così non perché aveva paura per la sua vita ma
per quella degli altri che lui amava. Non centrava né
l’orgoglio, né il principio come forse qualcuno
pensava.
E
Colby lo capì perfettamente così come Charlie,
visto che glielo aveva anche detto brutalmente.
Non
c’era molta scelta, se voleva prenderlo in fretta quello era
il metodo più sbrigativo ed efficace. Lasciare che lui lo
raggiungesse per primo.
-
Capisco che vi preoccupate per me e vi ringrazio, ma non
andrò là fuori da solo e so che quando
metterò piede all'esterno non esisterà forza al
mondo in grado di spazzarmi via ed uccidermi. So che tu, Megan, David e
Colby farete il vostro lavoro. Ed anche la matematica di Charlie lo
farà… Io devo fare quello che va fatto o presto
sarete tutti in pericolo. –
Ci
fu un breve momento di silenzio in cui ognuno pensò a
qualcosa che c’entrava con la persona al centro della
discussione, ognuno cominciava finalmente a capire cosa si agitava in
quell’ossessione incosciente, ognuno si sentiva toccato da
quello che ora era diventato un gesto d’altruismo e non di
egoismo. Come faceva tutto il resto, in fondo.
Fu
duro da accettare ma non trovarono alternativa, in realtà
non aveva affatto torto, Don.
Così
fu proprio Megan a parlare per tutti, proprio come una mamma che prende
le decisioni più difficili per la sua famiglia:
-
Ragazzi, facciamolo, allora, il nostro lavoro. E bene! Forza!
– con questo ognuno annuì più serio che
mai, consapevole dell’importanza che di lì in poi
avrebbero avuto le loro gesta.
Una
volta soli, Don e Colby si scambiarono un ulteriore sguardo
significativo che disse più di mille parole, ma solo a loro
due. Dall’esterno nessuno avrebbe potuto capire
ciò che quegli occhi così seri e consapevoli
intendessero comunicare al compagno dinnanzi.
Non
servirono parole, capendosi profondamente si girarono per andare ognuno
a prepararsi a quella che sarebbe anche potuta essere
l’ultima azione, per qualcuno.
“Spero
solo che non lo sia…”
Pensò Colby mostrando solo a sé stesso quella
vena di preoccupazione angosciante che non gli permetteva di essere
freddo e distaccato come sapeva essere in ambito lavorativo.
Ognuno
aveva un compito preciso, erano in molti gli uomini impiegati
discretamente in quella manovra volta a far cadere in trappola
l’uomo che, a sua volta, ne stava ponendo una ai danni di Don
Eppes.
Tutti
uno specifico ordine, ognuno appostato in modo da agire nel modo
più veloce e preciso possibile, qualcuno che già
si dirigeva nel punto indicato dal professor Eppes.
Il
più vicino, naturalmente, era Colby il quale aveva deciso di
esporsi in prima linea accanto all’obiettivo principale, da
brava guardia del corpo.
Ovviamente
ognuno con un giubbotto antiproiettile sotto i vestiti per evitare di
destare inutili sospetti.
Facendo
finta di parlare come sempre di quella che era la loro indagine e
quindi di seguire chissà quale traccia, sia Don che Colby,
insieme agli altri appostati nell’ombra, osservavano
attentamente l’ambiente circostante.
Gli
altri con precisione maniacale mentre loro due con finta noncuranza.
E
trovatisi lì a dover parlare comunque di qualcosa, decisero
che nonostante tutte le riceventi collegate ad ogni uomo impiegato in
quell’azione, potevano sbilanciarsi almeno un po’.
In fondo sarebbe potuta essere l’ultima chiacchierata fra
loro e non avevano ancora avuto il tempo nemmeno di sfiorarsi
decentemente.
Niente.
Nemmeno
dire che non avrebbero ancora voluto separarsi.
Così
fu Colby a dire la sua verità nascosta, una sorta di
linguaggio in codice che però non lo distrasse dal suo
compito:
-
Se questa volta muori giuro che ti perseguito anche dopo, non ti
farò mai riposare in pace! – Con un pizzico di
ironia che fece sorridere Megan e David all’ascolto, mentre
Don, capendo il reale significato di quella frase, provò
solo un gran desiderio di appartarsi con lui in privato e per lo meno
baciarlo. Certe ammissioni non erano per lui di norma, figurarsi se si
trovava ad essere ascoltato da orecchie indiscrete!
Suo
malgrado piegò le labbra in un vago segno
d’apprezzamento ed utilizzando il suo stesso tono, rispose
sempre continuando a camminare naturale ma sostenuto, guardando in alto
verso l’edificio indicato da Charlie:
-
Ora mi sento più sollevato! E poi senti da che pulpito viene
la predica! – In effetti Colby fra tutti era quello che era
riuscito a far preoccupare di più la sua squadra.
Quest’ultimo non disse nulla e limitandosi a scuotere il capo
preferì evitare di darsi la zappa sui piedi da solo.
-
Nessun movimento sospetto. Fra poco saremo fuori portata da un
probabile cecchino posizionato là dove ha detto Charlie.
– Disse quindi tornando serio e in argomento.
-
Ma non è detto che attenti in quel modo. – Lo
riportò alla dura realtà Don pronto a proseguire
la sua passeggiata sul filo della morte.
La
tensione continuava a salire alle stelle e nonostante facessero di
tutto per rimanere freddi e pronti e non perdere la testa e la calma,
si sentivano davvero troppo sotto pressione. Se nessuno avesse fatto
nulla presto, sarebbero esplosi loro stessi. Come si poteva andare
avanti in una situazione simile?
Camminare
alla ceca immaginando le buche in cui sarebbero potuti inciampare ma
senza conoscerle e vedere chiaramente.
E
il pensiero sempre più fisso di stare per perdere la persona
che al momento contava così tanto.
Rimanere
in sé nonostante tutto, con lo stomaco che si contorce e ti
provoca spasmi nauseanti, la spiacevole sensazione che presto tutto
finirà e sarà male, i sensi accentuati al
millesimo, l’adrenalina che corre a fiumi.
Addestramento,
esperienza, abitudine, certo… e chissà quante
altre cose che però non toglievano nulla al fatto che
nessuno dovrebbe mai trovarsi in situazioni simili.
Mentre
i due stavano per sparire dal raggio d’azione ipotizzato alla
svelta da Charlie, una specie di lampo accecò per un
brevissimo istante Colby prendendo completamente la sua attenzione ed
in successione quella di Don e degli altri.
Non
ci fu tempo nemmeno per pensarlo,
‘l’eccolo’. No, nessun pensiero, nessun
respiro, nessun ragionamento, nessuna realizzazione, nessun ordine.
Solo
lo spazio per l’istinto, per i riflessi pronti come se si
fosse in guerra, in un campo di battaglia.
Solo
lo spazio per agire e basta, senza nient’altro, come si
è abituati a fare, come si fa sempre, come si fa ogni volta
che si scollega la mente per anteporre la vita di chi, in
quell’istante fulmineo, conta molto di più di te.
Non
si sentì nemmeno un rumore di sparo, nulla.
Solo
che Colby si buttò ugualmente addosso a Don svelto come la
saetta che attraversa un cielo tempestoso un istante prima del rombo
del tuono che prorompe creando panico ed agitazione.
Nessun
rumore, come se il sonoro fosse andato via un istante.
Nulla
se non Colby che buttava giù Don coprendolo col suo corpo,
venendo lui stesso sfiorato di un soffio dal proiettile che si
conficcava nel cemento veramente troppo vicino ai due ormai a terra.
Nel
giro di un istante ci fu davvero il panico, lo spiazzo si
riempì di agenti già pronti in precedenza, mentre
altri che aspettavano solo quello, già presero a sparare
nell’esatto punto indicato da Charlie nel suo calcolo.
Lontano,
però.
Troppo
per un azione così improvvisata e gettata nel caos da Colby
steso su Don, nessuno capiva se stessero bene o no.
Quando
realizzarono che comunque ormai era finita e che Johnsson ormai era
sicuramente andato via, il fuoco cessò e Don stesso
gridò un: - BASTA! – che fece desistere tutti.
Mentre
ognuno si fermava ed altri accorrevano pronti ad eseguire altri ordini,
Megan e David raggiunsero i due colleghi ancora a terra ma interi.
Quando videro Colby alzarsi e guardare subito Don sotto di
sé per assicurarsi che stesse davvero bene, non avrebbe
comunque sentito nemmeno se quel proiettile si fosse conficcato nella
sua schiena invece che nel marciapiede a pochi centimetri da loro,
tanta era alta la tensione e la paura per aver davvero rischiato di
perderlo.
Si
sentì come se gli sospendessero tutte le funzioni vitali e
solo costatando che il suo viso non presentava segni di dolore, si
sentì sollevato tanto da tornare a respirare.
-
Stai bene… - Disse quindi senza chiederglielo, vedendolo da
solo.
-
Ormai è un vizio salvarmi la vita, eh? – Disse Don
al volo capendo che alleggerire la situazione, ora, toccava a lui visto
quello che per colpa sua il suo compagno aveva passato.
La
paura della perdita della persona magari non amata ma che comunque
contava molto.
Si
rendeva conto di avergli dato un peso non indifferente ma se non fosse
stato lui accanto a proteggerlo, non l’avrebbe mai fatto.
Solo
a lui avrebbe affidato la sua vita e più tardi, quando tutto
quell’inferno sarebbe finito, gliel’avrebbe detto
concedendosi di scoprirsi di più.
-
Che vuoi, le brutte abitudini sono le più dure da mandar
via! – Rispose a tono sforzandosi di tornare non solo a
respirare ma anche a vivere!
Si
era sentito davvero male, come essere buttato nello spazio aperto senza
protezione addosso.
Però
ormai era andata ed anche bene, nonostante avessero sperato in meglio.
Era
ovvio che non sarebbero riusciti a prenderlo, nel caso fosse stato
davvero a fare il cecchino lassù, il punto era demolire un
possibile modo di attentare alla sua vita e guadagnare prove che li
conducessero a lui. Dati.
Farlo
innervosire notando quanto lui pronto fosse.
Provocarlo.
-
Ora si arrabbierà davvero, ha capito che era tutto
programmato e che in un certo senso l’ho sfidato ad
uccidermi. Non solo l’ho provocato ma l’ho anche
previsto e sventato. Sarà su tutte le furie,
progetterà qualcosa di più avventato in modo da
scoprirsi maggiormente e lì lo prenderemo. – Disse
poi Don sbrigativo e razionale tornando a Johnsson con freddezza e
sicurezza, alzandosi ed ignorando la sensazione che il suo corpo,
tremando, gli mandava.
Proprio
come quella mattina, quando era quasi finito sotto un camion.
Ignorare
la sensazione della morte scampata era un vizio per lui, lo faceva in
continuazione per non cessare di fare quel lavoro e proteggere qualcuno
di importante.
-
E sarà anche più pericoloso. –
Asserì Megan calcando sull’aspetto più
grave che Don aveva accuratamente sminuito, come fosse una passeggiata.
-
Va con David là dove era appostato e vedete cosa ha
lasciato. Ci sono già altri agenti. – Fece quindi
tornando il capo duro e severo di sempre, i cui ordini non ammettevano
repliche se erano detti sotto pressione, riferendosi al fatto che
sicuramente Johnsson lassù aveva lasciato qualche prova per
loro.
Quando
si trovò di nuovo solo con Colby a rientrare
nell’edificio dell’FBI, questi gli chiese
realizzando quale fosse stato il suo ragionamento:
-
Quindi ora diventa una roulette russa. È questo che hai
intenzione di fare? – Il tono inquisitore e sostenuto era
quello di chi aveva appena capito le sue reali intenzioni ed ora aveva
l’istinto di fargli una lavata di capo nonostante lui fosse
un suo superiore.
Le
porte dell’ascensore si richiusero davanti a loro
inglobandoli nell’oggetto metallico che si levò
silenzioso trasportandoli in alto da soli. I cuori battevano ancora
forsennati, ignorati dai proprietari.
-
E’ l’unica cosa veloce ed efficace, ora.
– Però sapeva che per farlo avrebbe di nuovo
dovuto lottare per farsi ascoltare, nonostante fosse lui il capo!
-
Charlie ti direbbe che a volte perdere un po’ di tempo per
impostare un piano più sicuro, non fa male! –
-
Tu sei stato troppo tempo con Charlie! – Lo
liquidò deciso a non mollare l’osso. Ovviamente
non lo guardava, al contrario di Colby che invece era completamente
rivolto verso di lui e come se non credesse alle sue orecchie lo
fissava stranito asciugandosi il sudore dal viso con
l’avambraccio.
-
La soluzione non è mettersi là fuori e
passeggiare finché lui non tenta di farti la pelle per
sfuggirgli quante più volte puoi, finché non sei
tu poi a prenderlo! Non è così che operi, non
l’hai mai fatto! Segui le indagini in modo umano, per favore!
– Il tono sempre più sostenuto e alterato. Averlo
quasi perso non gli era affatto piaciuto.
Don
sapeva perfettamente che Colby aveva ragione ma non poteva stare ad
aspettare idee, prove o indizi che lo portassero da quel dannato uomo.
Aspettare mentre quello faceva i suoi sporchi comodi attentando alla
sua o magari peggio alla vita di quelli che lo circondavano.
Non
poteva permetterlo, assolutamente.
Doveva
sbrigarsi, prendere la strada più breve e veloce, fare in
fretta, davvero in fretta.
Non
sapeva cosa dirgli di preciso però gli dispiaceva vederlo
così preoccupato per lui. Sospirò stanco e si
girò verso di lui ricambiando finalmente il suo sguardo
diretto ed ansioso nonché battagliero. Si prese un istante
per perdersi in lui e in quello che dimostrava apertamente di provare,
chiedendosi perché anche lui non ci riusciva così
bene e facilmente, poi senza sapere cosa dire di preciso,
aprì semplicemente la bocca e parlò posando la
mano sul suo braccio, unico gesto di intimità che in tutta
la giornata gli aveva ancora concesso.
-
Perdonami se agisco così fuori dagli schemi, ma voglio solo
far finire al più presto tutto questo. – Le cose
più vere e più semplici, nonché
disarmanti, che avrebbe potuto sussurrargli a tu per tu in
quell’istante. Colby parve come sciogliersi e smontando tutta
la sua linea d’attacco, sospirò a sua volta
spompandosi, scuotendo appena la testa sconsolato:
-
Lo so, ma non voglio che ti succeda nulla… -
Mormorò a sua volta concedendosi di più
dell’altro mettendogli la mano sulla sua. Il calore di quel
contatto gli restituì un po’ di puro ossigeno e si
concessero ancora qualche secondo così, a fondersi con gli
sguardi senza osare avvicinarsi di più.
-
Non potrei affidare la mia vita ad altre che non siano le tue mani.
– Questo fu davvero molto di più di quello che
Colby avrebbe anche solo sognato di sentirsi dire da Don e riempiendosi
l’animo ed il cuore di quello che significava per lui una
frase simile, al pari di un ‘ti amo’, per loro due,
distese le labbra ben disegnate in un sorriso spontaneo e dolce che
riempì il compagno di quella forza che per qualche minuto
gli era vacillata.
-
Ed io ci sarò sempre, come tu ci sei sempre per me.
– Rispose riferendosi alle molte volte che Don stesso
l’aveva coperto o addirittura salvato.
Averlo
dalla sua parte, in quell’attimo, fu quanto di più
appagante e importante ci fosse.
Un
breve secondo di scambi nel quale poterono solo stringere ulteriormente
quella presa l’uno sull’altro che trasmise ad
entrambi molti brividi e li calmò, poi sentendo
l’ascensore rallentare dovettero separarsi a malincuore
tornando a girarsi.
Le
loro espressioni tornarono serie e non più brevemente
distese, quindi ogni sentimento tornò dentro la corazza che
ergevano fra loro ed il resto del mondo mentre le ante
dell’abitacolo si aprirono gettandoli nel caos del loro
piano.
La
roulette russa era appena iniziata.